Mi permetto, forse importuno, d’inviarLe questo breve testo: d’una ghiaia.
Quali sono, all’incirca, le parole che ora dovrei usare per tentare di descriverne le intenzioni?
Anche a domandarmi quali parole si giochino nelle stanze dell’amore, di questo amore, sento che se la morte si girasse, troverebbe la chiave per entravi.
Potrei anche morire ad essere innamorato.
Già fatto dono del mio corpo, ma ingordamente, però, proprio nel momento in cui ebbi la più netta coscienza di questa inquietudine.
Una decisione, dovrei compiere il primo gesto [e qui non mi pare di scorgere il segno d’un poco di speranza: il senso del mio turbamento non avrà mai fine].
Che non m’avesse mai chiamato vicino questo amore ma una coorte di angeli con i loro riccioli biondi, madidi, magari discesi dalla notte a cavallo dei quattro venti.
Forse sono ferito nel mio corpo dallo scrivere [no! non sempre si grida al terrore: una volta sola, forse. Ma mi sono insegnato il coraggio al canto che secerne la paura stessa].
Questa breve lettera, lo avrà certo capito, è, insomma, un pretesto per chiederLe un parere. Una parola su questo mio lavoro che allego.
Nel farmi perdonare per questa mia, mi accingo a salutarLa con ogni stima, ringraziandoLa per avermi fatto apprezzare Anna Maria Ortese.
… nella speranza d’una risposta, inviai a Dario Bellezza. Era poco dopo la metà degli anni80. Ricevetti missiva da Edizioni del Giano in Roma con proposta di pubblicazione… (a pagamento)
(15 dicembre 2015)
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