dunque: noi non leggiamo affatto delle sensazioni ma delle percezioni e questo accade, talvolta, a distanza di tempo e di luogo. Esse sono custodite con adorazione e levità [e soltanto questo verrebbe da domandare: che possano essere sempre, per quanto terribilmente cari orrori, leggere percezioni]; o parole rapite a graffi alla realtà, riproposte nella loro spudorata ingentilezza, senza i tarli mortiferi del quotidiano. Non mancano tuttavia incertezze, legate alla differenza di tempi e di luoghi, di rifugi in ombre, alla gelosia, alla paura della mancanza e della perdita. Questo perché il mancarsi, il perdersi, non è certo l’ultima delle sventure.
Nel perdurare inesorabile del Tempo, si percepisce un lento e inevitabile lasciarsi, dovuto all’approssimarsi della finitezza che il Poeta avverte su di sé, sul Mondo, fermo e immoto nella contemplazione opacamente incantata del Presente.
Talvolta, singolarmente, alcun Poeti si presentano come risposte a domande assenti nella Storia, ma ricostruibili leggendone gli interrogativi. Questo fanno, e questo sono, i Poeti. Fuori dal Presente e immersi nell’attuale del quotidiano. E sono l’unica speranza al silenzio.
Il silenzio è un campo semantico ferocissimo, che tuttavia non è da interpretarsi quale negazione angosciante della comunicazione, ma come scelta per proteggere da rivelazioni perturbanti. Chi è Visionario non rivela al Mondo, non eccede al commento. Non si mostra. O è finzione.
Questa attenzione attesta, quindi, in brevi lampi trasversali la felicità sgomenta [perché disattesa] della prima conoscenza, avvinta alla contemplazione estatica di particolari anatomici, caratteriali e vezzi. In tutta questa attenzione, si ritrovano anche tutte le risposte alle domande implicite in un vano tentativo di rassicurazione basato sulla ribattitura della negazione della parola.
Noi non siamo vittime o carnefici, nessuno di noi lo è. Anche se c’è qualcosa per il cuore. E così, ancora, il Poeta risponde a domande che si fanno allusioni all’indagine del Presente, non commentando, rivisitando con piacere le memorie condivise, le sembianze degli amori e le tracce di una veglia tanto simile al falso sonno.
Dunque, il Poeta è ben oltre la visione esacerbata e sentimentalmente precaria delle proprie opere: oltre il suo stesso dire o non dire. Coerentemente con la sua stessa poetica Egli è la preminenza affettiva e si esprime nell’elezione di dettagli quotidiani a materia di Poesia, singoli ricordi, di per sé insignificanti, che sono rivalutati alla luce della condivisione privata. Scrivere non è perversione patologica, cura, rimasuglio psicanalitico, masturbazione manuale o mentale ma una modalità espressiva per comunicare l’urgenza del desiderio.
Basterebbero queste poche suggestioni per attestare quanto, pur nell’eterogeneità dei varii approcci, sperimentino la Poesia o la Scrittura contengano in sé una Sacralità del desiderio e, da un punto all’altro, testimonino la soggettività estrema nella comunicazione attraverso la scrittura.
(30 novembre 2015)
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