quasi prefazione
Un mondo a parte. Un minuscolo e miserrimo universo parallelo. Tutte le voci sono remixate in un
piccolissimo e annoiatissimo teatro di volti, la nenia romanzesca di un poetucolo minore, ormai scordato dal
mondo letterario e mai entrato decisamente a farne parte veramente, che racconta, ogni sera, con suono
querulo e petulante, obbedendo esclusivamente all’ispirazione della sua sessualità disinvolta e mai tradita e
poi ancora s’arrabatta a confessare con affanno, quasi masochisticamente, al primo che gli capita a fianco, il
proprio sesso felicissimo, le proprie depravazioni risolte, le proprie trasognate avventure erotiche, a volte
addirittura rocambolescamente realizzate, le livide striature del suo corpo e del suo animo divelti che sono
come marchi d’una fin troppo assaporata e privilegiata cattiveria desiderata.
E poi ancora e ancora chiacchiere, quasi come miasmi frenetici e famelici avventori di un locale estremo che
sempre più assomiglia ad un rutilante e perpetuo vortice dell’inutilità e del provvisorio, sguardi senza
estetismi o bovarismi, trabocchi urticanti di parole non si sa se realmente ascoltate e veramente dette da
qualcuno, e poi ancora quasi sogni d’incubo, allucinazioni verbali, risate chiassose, racconti esilaranti di
sesso con sconosciuti e vero sesso XXX RATED, e in tutto questo carnaio d’approssimazioni ci sono le
roboanti e imperdibili cantante pop-rock tedesca, seguace di un’irriverentissima religione aliena, una vera
icona della dissolutezza degli Anni ’70 e ’80, quasi dimenticata dall’intero universo e lasciata lì a marcire
sepolta – per propria volontà, parrebbe – tra corpi seminudi, traslucidi, rivestiti di pelle o gomma, in una realtà
che declina verso l’estrema finzione, nello sfumare tra la grazia e la sapienza di una tribù che persiste nella
propria sopravvivenza in una fisicità da deserto delirante e assoluto.
BOLGIASHOCK è l’evento che scatena la narrazione. Con una scrittura e volte senza fiato, senza
punteggiatura, come quando si inala eccessivo popper, si narra delle acrobazie mentali di Skeeen per
giustificare una sessualità fuori dal pregiudizio. Una festa terribilmente Anni ’80, dove il timore e la credenza
che l’AIDS siano una invenzione del nemico, danno il la alla più estrema concezione del sesso per il sesso.
Tutto viene giustificato e incasellato, in questo libro, con teorie sessualmente scorrette che rasentano il
barbaro tentativo di una sublimazione celeste. Combattere la morale contraddittoria che da un lato spinge
alla vergogna e dell’altro mercifica il sesso e traspone i corpi come meglio crede, come più gli comoda, li
banalizza rendendoli accettabili “con la nostra mostra invece proponiamo, come un antidoto, ironia,
disubbidienza, piacere, desideri e un bel ’ffanculo a tutti”.
E ancora il concetto, tipico di quegli anni, all’inizio del contagio dell’AIDS: “questa malattia che è una
invenzione dei media per attaccarci e non lasciarci la nostra libertà animale… e via, e via, i casi sono rari, non
è come la descrivono la situazione in America, non è vero che la gente muore, io guardo prima una persona,
si capisce se uno sta male o no”, dice e affonda.
Si racconta della prima dichiarazione d’amore per Godz “adesso ho come la certezza che la vergogna non
mi spingerà più a barcollare come contro la mia volontà, a stendermi per terra, con il viso nascosto nella
neve, oppure osando a malapena guardare il cielo: Godz lo amo”.
E se in una mente turpe nascesse un sentimento? Qui se ne sonda il concetto con una consapevolissima
affabulazione soporifera ed ipnotica.
Le continue visione dell’uomo appeso alla sling e la voceincorsivo di Nina Hagen che parla ad ogni fist che
parte. È un atto d’amore e anche noi, quando cerchiamo d’imparare che cosa significhi amare, non finiamo
per perderci nella riflessione che pensa intorno all’amore? non perdiamo tempo pensando di amare invece di
amare? Un loop continuo, un fist infinito sulle nostre sling mentali? Ma sul nostro cammino cade lenta,
costantemente, una luce che illumina il nostro amore.
Dalla festa alla descrizione dello stupro. Passo breve, “come colpito da un flashback. Da credere che l’uomo
è come circondato… e via, e via, più che picchiarlo sembra che voglia fargli sentire proprio il contatto del suo
corpo, delle sue mani, dei suoi palmi caldi contro la pelle chiara del viso”.
La nascita del fetish, il voyeurismo, il trimmer, goldenshower… e di altre amenità.
Una narrazione “forte”, stratificata, scritta solo per anime sensibili… ma la realtà spesso supera la fantasia.
Diviene così una qualche logica, il vero, ciò che è possibile, le virgole di rosata luce che caricano il pianto,
l’incantato discorrere, gli stessi fatti preoccupanti, la malattia incombente e l’incombente amore, il sesso
estremo e l’estremo razionalizzare il pensamento del protagonista: le cose prendono forma, anche
distrattamente ma prendono una forma: tutto serve per grazia o per volontà, smette d’essere sapienza, storia
o profezia.
E in mezzo a tutto questo, sesso a dispersione, come un colpo al cuore, come se la malattia non esistesse,
come se l’AIDS fosse solo una tremenda immaginazione, un fatto di scimmie e San Francisco.
Pieni Anni ’80.
E poi ancora le frasi profetiche: ma se mi lascio trascinare dallo zelo del fedele sguardo del mio racconto,
finisco con l’accusarmi di secondi fini, che non ho, per darmi l’apparenza dell’uomo sincero che certo non
cerca di risparmiarsi le umiliazioni: non è quindi per il piacere di intrattenerti su me stesso che parlo, e
neppure per esibire le belle nottate di una volta, il gran sipario della mia mestissima follia, il sesso dei piedi
su tutti gli sconosciuti e il pelo! Di questo solo beandomi placidamente.
È proprio vero che, seppure illuminato dalla bellezza di molti piedi, io ho pronunciato un voto per il quale ero
tenuto da quel momento ad osservare un mesto e dignitoso silenzio. Sono dunque una specie di tristo
spergiuro?
E in tutto ciò, cominciano le narrazioni visionarie di Nina Hagen.
Durante il BOLGIASHOCK fanno a gara a ricordarsi quanti più posti possono, poi pensano a qualcuno che
sta male di HIV, e si precipitano a nominarlo a viva voce, il nemico sta lì, in agguato ma è come non ci fosse.
E siamo alla metà degli Anni ’80. Oggi non molto è cambiato in certe situazioni.
Ma essa stessa, questa sensazione di morte prossima, s’è occultata e resa irriconoscibile: ma è proprio
dove la bellezza è più nascosta e dove è più misteriosa, che essa esprime ogni suo senso più alto: fanno a
gara a ricordarsi quanti più nomi possono, poi pensano a qualcuno che sta male di HIV, e si precipitano a
nominarlo a viva voce.
Dal megaschermo de El Horno, la descrizione delle immagini di FASHION SHOW: sfilata di moda indo-
west-fusion. Un tocco di grazia in tutto il racconto.
Altro luogo mitico e mitizzato: La Fossa dove tutto è piena furia e scolora e dà ansia da prestazione al
mistero del sesso sfrenato. Questo luogo, dal quale un pubblico deluso si è allontanato da moto tempo
alzando le spalle. Già mi sento chiedere come negli anni si sia potuto dimenticare di trascrivere proprio
quello che è più significativo o comunque più piccanti in questo luogo, ovvero il brusio di nomi d’arte e di
battaglia… qui ne troverete uno spassosissimo elenco. Un nemmeno occultato omaggio a Jean Genet.
E al BOLGIASHOCK, mentre balli o ti aggiri, incontri qualcuno che ti chiede “stai bene?”, a risposta
affermativa tira un sospiro di sollievo, ti sorride o ti abbraccia e si ferma a chiacchierare un po’, non hai
bisogno di essere uno strafigo per poter partecipare all’empatia generale, dopo un po’ tutte le endorfine si
stimolano da sole al ritmo dei corpi che si palpano anche del tutto senza rendersene conto, gli americani
l’hanno chiamata AIDS (Aquired Immune Deficiency Sindrome) ed è un flagello che sta sterminando morti da
un capo all’altro del continente, rilevata per la prima volta in un gruppo di omosessuali di Los Angeles è stata
battezzata cancer gay, in realtà il cancer gay è stato poi scoperto anche ad Haiti e poi è approdato in Europa
e non solo fra i gay, ma ancora nessuno ci crede: “Hei!, creatura!!, non crederai alle notizie delle tele!”.
In tutti i locali che Skeeen narra in questa nottata a perdifiato, presentandoli con maniacale precisione e
descrivendone i caratteri, si incontrano sempre gli stessi personaggi, compreso il supereroe Powerfist. Fatto,
questo, che non dovrebbe stupire i frequentatori di questi ameni luoghi di svago mondano dove “si incontra
gente e si fanno cose”. Luoghi di aggregazione, insomma. Per tutti gli altri lettori, sarà puro Fantasy.
Tutto si dipana nel convincimento dell’enorme differenza e nell’aver trovato giusto motivo di esaltarsi per
quanti sacrifici vengano poi consumati in nome d’essa e quanto orrore e fretta e castigo poi e punizione
nella felicità e negli incontri di luce ma non altro pare potrebbe giustificare tutti i comportamenti e le manie e
le estenuanti ricerche.
Nel mezzo del vasto fiume delle cose, non far nulla, imparare a vedere ed ascoltare. Nel mezzo della strada
vuota del non fare più nulla, una linea bianca va rimpicciolendo in fondo, sulla superficie livida e ghiacciata
dell’asfalto di una vita dissoluta, zebrata da chiazze di neve di sperma.
Scusa non potresti rimetterti quel copricapo da tartaro che avevi prima? Ma non l’ho più, è andato via, l’ho
disfatto, non ti guardare sempre indietro, la vita cambia continuamente, guarda quanti altri bei copricapi ho
dice Nina. Perché anche i poeti, a un certo punto della loro esistenza, scrivono narrazioni? Il corpo fatale di
tutti quanti gli orgasmi è in tutte le storie di questo romanzo, primario e disturbante. E ci siete anche voi, a
modo vostro, naturalmente. Andarsene non è sfuggire: il desiderio sia luce nel corpo di tutti. Chi ricorda certe
crudeltà espresse, qui troverà pane per i suoi denti, qualcosa che ormai non esiste più nelle attuali
quotidianità. Il pane delle parole, appunto, il prezzo dato ai pensieri di cui si ha bisogno, di cui avete ancora
necessità, anche a costo di strappi e colpi, viaggi imbarazzanti, descrizioni di bellezze sessuali su cui ci si
può eccitare senza temere alcun pericolo. Il pericolo congenito degli eventi, intendo.
È come vivere in un paesaggio dell’emozione, una regione superiore dell’amore definitivo, proprio dove si
scavano sepolcri eternamente vuoti, quando la metamorfosi fisica finale conferisce qualche tratto di nobiltà.
Questa è la vera passione: dare un sacco di botte al prossimo per puro sesso: bella e nobilissima
concezione della sessualità!, quindi persi l’equilibrio, quel giorno alla Fossa, caddi faccia avanti e non potei
fare altro che proteggermi la testa con la mano, quindi taccio, adesso, taccio perché sono sfinito da un tale
eccesso: queste parole, queste parole, tutte quante queste parole, senza vita, che sembrano perdere perfino
il senso del loro suono spento.
Se è vero che la loquacità cresce fino alla più folle esaltazione davanti al consenso o alla contraddizione,
essa resiste però molto onorevolmente anche di fronte all’indifferenza e alla noia.
Tanto io sono un uomo reale? O un’ombra? Oppure nulla, assolutamente nulla? Ho acquistato spessore per
il solo fatto di avervi parlato a lungo? Mi immaginate dotato di altri organi oltre alla lingua? Vi è possibile
identificarmi con il proprietario della mano destra che sta per toccarvi il capezzolo sinistro con la punta delle
dita? Come saperlo? Non aspettatevi che denunci da solo chi sono io. Tutto vuoto intorno rimane lo scenario,
ove soltanto emisferi culoni vengono sfondati da mani e rapidamente penetrati da altre nervose mani che
cercano altre mani e cazzo e culo e vita fisiologica e sborre mosce e trepidanti biancori e spumette e luridi
busideculo slargati, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, l’orrore non esiste se qui c’è merda e buco
è un porno e un porno non si lascia intimidire dai pensieri di chi lo guarda, si crede lo Shogun e vuole
inculare il Mikado.
Della mia storia passata di scrivente, pochi sanno, pochi sapevano e pochi sapranno. Ma ora qualcosa di
tutto questo mio scrivere passato e presente è ritornato come a dire: Signore e Signori sono ancora qui. È
stato un buon tempo, questo, per questa mia narrazione che in tutto il periodo della sua stesura, che è
durata 10 anni quasi, ha avuto non poche difficoltà e rifiuti. E qui chiude. Altre cose ho già in cantiere, troppo
silenzio ho subito.
Uno grazie speciale a chi ha creduto che questa mia storia fosse possibile renderla pubblica con questa
edizione e che mi ha ospitato nemmeno pensandoci un attimo, su di un portale che stimo, mettendoci la
faccia, dandomi ancora voce.
Grazie alla pazienza di Max, e alla silenziosa presenza del Capo. Non mi hanno mai censurato un solo rigo.
Mai. Probabilmente mi sono più censurato da solo di quanto non lo abbiano fatto loro.
Gaiaitalia.com mi ha dato una seconda occasione di esistere, la terza non l’avrò.
Un grazie a chi mi ha letto, sottolineato, commentato durante l’edizione online, a puntate, ma anche a chi
proprio non mi ha preso, nemmeno minimamente, in considerazione spiegandomi, sottilmente, che di talune
cose si può fare tranquillamente senza e sopravvivere in un’orgia di voci più quotidiane.
bo summer’s
#ElHorno
in love with love, a Ymo, dedico
domanda. Insomma, Lei parla di mondo normale e
mondo spirituale: personalmente in quale di questi due
mondi si colloca?
risposta. molte volte ammiro il distacco da tutta
quanta l’effimera banalità quotidiana.
d. Lei è decisamente una rockstar, eppure lei ha una
bambina davvero molto piccola: come se la cava con le
pappine e tutti quanti quei pannolini?
r. la nutro quando piange, la cambio quando serve.
d. è vero che una volta si è masturbata durante un
programma alla televisione austriaca?
r. perché mi poni questa domanda, adesso? forse che
non ti masturbi mai?
(Intervista a Nina Hagen, Anni ’80)
A
A dargli tutto quel tempo che gli occorre, Skeeen è davvero capace di provare e d’impartire l’estasi
esattamente lungo tutto quanto il locale... Skeeen non può proprio celarlo nemmeno a se stesso: a
mala pena domina l’ansia che in quest’attimo l’assale, allorché, sospinto dal suo stesso interesse, si
risolve a trascrivere soltanto mentalmente – ma accuratamente, ma molto al di sopra di enigmatiche
parole, come fosse una cosa attigua a carceri questo pensamento, come fosse suo remoto parente
questo strazio straziante che strazia ma come costretto fosse a conviverci, come fosse un orizzonte
velato e oscuro, come fosse un piano secolare, come fosse un mandamento ma orrendamente divino –,
la copia affrettata, come fosse, di tutti quanti gli avvenimenti passati e anche futuri della sua vita... e via,
e via, ma proprio alcuni di questi avvenimenti, già da molto prima d’incominciare, hanno animo – muto
forse, silenziosissimo ma simile a tifone grandissimo – adulto e fanciullo insieme: terra e melma e paura
brulla e quasi mancamento e ancora lontananza da primissimo desiderio sono questi avvenimenti.
Niente d’altro da aggiungere, niente d’altro da dire.
A dargli tempo, quindi, Skeeen è proprio capace d’inebriarsi, d’ubriacarsi nel cuore stesso dell’inferno
abissale de El Horno: “il nome del posto è di per sé già strano, è come meraviglioso presagio, non tanto
allettante ma come non cedere alla tentazione”, dice nella sua mente Skeeen, “al disarmo totale che
prevede un luogo come questo: le luci appena visibili colpiscono in tutta la loro vera crudeltà: una
poesia del trasalimento” e via, e via e così Skeeen entra e nel frattempo dice: “un buco è un buco e non
ci si tira mica indietro nei fine settimana di questa città... e via, e via, ecco, e anche questa merda di
locale, poi, mica tanto è lontano dalle luride saune che frequento: è soltanto un ennesimo buco, un altro
locale da frequentare, un altro nuovo fine settimana da passare all’infinito anche se, proprio per il suo
senso immanente di ogni atto che all’interno si compie, non può avere mai fine” condividendo così,
quasi per intero – con le estreme forze che gli rimangono – una specialissima amicanza fratella, uno
spasimo fecale e sessuale con tutte le altre sventure smaniose che allegramente popolano questo antro
disarmonico, questa inquieta rottura con tutto il mondo esterno, questo locale acerrimo.
A dire il vero, nello stato di ebbrezza da Ceres assai avanzata nel quale Skeeen si trova, ad entrare a El
Horno prova solamente un disagio più che passeggero e già quasi arriva a sorprendersi e arriva a
confidarsi mentalmente cose che non gli sarebbe mai venuto in testa, normalmente, di rivelare
nemmeno al suo più intimo e letale amico, a maggior ragione a una persona che in un certo senso non
conosce affatto, anche se, provando per questa un desiderio vivissimo e cercando quindi di corteggiarla
già appena entrato, si mette largamente, in mancanza di altri argomenti, a parlare di sé... e via, e via, e
quello ad ascoltarlo distratto e silenzioso e quello a raccogliere tutti i suoi storpi discorsi che
inaridiscono, come una condanna, il corpo e il pensiero e i rapporti con il prossimo.
A giudicare dall’esplosione di risa con cui quel tipo saluta la prima confessione di Skeeen – e non è che
la prima delle tante che in questa serata daranno un senso minimo alla sua esistenza –, è da credere
che lo spettacolo dell’impudicizia possa talvolta ispirare altri sentimenti meno forti e meno fantasticati
ma così altrettanto fortemente e crudelmente ingiuriosi per colui che ne è oggetto.
“A livello morale con le coppie diciamo che non esiste nessun problema ed è proprio una cosa
assolutamente divertente la possibilità di vedere i più svariati atti amorosi fra i due e starsene lì seduti in
poltrona come al cine così si finisce per assistere come per una sorta di privilegio impietosi e ammirati a
questo straccio d’amitié ” dice una voce al tavolo accanto.
A lunghi passi Skeeen, inquieto, si è già si è già alzato e percorre velocissimamente il brevissimo
perimetro della dark che pare, come al solito, inferma e malata: è una mostruosa vacca selvaggia, si sa
che è celeste, tutti sanno che è una Selvaggia Vacca Celeste: la dark va benissimo per pasticciare, per
spettegolare, per ricordarci tutto il nostro passato, presente e futuro, tutta la nostra comunanza, la
nostra pazienza e il nostro sodalizio e va bene per ricordarci tutto quanto intero il nostro povero
divenire: un regolare vizio non isolato la dark ma si direbbe proprio fatto d’equivoci, pseudonimi che
nascondono vere identità, ingenui e idealisti disposti a tutto, a qualunque cosa, fino a farsi fare
rumorosamente da chiunque come fecero esattamente gli stessi geni poetici che hanno amato,
leggendoli, per far rivivere, a quei cari trapassati, ancora un po’ di quotidianità.
A mano a mano che Skeeen si avvicina al canale scuro che conduce alla dark, può vedere davanti a sé
l’acqua degli zampilli di sperma scintillare esattamente come nella pallida luce dell’alba e dividersi e
sperdersi tutt’intorno sull’alta muraglia quasi impenetrabile, quasi insignificante, quasi anonima proprio
quanto un grosso ciottolo o un costone di roccia del muro sgretolato via dal buio antro.
A partire da questo preciso momento in cui le sue elucubrazioni si manifestano apertamente, per
Skeeen finisce qualsiasi analogia: inizia la realtà: finalmente questa vita vera ma col risultato che, ora,
le sue parole hanno tutto un altro suono che nessuno capisce, ed è proprio questa la vera causa d’ogni
strazio e d’ogni suo tumulto.
“A proposito” dice Skeeen “hai amici che diano una certa importanza a quello che ti capita? Se non ne
hai, penso che dopo tutto forse sei decisamente fortunato... e via, e via, ma sto indulgendo senza
motivo in questa digressione perché non mi avevano mai dichiarato che avessi un aspetto sofferente,
fino al giorno in cui, cedendo all’invincibile attrazione che da qualche anno esercita su di me un bel
piede adunco con tanto d’unghia incarnita e peli e peli sul dorso di quel bel piede, commisi la
spregevolissima imprudenza di leccarmene uno, anzi due, pubblicamente in questo stupido locale.
A questa affermazione naturalmente l’altro non ha nulla da rispondere se non un sussulto dell’arcata
sopraccigliare: resta come inebetito dal grondare rigoglioso e armonico della parole di Skeeen.
“A questo punto della mia esistenza” dice Skeeen “io posso misurare esattamente la difficoltà di
rintracciare un avvenimento della mia vita particolarmente confuso, del quale, se io voglio essere
veritiero, dovrò nello stesso tempo rispettarne l’incoerenza e conservarne le proporzioni, sempre però
sforzandomi di evitare di dargli solo tendenziosamente un significato che non ha avuto o di trattarlo
naturalmente con un sangue freddo un po’ troppo eccessivo che piano lo priverebbe, a posteriori, del
valore emotivo di cui era permeato... e via, e via, come è nato tutto questo strazio? era pieno giorno?
ma era tal quale un giorno del passato? era, questo odiato qualcosa, ciò che veramente lo divideva
dalle mie future ore di beatitudine? e via, e via, sarei quindi obbligato ad aprire una parentesi, ma tu
stesso devi aver sperimentato che non appena tenti di spiegarti con franchezza, ti trovi come costretto a
far seguire ciascuna delle tue frasi affermative da una dubitativa, ciò equivale, il più delle volte, a
negare quel che hai appena finito di affermare, insomma, è impossibile liberarsi dello scrupolo un po’
orripilante di non lasciare nulla nell’ombra: quindi niente parentesi, costruzione accurate di spieghi, non
storie di piedi di lume, unghie incarnire che mi balenano per la testa, nessun composto tremito che
possa anche soltanto lontanamente, che possa passare in questi resti di memorie, nessuna bufera o
rabbrividimento che possa... e via, e via… almeno non per ora… oh ma ti sto forse tediando…”.
A questo punto, nuovi mondi si scatenano a El Horno: rovina, estasi, perdita, comunione... e via, e via…
il tutto ha come ambientazione un cortiletto assi profondo e scuro: anche qui si scopa, è solo un po’ più
freddo, come sul fondo di un oscurissimo pozzo: Skeeen non se ne dispiace di vedere queste cose,
questo crea buonissime abitudini, dà ordine a tutti i pensieri e dà concentrazione, insegna – diciamolo
pure tranquillamente e senza timore di smentita – la rettitudine... e via, e via… anche nel buio de El
Horno il chiarore delle parole giunge, giunge come dall’alto e pure qui gli uomini sono sul fondo del
pozzo freddo.
A questo s’aggiunge un istante di piscio su un viso capovolto, stretto in una corda, col naso rosso e
l’aspetto paonazzo di quel minimo di soffocamento che gli produce il bandana ficcato in bocca e
l’aspetto preoccupato e Skeeen nello spazio intorno a sé non sente più nessuno per un attimo: come
fosse vuoto intorno, spazio occultato, ostinatamente tramonto lucido... soltanto quello stesso tipo
allungato profondamente sotto quel getto che, come dire, porta anche sopra, su in alto, insomma, lo si
capisce, non si intende su in alto fino agli astri celesti: è sufficiente questo pilastro di ragazzone che se
lo piscia all’inpiedi e che pare sorreggere il soffitto del cielo non stellato de El Horno perché i cosiddetti
esterni non esistano proprio più: qui è tutto interno tutto accade del a El Horno e parte finalmente il
primissimo pugno di Powerfist che toglie il fiato a tutti gli occhi vivi, dolci e graziosetti e parte la prima
fantasmagorica visione di Nina.
dice Nina: a volte ho a che fare con gente che è in difficoltà che ha problemi d’ogni tipo oppure disturbi
chimici ed è proprio in questi casi che io medito che io entro in contatto
Abbandona i due che gli stanno davanti e si pisciano, Skeeen si mette a seguirla questa voceincorsivo,
questa Nina che parla... e via, e via, in questo interno non esistono piante, ma accade talvolta che sul
pavimento pietrificato, da una qualche parte baleni come il riflesso rifiorito di un fist, cioè un effetto
improvviso, cioè un’allucinazione meravigliosa, cioè quasi che fosse di un impensabile e inesistente e
scomparso e sotterraneo campo di fiori alberati mentre in realtà si tratta di persone vere, culilarghi e
pugnistretti che penetrano veramente fino al gomito... e via, e via, questo qui, adesso, è come
letteralmente impazzito durante il fist e vede Nina ad ogni fist e da anni Nina gli parla senza prendere
fiato, velocissima e senza punteggiatura, lo culla in questo giardino delle delizie delle interiora: una
profonda corte: pure quelli de El Horno, che racchiude tale giardino, soltanto raramente scendono a
frequentarlo in questa specie di scantinato, qualcuno addirittura proprio mai scende, perché qui è il
regno di Powerfist, Powerfist il supereroe, Powerfist che toglie il fiato, Powerfist che parla con la voce
grossa e di gola: Powerfist non perdona mai nessuno e mai farsi prendere dalle sue grosse mani
perché quaggiù l’aria poco pura male influisce sul suo cervello e il sangue non gli scorre e non ragiona
se non di popper, perché qui nel secolare fistare e fistare e fistare e fistare non c’è più via d’uscita, e
così attraverso la sconquassatissima fessura anale d’acciaio temprato s’infilano mani e mani e mani e
mani e qui, a El Horno, Nina, ogni volta, a ogni fist, esce e racconta e racconta e racconta e racconta
ininterrottamente: un’apparizione meravigliosa Nina.
“Adesso non andare a immaginare” dice Skeeen “che io abbia mentito così spudoratamente soltanto
per il grossolano piacere di vedere dar credito ai miei discorsi più fantasiosi, ti chiedo: che cosa vorresti
fartene di un’etichetta che coprisse una merce dubbia? supposto che alla fine tu sappia nome, età,
misure, predisposizioni e qualità di colui che non ha smesso un minuto di mentirti sul tuo conto, a che
cosa ti gioverebbe? non ha detto nulla di se stesso che fosse vero, concludine che non esiste. nessuno
esiste in un luogo come questo, ti invito a ridere, a farlo apertamente, desidero tu sappia che sono più
che disposto ad associarmi alla tua allegria, mi basta credere che qualcuno mi onori della sua
attenzione, chi? non ha importanza! qualcuno, foss’anche uno solo che la noia de El Horno rende
anche un po’ distratto al mio raccontarmi e tu sei adorabile” e l’altro si ripromette davvero di non fare
male con dei sogghigni o con la migliore delle sue disattenzioni, anche a costo di sentire minor piacere
“la presenza del mio tormento” dice Skeeen “è blu spettro, estremo raggio blu, raggio raro come il radio,
raro come guarire, la presenza del mio tormento è sudario, ci si stupisce che siamo orgogliosi, alteri,
indifferenti al bene ed al male, il pericolo, inusitatamente incorso e poi anche affrontato, ci ha segnati,
grazie a simboli segreti nei nostri occhi ci riconosciamo, anche se taciturni, anche se distanti, anche se
ci incrociamo per strada, o all’angolo delle piazze, anche se non scambiamo parola, velatamente ci
riconosciamo, anche se accenniamo appena un saluto o anche se non ci parliamo per niente noi
conosciamo il nostro nome e la nostra stessa sessualità... e via, e via, noi, iniziati senza nome, figli di
una stessa madre, compagni nella fiamma del piede”.
“Ah!” dice Skeeen e smette di raccontare e ritira la mano dal cazzo che sta masturbando come fosse
una cosa proibita e quello allunga il piede, finalmente un bel piededel44 ben adunco e rostrato, ben
scuro di pelle. “Ah, bene!, mi prendo il nero che mi pare aver capito qualcosa” dice Skeeen e la Regina
di Saba color ebano, capendo che si pensa a lui e al suo piede, saluta il suo Salomone con queste
parole: “vuole sforare la mia buca, Master?”.
“Aiutooo! non lo sopporto mica il sangue quando si spacca lo sfintere! questo allora non ha capito
proprio!” dice Skeeen, qui inventa una scusa e lascia perdere il piede del nero e soffre e dice nella sua
mente “proprio non posso vederlo questo bel piede, se non posso averlo proprio non posso vederlo!”.
Al bancone si scuote la testa come si prevedesse una disgrazia.
Al centro della stanza, appeso dal soffitto, come un lampadario, c’è uno strettissimo letto in pelle.
“Al contrario, ciò che mi strappava il cuore” dice Skeeen e riprende il filo del discorso interrotto “era lo
scoprire nella profondità della mia infanzia qualcosa di ben diverso da sogni risibili: passioni vive e per
esempio la fondamentale incapacità di venire a patti con ciò che detestavo: la mia insania
preoccupante, la certezza puerile di essere un giorno padrone di disporre del mondo che si stendeva e
ostentava davanti a me come un campo proprio aperto, l’incapacità di rassegnarmi al destino che mi
era concesso e di calmare in me una bruciante sete di esigenze.
“Al piacere attivo che spesso mi pareva impegnativo, che spesso mi pareva illusorio, che spesso mi
pareva troppo limitato o che spesso mi pareva pure inaccessibile” dice Skeeen “ preferisco quello a mio
parere incomparabilmente, a mio parere, più toccante in cui mi getta lo spettacolo di una noia collettiva,
espressa in diverso modo dai visi sui quali deciso fermo uno sguardo affascinato... e via, e via, una
simpatia che mi penetra la noia degli altri e mi rende capace di provarla con una intensità tanto più viva,
tanto più persistente in quanto di certo la condivido contemporaneamente di volta in volta, tanto più
profondamente di volta in volta, tanto più profonda, proprio quella noia, poiché sfuggendo in un certo
senso, direi, allo stordimento provocato da sollecitazioni esterne un po’ brutali, mi è concesso di
assaporarla in disparte con totale lucidità e di dirigerla invece di subirla”.
Alcuni ragazzi ballano a torso nudo ancheggiando in disparte.
“All’inizio del video c’è un tizio che se ne sta fermo, come morto stecchito, se ne sta lì, appoggiato
nell’angolo di un bar con un bicchiere di Ceres nel quale cade una schifosissima mosca scura che
peserà almeno un etto, e questa schifosissima mosca scura che peserà almeno un etto schizza Ceres
dappertutto: quel tizio è proprio lo stesso Brian che frequenta il sabato notte El Horno: quel tipo
pelosissimo sempre vestito in gomma, con i capelli rossicci: hai presente?” Norman è un po’ tanto
stronzo, a casa di Norman non si scopa mai… racconta, racconta del video che ha in mente...
All’inizio, immutabile nella sua faccia da noia minima, è Skeeen a ridurre il caso a un gioco evidente del
tocco del culo in maniera molto evidente e semplice mentre balla.
Alla fine escono, Culospaccato e Skeeen, con tutta quella massa di merdoni a fumarsi una sigaretta nel
piccolo cortilino de El Horno. anche lì fuori si batte, ovviamente.
Alla fine, quando ne hanno abbastanza di tutte quelle smancerie fatte di fumo e di sguardi e di toccaggi
di pacchi e di pantaloni attillati, e di strizzatine di capezzoli che poi vengono tutte le crosticine, si
presentano e cominciano chiacchierando di qualunque cosa gli venga in mente.
Alle imperdonabili blandizie, alle carezze, un altro tipo non molto nascosto dalle fronde del cortiletto,
così sveltamente assicura all’ospite inconnu un altro cazzo ficcato in mezzo con quella santa letizia che
lì si ritrova, in basso, allo sfintere.
“Allontanandosi nel tempo tutto quanto quell’episodio” dice Skeeen “mi sembra che quelle voci tremanti
nella mia mente, quei poveri pensieri erratici, quegli invaghimenti d’umile vetro, esprimessero inoltre
una totale indifferenza verso i sentimenti umani, calpestando scrupoli, e turbamenti, e dubbi, e tutto
quello che costituisce la trama delle nostre preoccupazioni, ridendosela con vistosa insolenza
dell’angoscia – senza però lasciarle nessuna di quelle cupe sfide, spesso ridicole appunto per quello
che contengono di ostentato e di forzato – un sesso prettamente animale... e via, e via, tuttavia non gli
volevo male”.
Almeno apparentemente si è calmato il tipo che se ne stava scalciato a terra, ora guarda con occhi
severi e strizzati o almeno è quanto crede di fare poiché i suoi stupidi occhialini, ficcati in tasca, gli
permetterebbero di meglio vedere o almeno è quanto si compiace fino a ora di immaginare e, per
convincersene, getta uno sguardo circolare nella sala: le coppie che stanno ballando lo osservano per
lo più con curiosità, taluni apertamente, taluni di sottecchi, e la simultaneità con a quale i due elementi
di una stessa coppia riportano lo sguardo su di lui pur continuando a parlare, gli conferma che è proprio
oggetto della loro conversazione, e, naturalmente, non dubita che questa gli sia favorevole.
Alza verso le scale che portano alla dark su di sopra la sua mano perfettamente bianca e perfettamente
pelosa: è Powerfist: “ stai attento a te, predone di cazzi, puttanesco devastatore di buchidiculopelosi,
assassino di checche impazzite d’amore! non si resiste impunemente al mio sguaro e alla mia camicia
a quadri aperta sul cappietto di cuoio appeso al collo".
“Anche il tuo sorriso è una stella, anche se mi capita” dice Skeeen “di non saper riportare un tale
determinato elemento vantaggioso alle giuste proporzioni, non mi lascio ingannare, dato che nutro un
disprezzo innato per qualsiasi inganno verso se stessi”.
Anche se non dice che porta lo stesso pantalone da quattro settimane, lo si sente dal sapore.
“Apparentemente, ero arrivato alla Stazione Cadorna col treno giù alla Fossa, senza muovere neanche
un poco gli occhi iniettati di sangue” dice Skeeen “egli mi ispezionava da capo a piedi, col viso contratto
in una duplice espressione di risentimento e di timore, con le mani affondate nelle tasche del chiodo, di
cui facevano muovere impercettibilmente la pelle, lentamente tirò fuori la destra, per infilarla poi tra i
risvolti del chiodo, da dove estrasse l’orologio che consultò di nuovo, con aria circospetta rialzò la testa
con un brusco movimento e mi lanciò una lunga occhiata, penetrante e diffidente, come se avesse
avuto buone ragioni di credere che avrei approfittato di un suo momento di disattenzione per darmi alla
fuga poi, con un velocissimo balzo, saltò l’albero abbattuto dal temporale della sera prima e, in due
passi, percorse la distanza che ci separava: la sua mano stava per afferrarmi a mezzo il corpo e farmi
cadere all’indietro, all’indietro sul greto sassoso della Fossa, quando mi tuffai a terra e lo evitai
scartandomi... e via, e via, non credo che questo mio primo sfuggire fosse causato da un incurabile
vigliaccheria, né che lo si possa interpretare come un’abile messa in guardia destinata a permettermi di
approfittare dello stupore in cui l’inutilità del suo gesto mi aveva fatto piombare, la prova è che non ci fu
nessuna reazione da parte mia.
“Appena a terra tentai subito di rialzarmi” dice Skeeen “benché provassi la sensazione che le forze mi
avessero in gran parte abbandonato: mi appoggiai a terra con tutte e due le braccia per far scivolare il
resto del corpo, pensavo che se avessi potuto raggiungere l’albero abbattuto, esso mi sarebbe servito
da appoggio e, anche se trafitto dal dolore alla schiena, cercando di sfuggire mi ero procurato proprio
una bella botta, non lo avrei più lasciato sino al momento in cui avessi potuto rialzarmi.. mai più alla
Fossa, mi dissi e via, e via, apro a questo punto una parentesi per precisare che volutamente mi sono
dilungato non tanto sui fatti che l’hanno preceduto questo fatto dell’aggressione alla Fossa, quanto sugli
stati successivi che ho dovuto attraversare in occasione di quello stesso fatto: dopo tutto è solo un
episodio di omofobia”.
Arretra di un passo dopo aver raccontato questo piomba dritto dritto sul piede di un tizio che gli sta
accanto e nel frattempo arriva il barista.
Arrivato al secondo piano de El Horno, il giovanotto bussa alla alla spalla di un inginocchiato: una
specie di domestico di alta statura, non in livrea gallonata e dorata ma inginocchiato a pulire stivali con
la lingua nel vasto salone semibuio.
Aspetta un momento ma quello non può rispondere.
“Aspettava in piedi” dice Skeeen “con le braccia incrociate sul torace pronto a lanciarsi all’assalto, con
una cert’aria di piacere, come se avesse pregustato nello stesso tempo il trattamento che mi avrebbe
inflitto e ai cui ordini era chiaro mi sarei sottoposto con delizia, e la propria ira che testimoniava
pubblicamente del suo amore già per me che gli volevo sfuggire: aspiravo con piacere l’aria calda e
ghiacciata dell’estate che mi pungeva le nari e mi cauterizzava i polmoni con i suoi aghi vivificanti lì alla
Fossa”.
Attraverso tutto quel grigiore il suo occhio rosso sta scomparendo quasi opaco proprio sotto l’orizzonte
disegnando una macchia color ruggine sulle pareti e i tre si slinguazzano a palla.
“Avanti!” dice con voce sottile e gracchiante... si schiarisce la gola, “avanti” dice con voce gracchiante
Powerfist.
Avanza immerso in tutto quell’odore di piscio e lo respira avidamente.
“Aveste notato” dice Skeeen “le occhiate lanciate da certi sconcertati dalle mie parole nello stesso
tempo raffinate e intollerabilmente indecenti dalle quali si ritenevano altrettanto offesi che se gli avessi
sputato in faccia (era evidente che aspettavano solo l’occasione di chiedermelo brutalmente) aveste
visto i sogghigni dei loro amici, i quali, affamati di scandalo e annusandolo a pieni polmoni – ma stavolta
senza saperne bene individuare la natura – si trinceravano dietro un atteggiamento per metà ironico, per
metà sprezzante, senza provare né il bisogno naturale di canzonarmi, né quello di disprezzarmi, aveste
visto soprattutto quegli occhi di un insopportabile splendore, che lucevano di pagliuzze d’argento, in un
viso serio e attento e quelle labbra così rosse che un accenno di sangue nero all’angolo rendeva
spesse, dando alla pelle bianchissima un tono livido... e via, e via, credo che allo, e me ne scuso con
quelli che pretendono di non lasciarsi mai sviare da emozioni incontrollabili, credo che, in una
situazione all’incirca analoga, cioè animati dallo stesso singolare bisogno di chiacchierare, felici ed
eccitati al tempo dall’ostilità generale, ma desiderando ardentemente conquistare un uomo, fosse
anche a costo della reputazione, avreste provato un sentimento di turbamento simili a quello cui ero in
preda, turbamento i cui elementi costitutivi, splendore degli occhi, pagliuzze d’argento, viso serio,
perfetta attenzione al mio racconto, labbra rosse ma, sopra a ogni cosa, accenno di sangue all’angolo
della bocca, che non riuscirò mai ad esaurire con la semplice analisi, erano paradossalmente tutta
l’angoscia e la febbre dell’estasi e l’orgoglio assolutamente ingenuo e la soddisfazione vanitosa e il
desiderio e, anche a pensarci, non avreste saputo dominarlo meglio di me.
“Avevo deposto il giogo di uomo condannato alla perpetua reclusione del proprio desiderio” dice
Skeeen “mi svuotavo lentamente il cervello, questo nonostante il dolore alla schiena, era un piacere
sconvolgente quanto la più riuscita voluttà erotica.
“Avevo fretta di allontanarmi al più presto da quella frenesia incredula, da quel pensamento mai messo
in atto fino ad allora, frenesia ingrata e pure ostile che certamente contribuiva all’impressione
francamente piacevole che quella situazione mi provocava: GIA’ LO AMAVO GODZ!
“Avevo un bel raccogliermi e chiudere gli occhi – come un predicatore che si appresti a dare inizio a un
lungo sermone – per attingere dal silenzio l’ispirazione e guadagnare tempo in modo da poter fabbricare
un ricordo plausibile e fertile di sviluppi, tutti questi sforzi non avevano altro risultato che confermare in
me l’opinione che la mia immaginazione non sarebbe mai più stata, da quel giorno, arida e fredda”.
“Avrei giurato lì per li” dice Skeeen “che quelle voci che sentivo scendessero dal cielo o che venissero
dall’altro capo del Mondo, mentre in realtà si innalzavano vicinissime nell’aria, a ondate successive, in
un coro così sommessamente confuso che lo si sarebbe detto un risveglio di ali di farfalle in tumulto, a
quel tipo che già amavo gli avrei parlato del mio bisogno di parlare”.
Avreste dovuto vederlo quell’altro quando gli domanda a Skeeen cosa ne pensa se adesso comincia a
pomparlo, per tutta risposta.
B
Ballano durante la festa di inaugurazione che è un grande successo, sono arrivate 2000 persone per
il BOLGIASHOCK: a El Horno mettono musica, ballano, offrono Ceres alla spina, fanno addirittura
un’asta con i loro personali oggetti di piacere... e via, e via, ogni cosa è presentata in modo teatrale... e
via, e via,.. c’è la fila per le manette e la mascherina in pelle, il guinzaglio e collare da cane bulldog, c’è
un ragazzo, un ragazzo che ha fatto il DAMS e che no ha mai fatto un vero e proprio lavoro, gira per i
locali, fa cose, conosce gente e, questa notte, fa il modello qui, gli si può fare indossare qualunque
cosa... e via, e via, adesso è entrato a quattro zampe portato da uno non palestratissimo ma talmente
pieno di peli – anche sulla schiena – da sembrare un pelouche: l’ex studente del DAMS sembra
contentissimo... e via, e via, nessuna separazione fra realtà e finzione: questi si accontentano di giocare
sul fatto che i soli fatti che hanno un minimo di significato per tutti loro, senza calcolo né preamboli,
sono esclusivamente quelli che mettono in gioco, in un modo o nell’altro, il sesso... e via, e via, e
proprio i più abbietti sono effettivamente anche i più obiettivi... e via, e via, esattamente in posti come
questo, l’interpretazione, in termini di pulsioni individuali – di sadismo inconscio, conscio o chissà che
altro – è frivola e senza interesse alla realtà perché è una passione proprio collettiva, è un mondo
parallelo.
“Basta così!”... e via e via, io “sto mentendo!”... e via, e via, “io ho proprio appena finito di mentire” dice
Skeeen “discettando seriamente sulla sensazione di serenità che avrei provato contemplando quel
piedone lungo, freddo e silenzioso!... e via, e via, basta!... e via, e via, dopo un simile canto come potrei
osare ancora aprir bocca?!... e via, e via, che siano solo gli altri, non io!, a lamentarsi che questa è
davvero un’epoca troppo malvagia e troppo dolorosa: troppo impoveriti i loro cuori per permettersi il
peccaminoso e, in più, alcune cose non vanno godute con moderazione: per un determinato periodo
m’astengo da ben determinati appetiti ma non sostengo una dieta finché nel mondo ci sono ancora
degli uomini che hanno appetiti”.
“Beh... e via, e via, ne hai mai provato uno? te ne sei mai ficcato uno? cacciato dentro per bene?... e
via, e via, che ne so, il dildo verde alla menta, il pinguino vibrante?” dice il rosso depilato di fresco
cambiando completamente discorso, inseguendo i suoi pensieri come meglio può. l’altro risponde di
no... e via, e via, “hai mai provato qualcosa di meccanico?”... e via, e via, che ne so... e via, e via, hai
mai saggiata la sua lunga resistenza, la logica di un freddo oggetto di piacere?” dice il rosso depilato
insistendo, adesso l’altro ammette che sì, a Londra, quella volta era rimasto solo in casa dell’amico che
l’ospitava, gli ha fregato le pile del walkman, le ha messe nell’oggetto che gli era stato consigliato dal
venditore peloso di un sexyshop con queste esatte e soppesate parole “questo oggetto mi ha cambiato
completamente la vita” dette in un solo soffio e per cinque ore filate ha giocato con un vibratore viola al
sapore di mora che stimola il punto dell’ano fino quasi a raggiungere il parossismo, l’inverosimile... e via
e via, CINQUE ORE, CAZZO! “quindi lo consiglieresti anche tu?” dice il rosso depilato “certo! è stato
così bello passare del tempo con me stesso, scoprirmi” dice a risposta quell’altro, che in questo caso ha
i capelli di tutti i colori e molti piercing d’acciaio chirurgico che gli perforano ovunque il volto pallido.
Cartello
DURANTE TUTTA QUESTA SERATA
SE QUALCUNO E’ INFASTIDITO
O E’ SOLTANTO TURBATO
DA UN QUALUNQUE ATTEGGIAMENTO
VERRA’ SUBITANEAMENTE ESPULSO
DURANTE TUTTA QUESTA SERATA
ALL’INTERNO DEL LOCALE E’
SEVERAMENTE VIETATO PROSTITUIRSI
E CHI VERRA’ TROVATO A FARLO
VERRA’ SUBITANEAMENTE ESPULSO
LA DIREZIONE
“Bellalì!, era ora!, finalmente la stampa ci ha trattati con i guanti” è l’attivista che parla, i ragazzi sono
simpatici e la città è da sempre indulgente con le loro esuberanze e i piaceri della carne... e via, e via,
su un giornale locale è uscito un servizio in cui un vecchio membro di una storica associazione, da
tempo ormai giornalista per la pagina della cultura, loda il BOLGIASHOCK e dice che sono stati i gay a
scrivere le pagine dell’arte mondiale... e via, e via, ma questa è la prassi normale per fare accettare
all’esterno, a modo suo, questa sessualità... come dire: i gay sono creativi, sensibili, dolci, ben vestiti,
capiscono la moda... e via, e via, trascinare lontanissimo il vero, il reale senso di tutto questo e così
generalizzare tutto quanto all’interno della loro sessualità per non destabilizzare niente... e via, e via,
tutto è già previsto, tutto è già archiviato... e via, e via, ma sarà difficile far passare questo evento come
una nuova normalità: questo volevamo, non essere catalogati, ma essere pensati come sovversivi, la
nostra è una vera e propria diffidenza nei confronti di uno stereotipo che fa buon gioco alla società, il
nostro è un principio di instabilità che non rispetta proprio un bel nulla, non rispetta nemmeno i canoni
dell’omosessualità più riconoscibili, è la sopravvivenza della specie”.
“Bellaa!! Ma non è una mostra erotica” dice qualcuno “il locale è troppo accogliente”, gli dicono
rispondendo che “invece è erotica, eroticissima, proprio perché El Horno è un locale accogliente, un
locale che tutti conoscono, tutti normalmente frequentano, questa è proprio la cosa che deve saltare
fuori da questo evento: noi cerchiamo – come direbbe Débussy, il rasatino tatuato in testa che se ne sta
sempre all’angolo del ring – umilmente di far piacere… e via, e via, l’idea è semplice: il piacere è un
elemento vivo, non un residuo, non dipende affatto da una logica ma è invece una deriva, un qualcosa
che è insieme rivoluzionario e asociale e non può essere adottato in esclusiva da nessuna collettività: è
evidente che il piacere è scandaloso, non perché sia immorale ma perché è senz identità… e via, e via,
insomma, non volevamo fare la solita mostra inventario come ce ne sono tante, dove suoni per entrare,
tutto è al chiuso, nessuno che ti parla, con quella merce per farsi il sesso da soli messa lì in bella vista,
asettica, senza anima… e via, e via, visitare da soli quelle mostre come se fosse davvero importante
essere da soli – nella propria solitudine che impressiona – per vedere tutta questa mercanzia esposta…
e via, e via, nooo!! qui la mostra siamo noi stessi! questa volta volevamo sperimentare per davvero tutti
quanti gli oggetti sulla nostra pelle e sulla pelle dei visitatori, dargli come un senso, altrimenti si
disimpara a dargli un senso… e via, e via, ecco, questo volevamo dire con questo evento… e via, e via, e
comunque parte della mercanzia del BOLGIASHOCK è nostra: è stata davvero già usata da qualcuno
e, quando il pezzo in vendita è completamente nuovo, noi vorremmo che venisse utilizzato
dall’acquirente durante l’evento prima d’essere comprato”, passa un ragazzo in tuta di lattice,
completamente rosso fuoco lattice. Questo viene detto, e decisamente questo accade.
Ben presto una strizzata al capezzolo lascia un segno sanguinante a Skeeen, come se il piacere
venisse da un’antica di dolere e d’incantamento: la nostra è una cultura dell’accidente perché proprio
tutto quanto l’accidentale, l’aleatorio è un senso per questa comunità (temuta, maledetta al pari del
suicidio): nessuno di noi muore senza essere arrivato al culmine dell’infinito che sia l’estremo sesso o la
negazione estrema d’ogni sessualità e alla fine, per ognuno, non restano più enigmi da risolvere: è una
popolazione che da sempre s’arricchisce progressivamente, continuamente, d’idee, d’inconoscenza, di
non problemi fino sentirsi stanca della vita e non colmata d’essa… e via, e via, dal momento che il sesso
– tutte le sue potenzialità estreme o nulle che siano – è ai suoi occhi un avvenimento unico e senza
grosse implicazioni, anche la sessualità diventa un qualcosa come d’insensato visto che - privata di un
qualunque significato la sua esistenza - questa sessualità fa del sesso stesso un avvenimento unico ed
imprevedibile senza alcun vero significato evidente.
Benché legato ad una sensazione di caduta senza fondo, lo stato d’esultanza che prova in seguito a
Skeeen appare come la prova irrefutabile che solo una sofferenza fisica ha il potere di calmare il
vergognoso disagio in cui lo tiene il ricordo della sua colpa, della sua differenza: non sentirsi parte del
gruppo: quello stato imprevisto che si manifesta con una specie d’allegria, d’umore infantile, di felice
disponibilità, di completo distacco, lo costringe nello stesso tempo a tremare e ridere e la sua intensità è
tale che non esiste tortura – gli sembra così – che non sarebbe capace di sopportare se soltanto avesse
motivo di credere che essa portasse con sé la sua riabilitazione, scaricandolo, stavolta completamente,
del peso del rimorso.
“Benché non mi sembrasse necessario, quella sera, per conservare il piacevole stato nel quale mi
trovavo, tentai di mantenere intatta la mia lucidità al Deposito” dice Skeeen “ su quel locale avevo una
conoscenza abbastanza sperimentata della mia debolezza per prevedere con sicurezza che la scarsa
considerazione nei miei confronti che ogni volta rilevo in quel genere di locale non mi avrebbe impedito
di cedere all’assurda e immediatissima tentazione di svuotare l’ennesima bottiglia di Ceres che brillava
nelle mie mani e credo anche che fosse la certezza di una prossima caduta nel vortice di quelle danze
ondeggianti e senza affanno che mi spingeva ad anticiparne la scadenza: bevvi proprio quattro bottiglie
consecutive, anche questo era proprio piacevole… e via, e via, intanto all’interno del Deposito, ogni
angolo era proprio come una estrema rappresentazione d’accumulazione, una specie di luogo
dall’estremo fermento mortale. Ogni zona del locale – dalla pista da ballo fino alla piscina, dalla dark fino
ai camerini, dal labirinto fino alle saune sempre rigorosamente non funzionanti, dal bar fino al lungo e
stretto corridoio con gli orinatoi che conduce all’entrata della sala cinema – era la migliore giustificazione
della mia unica debolezza e mi sembrava consistere nel fatto che la mia sensibilità, invece di
appannarsi, diventava nello stesso tempo più chiara e ricettiva, e mi sentivo colmo di simpatia, una
simpatia formidabile, per le scarpe di tutti quegli esagitati che popolavano il locale: come avevano
ragione di ridere, di ballare, di bere, di prepararsi con le parole urlate nel frastuono della musica e con i
gesti a fare all’amore! fare all’amore, che utile passatempo! è in posti come questo che qualunque
sistema per conoscere l’altro è una finzione: come un romanzo – ma un romanzo classicissimo provvisto
di grandi intrecci e potentissime crisi, di personaggi buoni o cattivi: ogni finzione, in luoghi come questo,
è sorretta veramente da una specie di intesa sociale: la finzione, in questi posti, è uno schema
invisibile, scorrettissimo per chi non fosse a conoscenza delle ferree regole di questo gioco del sesso
per il sesso -, un romanzo nello spettacolo di queste persone piene di speranza o di disperazione che si
amano o cercano l’amore, in questo rumore di raffica di suoni aceed, in quest’odore caldo e viziato, in
questo ristagno d’aria dove risiede tutto il segreto della nostra vita esagerata come privata di una
qualsiasi fede e di una qualsiasi legge”.
Benché, alzando ancora una Ceres, supponevo che proprio non si trattasse, dunque, d’una faccenda di
una minoranza, no!, che si può supporre essere la testa, ciò che genera la sommità di una piramide:
no!, è una complicità che gioca, la nostra, in qualche modo è fuori dai campi della sessualità reale,
dipende tutt’al più da una specie di complicazione mentale apparente, un camuffamento del proprio
desiderio che ha ruolo di maschera, che d volta in volta nasconde l’uniformità di quello stesso desiderio
di tutti quanti noi e l’impoverimento considerevole, l’estrema scarnificazione del sesso come di un
codice antipatico -: il nobilissimo e il volgarissimo entrano in contatto, nascondono neologismi pomposi
e derisori (fisting, pissing, scating,.. e via, e via), quasi come messaggi pornografici vengono a crearsi in
corpi così puri che si prenderebbero per esempi: una potentissima creazione del godimento.
“Benché tutto questo mio pensamento non risulti con evidenza dal poco che ho detto su quella mia
serata al Deposito, posso giustamente ammettere che la deflagrazione del mio minimo ragionare, come
una specie di teoria, era ridistribuita e che i miei nervi erano più pronti dei miei organi a trattenere ciò di
cui potevano avere immediato bisogno… e via, e via, una ridistribuzione che tracciava come due lame:
una assolutamente prudente, conforme alle buone maniere, al proprio grado di cultura… e via, e via, e
l’altra assolutamente mobile ma senza contorno alcuno, indefinitissima – ma prontissima a prendere
qualunque contorno immediato, qualunque forma definitissima che potesse adattarsi al desiderio di
quella serata – che non è altro se non il luogo estremo e rarefatto della propria destinazione di desiderio
e d’affetto”
“Bene, adesso sono stanco d’ascoltarti”, dice l’altro, s’alza e si mischia al popolo de El Horno in un
ulteriore e vorace viaggio, un senso di fame di sesso deserta: ascoltare continuamente Skeeen è come
prendere fra le mani una bella incisione… e via, e via, ecco, un bel giorno, a forza di stringerla fra le dita,
quell’incisione, ci si ritrova niente altro che della miserrima carta insudiciata, dei contorni sbavati
d’inchiostro, non più nitidi… e via, e via, così anche le velocissime parole di Skeeen, ecco… e via, e via, a
forza d’ascoltarle finiscono per essere come consunte (almeno così alla fine appaiono)… e via, e via,
ecco: non se ne vede più la bellezza e il nitore d’un tempo… e via, e via, ecco, sì, si perde sempre un
qualche cosa nei rapporti troppo confidenziali, talvolta si perde esattamente il senso della confidenza
stessa: a volte è meglio scopare in assoluto silenzio.
Bene… così mentre parlano Skeeen e l’altro, i maschi stanno aiutandosi a portare nel centro della
stanza un letto a baldacchino di ferro battuto… e via, e via, ecco, fra tutti gli sgangheratissimi sgabelli de
El Horno, c’è una ennesima mostra a tematica: appesi al muro ci sono dei portaritratti con foto di
ragazzi stile america (ovvero: muscolo lustro, cazzo perfetto in erezione modello e taglia
XXLJEFFSTRIKE), dei finti manga giapponesi con le riproduzioni di alcuni bear pelosissimi in procinto
di eiaculare, alcune copertine di riviste dedicate al tema queerfetish, qualche copertina di goldengay,
vecchi fumetti anni settanta, anche italiani, che contengono almeno un racconto a tematica, cataloghi di
sexyshop molti conosciuti in città: gli oggetti sono sistemati in piccole e graziose gabbiette per uccelli di
tutte le forme e foderate di tessuti e stampe di pelle e plastica e illuminate da piccolissimi faretti… e via,
e via, a ancora ciclostilati appesi a ogni angolo che raccomandano a tutti i convenuti alla mostra:
THE ORDERS
1. trattate bene il vostro oggetto del piacere
2. è il vostro oggetto per il vostro piacere
3. non prestatelo per nessuna ragione
4. tenetelo sempre pulito
5. non dimenticate mai di lubrificarlo
6. non mettetelo in acqua con le batterie
7. il mondo del vostro oggetto è il vostro
8. indossatelo solo in particolare occasioni
9. la bellezza appassisce non l’oggetto
10. avete una responsabilità morale:
il vostro oggetto è il vostro carattere
“Bisogna certo essere in grado di riceverle certe attenzioni feroci” dice Skeeen che nel frattempo ha già
cambiato interlocutore “e sempre più prende corpo l’idea lusinghiera per qualunque vanità che, poiché
si gode di quel raro privilegio, deve esserne stata giudicata degna quella persona, o meglio, esserne
l’unica destinataria: bisogna proprio abolire tutte quante le barriere… e via, e via, non ci sono esclusioni…
e via, e via, è proprio come liberarsi di vecchi spettri… e via, e via, bisogna sopportare, muti, tutti gli
insulti e le infedeltà, restare impassibili bisogna, ecco… e via, e via, in tutta questa confusione di
pensamenti non esiste più la punizione ma si accede al godimento proprio tramite questo piacere: il
piacere vero, quello che appaga, che soddisfa, che dà euforia, è legato a una pratica non confortevole:
questo è il vero godimento… e via, e via, la perdita di una propria sola identità, l’eterno, sterminato
sconforto del mancato raggiungimento dell’orgasmo (fino ad arrivare alla noia, a volte) mettono a dura
prova il soggetto stesso e i modi più personali per relazionarsi con questo godimento”.
onTV
bisognerebbe riprendere subito i dintorni con cinepresa, oppure aspettare il momento di una
ricomposizione di un quadro della sfilata dove si sovrappongono due emozioni e due momenti diversi
BOLGIASHOCK è il titolo della mostra: il concetto di questa enorme esposizione fetish è nato fra i
ragazzi che si incontrano solitamente a El Horno, nei vari party a tematica leather o rubber o
goldenshower sparsi ogni notte in giro per i locali della città… e via, e via, per una sessualità fuori dalle
regole: sono attorucoli senza molta fama, sartini che amano definirsi stilisti, erboristi che si dicono
senza ombra di dubbio visagisti, studenti che sempre si stanno per laureare nelle più svariate artistiche
discipline, scriventi sedicenti scrittori, maestri elementari che amano definirsi maestrine dalla penna
rossa, italiani e stranieri… e via, e via, così diversi fra loro, ma molto ben amalgamati… e via, e via, i
gruppi lavorano prevalentemente sulla prostituzione, sulla sessualità e con occhi espertissimi, pur
criticando le associazioni queer storiche che, secondo loro, non si occupano più di sesso e corpo se
non per parlare di prevenzione “e la gioia?” chiedono criticando i politicizzati che “in privato si
comportano in un modo e poi in pubblico fanno ideologia e se ne fregano della verità, perché non
forniscono allora di preservativi locali e saune – da dove derivano quasi tutti i loro tesserati – come da
tempo si fa all’estero?... e via, e via, una rottura di cojoni infinita… e via, e via, cioè consumano
pornografia, leggono libri e giornalini erotici, comprano giocattoli sessuali: sono come tutti gli altri però
loro devono percorrere un tracciato interessante, loro hanno sempre da dire e non si possono
censurare, loro la loro base e compatta – tranne il fatto che la loro base è gente che va a fare sesso nei
locali con le loro tessere: forse che non lo sanno? – una rottura di cojoni, bisogna dire la verità: nessuno
di noi è sempre e soltanto così artista, così colto, così bene educato, così elegante nel vestire, così di
gusto, così raffinato… e via, e via, sono tutte palle della cultura gayfriendly… e via, e via, solo
rappresentando questo possiamo essere accettati: purché si possa essere definiti, riconoscibili e
archiviati va tutto bene… e via, e via, ma non è vero niente… e via, e via, ci si confonda fra la folla, che
non ci sia riconoscibilità. Spaventiamoli, sbuchiamo fuori all’improvviso: noi siamo quel che siamo e non
quel che vorrebbero farci essere… e via, e via, abbiamo avviato una nuova lettura sull’immaginario
sessuale e sulla pornografia, perché noi osiamo pensare, capire, esserci dentro… e via, e via, l’idea
della mostra e dei nostri stessi corpi esposti l’abbiamo avuta perfino un po’ cinicamente e così ne hanno
parlato i giornali – certo in questo locale, a vedere questa mostra, non ci verrà nessuno di loro, se non
noi – ma cercavamo un modo per rendere visibile il nostro lavoro e quello che pensiamo, non volevamo
un incontro col pubblico, volevamo gente partecipante, nessuno doveva vedere esattamente le cose ma
soltanto sapere che noi la pensiamo in questo modo senza nessuna dimostrazione e partecipare: non
più visibilità accettata, cari miei!, non più definizioni prestabilite da altri: essere come siamo”, dice il tipo
che ora ha capelli biondi cortissimi e sparati e una bocca da pompinaro che levati “quindi, con le nostre
capacità creative e ludiche, e siccome siamo maschi – cazzo! è ora di dirlo che siamo maschi, di
smetterla di parlarci al femminile a meno che a qualcuno di noi non manchi il cazzo fra le gambe, allora
sì! E qui, due o tre stasera ci sono! – perché abbiamo un corpo maschile, abbiamo pensato di aprire
questa anticamera dell’inferno” qui gli altri un po’ ridono ma dicono che voglio – sì! è proprio così che
dicono – combattere la morale contraddittoria che da un lato spinge alla vergogna e dell’altro mercifica il
sesso e traspone i corpi come meglio crede, come più gli comoda, li banalizza rendendoli accettabili
“con la nostra mostra invece proponiamo, come un antidoto, ironia, disubbidienza, piacere, desideri e
un bel ‘ffanculo a tutti”.
Brandisce l’oggetto più venduto durante la serata: è una specie di copridito rigido, trasparente, irto di
morbidissimi aculei che costa solo pochi soldi (del resto tutti i prezzi sono onestissimi)… e via, e via, lo
hanno acquistato soprattutto uomini baffuti e d’altronde molti maschi di questo tipo ti fanno passare la
loro mano senza problemi dopo aver iniziato col dito ricoperto da questo oggetto… e via, e via, questa è
una delle cose che preferiscono qui dentro, poi certi se ne escono con delle frasi e degli insulti “ma non
ci si fa nemmeno caso” dice qualcuno… e via, e via, gli oggetti hanno poco in comune con la realtà,
anch’essi non sono che rappresentazioni di un mondo parallelo, questo mondo del sesso che è spirito
di sacrificio e le cosiddette vittime la pensano ben diversamente dagli spettatori: per loro proprio niente
è così irripetibile, tranne l’abuso, e però, in questo caso, l’abuso è modificato dalle circostanze: niente
falli veri, ma solo dildo color carne, con vene in rilievo… e via, e via, ad alcuni, per assurdo, piacciono le
misure piccole, dicono che una misura piccola è adorabile perché la si aspetta pazientemente e si ha
sempre una faccia contenta appena la si incomincia a percepire: c’è più gusto nella percezione del
cervello che in quella del proprio buco (i gusti son gusti, non si può certo dire altrimenti)… e via, e via, c’è
qualcuno a cui invece piacciono le cose che si azionano da sole e che, una volta azionate, producono
una specie di fastidio generoso allo sfintere… e via, e via, e poi ancora si vendono molte palline simili a
quelle cinesi per la pazienza, che roteano su loro stesse e pesano, tenute insieme da un laccio come
fossero yo-yo: quelle s’infilano e non fanno molto bene alla muscolatura interna perché te la rendono
troppo elastica: sono di diverse misure e ti allargano pian piano e non te ne accorgi nemmeno ma poi,
per il lungo utilizzo, non riesci più nemmeno più a trattenere: l’ano è sfatto e allora vai di braccio di
Powerfist che la sotto, nel freddo scantinato, ti aspetta con una collezione di oggetti che durante
l’inaugurazione hanno preso molti voti.
C
“C’è stato qualcuno capace di ascoltarmi parlare, senza ridere, di ciò che definivo pomposamente come
crisi?”… e via, e via, inutile fare osservare che non sono mai stato soggetto a crisi del genere mancanza
d’identità o un raccomandarsi o una sottilissima pietà… e via, e via, niente di nuovo, niente di tutto
questo: si trattava invece di complesse formazioni della mia vita, una concessione al mio
accrescimento, , tutte posate su relazioni reciproche, formazioni che mi guidavano verso la visione
d’uno sguardo vitalissimo, una specie di conservazione d’estremi angoli visuali vividissimi… e via, e via,
era come, ecco, un valore di rafforzamento delle mie sensazioni di dominio, una vero e propria volontà
di potenza, sapevo già che sarebbe stato un lavoro progressivo ed estenuante, si trattava
evidentemente di esternare tutti i miei pensamenti a lui, a Godz.
“C’era, in queste mie bizzarre idee, qualche cosa di talmente singolare, di talmente allusivo e
misterioso che pensavo fosse concesso solo di ascoltarle a un ridotto numero di eletti… e via, e via,
ecco, questo credevo”.
“C’era uno che godeva oltremisura a farsi sborrare sulla faccia e spalmarselo sulle guance barbute
mentre l’altro scattava foto e foto e un altro che dopo il mio orgasmo correva a quattro zampe a leccare
il mio sperma a terra sul pavimento non pulito mentre il secondo lo obbligava a compiere l’azione con
un piede poggiato sulla testa ti dico che veramente alcune coppie non te ne accorgi subito ma sono
completamente fuori di testa e fanno certe cose che neanche te le immagini e non lo si direbbe a
vederle perché ti sembrano proprio delle persone normali voglio dire forse sono anche persone normali
non so io ormai mi ci sono abituato però certo che da un certo punto di vista non rientrano nel classico
pare sesso perché per loro è come se tutto fosse un gioco d’azzardo o come se tutto fosse una sfida
con se stessi e con le proprie capacità di resistenza fisica e mentale sono cose che insomma io non
farei di certo e così faccio che gli altri facciano ma io proprio non mi ci metterei”, dice una voce al tavolo
accanto.
Camminerebbe a lungo Skeeen, annoiato per il resto della nottata, se la sua attenzione non fosse
attirata da un corpo nudo, disteso sul pavimento: capisce che se non avesse attaccato per primo,
avrebbe lasciato la partita a qualcun altro… e via, e via, questo capisce… e via e via, capita
generalmente che i pensieri rispondano con prontezza al vostro appello… e via, e via ripeto: capita che
le cose pensate prontamente accadano e lì per lì Skeeen si sente come mancare, quel corpo a terra è
come sgominato, così chiaro che quasi non sembra bene lasciarlo lì, dimenticato, con lo sguardo,
quindi, ne segue le sorti: è per lui un ricordo: sono passati anni da quell’estate, è quello che Skeeen ha
da sempre cercato e mai è riuscito ad ottenere: è lui, il radioso piacere, il supremo pericolo, la morte.
Cerca di capire la disposizione delle pareti, Skeeen e cerca di non respirare , forse, altri fatti ben più
marginali e anche dubbi, ma che, per lo più, hanno potuto contribuire a scatenare quella crisi della
quale, con sommo dispiacere, non può, qui, stanotte come altre notti, fare altro che impostarne il
processo.
“Certamente è venuto per me il momento” dice Skeeen “è più che venuto, di abbandonare le oziose
tergiversazioni nelle quali io stesso mi diverto assai poco, di rinunciare una volta per tutte a queste
grandi manovre intorno all’argomento quando è l’argomento stesso che mi interessa
“Certamente” dice Skeeen “mi è troppo abituale ritenere le mie debolezze come malattie insolite
contro le quali nessuna cora ha efficacia come carrozze bardate di nero, e poi ancora viola e poi ancora
porpora, ma poi rosso e poi ancora giallo e poi ancora verde e ancora colori brillanti: cuori miei: mio fare
estremo: senza nessun lamento: senza fissazioni e delle quali io devo limitarmi a seguire il decorso con
una curiosità impotente, benché una specie di indifferenza disincantata mi sembri, in certa misura,
l’atteggiamento più ragionevole da assumere di fronte al fenomeno che qui dico”.
Certe facce a terra sembrano sporche di sterco.
“Certo sono stato usato come un animale come un vibratore come una macchina del piacere dalle
coppie ma è come un senso di vuoto che dura circa mezz’ora dopo concludo che me ne frego troppo
divertente essere il terzo le coppie amano il terzo di cui non sanno nemmeno il nome e io non sono
certo uno che si presenta con nome cognome e titolo di studio e stretta di mano a ceffoni in faccia e a
calci nel culo li prendo io”, dice una voce al tavolo accanto.
“Certo” dice Skeeen “hai perfettamente ragione di trovarmi inadatto a parlare di sincerità in tono
virtuoso quando il mio scrupolo principale è di addomesticare la verità con le parole, per renderla più
eccitante o più verosimile almeno a me stesso.
“Certuni, lo so, si rassegnano male all’incapacità di soddisfare il loro bisogno erotico, altri stanno sulle
difensive, contando più o meno sinceramente sul caso per essere liberati, aspettando in modo del tutto
passivo la guarigione del loro male, familiarizzandosi a poco a poco con esso quando non cercano di
contrabbandarlo per forza d’animo, e allora fingono di ritenere futile un desiderio che l’impotenza
impedisce loro di soddisfare” dice Skeeen.
“Che altro significherebbe quel delizioso sollievo del cuore” dice Skeeen “ quel vigoroso slancio del
sangue se non che la gioia trionfale di questo canto abissale nelle mie orecchie? Godz! Ah questa voce
sublime è giunta a cancellare la colpa capitale commessa e dalla quale sono nati in me sofferenza e
ogni disgusto? Assolutamente io proprio non posso spiegarmi diversamente il desiderio che mi è venuto
di fare qualche passo: adesso ho come la certezza che la vergogna non mi spingerà più a barcollare
come contro la mia volontà, a stendermi per terra, con il viso nascosto nella neve, oppure osando a
malapena guardare il cielo: Godz lo amo”.
“Che cosa è successo alla mano?” dice una voce.
“Che cosa mi impediva di dare un qualche ritocco a una verità di cui temevo le possibilità esplosive?”
dice Skeeen “perché mai avrei dovuto farmi scrupolo di tracciare di me solo un’immagine somigliante,
perciò spregevole, quando potevo renderla pietosa invocando abilmente ogni forma di malattia
amorosa come unico pretesto della mia stessa irresponsabilità?! Il mio maggiore scrupolo era dunque
innanzitutto di dare alla comunicazione dei fatti interamente inventati – il loro rendiconto – un’apparenza
di esattezza e di logica, tale che il mio interlocutore, in qualunque locale mi trovassi a narrare, potesse
sembrare che ubbidendo scrupolosissimamente ai dati sicuri fornitimi dalla memoria, io non cedessi
mai alle tentazioni della fantasia né consentissi a far posto all’istrionismo del mio raccontare.
“Che cosa mi rimaneva della mia fiducia in me stesso” dice Skeeen “della voluttà di distruzione,
dell’aggressività dei miei ragionamenti, più o meno camuffata, che rivolgevo contro coloro che mi
facevano subire una costrizione che mi ripugnava, del fascino esercitato su di me dai conquistatori, i
capibanda, gli insorti, il cui esempio risvegliava, nel più profondo di me, una specie di intimissima
complicità, dello spirito naturalmente ribelle che manifestavo in ogni occasione? A mano a mano che
procedevo nella mia vita, con l’età, la mia indifferenza andava aumentando, nulla mi sembrava degno di
un qualche sforzo, e ne conseguiva che la mia avidità non era più come un tempo diretta verso idee di
rivalsa o di conquista: aspirava invece a quel che avrebbe potuto liberarmene.
“Che cosa potrei dire di più?” dice Skeeen “non sono all’altezza del mio vizio, del resto non mi sono
mai vantato di esserlo”.
“Che cosa potrei dirne di più, raccontarne?” dice Skeeen “ho la debolezza di assegnare un posto
importante a questa storia d’amore, il mio Godz, riservandomi di sottoporvi in tempo utile uno dei suoi
effetti grevi di significato per le sorprendenti prospettive che mi si sono schiuse, che ai miei occhi
assumono come l’aspetto di una vera rivelazione, come l’improvviso lacerarsi di un velo o il forte
esplodere di una verità: l’amore per il mio uomo.
“Che domanda, che cosa ho fatto alla mano?!” dice una voce “una scottatura di sigaretta, un patto, ho
fatto!”.
“Che io provi il bisogno di parlare – così, come diletta fonte di fantasticherie, come attimi di belle storie
d’amore d’una volta, la Invernizio e la sua rosa letteratura in prima posizione!: mansueto ma ridente – e
tuttavia non abbia da dire che le mie voluttà” dice Skeeen “e soprattutto che non possa soddisfare
questo bisogno senza la complicità più o meno tacita di qualcuno che scelgo, se ne ho la possibilità, per
la sua discrezione e la sua resistenza: ecco quanto merita riflessione… e via, e via, non ho
assolutamente altro da dire, niente altro di cui parlare, eppure continuamente dico mille cose… e via, e
via, m’importano poco il senso di queste cose o l’assenso o le obiezioni di un interlocutore, eppure non
potrei fare a meno di costui, al quale d’altronde ho il buonsenso di chiedere solo un’attenzione
puramente formale qui, al bancone de El Horno… e via, e via, tutto si svolge come se fossi stato colpito
da una malattia alla quale non ho la forza di porre rimedio o anche, per servirmi di un paragone che mi
è assolutamente familiare, come se mi trovassi nelle stesse difficoltà del tipo che viene fistato giù in
dark. Il pugno gira senza scopo, impossibile controllarne i movimenti disordinati a malapena ricomposti
Da Powerfist, l’essere che toglie il fiato col pugno… e via, e via, impossibile ricomporre quei movimenti
poiché non dipendono da chi li subisce: dire i propri fastidi a Powerfist?! Entrare nella complicata
dialettica dell’intenerimento o dell’odio?! Si chiuderebbe già qualunque racconto… e via, e via, come
finzione serve almeno a qualcosa, a fare buonissimi romanzi e a raccontare in maniera egregia: è tutta
una grande e incontrollabile perversione, implica una grande e imprevedibile scissione”.
“Che patto?” domanda una voce “una richiesta di danaro, che non guasta ogni cosa, e io non ne avevo
di danaro: allora mi ha fatto un appunto per la prossima volta” risponde una voce.
“Che sacri tesori conservi, Skeeen!” dice.
Che spudorata fame nella notte ha invece Skeeen, e allunga la mano al pacco dell’altro.
(“Che tempo davvero deprimente e come rispecchia i miei sentimenti!”) dice nella sua mente Skeeen.
“Che vita di merda!...” dice Skeeen.
“Che vuoi farne della tua vita?” dice l’altro.
“ Che vuoi farne tu?” dice Skeeen.
“Chi non ha avuto voglia, almeno una volta” dice Skeeen “ di alzare la voce, non nell’intento
ragionevole di affascinare un uditorio o con la pretesa di istruirlo, ma più semplicemente per soddisfare
il proprio capriccio? Di spaccare i maroni con un proprio racconto? Occorre almeno che questa persona
creda ciecamente che esistano da qualche parte orecchie pronte per sentirlo e che metta in atto una
grande scaltrezza per assicurarsi la benevolenza di chi lo ascolta dandogli il desiderio di conoscere ciò
che sta per dire: per colui che parla una curiosa fonte di incoraggiamento risiede nel volto che è davanti
a lui”.
Chiaro come una notte di gelo, discorso rinfrescante come un sorso d’acqua sorgiva.
Chiede da quando sa che ha l’AIDS “da parecchio, e quindi puoi tranquillamente venirmi in bocca così
me lo bevo il tuo sperma, Master d’un Master” risponde un po’ troppo trafelato con la solita fretta da
lepre marzolina.
Chinando la testa di lato per ricevere sperma in abbondanza, vede, in uno specchio posto proprio di
fronte, il gran culo sollevarsi e abbassarsi, poi uno schianto immondo da scoreggia.
“Ci deve essere un errore in tutta quanta questa sceneggiatura, oppure è stato uno scherzo giocato
solamente dal mio udito!” dice il contaminato mentre beve a sorsi rapidi e convulsi, come la paura non
esistesse, e mai potesse esistere, “e comunque per la faccenda di questa malattia, che è una pura
invenzione dei media per attaccarci e non lasciarci la nostra libertà animale, io non ci credo… e via, e
via, i casi sono rari, non è come la descrivono la situazione in America, non è vero che la gente muore,
io guardo prima una persona, si capisce se uno sta male o no”, dice e affonda.
Ci si diverte moltissimo brandendo e agitando cazzi e via di questo tono.
“Ci sono alcuni che hanno il demonio nel culo e si infilano di tutto bottiglie cazzi di gomma anche oggetti
molto grossi e infilare la mano nel culo di questi supertroionipelosi è stato per me il massimo della
libidine e ci entra la mano il braccio e di solito anche l’altra mano e parte del braccio del loro amico
contemporaneamente ah ragazzi! ve o dico io che coppie che coppie!” dice una voce al tavolo accanto.
Ci sono come delle luci nell’aria e parte un fist, e nelle gole dei presenti, da questa ombre di neve, si
accampa un sospiro di follia, d’inebriamento, come un’erba nerissima e folta: solo chi non è veramente
nato, qui rivive! E tutto è già suo – buone pretese! Incantamenti! Egli soltanto possessore del sole! – è
tutto come una dolce mattina, una buonissima alba ma come più moderna, come un’aurora nuova delle
mille mattine di un’intiera vita, fra l’umido di tutti quanti questi sudori felici, essi, soltanto felici d’essere
felici: e parte un fist fra gli urli di tutti accalcati e parte la voceincorsivo.
Ci sono dei giovani artisti di talento in Germania io ho fatto dei film lo sai? Con Ulrike Ottinger con Ferdi
Karmeik il padre di Cosma Shiva la mia Bimbadivina insomma c’è un sacco di gente in gamba ma sono
soprattutto gli extraterrestri ad influenzare la mia musica certo mi sento molto tedesca oltre che di altre
dimensioni tedesca orientale per la precisione il che fa una gran bella differenza quanto agli intellettuali
in genere ho sempre avuto ottimi rapporti con loro forse perché son cosa intelligente loro ma coi
tedeschi poco i tedeschi dicono che non li rappresento non sono affatto una cantante tedesca mi
ripudiano come hanno fatto con la Dietrich dice Nina
Per misteriosa elezione, durante la visione, Nina è come davanti ai giudici, è come un sospiro, la voce
nell’aria che si ripete a eco, seguita da un lamento, una voce non più neanche umana, che più si
riconosce: lamento già esistente nel mondo, nella sua estrema solitudine di figlia senza figli.
“Ciò che avvelena, che intossica non è il brivido del mi sto giocando tutto il senso della mia vita e della
mia esistenza in questo posto o altre fantasie letterarie ma è come una specie di sentimento il
sentimento del battere e questo le coppie lo sanno e a me diverte che le coppie lo sappiano e ciò che li
eccita è sentire dalla mia bocca quel che già sanno” dice una voce al tavolo accanto.
Ciò che sembra a Skeeen comunque indubbio, è che solo il ricordo di quella risata, e non quello delle
manifestazioni sediziose a cui si erano abbandonati – più o meno apertamente – gli altri suoi ascoltatori,
aveva potuto in un lampo decisivo fargli scoprire quanto di degradante e di ridicolo ci fosse nel suo
atteggiamento.
Ciò detto, deve guardarsi bene dal ritenere la nostalgia per Godz come elemento essenziale del
potere di questa sua attuale musica indispensabile, questo sentimento di nuova vita che risiede anche
altrove e sarebbe definito in modo imperfetto se si limitasse a porre l’accento sul turbamento di non
secondaria importanza provato evocando ciò che un tempo aveva stimato infinitamente prezioso e
necessario.
Ciononostante continua a inoltrarsi per il sentiero della sua esistenza ad occhi serrati strettamente
finché la sua vita non sbocca su uno spiazzo a imbuto con una balaustra pseudogreca, dominato da un
abete gigante, visibile da ogni punto e le cui panchine di pietra vuote sono riunite a semicerchio intorno
a uno spesso tappeto di neve che nella bella stagione si scioglie per fare posto a una ghiaia rossa e
lucente: il suo eremo che gli permette di guardare al di qua e al di là delle cose, prima di ogni cosa e da
lì, da questo posto immaginifico, osserva tutta la festa che si sta svolgendo.
“Com’è l’eroina a NY?” domanda Skeeen “immondizia” risponde Norman, tirando su col naso “non a
caso ho avuto successo nel momento in cui ho smesso di farmela… e via, e via, la vendono nel ghetto
portoricano, nelle avenue a, b, c, d… e via, e via, in bustine già sigillate con del nastro adesivo il cui
colore segnala la qualità: la migliore è il green tape, ed è comunque una schifezza… e via, e via, merda
allo stato puro… e via, e via, c’è gente, come il mio amico William, che preferisce farsi il metadone
quando è a NY… e via, e via, e l’eroina quando viaggia” Norman è un po’ tanto stronzo, a casa di
Norman non si scopa mai. Racconta, racconta del video che ha in mente…
“Come all’inizio di tutte quante le mie crisi precedenti” dice Skeeen “la mia esaltazione cede il posto ad
un ardente desiderio di parlare, ma, cosa sorprendente, la sostituzione al sesso si attua con tale
naturalezza, così insidiosamente, che questa volta non mi viene in mente di trovarmi davanto a una
manifestazione del mio male d’amore.
“Come farmi capire?... e via, e via, non si poteva restare più a lungo muto davanti a uno sguardo come
il tuo” dice Skeeen e quello se ne va.
“Come ha fatto ad andarsene?!, idiota che non sa neppure chiudere la porta di un camerino di una
sauna” dice Skeeen, scannato nei coglioni, rabbioso, continua a balbettare bestemmie giù “come
risplende la luce del suo cazzo, produce calore come il sole! Ma è proprio un bastardo! E come tale va
trattato: per chi conosce solo il suo calore, il suo cazzo in resta, deve realmente esistere e, perché
esista, che sia ricoperto di croste e di piaghe, che diventi mendico o un cane rognoso! Come può
rifiutarmi… e via, e via, chi appena conosce il suo calore, il suo cazzo in resta, sta per non riconoscerlo
più: cioè io” dice Skeeen “sto per non conoscerti più merdosello! Tu che vanti glorie su di me dentro a
questo locale: ridiventa straccio e merda e inutilità e ‘ffanculo.
Sì a volte è meglio non farlo innervosire, Skeeen.
Cominciando a salire verso i boschi di una dark, non si fa mai differenza con nessuno, si va verso il
traffico delle mani, delle bocche, dei cazzi, dei buchidiculo: non si fa mai differenza per nessuno, mai.
Completamente assorbito dal piacere nel quale d’altra parte, contro ogni aspettativa, comincia a
smarrirsi, a Skeeen non viene in mente di interpretare alcun sorriso. Crucciatissimo entra nel buio della
fabbricazione delle immagino, la dark, dove più o meno nulla è conforme alla realtà, ed è molto meglio
così: completamente, quelli, là dentro, hanno dimenticato la sua presenza.
“Comunque, non mi atteggio a vittima” dice Skeeen “sono pronto a riconoscere la giustezza dela
maggior parte dei capi d’imputazione he mi vengono contestati e se c’è un’accusa alla quale riconosco
di dare facilmente appiglio, è proprio quella di parlare in modo inconsulto di Godz.
“Con certuni amici, si trattava di esprimermi come camminando su vetri taglienti, tale era il rischio,
come sulla scogliera, in fondo si trattava solo di chiacchierare a vanvera del mio amore senza curarmi
troppo della logica e della coerenza, chiacchiere così, del più e del meno… e via, e via, altro era non
poter comunicare la realtà del mio desiderio feticista ribattuto da sorrisetti e mossette e incomprensioni
– grandissime pietre, gozzoviglie mortuarie, alberi anneriti, incomprensioni acerrime, una specie di
preghiera ma in ardenti prati di puttane e di magnaccia e di ladri con facce senza una sola salvezza
consolatoria: queste erano le descrizioni del mio amore per Godz – e di conseguenza rinunciare al
piacere d’un’amicizia pura e sincera, altro soffrire di un’insufficienza apparentemente organica il cui
risultato più evidente era impedire che si manifestasse il mio desiderio come un vizio – forse pericoloso
e quindi comunque sterile come un ritirarsi di luce, come un finito amore, come una certa allusione al
cui chiarore si è così infinitamente piccoli e imprecisati, senza più alcuna storia – perché non avevo la
sensazione che potesse risultarne per me la soddisfazione vitale che si cerca nel fatto di fare sesso allo
stato puro”.
Con i polpastrelli, Powerfist ispeziona quella superficie d’agonia mista a libidine.
Con il culo mezzo rotto, quello, tira avanti per il corridoio, scende le scale.
Con la coda dell’occhio, Powerfist intravede l’uomo peloso che si ritrae da lui, chiedendosi cosa è
successo.
Con le dita, Powerfist avverte la sagoma di una nuova scena.
Con le mani sprofondate nel tepore delle tasche dei jeans, con il bavero del chiodo tirato su e
abbottonato fin sopra il mento – ma nudo sotto, completamente nudo sotto – Skeeen avanza rasente i
muri guardandosi prudentemente intorno e avendo cura di voltarsi, di quando in quando, per assicurarsi
di non essere seguito.
Con suo stesso stupore avanza verso un tipo pallidissimo, tenendo i gomiti leggermente discosti dal
corpo, con l’atteggiamento aggressivo di un lottatore di sumo che si disponga al puro e ultimo
combattimento, mentre la luce gli cola sulle spalle come acqua bianca.
Congestionato nel volto, Skeeen si china verso l’altro con aria attenta, commossa e sorridente, al di
sopra di una tavola su cui quello si sta raffreddando il corpo nudo disteso, e proprio tra un assortimento
di bottiglie vuote di Ceres, i resti di un pasto sostanzioso di sesso provvisorio… e via, e via, guardate!
Come giocano a sentirsi compresi in loro stessi e, col viso in fiamme per l’emozione e per il buon
incontro, con quale mancanza di pudore piena di ingenuità si aprono l’uno all’altro gli ani e si danno alla
pazza gioia e ne hanno il cuore ricolmo e illuminato come lo testimoniano i loro visi radiosi come
l’aurora.
Consacrandosi a questo con una diligenza così meticolosa, Skeeen si è proposto solo di contribuire alla
comprensibilità di quel che segue in tutta quanta la serata.
Consentitegli, proprio incidentalmente, di meravigliarsi che qualcuno non si sia mai presa la briga di
sollevare il velo con cui ha il pudore o la viltà di nascondersi.
Continua a dirsi (“io questo ragazzo l’ho conosciuto in qualche posto”).
Continua con quella solfa e qualcuno a Skeeen gli dice “e perché non vai a dargli un bel bacione, e gli
conosci il piede? Apprezzerebbe il gesto”.
Contrariamente a ogni previsione, l’operazione fra i due è piuttosto facile, quello è molto meno debole
di stomaco di quanto non credesse Skeeen… e via, e via, di piede.
Convinto di quel che c’è di essenziale da dire sul suo conto, Skeeen non lo avrebbe mai confidato a
chicchessia e che, se avesse persistito nel suo silenzio, sarebbe stato irrimediabile, era logico che
fosse desideroso di afferrare un’occasione che si sarebbe presentata una volta sola, questa era forse
quella volta? Questa volta parlò, del suo amore immenso per Godz.
Corpi a palmi in tutto il locale, qui a El Horno l’inaugurazione di BOLGIASHOCK è effettivamente un
grosso successo di pubblico.
Come trascinato dalla rabbia e dal panico per la moltitudine di persone, Skeeen giura che vede – e poi
ancora si depone sullo sgabello – sul soffitto una sagoma, una sacra icona con la testa spaccata, la sua
stessa testa, una grossa testa, una interminabile testa: una miscela esplosiva
cannapopperCeresexstasy, mentre qualcuno lo afferra per una spalla e lo trascina nel cesso per
vomitare.
“Cosa c’è? Hai paura? Non c’è da avere tanta paura! Non sono poi così spaventoso!” ma dette dalla
voce tuonante di Powerfist queste parole non rassicurano, anche se solo sta cercando di fare un gesto
carino: aiutarlo a vomitare in un cesso e non miseramente davanti a tutti.
Cosciente della sua debolezza e d’altra parte estasiato, Skeeen non gli oppone alcuna resistenza.
Così l’angoscia, per Skeeen, comincia come un leggero rimpianto: notti insonni e giorni solitari
dovranno intensificarla la sua cazzo di angoscia, portandola ad una grado di frenesia logorante.
Così lacerato sarà per sempre Skeeen, via per l’oscura corsia dei viali delle dark, al confine di ogni
città battuta da anime nei parchi, non perse ma sporche e senza fine… e via, e via, voglia di sapere, per
Skeeen, e adesso cova già una nuova vita in sé dopo di quell’amore per Godz, a seguito delle altre sue
già mille vite – identiche ad altre mille e mille di altri suoi consimili – un’oscura libertà, una grazia
anch’essa ma cercata nel sesso.
Così supplica d’incularlo alla pecorina mentre vomita per non vederlo di fronte e Powerfist esegue
delicatamente col suo cazzone da Majakoskij e il suo bucodiculo profuma di lavanda di gelsomino e
merda, un’onda immensa di odore di vomito e merda che s’infrange per tutto quanto El Horno: millenni
di vite e di afrori di merde sgangherate.
Così mentre lo supplica d’incularlo dogstyle per non vederlo in viso, muove appena il corpo. È quello
che vuole esattamente in quel momento Skeeen: il piacere completamente controllato.
Così tutto è permesso a El Horno, stasera, e ci si permette di stravolgere ogni immaginazione e ogni
estetica.
Così questi uomini – nel loro periodo di sonno immediato, insieme col terrore da incubo di mortali
dell’AIDS – nel loro vento calmo trascinati, strisciando nel lutto veloce di parole struggenti, rasserenati lo
scoprono, questo lutto, nella sua migliore energia vitale, nel suo aspetto d’amore e pianto, col suo fare
burbero, a corpo chino, totalmente indurito, su per le scale della dark su di sopra e nei corridoi e nei
cortili mentre fa notte delicatamente, col suo incerto viso insoddisfatto – perché ha proprio un viso, la
notte – e il suo tono di voce greve – perché ha proprio una voce, la notte – di lutto.
Crede d’aver toccato il culmine dello strazio Skeeen, ma stasera è come rimesso a nuovo da questa
sofferenza genuina, e la notte è appena incominciata.
Crede d’aver toccato il culmine ma la sua faccia esprime una specie di sbigottimento quando
s’accorge che sì!, la notte è davvero appena cominciata!
“Credo di non avere parlato tanto a lungo quanto ne meritasse Godz” dice Skeeen “il tempo non esiste
più.
“Credo di poter affermare, senza che si possa imputare ad eccesso di analisi questo giudizio” dice
Skeeen “che i sentimenti di curiosità, di ripugnanza e infine di ostilità verso l’amore, che evidentemente
ispiravano il mio stesso atteggiamento, soddisfacessero invece tanto maggiormente il mio desiderio di
esibizione quanto più erano violenti.
“Credo quindi di poter affermare che non mi crogiolavo in questa inerzia per insensibilità, spavalderia,
scetticismo, e neppure per paura di attirare su di me un’ira minacciosa” e Skeeen lo urla a culo all’aria
da dentro al cesso mentre viene preso.
“Cristosanto!!! Mi fai male!!!” dice Skeeen e bestemmia Skeeen, e Powerfist smette di fottere
all’improvviso col pugno ficcato dentro in fondo in fondo.
Crudele spettacolo è quello di un uomo che, amando, si aggroviglia nei fili delle sue contraddizioni a
mano a mano che cerca di dipanarle: se gli altri vogliono ridere, Skeeen non darà loro questo piacere.
D
“D’accordo, sono un fanfarone” dice Skeeen , sono davvero uno strano e innocuo e importuno
chiacchierone, come un po’ tutti qui, del resto, e per di più un bugiardo come tutti i bugiardi, voglio dire
come tutti gli uomini della nostra razza.
“D’altra parte, in simili casi, quel che mi inebria non è tanto il profumo di scaltrezza acerba che nasce
da questa commedia che c’intossica coi suoi colori leggeri di luci e di ombre – qui non si trova né aria né
sole, qui solo l’asfissia di un paradiso in frantumi – quanto una strana sensazione di liberazione che
pervade tutto il pub: mi sembra che dopo una lunga privazione, le circostanze mi permettano sempre e
finalmente di riprendere possesso di quel che mi è dovuto, di incarnare il mio personaggio che per
davvero non mi fa più vergognare”, dice Skeeen.
D’improvviso il moro stringe a sé il biondo e lo bacia sulla bocca.
D’un tratto, abbagliante, dal soffitto della sala, si propaga un raggio di luce e il biondo cade a terra
come colpito da un flashback.
DA CREDERE
Da credere che l’uomo è come circondato, gli piombano addosso all’improvviso: in realtà questo non è
proprio del tutto vero: gli sono capitati addosso, sì, all’improvviso ma non del tutto inattesi: già ne aveva
colti gli intensi sguardi quando se li era ritrovati proprio davanti, face to face, e aveva interrotto il
durissimo cerchio dei loro corpi per passare, per andare proprio oltre, per dimenticarli definitivamente
alle spalle… e via, e via, poi, però, li ha sentiti muoversi dietro di sé – fra voci querule che attraversano
l’aria come folate di tremore – un tonfo sordo d’anfibio con la suola di gomma, quello stesso rumore
indefinito che già è l’indizio di un caro pericolo incombente: simile al suono del ramo che si spezza alle
spalle, lo scricchiolio del pavimento lo avverte che la muta da caccia lo insegue, attivando la sua
sensazione di fuga e di strano balbettio paralizzante… e via, e via, ma già cerca di cancellare queste
sensazioni, non vuole sentirle, non vuole essere preda.
Da credere che l’uomo è come circondato, e quando viene colpito alle spalle barcolla ma non è
veramente sorpreso e cade… e via, e via, quel raggio di luce sceso dall’alto è in fondo un colpo che non
è stato molto forte: non è stato davvero un vero colpo ma piuttosto uno spintone violento in mezzo alle
scapole ma il biondo cade appunto faccia avanti e avverte il contraccolpo che attraversa per intero il
suo corpo dal palmo delle mani, protese in avanti per attutire la caduta, fino alle radici dei soliti
rasatissimi capelli.
Da credere che l’uomo è come circondato, e quando rimane così a giacere, a faccia in giù, sul
pavimento de El Horno, non vede più nulla, come sperso, solo i ricordi dello stupro… e via, e via, non
vuole vedere più nulla… e via, e via, aspira l’odore degli stivali… e via, e via, e sente quei sospiri pesanti,
che lo guardano come quella volta, il loro suono opaco… e via, e via, quelle voci sente anche se non
riesce a distinguere le parole di soccorso… e via, e via, come colpito da un flashback.
Da credere che l’uomo è come circondato, e quando rimane così, lo rivoltano in su con la punta degli
anfibi, lo rivoltano poi uno, che pare essere il capo di quel branco, si china verso di lui a sputi e afferra
con le due mani i lembi del bavero del suo chiodo e lo solleva verso di lui: è in piedi, il capo, proteso
verso il biondo sta, a quel punto, metà disteso per terra, nell’arco esattissimo delle sue gambe
divaricate e metà sollevato verso la sua faccia: parole arrocchite, confuse, spezzate gli alitano
direttamente sul volto con un sentore aspro, parole che non si riescono a distinguere nettamente… e via,
e via, riesce a capire soltanto che probabilmente aveva interferito col suo modo di essere in una loro
impresa – forse proprio stavano puntando lui, o forse qualcuno d’altro ma il punto è che non bisognava
interrompere quel loro atteggiamento da branco lì alla Fossa di stazione Cadorna – assumendo ai loro
occhi non più si sa se l’atteggiamento dello sfrontato spavaldo o addirittura del nemico.
Da credere che l’uomo è come circondato, e quando rimane così circondato il biondo sposta le braccia
all’indietro e appoggia i palmi delle mani aperte a terra, come per tenersi sollevato verso il capo, per
tentare di diminuire in questo modo la perfetta tensione che comincia a scavare un solco di brivido per
tutta la schiena… e via, e via, a questo punto, quello lo tiene sollevato, come uno straccio, con la mano
sinistra e lo colpisce sul viso due o tre volte con la destra… e via, e via, non troppo forte… e via, e via, il
biondo ha come l’impressione che non gli si voglia davvero far del male, forse perché la sua colpa non
è davvero grave o perché comincia a capire che forse è proprio lui la preda degna della loro furia… e
via, e via, più che picchiarlo sembra che voglia fargli sentire proprio il contatto del suo corpo, delle sue
mani, dei suoi palmi caldi contro la pelle chiara del viso.
Da credere che l’uomo è come circondato, e quando rimane così circondato il biondo, dopo essere
stato colpito, viene afferrato per le guance – come si fa certe volte ai bimbi – e lo stringe mente lo insulta
“cagone, cagasotto, pezzo di merda” cose di questo genere… e via, e via, ma è difficile essere più
precisi.
Da credere che l’uomo è come circondato, e quando rimane così circondato il biondo si lascia ricadere
e si guarda intorno intorno ovvero guarda esattamente verso i quattro o cinque che formano la muta i
quali, a loro volta, non guardano più verso il biondo ma verso il capo: probabilmente nella stessa muta
esiste un conflitto nascosto, sotterraneo, che forse attende l’occasione per esplodere contro l’autorità o
l’egemonia della violenza che li mantiene uniti: è evidente che per gli altri la cosa proprio non può finire
così, quattro ceffoni e via, che si aspettano qualcosa in più, un’azione più forte e decisa, più clamorosa,
o forse soltanto più teatrale, più glam… e via, e via, e mentre ricorda questo le voci del El Horno salgono
di tono, squittii, latrati, pigolii, mugolii e il biondo come svenuto a terra… e via, e via, pur non potendo più
seguire quelle confuse argomentazioni, gli urli e gli strepiti degli astanti, il biondo a terra le può intuire e
capire, anche stasera avevano camminato dietro al biondo e i ricordi gli si confondevano col presente,
con tutto El Horno che li guardava, e tutto si stava concludendo con qualche buffetto? Come quella
volta… e via, e via proprio non c’era, nei loro occhi, un giusto rapporto tra la lunghissima attesa,
l’inseguimento, l’attacco ferocissimo e la sua miserrima e prevedibile conclusione… e via, e via, ci
voleva qualcosa di più… e via, e via, del resto non lo possono mica ammazzare come lui vorrebbe
questo biondodimerda – o forse lo avrebbero anche potuto fare – ma il loro capo adesso stava come
arretrando dalla posizione iniziale, restio, non si capisce se di fronte al silenzio de biondo o alla sua
inerzia: questo biondodimerda si è abbandonato a lui come un corpo morto, dalla profondità del suo
corpo glabro di biondodimerda e dalla sua anima sale come un senso di morte latente e questo
biondodimerda l’ha stesa tutta questa sensazione nell’aria circostante e il capobranco ha perso la furia
come ottenebrato da una coltre di pietà amorevole.
Da credere che l’uomo è come circondato, e quando rimane così circondato il biondo e quando si lascia
ricadere e questo viene da pensare allora: il biondo ha freddamente pensato che la muta fosse formata
da predatori che amano sole le prede vive, sperato nella loro ripugnanza nei confronti della sua
passività: se ne sta lì, per terra, con la nuca appoggiata al suolo in attesa che se ne vadano ma il loro
capo, che se ne sta ancora in piedi con le sue gambe divaricate ad arco, si abbassa la cerniera dei
jeans ed estrae il cazzo, il biondodimerda capisce che questo è il capo non soltanto per la sua capacità
di violenza psicologica che lo innalza ad un livello superiore, ma proprio perché ha più immaginazione
del resto dello stupido gruppo.
Da credere che l’uomo è come circondato, e quando rimane così circondato il biondo si lascia ricadere,
forse l’incitamento della muta, forse, al contrario di quanto aveva pensato esattamente il
biondodimerda, l’eccitazione per la sua stessa acquiescenza, ha inturgidito il cazzo al capo, che sporge
adesso eretto dai calzoni aperti… e via, e via, è buia, la notte, ma si può scorgere il buio e tozzo cilindro
di carne proteso come emblema di potere… e via, e via, e il capobranco risolleva il biondodimerda
afferrandolo per i lembi del chiodo, poi strofina la punta umidiccia del cazzo contro le sue labbra chiuse,
prima di lasciarlo ricadere a terra.
Da credere che l’uomo è come circondato, e quando rimane così circondato il biondo si lascia ricadere
e il capo lo guarda e continua a guardarlo e lo guarda per un tempo che non riesce a definire, a
calcolare, lo guarda e sembra attendere che il turgore finalmente possa venir meno e poi, quando
l’erezione comincia a tramontare glielo punta sostenendolo con una mano, il cazzo molle ma ancora
semiduro nella direzione del biondodimerda schizza violento un lampo di piscio giallo e odoroso che lo
colpisce esattamente sulla guancia sinistra, a sfregio… e via, e via, le gocce colano lungo il viso, dentro
il bavero del chiodo, sulla pelle completamente nuda del suo corpo senza nemmeno un pelo che sia
uno, mentre la muta sorride rumorosissimamente e finalmente appagata: il danno è fatto: quel piscio se
ne andrà dal suo volto e dal suo glabro corpo ma mai dal suo cervello.
Fine del flashback e della nascita della goldenshower.
Da credere che l’uomo è come circondato, e quando rimane così circondato il biondodimerda si lascia
ricadere sul pavimento de El Horno e poi ancora subito si risolleva prima sulle ginocchia e sulle mani
poi, sostenendosi al muro della dark, in piedi, verso l’uscita dell’antro buio, comincia a camminare
sfiorando con le nocche l’intonaco dal muro ruvido che racchiude il piccolo giardino scuro dove si batte.
“Da credere che l’uomo non può sopportare troppa realtà” dice Skeeen, mentre il biondo si alza da terra
e si appoggia al muro e sente proprio l’intonaco come sfarinarsi leggerissimo sotto la pressione delle
sue stesse dita, e la vertigine che ne invade tutta l’aria, che ne invade il pavimento, che ne invade il
soffitto, sommergendo lui e tutte le cose intorno.
Da credere che non si vedono da almeno più di vent’anni i due: con tutta vivacità “oh dio, oh dio” dice il
moro facendo vivo un gesto nel vento dei corpi che adesso se ne vanno nel loro passo levigato mentre
il moro gli dice “o cristo! Quanto sei ancora figo… e via, e via, sei proprio un’esplosione atomica” e bacia
il biondodimerda sulla bocca con lingua a trivella, cazzo in resta e tutto quanto come da copione.
Da credere che quand’erano marmocchi avessero fatto il bagnetto nella stessa bagnarola o la cacca
nello stesso vasino o qualcosa del genere: e invece no.
Da fargli tanto di cappello.
Da fuori il camerino quello con il gloryhole, si sente come provenire il rumore dell’avviamento di un
trimmer, un suono nuovo fra le loro parole, che non si poteva proprio prevedere, un gioco nuovo che
non conosce giudizi, che s’integra, nessuno lo scordi!, con quello che sarà un libero mistero amoroso,
ogni forma lecita o illecita, la fissa per le teste rasate.
Da qualche giorno Skeeen si guarda allo specchio, è proprio come ferito largamente, profondamente:
curioso, in un certo senso, il suo maggior desiderio è sempre stato di scoprirsi come un qualchecosa
ma di singolarmente patetico nello sguardo: una lunghezza bruciante della pupilla, uno splendore che
evoca esatti strazi: grigio piccolissimo lucidissimo “da quando non ci possiamo più parlare” dice Skeeen
allo sconclusionato tipo ora al suo fianco “è come se provassi piacere, voglio dire che mi piace non
avere un cazzo da raccontarti più, come se non ci conoscessimo proprio, come se proprio mai ci
fossimo conosciuti” con astio.
“Da quando vivo così allo sbaraglio con queste maledettissime coppie nel cervello mi sento diverso
molto frenetico più libero c’è soltanto quella sensazione che mi prende ogni volta che dopo la scopata di
turno me ne torno a causa in auto da solo e sento che non ho risolto niente che l’indomani ritroverò i
soliti problemi e poi ancora penso ai due che si amano che ho appena lasciato là a farsi la doccia a
fumare sigarette sul letto a mangiare la loro cenetta intima ma io me ne sbatto e a volte penso che se
mi facessi pagare potrei farne di soldi ma tanti con queste stronze coppiette che mi stanno proprio
rovinando l’esistenza” dice una voce al tavolo a fianco.
“Da quanto tempo sto bevendo?” dice Skeeen.
“Da questo ad accusarmi di vigliaccheria il passo naturalmente è breve tuttavia per rendere
comprensibili alcuni dei mie atteggiamenti più ambigui non ho potuto fare a meno di dilungarmi con
un’insistenza spesso stancante su ciò che mi è sempre parso difficile da esprimere con il rischio di
vedere gran parte delle mie coppie abbandonare la partita… e via, e via, quando tutto mi impediva di
usare la persuasine per renderli partecipi vivamente di un’emozione nuova ai loro occhi senza virtù
legate alle emozioni della quotidianità ovvero essere guardati da uno sconosciuto” dice una voce al
tavolo a fianco.
Dall’inizio della serata, la temperatura all’esterno de El Horno oscilla intorno allo zero ed è difficile
distinguere se il sedimento che ispessisce l’atmosfera è pioggia, nevischio o smog o altro.
Dalla sling sta scendendo con un movimento meccanico, lento progressivo.
“Dammi tempo, amo le mandorle delle scapole, d’ambra e di carni i pezzi premono la stanza buio ove
risiedo e troneggio! Tra i ricami di perline di sudore, sotto le coltri della linea squisita del tuo corpo,
quando la schiena s’apre, continua… e via, e via, e se non farai parola con nessuno della mia morbosità
criminale… e via, e via, sono sicuro che te ne asterrai, considerando la saggia maniera in cui hai accolto
l’asta” Powerfist erutta queste parole che nessuno mai capisce ma che producono proprio l’effetto
desiderato.
Della dark può appena capire le dimensioni, Skeeen.
“Desiderate?” domanda il barista con tono gioviale “certo!, certo da bere, vi offro da bere!,!, cosa vuoi
prendere?” risponde il tipo appoggiato al bancone e domanda “un gin-fizz?”, “un gin-fizz anche per me”
dice l’altro “ e per il signore?” dice chiedendo il barista “gin-fizz” è la risposta “subito tre gin-fizz per i
signori!”, il barista si precipita sui suoi aggeggi mentre il dj riattacca con una nuova selezione di motivi
su richiesta unanime dei danzatori.
“Detesto, inutile dirlo” dice Skeeen “ogni genere di alterco, ma gli trovo qualche scusa in particolari
circostanze: lo strano fascino su di me quel tipetto lì alla Fermas – nome maledettissimo di
maledettissima sauna – la forza veramente inconsueta del mio desiderio e l’altro che pure lo puntava, mi
irritava… e via, e via, perfino lo stato di semiubriachezza in cui mi trovavo dopo avere ingerito bottiglie su
bottiglie di Ceres… e via, e via, tutto ciò veniva accresciuto dall’esaltazione inaudita che, per tutto il
tempo lo strinsi contro di me per possederlo, riuscì a liberarmi dall’angoscia in cui mi mette quasi
costantemente la sensazione di un isolamento irrimediabile”.
Deve sentire che prova piacere il moro a strofinare il suo naso contro la sua bocca di biondo per il loro
bacio eschimese.
“Devi saperlo” dice Skeeen.
“Devo dire che fino ad ora” dice Skeeen “né amici né amiche si erano preoccupati di sapere da che
cosa derivassero certi miei lineamenti tirati, certo mio pallore, certi miei gesti nervosi e incerti… e via, e
via, può darsi che non si preoccupassero della mia salute e in questo caso era perfetto perché posso
immaginare che non si preoccupassero delle mie vere allucinazioni… e via, e via, dio sa quale tortura
sia, quando soffrite di un male che volete tener segreto, quella di sentire la gente fare osservazioni sul
vostro aspetto e chiedervi se vi sentite bene o se non vi è capitata una qualche seccatura, e voi ve la
cavate scherzando sul maledetto raffreddore che vi siete beccato la sera prima andando a battere un
po’ troppo scoperti o su qualche altra cosa altrettanto inoffensiva, e dovete anche evitare di avere l’aria
di pensare: beh, sei contento?, ne sai abbastanza?, ma ai veri amici che si preoccupano veramente,
anche se siete molto bravo in materia di bugie, è assai difficile nascondere che cosa realmente avete,
perché non vi crederanno mai, fino a che la ragione che adducete non sia in relazione con il vostro
aspetto o con il vostro atteggiamento e, in definitiva, grave quanto quella che cercavate di nascondere…
e via, e via, ma allora vi sarebbe costata molta meno fatica dire subito la verità”:
Di colpo, da lì sotto, dalla grotta oscura di Powerfist, qualcuno urla.
Dice Skeeen “tutti quelli che davvero mi conoscono sanno che sono proprio il silenzio personificato, e
non negheranno che, pur con tutta la loro abilità, non sono stati davvero mai capaci di farmi dire quello
che mi premeva mantenere in assoluto segreto: si troveranno d’accordo anche nel vedere in questa
impossibilità ad aprirmi una carenza abbastanza grave che suscita pietà ed io non resisto al piacere di
aggiungere che una vanità subdola mi spinge ad avvantaggiarmi di questa convinzione simulando, o
anche solo esagerando, la sofferenza che questa deplorevole infermità mi causa, come se avessi
qualche importante segreto che con grande sollievo confiderei se non lo ritenessi, per il suo carattere,
nello stesso tempo eccezionale e intimo, assolutamente incoffessabile”.
Dice Skeeen “una mano fa bene, fa così bene che non mi ricordo quello che avevo nel culo prima di
quella mano, ma certo non era una mano così dolce… e via, e via, una volta ho smesso completamente
di mangiare per venti giorni di seguito, neanche un biscotto, pensavo che volessi lasciarmi morire, e
invece no, mica sono morto, solo rinsecchito nel fisico sono diventato e che successo”.
Dice Skeeen che ha cominciato a confessare per provare quella specie di piacere un po’ morboso
simile a quello che cercano alcuni raffinati puttanoni quando, con lentezza studiatissima, accarezzano
con la punta del loro indice il leggero graffio che si son fatti fare su una parte del corpo oppure con la
punta della lingua stuzzicano apposta il piercing sul labbro inferiore.
Dice Skeeen che tutte le commedie che stanno inscenando in questa serata sono in sé un capolavoro
naturale, paiono tutti angeli nella loro devastazione folle.
Dice Skeeen di avere sempre preferito l’atteggiamento composto degli uomini pelosi: che sia cecità
d’amore?, ma per trattenerseli vicino s’inventa a dir loro che sono uomini veramente belli oppure che
hanno dei lineamenti realmente energici, virili al massimo delle possibilità maschili, senza differenze
con loro: quelli gli sussurrano, con una specie di ritegno timoroso, che non è affatto come tutti gli altri: sì
una differenza così netta la si può proprio notare dai suoi comportamenti più amari, dal suo modo di
porsi meno gioioso e lussureggiante… e via, e via, tutto questo per portarseli semplicemente nel
camerino: sforzi sovrumani.
Difficile calcolare le dimensioni del buco del culo.
“Dimostra di avere buon carattere” dice Skeeen “ e non ti irritare per l’abuso che ho fatto della tua
credulità, infilando a tua insaputa qualche verità in mezzo a tante bugie che ti contrabbando per verità
con l’idea, rivelatasi esatta, che le prime non si sarebbero distinte in nulla dalle seconde e viceversa”.
Disarciona veramente con questa frasetta.
“Disteso come nella notte di un nuovo porto” dice Skeeen “guardai a lungo il cielo, come assorto in una
contemplazione animalesca, come in pericolo e privo totalmente di energia, come pervaso da una pace
profonda, come convinto che qualsiasi cosa mi fosse capitata quel giorno sarebbe stata per il meglio,
un fare repentino, un ottimo mutamento… e via, e via, ma quando mi accorsi che il cielo non era più così
chiaro, né l’aria così calda e che il brontolio del fiume dove ero sceso a battere, nel rigoglio della luce
era ormai molto, ma davvero di molto, meno vicino, poiché al tramonto doveva esserci la luce più
bassa, la mia serenità lasciò il posto ad una strana esaltazione che si tradusse in un bisogno sfrenato di
toccare immediatamente almeno un piede, a proposito del quale non mi preoccupavo nemmeno
minimamente affatto di sapere di chi fosse, chi me l’avrebbe presentato, ma cercavo solamente una
certa coerenza col fastoso desiderio di quel momento: ero in preda ad una tele agitazione che mi alzai
precipitosamente… e via, e via, tuttavia non mossi molti passi… e via, e via, le mie labbra rimasero
ostinatamente chiuse nel desiderio fantasioso e io restai come silenziosamente in piedi aspettando che
la brama si calmasse da sola… e via, e via, ma più l’attesa si prolungava, più aumentava il mio disagio…
e via, e via, per esser chiaro, non trovo di meglio che paragonarlo a quello di un uomo che, disturbato
da un pasto troppo abbondante, tra i sensi di nausea, i mali addominali, fa inutilmente appello al mezzo
più sbrigativo per sbarazzarsene… e via, e via, in realtà la crisi fu di breve durata ed era appena passata
che già non ci pensavo più: cominciai a battere svogliatamente e senza nessuna intenzione per la testa,
come sempre”.
“Disteso nuovamente, immediatamente ritrovai la calma” dice Skeeen “ma non purtroppo la deliziosa
esaltazione che l’aveva preceduta… e via, e via, del resto, quando poi, qualche giorno dopo, conobbi
una nuova crisi, dovetti, con vivo dispiacere, rassegnarmi a subirla con atto masturbatorio senza aver
avuto la gioia di assaporare la stessa esaltazione che prima ho descritta… e via, e via, mi sono
azzardato a risolvere alla meno peggio ciò che ritenevo indissolubilmente legato ad un atto reale, legato
sì ad un rapporto anche casuale, ma tangibile con una ferrea logica di causa effetto… e via, e via, ah! La
sofferenza che l’aveva seguita quella sciocca masturbazione: la mia fantasia e la sue conseguenza
reale, se pure erano state unite solo dal caso, l’una avrebbe compensato ampiamente l’altra”.
Diviene così una qualche logica, il vero, ciò che è possibile, le virgole di rosata luce che caricano il
pianto, l’incantato discorrere, gli stessi fatti preoccupanti: le cose prendono forma, anche distrattamente
ma prendono una forma: tutto serve per grazia o per volontà, smette d’essere sapienza, storia o
profezia, Skeeen.
Dopo aver scelta una bevanda di buona qualità, uno sperma d’annata, il rosso si accende una sigaretta.
Dopo tutto, vedere un uomo che si abbandona in pubblico a questo tipo di esercizio, non è forse
straziante e anche ridicolo? Skeeen non ha distolto lo sguardo da quello come, posso assicurarlo!,
chiunque avrebbe fatto al suo posto: poi scoppia a ridere spaventato nell’idea di sfumare nel roso dei
racconti futuri anche questa scena: un colpo al cuore, come se la malattia non esistesse, come se
l’AIDS fosse solo una tremenda immaginazione, un fatto di scimmie e San Francisco.
Dopo un attimo di esitazione, prosegue il suo cammino per l’ennesima volta verso la zona labyrinth, ma
anche il soffitto, i tavoli e l’impossibile pavimento gridano che questo suo corpo, malgrado la rigidità
data della situazione, è adorabile e si sente invaso dallo strano sentimento, che solo l’improvviso
incontro dell’amore e della morte possono far nascere in un’anima rispettabile.
Dopo un attimo di silenzio il biondo manda un gemito fin su al soffitto, per un istante l’impressione è
che stia per svenire o per venire che è poi lo stesso.
Dopo un momento si percepiscono dei passi precipitati che, dal suono, non devono essere a più di
due metri di distanza.
“Dov’è, padrone?” dice una voce nel buio della dark.
Due grandi teste umane ormai bianche perché completamente dissanguate, appese a testa in giù: ma
a un esame più attento le teste si rivelano dei lampioni spenti, dimenticati nel labirinto della dark… e via,
e via, un sospiro di sollievo.
“Dunque sul finire di un pomeriggio domenicale” dice Skeeen “provai un senso di noia assoluta e
particolarmente deprimente, mi decisi così ad abbandonare la mia stanza per andare a stendermi in
acqua alla spiaggia nudista più vicina: l’isola delle vergini, giù al fiume… e via, e via, avevo voglia di
bagnarmi, di bere una sorsata di acqua ghiacciata dalla bottiglia, di scuotermi dalla testa rasata di
fresco l’acqua sporca del fiume e di bagnarmi ogni ora, regolarmente, proprio per non morirmi di
accaldamento, e di voltarmi nello splendore celeste del fiume, vicino a riva, per fare il morto e di
sentirmi i flutti freddi sollevarmi e incavarsi nella secchezza del mio corpo solo di poco smagrito
quell’estate e il sole bruciarmi il viso… e via, e via, ma prima di tutto questo sapevo. Io proprio volevo
salire e scendere, attraversare il fiume, col bosco folto, e poi ancora arrivare fino al lungo pianoro e
attraversarlo tutto per esteso con le solite famigliole e curiosi che si piazzano sempre all’inizio del
percorso e proseguire tra l’erba alta che rende il cammino difficile e i rovi e gli arbusti e gli sterpi che ti
rovinano le gambe, e camminare sempre più avanti, e di nuovo salire e scendere e attraversare le viette
come ricavate dentro fogli piegati di bosco inselvatichito, fermandomi talvolta per riprendere fiato
all’ombra di un albero, e poi ancora di nuovo salire e scendere e attraversare, sempre in mezzo a quei
boschi fitti nei quali dovevo aprirmi un varco”.
“Dunque” dice Skeeen “non mi preoccupo neppure minimamente dell’espressione della mia faccia che
uso per raccontare con un sorriso d’estasi sulle labbra… e via, e via, neppure minimamente è certo dir
troppo, gli occhi sono parole, sono una gran fonte di comando, è giusto che li lasci partire: ma la verità è
come le carceri, la verità è esattamente come i patiboli: una cosa impietosa e cruda è la verità: la verità
non intende lasciarti libero, vuol restare marina luminosa, un momento ancora senza una grinza, un
attimo splendido di puro nulla”.
E
“E a chi farei vedere la mia biancheria intima sporca se non a te” dice Skeeen “e che mi capisci?
“E adesso ancora ravvivo la tua ostilità” dice Skeeen “ con il cercare di vedere chiaramente in me
stesso: io non sono colui che esamina le proprie imperfezioni con una certa preoccupazione di
obiettività, e tu quest’uomo lo giudichi un esibizionista?
“E adesso, aspetto che tu mi rivolga la domanda che hai sulla punta della lingua… e via, e via, avanti!
Io non ti sopporto più Godz!” dice Skeeen.
E allora non è più tanto solo Skeeen.
È anche vero che Skeeen ha la sfrontatezza di rinnegare ciò a cui teneva maggiormente e di lodare ciò
verso cui ha sempre professato odio: piede adunco nel semplice sole, piede di sciancato, piede di
prigioniero, piede di miliardi di viventi, acidissimo profumo, semplice come la luce del sole, come un
rottame, piede di storia,, mattino d’ogni vita, puzzo sublime di colera che aleggia, piede non lavato,
piede ammaestrato trionfo di felicità senza fine, piede immortale, addirittura ridicolo, piede fuori d’ogni
lacrima, piede nella comprensione della sua unica ragione, piede. Un canto d’amore.
È ancora più in là, va davvero oltre, come a dire la differenza del suo pensiero e dello sguardo degli
occhi suoi… e via, e via, come spiegare ai presenti stessi di questa inaugurazione lo stupendo senso del
possesso cui Skeeen appartiene. Il suo dolore è sapere.
E appare prima con la sua faccia chiara poi con la sua faccia scura, così è Skeeen per tutta la sera.
È arrivata l’ora ed è indeciso se andare a prendere qualcuno e portarselo nel suo angolo, o rimanere a
bersaglio nella sala comune de El Horno, dove i membri si radunano in un angolo a inchiavardarsi l’uno
con l’altro senza soluzione di continuità, mentre quelli vicini a lui se ne stanno seduti immobili.
“E bada che io stesso non nego di avere sollecitato un auditorio, limitato, molto limitato, è vero” dice
Skeeen.
E comincia a dare terribili colpi di sedere gridando ad alta voce “ahh ahh” ad ogni colpo di reni di
quell’altro che tiene una gamba alzata come ha visto fare nei porno del cinema Sempione di via
Pacinotti.
E comincia a picchiettare sul bucodelculo col pugno e piano entra un dito, due dita, tre dita, quattro
dita, cinque dita poi Luan, poi mano, poi Luan, poi pugno, poi Luan e poi ancora sfintere che ci entra di
tutto e poi ancora pugno e poi ancora fuori il pugno e poi ancora dentro il pugno e poi ancora Luan (ma
un po’ di meno ora) e poi ancora via di visioni.
E così la domanda cosa è successo ieri nel deserto Nina? Li hai incontrati i tuoi amici alieni? E perché
non mi hai portato con te – e così la risposta – è stato davvero bellissimo un’esperienza indimenticabile
non li ho incontrati nel senso che intendi tu li ho visti volare nel cielo e li ho avvertiti ero in sintonia con
loro per questo non ti ho detto niente tu probabilmente non sei pronto a un incontro del genere non
saresti stato in sintonia ero con Thomas Masari un essere superiore che è in contatto diretto con lo
spirito di Zeth questo tipo ha già avuto diciassette reincarnazioni e questa che sta vivendo è la sua
ultima vita gli puoi chiedere di tutto e lui entrando in comunicazione con lo spirito di Zeth ti dà una
risposta è come se ad ogni incarnazione tu acquisissi un nuovo livello di esperienza esplori un ulteriore
stadio dell’esistenza alla fine hai conosciuto tutto e non c’è più sorpresa né desiderio per questo non
torni più sulla terra non ti reincarni più in questo corpo così limitato le prime volte che ho avuto delle
esperienze con degli alieni ero abbastanza perplessa poi ho chiesto a Masari chi era questa gente e
cosa volevano da me mi ha risposto che venivano da Orione e che cercavano semplicemente delle
anime antiche cioè degli individui molto sviluppati sul piano della consapevolezza con cui entrare in
comunicazione mi ha anche detto che questo è sempre successo che la comunicazione tra mondi
diversi si verifica da migliaia di anni solo che i soggetti scelti per queste comunicazioni erano sempre
persone molto semplici che non avevano propriamente il potere dell’informazione né la possibilità di
dimostrare ciò che veramente avevano visto o addirittura appartenevano a civiltà scomparse del tutto
come i Maya o gli Aztechi del resto coloro che detengono il potere anche quello dell’informazione sono
sempre gli ultimi a rendersi conto dei fenomeni di quello che succede in genere dice Nina.
“È così ormai questa gente come me queste coppie non riescono più a fare l’amore in modo normale
uno non gode se l’altro non guarda e ogni volta che ho tentato di vedere uno da solo per farci una
scopata lui e io per sottrarmi alla continua presenza dell’altro mi sono sentito rispondere che gusto c’è
se lui non guarda voglio dire che non è che puoi dargli torto è che ormai si è abituati così e non ci puoi
fare più niente non si torna più indietro in queste robe di sesso” dice una voce al tavolo accanto.
È dentro di lui in forme di lividori e gorghi e affondi, così è tutto dentro col braccio Powerfist – is the best!
– mentre i furiosi presenti, osando e vacillando, sprigionano ogni cosa, ogni pensamento lordo,
follemente, dai fori delle loro teste.
E di corallo trema l’altura della sling e le gambe del tizio divaricate esattamente come nari di uno
stallone della steppa quando dorme: l’ano è spalancato di Luan e fist e il duro disprezzo di Powerfist e
lo spaurito sorrisetto del tipino confondono il vero con l’infantile, qua sotto è tutto cavilloso e
pensamento contorto è, sgraziato e pure squisito… e via, e via, qua sotto – se questo lo si può definire
orgoglio – è orgoglio il saperlo prendere tutto in fondo, e pure questa punizione è orgoglio, si sconta
tutto in una serie di esperienze disperate e oscure, si sconta tutta l’inesperienza, qua sotto… e via, e via,
qua sotto è sole che inonda d’un pasquale albore tutta questa sconcia stanza umida, qua sotto
Powerfist brucia ogni cuore nella tiepida onda con cui piove dal cielo ogni suo sventramento di
bucodiculo fino a farsi respirare come fatto puro e leggero… e via, e via, qua sotto soltanto powerfist può
sopravvivere: essere diverso e per questo odiato e temuto come colui che neppure sa amare, fedele e
accorato al suo unico intento.
E dice Skeeen ancora “passi ancora che sia io a conoscere finalmente una verità così insopportabile
che non mi lascia intendere consolazione alcuna, ma voi!... e via, e via, e non avete di che rispondermi…
e via, e via, nessun inchino o mormorio, né sorrisi né ricambi con cenni del capo… e via, e via, solo
sguardi devoti e assenze… e via, e via, come se il vostro naufragio avesse trovata salvezza… e via, e via,
a dire il vero, si insinua il mio disagio quel lieve senso di piacere acido che si prova dichiarando
pubblicamente una delle proprie tare, anche quando questa non ha la minima probabilità di interessare
nessuno di voi… e via, e via, ma il pelo..! ah il pelo, morir es mejor che non tocarne più” dice in una
lingua spagnola tutta da ridere.
“E forse è stato proprio il gioco con queste coppie a darmi una visione del sesso come fenomeno ma
solo ed esclusivamente pornografico senza sentimenti e senza implicazioni senza amore insomma solo
carne e pelo sul petto una concentrazione di piacere del piacere nella zona del bacino e basta e anche
nella testa nel cervello ormai ridotto a pappetta e forse questo lo posso dire qui oggi più che mai stasera
durante il BOLGIASHOK più che mai dopo che sono passato attraverso ad uno straniamento completo
del rapporto sessuale per cui oggi all’età di Cristo in croce non riesco più a ragionare in termini di storia
d’amore di ragazzo fisso col quale convivere ma solo di chiavata o di inculata mettioprendi su un
pavimento o contro un tavolo e come nel mio caso con un tipo supervicius che guarda e gode nel
constatare che il suo fidanzato è la più lercia puttana del creato” dice una voce al tavolo accanto.
È fruscio di vento nella notte dentro a un albero, questa frase, e i suoi denti sono simili al fulgore di una
stella, è il solo a cui si mostri volentieri un corpo consunto “è importante la biancheria fine” dice una
voce al tavolo accanto.
E improvvisamente Powerfist si ricorda come trionfalmente il sole del pomeriggio cadesse un tempo
filtrando dalla sottile feritoia lassù in alto e scendesse in fasci color zafferano sulle pareti affrescate a
mosaico di questa stanza che è diventata adesso sconcia, sulle trine illustrate da motivi lavorati che
ornavano la sling che sembrava un letto a baldacchino, facendo brillare il candelabro a cinque bracci
brandito dagli angeli di gesso scrostato, incoronando di un’effimera aureola i capelli di quei putti dalle
guance piatte e levigate, dalla bocca aperta, e il modo in cui meno devoti frequentatori di allora di quella
stanza da vecchia zia già allora si si chinavano in avanti, abbassavano la testa e adattavano abilmente
una mano sul mento quando, stanchi di spompinare, fingevano di sprofondarsi in preghiera, genere di
dissimulazione nel quale erano maestri e che praticavano frequentemente… e via, e via, Powerfist ha a
volte questi ricordi, la sua gioventù, i suoi inizi e capisce, questo è quello che maggiormente importa,
d’essersi come precipitato, tout court, nel magma immenso del suo labirinto sotterraneo, un padre
feroce, educatore che possiede avidamente.
E lui, Powerfist, il principe della morte soddisfatto rispetta il suo patto col suo sotterraneo: non è che
un orgasmo, delirio che non devasta, voglia latitante che non scuote!
“È mia irremovibile opinione che per quanto un uomo possa essere tentato di aprire il cuore, non deve
mai dimenticare che, nella misura in cui infrange la legge del pudore, si espone all’ironia degli uni e
all’ira degli altri” dice Skeeen.
“E non è quel che vuoi?” dice scontroso l’altro “sì, ma non in mano” dice Skeeen “in mano, lo sperma,
non mi diverte: provo come una specie di disagio quando non addirittura di furia terribilissima che,
rapida come un turbine, mi sale inspiegabilmente al cervello”.
“E per il signorino” dice il barista mentre si titilla il capezzolo infilzato da un sottilissimo e lungo piercing
“per me niente, grazie” dice rispondendo.
E poi ancora “ma se mi lascio trascinare dallo zelo del fedele sguardo del mio racconto” dice Skeeen
“finisco con l’accusarmi di secondi fini, che non ho, per darmi l’apparenza dell’uomo sincero che certo
non cerca di risparmiarsi le umiliazioni: non è quindi per il piacere di intrattenerti su me stesso che
parlo, e neppure per esibire le belle nottate di una volta, il gran sipario della mia mestissima follia, il
sesso dei piedi su tutti gli sconosciuti e il pelo! Di questo solo beandomi placidamente”.
E poi ancora, durante l’intervallo successivo, continuano quella conversazione con Godz.
“È proprio vero che, seppure illuminato dalla bellezza di molti piedi, io ho pronunciato un voto per il
quale ero tenuto da quel momento ad osservare un mesto e dignitoso silenzio” dice Skeeen “sono
dunque una specie di tristo spergiuro? E se tu mi ricorderai appena opportunamente la vergogna subita
dopo la mia grande crisi solo per fingere in seguito di stupirmi con il perdono come che essa non sia
stata sufficiente a correggermi del mio vizio… e via, e via, ti risponderò: a proposito che cosa ti
risponderò?! Nulla di più facile per me che smontare i nostri poveri affetti
“E se avessi soltanto l’immaginazione un po’ più pronta della memoria? Questa sarebbe una colpa?”
dice Skeeen “adesso trova e dimmi che sto esagerando se ne hai il coraggi: fingere di dubitare delle
mie stesse affermazioni, questo è proprio il colmo dell’impertinenza e della cattiva fede.
“E se non simulassi il dubbio, se non dubitassi affatto di me stesso, e se sapessi come regolarmi per
quanto riguarda la veridicità di ciò che ho detto sul mio tormento, sulla mia fissa, il piede?!... e via, e via,
e se insomma tutta la mia chiacchierata, il mio sproloquio, non fosse altro che bugia?! Volta le spalle,
voltami le spalle Godz!, adirati, allora: vai al diavolo! ‘‘ffanculo dimmi pure.
“E sempre questa mia specie di estasi” dice Skeeen “ti spiegherà perché io non meriti assolutamente il
rimprovero, che forse stai per farmi, di inerzia, indolenza, fiacchezza, ignavia, abbandono alla lussuria,
e chissà che altro”.
E si mettono a ridere in modo complice. Skeeen e Godz.
E sta molto dritto, Skeeen, eretto perché Godz possa ammirarlo quanto è fiero, abbassando lo
sguardo su se stesso, in love with love.
E stasi, infine, come il tempo di questo locale assoluto e immenso del silenzio, diviene il turgore di un
altro fist.
È strano che soltanto in momenti come questo si possa provare una vera sensazione di rilassamento
e di sicurezza.
È sulla soglia della porta che aspetta il suo turno, l’altro se ne sta fermo e aspetta che tutta questa
messa in scena di Powerfist abbia termine.
E tenta di dargli un bacio di ringraziamento, quello, a Powerfist, appena sceso dalla sling.
“E tuttavia, già l’ho detto, fare di me un oggetto di disgusto, rotolarmi nella polvere ai vostri piedi, è cosa
in cui non trovo nessun piacere se non viene accentuata da un minimo di piede fasciato in anfibio
numero44 come minimo” dice Skeeen.
È un fruscio, un raspare, un’ammirevole esposizione di sederi di tutte le nazionalità, perché questo
moderno bordello, questa occasione che è il BOLGIASHOCK possiede troioni di tutte le razze.
È una vertigine alta ma non si sa come dirlo nel vuoto azzurro del soffitto che crolla agli urli: un’ombra
assai nobile e breve: un taglio ne El Horno.
“È uno di quei palloni gonfiati, quello lì, che quando rispondono a una domanda, devono sempre farsi
notare” dice Skeeen e sbuffa e inutilmente pesta parole, una dietro l’altra, nel silenzio assoluto, senza
aspettare tremante fra braccia paterne la schiarita d’un’alba che forse non verrà mai, stanotte.
“È vero che ho continuato a sproloquiare a vanvera, senza temere di entrare, a mio riguardo, in
particolari oziosi, sprovvisti di interesse salvo che per me, è vero che più e più volte ho cercato, per
istinto da istrione, di passare per quello che non sono, di fingere sentimenti che non ho avuto occasione
di provare o anche di attribuirmi azioni che ero completamente incapace di compiere per dare sapore a
una esistenza che era priva” dice Skeeen.
“E vuoi concludere sì o no?” ride l’altro “quanto cazzo di tempo ci mette la gente per venire al dunque,
quante parole dovrai ancora vomitare?!”.
“E, lo confesso” dice Skeeen “io attardandomi sulle cause, ho paura che non mi si segua fino agli
effetti.
“Ebbene, no! Ho detto in principio che mi vietavo l’impiego di tali procedimenti, certamente efficaci
grazie a quella specie di miraggio ingannatore nel quale annegano i fatti a cui restituiscono quello che
essi potevano originariamente avere di impreciso e di caotico, ma a cui comunque, e su questo punto
attiro la tua stronza attenzione, fanno subire tali deformazioni che non si potrebbe più pensare di darne
una interpretazione convincente, e sarebbe naturalmente uscire dal mio obiettivo che è nello stesso
tempo più altero e modesto.
“Ebbene, proprio nel momento in cui mi raffiguravo senza il minimo secondo fine tutto quello che, al di
sopra della stupida cecità degli altri, tutti i piedi di questa terra e io possedevamo di affinità segrete, in
cui mi incantavo a trovarli silenziosi, attenti ai miei desideri, benché in apparenza poco adatti a
penetrare il significato recondito di alcuni particolari della mia esista – a causa della mia evidente
incapacità a capire tutti i termini di una linguaggio che essi, i piedi stessi, conoscevano perfettamente, il
che d’altra parte mi risparmiava di sorvegliare il mio modo di esprimermi e di passare sotto silenzio certi
particolari un po’ troppo tristemente rivelatori e nocivi al concetto positivo che speravo ti saresti fatto di
me – ma che nonostante il loro carattere scandalosamente intimo la paura di rompere il filo del discorso
del mio desiderio mi spingeva a esporre, nel momento in cui, persuaso in buona fede che nella mia
esistenza fosse giunto, sotto le spoglie di un bel maschietto… e via, evia, un reale elemento di emozione
e che la nostra complicità avrebbe assunto – già assumeva con straordinaria intensità – tutto l’aspetto di
un’esperienza cruciale, e tutto mi spingeva a credere finalmente riuscito e passare da una solitudine
fredda e triste (in realtà, il più delle volte essa non era né fredda né triste, in quel momento mi sembrava
tale solo in contrasto col mio desiderio) al confortante calore di una reciproca intesa… e via, e via, in
quel momento appunto il bel maschietto che tutto sommato era solo una puttanella che andava poi con
tutti, come gli altri mi scoppiò a ridere improvvisamente in faccia… e via, e via, così! Cazzo! mi scoppiò a
ridere in faccia soltanto perché io avvicinavo il mio volto al suo piede” dice Skeeen.
“Ebbene sia, parliamo, non esitiamo, poiché non potremmo sfuggire al male comune dell’orrore dei
nostri desideri” dice Skeeen.
Eccitato dallo spettacolo delle sue parole, da raggiunto fascino, picchia sodo e senza esitazioni,
affabula l’astante, lo ubriaca di concetti a migliaia.
“Ecco cosa dovetti fare sotto un sole cocente” dice Skeeen “prima di raggiungere la distesa sassosa
allungata sulla spiaggia: avevo talmente caldo a salire e a scendere e ad attraversare quei boschi
gremiti che mi stesi sulla sassaia e fui felice di appoggiarmi con la schiena al tronco di un pino divelto
dal fiume… e via, e via, restai lì a lungo, nudo, sognando a modo mio, cioè sconclusionatamente, come
probabilmente sognano i cani quando li si lascia in pace e non hanno voglia di dare la caccia, né di
agitare la coda, e neanche di sonnecchiare e per me come, penso, per i cani, sono momenti tanto più
deliziosi in quanto si presentano di rado… e via, e via, tutto quel che desideravo in quel momento, era di
non muovermi e aspettare che arrivasse qualcuno”.
“Ecco i tre gin-fizz per questi signori” dice il barista appoggiando i bicchieri davanti ai consumatori e
indicando con gli occhi u piccolo rigonfiamento al pacco del suo pantalone.
Eccolo alla loro portata quel pacco, assieme al gin-fizz.
Ed è ancora più gigantesco a ben guardarlo. Sorregge le non poche occasioni di guerra a schiaffi.
Ed è come se pesasse notturnamente dentro a quel jeans, prodigamente spogliato per prodigamente
spogliare il suo corpo celato.
“Ehi! Ci hai cagato il cazzo! perché mai non dovremmo guardare! E allora chiudi la porta del camerino
se non vuoi farti vedere mentre ti fistano! Faccia da cimitero! Noi restiamo qui!”.
“Ehi! Come cazzo dici?! Voi non restate qui! Fuori dai coglioni! Andatevene!”.
“Ehi! È ora di chiudere la porta del camerino ti ho detto1 mi sembra abbastanza logico come concetto,
non ci vuole mica una laurea per capire che se lasci aperto la gente si ferma a guardare!”.
“Ehi! Gran pezzo di merda! Vattene tu! Hai capito??!! Benissimo! Restiamo qui stasera, voglio ancora
fargli la festa, non è vero, dolcezza? E non la chiudo questa cazzo di porta perché fa troppo caldo in
questo posto, ma tu te ne devi andare viaaa!!”.
“Ehi! Non hai capito? Pezzo di merda! È ora di chiudere la porta e di non rompere più i coglioni”. I due
da dentro il camerino non reagiscono più, non si sciolgono dall’abbraccio, gli altri, fuori, se ne vanno.
“Ehilà, hai vinto” dice il passivo “ vienimi dentro he mi accenderebbe la luce, per favore, vienimi
dentro”.
Emana dal corpo un odore nudo: impossibile sbagliarsi sa di aspra merda cacata molle.
Emozionato, si muove in direzione della porta per accogliere il nuovo visitatore e accendere le danze,
ma inciampa in una sedia e gli cade di mano il sigaro che, rotolando, va a finire sotto la sling.
Entra nella dark, senza esitazione.
Entra nella mansarda tutta buia, la dark isolata, il coglione è lì che tira coca e si spara seghe di fronte
a Candy-Candy, gli rompe il vibratore nel culo, ne esce un vulcano di sangue, tre sventole sulla
schiena, otto calci all’addome, quello gode.
Entra un venditore di rose pakistano che subito scompare oppresso da tutto quanto il peso dell’universo
strampalato de El Horno che lo porta alle sue vere origini e dalla stronzaggine del mondo irreale che lo
accoglie fatto di pura rappresentazione: qui appena entrato, gira i tacchi e se ne esce: questo posto non
va bene per le sue rose blu.
“Eppure forse mi sarebbe possibile dare di questo posto una spiegazione capace di soddisfare le
persone, di fagli capire che siamo in buona fede” dice Skeeen.
Eppure ricava dalle sue intuizioni come un lingua tutta nuova, un modo sensibile d’esprimersi che si
perde di nuovo negli oscuri meandri della riduzione stilistica dell’irrazionalità… e via, e via, e pure anche
dell’impressione che le due teste di fronte a lui siano ben distinte tra loro, e anche da quelle ne ricava
un realismo babelico e famelico, un cedimento da non parlarne ma quanti poeti dice Holderlin in una
terra non oro hanno rischiato di perdere la parola, a una certa profondità, il segreto del nostro
interlocutore non differisce affatto dal nostro segreto.
Eppure, alla fine, ci si abitua a tutto: non c’è proprio niente da dire, e poiché è del tutto sotto il suo
dominio, il leather lo costringe a leccargli il sesso fino a quando non gli vengono i crampi alla lingua e
non riesce più a muoverla: è bello come la primavera con la sua bella lingua bella fuori.
“Era da morir dal ridere quella volta al Traveller’s, e tuttavia la cosa più buffa era che non sentivo
neanche un sorriso ironico incresparmi le labbra” dice Skeeen.
“Era immobile, la mia bocca era irrigidita come in una strana inerzia, la gente se ne stava lì in pista
pigiata strettastretta in una specie di riposo che somigliava piuttosto a una tensione sfibrante.
“Era meraviglioso veder ballare persone ubriache” dice Skeeen “ed era meraviglioso essere io stesso
un po’ ubriaco… e via, e via, il fatto vero è che ero proprio assolutamente e completamente ubriaco, e
me ne stavo lì seduto a un tavolino di zinco in un angolo rumoroso , ascoltavo la conversazione che si
svolgeva intorno a me e, attraverso il fumo azzurro delle sigarette, guardavo di volta in volta le coppie
che mi sfilavano davanti, cercando di afferrare al passaggio un qualunque frammento di conversazione,
ma era superfluo: il portamento e la fisionomia me la dicevano più lunga di tutte quante le loro parole
messe in fila l’una dietro l’altra.
“Era proprio per me che risuonavano quelle voci imperiose e colme di solennità selvaggia” dice
Skeeen “per me, solo per me, che esse chiamavano, non c’era da sbagliarsi né da cercare una
scappatoia: mi chiamavano! Eppure per gioco finsi – lì seduto vicino al bancone del Traveller’s – di
restare sordo ad esse e rimasi immobile, con gli occhi a terra a rimirare le luci che si riflettevano.
“Era tanto se ancora mi preoccupavo del presente e tuttavia, per quanto tempo avrei subìto il potere
anche di quella musica? Non si sarebbe dissipata a lungo andare e non sarei stato costretto un’altra
volta ad espiare con un crudele disgusto di me stesso la vergogna di aver parlato pubblicamente,
ancora una volta, dei miei dissennati gusti? Il fatto è che tutto si svolse secondo il processo appena
descritto, ma questa volta, tanto era pesante il senso della mia disgrazia che, giudicando la paura come
il rimedio più efficace, persuaso che essa sola mi avrebbe consentito di provare un certo sollievo, se
non di sfuggire completamente alla stratta del rimorso delle mie azioni… e via, e via, giunsi a
rimpiangerla, quella paura, e nello stesso tempo ad augurarmi la prova di un castigo dal quale no
dubitavo che sarei uscito rigenerato.
“Era uno spettacolo veramente disgustoso! Appena ebbi richiuso la porta del camerino per gloryhole
dietro di me, tutta la sala, là fuori, si riempì di uno fischio di voci simile al ronzio di migliaia di zanzare.
“Ero dunque mosso dall’angoscia in cui mi gettava l’impossibilità di fare il primo passo e di appoggiare
delicatamente la mia boccuccia di rosa socchiusa proprio lì, vicino a quel lordo buco appiccicoso,
aspettandomi che una cosa qualunque potesse colmarla.
“Erroneamente ritenevo di essere uno spettatore, quella sera al Traveller’s” dice Skeeen “quando era
evidente che ero uno degli attori minori, il meno interessante di tutti, forse, proprio quella sera, proprio a
causa dell’atteggiamento vile e passivo in cui mi trinceravo”.
Esce il sangue vermiglio da un capezzolo, e bolle e fuma: com’è tenera la peluria del petto di un rosso
di capelli e come bene guida, e come bene accoglie lo sperma bianco la sua fronte e i suoi ciuffi: onde
sparate di grazia più che corporea e dolcezza di chi sa, di chi ha capito che il suo eccesso di colore
rosso è già bandiera di splendore.
“Esiste forse qualcuno abbastanza disonesto da sostenere che non apre mai il bucodiculo se non per
fare sentire il delizioso calore delle sue viscere? Mattacchione! Aprendo il bucodiculo, forse non sapete
quello che prenderete, ma la convinzione l’abbondanza necessaria nelle circostanze e nell’eccitazione
che essa provoca in voi, vi dà l’ardore di cominciare a fare sesso a caso, di tentare delle prove, di
concedervi a più penetrazioni d’ogni tipo: l’importante è soddisfare immediatamente il nostro unico
bisogno dice Skeeen.
“Esse non sono servite ad altro – tutte queste penetrazioni, voglio dire – che a camuffare la vergogna
che provo per un vizio così poco esaltante a cui mi è sgradevole pensare che ci abbandoniamo tutti in
comune con la stessa frenesia” dice Skeeen.
F
“Facevo del mio meglio per sembrare del tutto a mio agio e con ogni probabilità non avrei mai
sopportato di vedere quel tale soffrire davanti a me, e proprio a causa mia, se prima non avessi bevuto,
a lunghi sorsi, parecchie Ceres… e via, e via, ed egli mi era grato di questa indulgenza, volendo, penso,
significare altra cosa per lui – ma già sentivo che era una persona di scarsissima pratica, non utile per il
mio modo di pensare… e via, e via, e diceva zono venutto aposta qui per voi, patrone, e mi zcuzo per la
cativa pronunzia del mio aciento stranierro… e via, e via, ma ecomi qui, giaccio per voi, patrone, zono
tappeto, zono coza che verammente non si ben capisce perché giunta fino a voi ma debellatemi,
debellatemi disse proprio debellatemi disse e poi ancora dimenticatemi che mi achiamo Jimmy, ma voi
chiamate a me cane o beztia o larva o come vi parre di più ciusto, patrone… e via, e via, e mentre diceva
questo sembrava mio, cioè potevo fare tutto quello che volevo, e tutto sembrava autentico smarrimento,
altissimo pronunciamento e l’infinita cortesia sua, quel tanto di leggiadro e fanciullesco assieme che è
l’esatto modo di dire le frasi più impensate, la nessunissima importanza delle cose che diceva, quasi
che egli, della sua stessa persona, ne volesse nascondere la realtà, la tangibilità, disponendomi subito
bene verso di lui, accentuando così le mie percosse senza che egli si sottraesse a quella specie di
regola… e via, e via, del resto s’era ben capito che era mio succube, con quel volto scavato e quel suo
buon aspetto rabbrividito che lo faceva stare davvero bene, l’abbelliva” dice Skeeen.
Fanno a gara a ricordarsi quanti più posti possono, poi pensano a qualcuno che sta male di HIV, e si
precipitano a nominarlo a viva voce… e via, e via, eppure questo luogo, questo El Horno, che sembra
andare oltre ogni ragione, forse, in realtà, va oltre soltanto ogni ragione in un linguaggio tutto suo, un
linguaggio tutto particolare che parla dell’armonia e della bellezza e dell’unità ma precisamente proprio
di quell’armonia e di quella bellezza e di quell’unità che si pongono esattamente come differenziazione
che rivela l’essere come bellezza… e via, e via, ma questo locale non è ancora maturo per tutta questa
bellezza che ha pure intuito esistere… e via, e via, per questo mondo parallelo – per El Horno, intendo
dire – la verità della bellezza è ancora linimento, sutura delle lacune, delle mancanze della vita
quotidiana ma invece con questa beltà si riaccende la terra novamente, la s’infoca novamente, quasi
portale fosse all’essere, quasi portale fosse all’entrata dell’inferno: insuperabile puramente anche la
medesima beltà: è che le cose, qui, sono caduche, e così anche le persone sono caduche, e cercano
nelle loro stesse capacità di mutarle, le cose, e di trasfigurarsi in loro, la salvezza che non possono dare
proprio perché questi esseri sono i più caduchi e quindi anche il loro dolore si fa cosa per loro stessi… e
via, e via, e quindi qui, in questo mondo parallelo, anche la morte per HIV ha una sua storia, e nella sua
storia ha un suo pensiero, e questo pensiero si trova di fronte all’orrore della morte ma anche in
momenti come questi, in cui pare che il mistero del mondo e della vita abbia fine o importanza alcuna,
la morte medesima, il rischio di contagio, s’illumina come bellezza e quindi la si nomina e si nominano i
nomi: lo splendore della bellezza ha assunto negli anni, per queste persone, significati diversi, ha
occultato tutte quante le contraddizioni che avrebbe potuto invece illuminare ed essa stessa, questa
sensazione di morte prossima, s’è occultata e resa irriconoscibile: ma è proprio dove la bellezza è più
nascosta e dove è più misteriosa, che essa esprime ogni suo senso più alto: fanno a gara a ricordarsi
quanti più nomi possono, poi pensano a qualcuno che sta male di HIV, e si precipitano a nominarlo a
viva voce.
onTV
FASHION SHOW quadro quinto: fuori campo c’è la voce di Barry John, commenta: “nei modelli che
adesso vi presentiamo tutta la profondità e la ricchezza della cultura tradizionale indiana si combinano
splendidamente alle ultime tendenze della moda internazionale a creare una scintillante indo-west-
fusion” ed è musica punjabi bhangra a fare da colonna sonora: strumenti indiani classici mischiati a
suoni occidentali, musica elettrica, vibrante, magica, mentre in pedana Audrey Casmiro & co. Che
presentano il nuovo trend dell’alta moda indiana: un churidar rosa abbinato a un grazioso mini kurta con
pailettes e poi pantaloni di jodhpur verdi con choli di stoffa rajasthana… e via, e via, fascino delle mille e
una notte ricreati in un vaporoso modello: pantaloni arabi, veli e ventre nudo. Sono gli abiti più applaudi
della collezione di Hemant Trivedi.
“Fatto sta che quello spettacolo mi terrorizzò e mi ispirò il desiderio sfrenato di correre avanti, di
continuare” dice Skeeen “di avventurarmi attraverso il mobile ostacolo tenebroso del dolore e del
piacere: ebbene, la legge della natura più intimamente impressa nel mio animo è di disfarmi, per quanto
posso, di tutto ciò che cospira contro di me… e via, e via, è per me, ormai, una legge sacra, che mi
muove e m’ispira incessantemente: prima io, di certo, e poi ancora gli altri, comportarsi in modo diverso
sarebbe preferire gli altri a se stesso”.
“Fatto sta che resistevo, e questo era l’essenziale: io parlavo, io gli parlavo, io lo insultavo e io lo
picchiavo… e via, e via, e con quale godimento! E gli parlavo ancora e lo picchiavo ancora e lo insultavo
ancora: Godz”.
“Fece ancora qualche sforzo è riuscì a mettersi accovacciato sui talloni, con le braccia strette intorno
alle ginocchia, poi d’un tratto fu in piedi, ma tutto il corpo ondeggiò, e girò su se stesso in modo tale che
perse l’equilibrio afferrandomi con una mano e io allora gli mollai un ceffone sonoro proprio qui vi
volevo, padrone, disse quello, ed è su questo vostro disprezzo che confido: ho qualche diritto di
sperarlo? non ho ragione di dirvi di non considerarmi affatto? Avete cominciato, padrone, con un’azione
a vostro avviso insignificante ma quello sputo vi ha legittimato, padrone, considerato privo di
conseguenze, quel gesto, può condurmi, invece, a trasgredire i limiti fino agli estremi eccessi… e via, e
via, ascoltatemi, padrone, gettate il mio imperdonabile volto nel dimenticatoio fino a perderne ogni
ricordo!
“Fece un debole tentativo per turarsi in piedi” dice Skeeen “con un rauco ansito dovette subito
rinunciare ai suoi e rimase. Rigido, appoggiato contro la panca in marmo del bagno turco della Fermas,
sembrava avere tutte le articolazioni arrugginite e che le sue membra fossero una materia morta.
“Fermas è il nome della sauna in cui tutto questo accade, ponendosi anch’essa fuori dalla realtà, ha, da
quando esiste, una sola occupazione che è decisamente avvincente: quella di enumerare, fino allo
sfinimento, tutte le possibilità di annullare, una ad una, tutte quante le identità di ogni essere umano che
la frequenta… e via, e via, alla Fermas soltanto l’enumerazione ininterrotta, monotona, ha il potere di
aprire, davanti ad ognuno, il vuoto, il deserto eterno dell’affetto al quale la sua furia di luogo d’inferno, di
desolata landa, tende” dice Skeeen, si trova anche in una situazione morale ben diversa da quella dei
suoi eroi letterari: spesso dimostra sentimenti umani, conosce sì fatti di sfrenatezza e di estasi che gli
sembrano prova di altissima sensibilità e ritiene di non dovere eliminare questi stati d’animo pericolosi
ai quali lo costringono i suoi desideri invincibili… e via, e via, così osa guardarli bene in faccia ma è frode
grossolana per causargli la seppur minima inquietudine.
Feticista dei piedi! Quasi ad insultare, ma non si può percepire l’oggetto del desiderio senza il suo cono
d’ombra, il suo lato oscuro di brama, e nell’ombra dell’avidità è il suo stesso segreto: detto per esteso.
Entrati nel segreto di una sessualità nascosta, di lì si ha accesso, di là dal suo involucro e dalle sue
apparenze – in casi come questo a forma di piede – all’infinito tormento, al grande paradosso che mette
in luce una bellezza transitoria ma eternata come nella mente: è davvero come uno spleen, è davvero
come una malinconia, è davvero una paresse che è come una beatitudine dell’anima, che la consola,
l’anima, d’ogni perdita, e che si sostituisce a tutto,… e via, e via, la gravità di taluni fatti è, a volte,
insostenibile: si tratta come di una guerra – ma persa in partenza – o di uno stato di malessere,
dell’incedere elegante di una instancabile e martellante violenza che striscia come un fuoco doloroso
sulla terra, e a Skeeen pare che tutti questi fuochi stiano per congiungersi: confusioni e allarmi e
avvertimenti: tutto è dappertutto: sembra dare testate ad un pesante cielo di piombo, a un’ossessione di
una gravezza amara… e via, e via, e tutto questo come se Skeeen fosse ebbro di piedi e la sua vita non
foss’altro che eterno pensamento e rovello che pesa come una montagna nel cuore di un uomo… e via,
e via, ma i piedi! Ah i piedi… e via e via, Skeeen si trova in un simile stato d’animo miserrimo per non
dire disgraziato.
Feticista dei piedi! Quasi a insultare, ma tuttora non sa che cosa diavolo sia successo tra lui e i
burattini dei suoi pensieri, perché guarda in questo modo prima essi e poi ancora egli stesso. Si
potrebbe pensare che quella frase getti stupore per la prima volta su un Mondo che mai avrebbe
ritenuto possibile, situato da qualche altra parte… e via, e via, qualcosa che fino ad oggi gli era sfuggito
e che lo getta proprio in un’ansia profonda.
“Finalmente mi è concesso” dice Skeeen “finalmente regna in me una serenità sempre crescente che
non è frutto di inerzia ma di non so quali sforzi precedenti di cui solo oggi ottengo la ricompensa, mentre
ancora una volta mi domando che cosa abbia mai potuto lasciarmi il ricordo di un simile e la risposta mi
giunge in un lampo.
“Fino a questo momento” dice Skeeen “avevo evitato di guardarlo in faccia questo mio mondo fatto di
particolari e di piedi, ma adesso, per ingannare la paura, tento di squadrarlo freddamente, questo
universo, con uno sguardo tranquillo e assumo atteggiamenti disinvolti, mentre mi mordo forte la lingua
per impedire alle labbra di tremare”.
Fissa con sguardo di gioia la corte d’uomini all’interno de El Horno, un quadrato coperto da un sottile
strato di polvere e di macerie flessuose, uomini posti a divorare come fiamma.
Forse anche tu sei un extraterrestre e non lo sai ancora ma un giorno lo scoprirai e così proprio quando
il tuo cervello esploderà con il suo misero involucro di povere informazioni che ti concedi e finalmente il
tuo codice genetico sarà libero di esprimere tutta la verità che ti riguarda e allora saprai e non sarai lo
stesso mai più dice Nina.
(“Forse bisogna persino vedere in questo ennesimo fist la vera causa di quella impossibilità a
confidarmi della quale mi sono detto fin da principio quanto avesse nuociuto ai rapporti intimi che avrei
voluto avere coi miei amici”) dice nella sua mente.
(“Forse è vero, invece, quello che mi dice Nina”) dice nella sua mente il tipo e intanto si fa spingere
nell’ano anche il secondo braccio così da avere ancora allucinazioni e vedere Nina sempre Nina che gli
parla, una vera e propria visione, come una madonna aliena, una dea indiana e l’ama più di quanto non
vorrebbe.
“Forse la vista del suo viso pesto appoggiato di culo alla panca in marmo, in un altro momento mi
avrebbe tolto il coraggio di picchiare ancora, forse avrei ritenuto più prudente non andare oltre e avrei
fatto dietrofront! lasciandolo a rantolare nello sperma e nel bagnato a terra, a pancia sotto, tra i vapori
della sauna” dice Skeeen.
“Forse non avevo paura, quella volta, di continuare, come per contrasto al tenue lume rossastro
brillavano arrampicati sui velieri dei vapori i suoi occhi.
“Forse, in un altro momento, avrei saputo resistere a quella musica affascinante che letteralmente mi
ghermiva e mi sarei chiesto come esseri dalle attrattive così ridotte riuscissero a far sgorgare dal fondo
di se stessi un canto sì puro e così ineffabile che c’era in esso del miracoloso, e, poiché mi era
giocoforza riconoscere che essi ne erano gli interpreti, come potevano senza danno vivere tra quelle
alte mura di vapore che erano state frapposte fra loro e l’armonioso paesaggio dei corpi che i miei occhi
non si stancavano di percorrere palmo a palmo, e in balìa di uomini del tipo di quello spilungone – ma
dopo tutto chi mi assicurava che sotto l’aspetto sostenuto non nascondesse, quel posto, tesori di
qualità? Chi se non uno dei maestri, e perché non quello stesso che per le strade rappresentava la
ridicola parte del buon impiegato, dirigeva l’esecuzione di quel coro in cui ogni esecutore si atteneva
inflessibilmente alla sua partitura? – non ha importanza! Tutto questo avrebbe dovuto incuriosirmi e
disgustarmi al punto di farmi quasi dimenticare la meravigliosa dolcezza di quelle voci, ma anche mio
malgrado, qualsiasi difesa io frapponessi, nonostante la determinazione di non lasciarmi mai smarrire
da qualcosa che mi commovesse all’improvviso (atteggiamento che, tra quelli che mi conoscono, è
valutato in modo diverso e mi vale la fama, di essere freddo), ero completamente in preda a quella
musica che mi inondava, mi schiacciava, mi annientava in tutta la sua spaventosa pienezza,
spaventosa in quanto mi lasciava disarmato… e via, e via, insomma, quella volta, alla Fermas, andò
così” dice Skeeen.
“Fortuna che ci sei tu… e via, e via, e che mi mostri i tuoi piedi attraverso i sandali” gli dice banalmente e
quello banalmente non capisce e dice “grazie”, “grazie un bel cazzo” dice Skeeen “cosa devi ringraziare
se hai un bel piede! ho già lo stesso odore anch’io, pregno sono della tua rara beltà e gentilezza: ho
sentito come tremava il piede tuo: che numero hai?... e via, e via, i tuoi amici sono tutti di una bellezza
straordinaria, e anche loro hanno bei piedi… e via, e via, no! Non ti guarda nessuno, queste cose te le
posso dire, c’è un frastuono tale che nemmeno le sentono, adesso: mostrami il piede! Un gran pezzo di
Masaccio, un dardo, una rupe, una certa allusione ad un infinito amore il piede tuo: piede puttana, piede
magnaccia, piede ladro, piede contadino, piede assassino: infinita impazienza il piede tuo per questo
mio povero giardino che è la bocca mia… e via, e via, una rosa il tuo piede, pende umile, del tutto
rabberciato… e via, e via, è nuova nascita il piede tuo, adunca unghia, sandalo di cuoio, odore, buon
odore, necessario odore, vortica per conto suo per tutto quanto questo El Horno”.
“Frequentiamo soltanto le stesse saune… e via, e via, e allora?... e via, e via, sì!… e via, e via,
frequentiamo entrambi anche gli stessi locali compreso questo… e via, e via, sono tutte quante cazzate
quelle che dicono su noi due qui dentro, tutta gente che non sa farsi i fatti suoi… e via, e via, siamo
solamente fratelli gemelli, tutto qui… e via, evia, non è per niente vero che scopiamo fra di noi anche se
ti dico che non mi spiacerebbe di farmi una bella inculata con mio fratello” dice il gemello col suo
piercing nel punto più alto del suo orecchio… e via, e via, si appoggia alla parete, sente la carta nera
della tappezzeria che copre i muri cedere sotto la pressione dei suoi pensamenti e delle sue spalle e di
quello che ha appena detto consapevolmente come se dietro a quella stessa carta nera ci fosse il
vuoto, una vorace che potrebbe improvvisamente inghiottire tutti misteriosamente… e via, e via, ma
resta dritto, bilancia il suo peso ora su un piede ora sull’altro… e via, e via, ascolta la voce dell’altro
adesso, guarda le mani dell’altro fratello, adesso, che paiono tracciare decisamente nell’aria il profilo
della beltà che egli una volta aveva scoperta nel Mondo e che poi aveva consegnata al regno dei
ricordi, a quelle grandi campiture dell’anima in cui gli pareva di sprofondare ogni volta, in una
dimensione di verità sconosciuta fino a rivedere nei gesti ampi delle mani tutto il suo amore… e via, e
via, si muove come danzando intorno al ragazzo delle mani col suo piercing all’orecchio, con la
camicetta sbottonata fuori dai jeans sdruciti e ricuciti e sdruciti e ricuciti, offrendo tutto il suo corpo allo
sguardo gelido dell’altro: un riflettore illumina adesso il corpo del ragazzo delle mani, scoprendo la
superficie del corpo, rivelando zone d’ombra, dorando la sua pelle di curiosissimi riflessi, accendendo la
morbida e ricciutissima peluria rossastra intorno al suo cazzo, turgido e molle insieme, come fosse
incerto se assecondare l’impulso del suo eccitamento oppure no… e via, e via, si misurano col metro dei
loro cuori, i due gemelli, nella tenebra d’una qualche infanzia, nello spessore della luce e della
bianchezza immortale del loro essere eretti, vicini, col fiato medesimo che li bagna, dal loro
arruffatissimo mare dei sensi, dalla loro colonna di saliva salata ed estatica che, come pulviscolo,
violentemente al tatto si infrange e si smorza nel loro medesimo riconoscersi amanti nuovi.
“Fu allora che mi balenò l’illuminazione che quel che cercavo tanto lontano l’avevo sotto mano.
“Fu allora che si verificò un fatto straordinario.
“Fu parlando con un mio amico che ho iniziato e che mi disse guarda attraverso gli annunci sulle
riviste porno puoi entrare in un giro di coppie che cercano ei manzi per scopare può proprio capitarti di
tutto dalla coppia ricca ai tipi più viziosi non è difficile basta avere costanza nella ricerca e sapere
aspettare perché il meccanismo è lento a partire ma una volta entrato nel giro puoi scegliere e ti
assicuro che ti diverti ecco da questo breve racconto fu l’inizio della mia fine in un tunnel infinito un
fiume inarrestabile di coppie su coppie su coppie un incubo un sogno un delirio” dice una voce al tavolo
accanto.
“Fu perciò con indicibile sollievo che lo vidi improvvisamente risollevarsi” dice Skeeen “e raggiungere
incespicando, con la testa incassata nelle spalle magre e cadenti, l’angolo del bagno turco con tutti i
suoi vapori, senza fare una piega forse perché la forza di persuasione che certe parole hanno, lo
ridussero a un piccolo esserino in balia di chissà quale ideale e chissà quale speranza… e via, e via, me
ne uscii andando verso il bar della Fermas che quel giorno era estremamente affollata… e via, e via in
un angolo della sala, da dove avrei potuto sorvegliare con la coda dell’aocchio qualunque movimento di
chiunque”.
“Fu quando la musica trasmessa dai monitor de El Horno decelerò” dice Skeeen “che mi alzai, e, con
grande sorpresa dei miei amici sino ad allora mi avevano completamente trascurato, mi diressi deciso
verso il giovane pelosotto… e via, e via, non ebbe il tempo di acconsentire, il rosso maledetto intervenne
pronto dichiarando in tono insolente e perentorio che era suo, che lui lo aveva visto per primo… e via, e
via, ma non tenni conto della sua stupida rivendicazione e, afferrando rapidamente il ragazzotto per la
vita rotondetta, lo trascinai verso la zona della dark dove cominciammo a slinguazzarci… e via, e via, il
rosso di merda ci seguì, aprendosi un varco tra le coppie e i gruppi in piena action, non era affatto
disposto a mollare l’osso, la cagna, e m’intimò di rendergli quel che non mi apparteneva… e via, e via,
gli chiesi se il ragazzotto pelosotto gli appartenesse in qualche modo personalmente, se fossero per
caso fidanzati o che so… e via, e via, no! rispose, bene in tal caso gli consigliai di impicciarsi dei cazzi
suoi aggiungendo che dovevo avvertirlo che ero leggermente ubriaco, ma giusto abbastanza da
perdere, volendo, il controllo… e via, e via, al colmo della rabbia, come fiera ferita, protestò più di prima,
con gli occhi avidi e sconvolti fissi sul pelosotto che non poteva avere e il cui sguardo indifferente alla
scena si perdeva verso l’altro lato della sala completamente buio, con la voce rauca resa solamente
tanto furibonda dall’enormità del danno che gli arrecavo con quella beffa… e via, e via, gli dissi di
piantarla e lo pregai di smettere quella cattiva commediola becera: doveva prendere la cosa con
maggior serenità, a chi tocca, tocca, aggiunsi con tono scanzonato, consigliai che forse sarebbe stato lo
stesso per lui scopare con quel ragazzo grasso e triste che aspettava laggiù, nel suo angoletto, un
invito caritatevole… e via, e via, queste mie parole di fuoco raddoppiarono il suo furore, il volto livido di
rabbia, le braccia incrociate, personificazione imbecille di cacciatore schernito, un fallito, si preparava,
evidentemente, a separarci a forza di pugni e io mi tenevo pronto a parare i primi colpi e a restituirglieli
centuplicati tutti quelli che fosse riuscito a darmi.
“Fu quando la musica trasmessa dai monitor decelerò “dice Skeeen “proprio allora il giovane
pelosotto, abbandonando l’aria svagata da eterna prede, lo squadrò con occhi scuri, freddi e alteri, e gli
snocciolò in lingua spagnola una scarica di parole apparentemente molto sferzanti che parvero
paralizzarlo e così, dal modo avvilito e sottomesso con cui l’altro abbasso gli occhi, capii che era un
uomo ormai pronto ad abbandonare la lotta… e via, e via, rimase lì per un attimo, senza saper che fare,
e il suo viso, ormai, non rifletteva altro che una collera puramente esteriore… e via, e via, si limitò a
guardarci entrambi a turno, con la bocca semiaperta, come in attesa di fare uscire un suono qualunque,
una qualunque parola, poi indietreggiò di qualche passo per evitare due coppie dalle quale rischiava di
vedersi circondato e si riavvicinò a noi quando fummo rasenti al muro più oscuro della dark, per
balbettare che dopo tutto lui era libero di dare spettacolo col primo ragazzino che gli sarebbe capitato
fra le mani quella notte stessa… e via, e via, benissimo, grazie, dissi in tono sarcastico, grazie tante! e
non rompere più i coglioni… e via, e via, alzò le spalle, ci voltò le spalle e andò a sprofondarsi davanti a
un tavolo sul limite del bar con l’aria fiacca e leggermente vergognosa di un uomo messo alla porta”
dice Skeeen.
Fuori fa freddo, si sono come demolite le mura dei fabbriconi che circondano tutta la zona e al loro
posto cominciano a sorgere locali su locali per gay, ma questa parte della città è resa così triste e
malsana, questa zona è annerita e rovinata dal tempo, a pochi passi da El Horno son cadute delle mura
e lì parcheggiano le auto del battuage e si vede un lungo e vecchio e tetro casamento abbandonato a
tre piani dove si batte, fabbricato secondo le leggi del secolo scorso… e via, e via, questo palazzone, ora
completamente disabitato – il cui portone, massiccio ma spalancato, conserva stranamente ancora il
suo picchiotto in ferro battuto e porta il numero 5 – era passato fra le mani di parecchi proprietari,
compreso il comune che ne aveva fatto alloggi popolari, per poi venire abbandonato al suo destino, a
ricettacolo di amoreggi improvvisati, di braghe calate, fra odore di fango nerastro e appiccicoso e merda
e sperma… e via, e via, come se un sole barbaro fosse qui disceso per restarne nella vita di questo
caseggiato, a contemplarlo mentre diviene rottame sciancato, in una specie di sprofondo, nel puzzo
sublime da colera che aleggia sui corpicini nudi o seminudi che si spompinano e amorevolmente
s’inchiappettano, in questa spudorata cornice d’armeggio che annuncia la miserrima mortalità da festa
delle mille e mille latrine che come neve accampano una invisibile folla di milioni di viventi: è in luoghi
come questi – cessi o territori abbandonati – che il sesso diviene consolazione alla miseria dell’affetto,
puttane e regine, troni sfarzosi e ruderi macilenti, terre merdose, puzzi di prati fatiscenti annaffiati di
spermi e scettri fra le braghe calate e poi ancora abbai nella notte come cagne in calore e aspri
godimenti sporchi e feroci senza nessun nome… e via, e via, ah, qui tutto difende il possesso della vita…
e via, e via, qui tutto ammicca in silenzio, anche gli sguardi escludono il mondo reale e tutto tace intorno
a loro – che ne sono come esclusi volutamente – da questi rifiuti del Mondo ne nasce uno nuovo di
Mondo e non c’è legge ma sesso, finché c’è vita e anche il più miserabile si sente oggetto di desiderio e
di avventura e forza e leggerezza: questo è il senso di certi posti come questo all’aperto… e via, e via, le
strade intorno a caseggiato sono piene di rose selvatiche e di fetore, nessuno le pulisce proprio più.
G
“Garantito che in vita vostra non avete mai visto tanti palloni gonfiati da palestra, tutti che fumano come
camini e parlano in modo da farsi sentire e fare apprezzare da cani e porci” dice Skeeen “quel giorno,
alla Fossa – questo mi ricordo e lì stava in quei giorni il mio prossimo angelo del purissimo desiderio – mi
sembrava un giorno di libertà e ci si andava bene e tranquilli in quei giorni lì alla Fossa, il sole, le
magliette leggere e c’erano tutti che stavano lì a battere e a battersi fra loro anche se effettivamente
sembravano ma erano splendidamente vestiti, con abiti da guerriglia e da arrembaggio, era la loro
durezza che così bene li vestiva proprio lì, in quella veccia e cara e immobile Fossa, a fianco della
stazione, in pieno centro della città dove nasce la giovinezza dell’inseguirsi, dove ogni sensibilità è
senza freno anche in pieno giorno, in piena luce… e via, e via, quel giorno pareva che i muscolosi
avessero gettato via il loro abbigliamento, pallidi da lieve capogiro, in arma da combattimento: un
gigantesco sfacelo:… e via, e via, qual piccolo braciere della città, quella Fossa, è da sempre una
capanna divorata da fiamme di sesso e di passione ma tutto è come sempre fumo e ti stupiresti se,
dentro un tale incendio, ci fosse la frescura di un lungo e tenero fuoco di amore malinconico… e via, e
via, no, lì alla Fossa, tutto è ormai piena furia e scolora e dà ansia da prestazione al mistero del sesso
sfrenato… e via e via, lì si fa un qualche passo, alzando eretto il mento in un ingenuo e ostentato gesto e
poi ancora si resta fermi, ammessi tra quelle mura diroccate come in una reggia, nell’odore di urina e
merda che s’accostano alla ferrovia nord, in quella luce irreale di cui si ha timore e brama: una turbata
purezza, si direbbe … e via, e via, e si gira tra la pavimentazione di terriccio nero olezzante, una
scalcinata vitalità, e terroso che lancia a dritta e a manca sospettosissimi sguardi d’animale come le
genti che lì soggiornano ad ogni ora e si incontra la buona classe del pompino, e il buon portamento
delle chiappe e si punta per un attimo all’eternità dell’amante sconosciuto, verso occhi caldi, fiati di
fiamma”.
“Già, adesso mi dici così” ed è già un bel po’ preoccupato per la nera presenza di Powerfist “ma dopo,
dico dopo, se cominci a prenderci gusto… e via, e via, mi ci ficchi dentro di tutto, perché tanto funziona
così, e poi ancora mi si irrita il buco come l’altra volta e per almeno due o tre settimane non posso fare
più niente” muerte, è per la prima volta in vita sua come minacciato e sente sorgere come un profondo
torpore, si agita e, rinculando contro il muro, scatta come attraversando un fiume coperto di trine lorde e
ne sprofonda sulla riva.
“Già, adesso sarà invece dura, mio fratellino” dice Powerfist “offri troppa resistenza”, “ma che dici?!?...
e via, e via, sento appena appena” dice l’altro… e via, e via, “salta sul mio sorriso” dice Powerfist
“aggrappati, non fare caso al dolore, non ti scoraggiare, forza”: dritto come un fuso il braccio alzato
come per trapiantarsi dentro l’altro.
“Già da un po’ ho la sensazione che sto ostinandomi a continuare un ridicolo e futile monologo su una
piazza virtuale” dice Skeeen “questa Fossa, da cui un pubblico deluso si è allontanato da moto tempo
alzando le spalle, ma sono talmente puerile da rallegrarmi all’idea che la mia rivincita consisterà nel
lasciargli per sempre ignorare se mentivo di nuovo sui racconti di questo luogo e su tutto quello che
riuscirò a dire… e via, e via, si esce dalla stazione nord, stritolata di pendolari e claustrofobica, e si
affrontano i territori sconosciuti e indistinti della Fossa, una specie di sobborgo in pieno centro e
sgomento sessuale: si piomba in un reticolo di anfratti ma in piena luce che negano, a chi non li
conosce, un qualsiasi riferimento con la realtà cittadina: è come essere tra le piante, prati, avvallamenti,
campi: come se intorno non ci fosse la città… e via, e via, annichilisce proprio la facoltà di orientamento,
e annichilisce tutto questo brullo e aspro e polveroso paesaggio: un cataclisma edilizio, si direbbe, ha
generato quest’area non grandissima e rettilinea, una campagna ibridata e sintetica… e via, e via, qui
proprio il processo di spaesamento raggiunge una dimensione assolutamente inattesa, teatrale” dice
Skeeen.
Già mi sento chiedere come abbia potuto dimenticare di trascrivere proprio quello che è più significativo
o comunque più piccanti in questo luogo, ovvero il brusio di nomi d’arte e di battaglia… e via, e via ecco
la loro danza oscura: si chiamano la Valligiana (che scende ogni fine settimana giù dal bresciano), la
Passoscuro (che non sorride, non sorride), la Malpasso (sciancata e sempre prona a conoscere
marocchini), la Grottanera (pare abbia il buciodeculo più nero e incrostato di tutto il pianeta terracqueo),
la Sanguinaria (quella sì che è stata una volta in prigione, c’è stata una volta per una rissa in un locale
leather), la Femminamorta (noiosissima, parla con la sua vocetta querula), la Pantano (ha sempre un
aspetto lordissimo, odora di stantio), e poi ancora: Idroscala (che spesso lascia il suo territorio
d’adozione, da cui il nome, per venire in Fossa a battere), Intossicata (ex tossica, ma che alcuni dicono
ancora tossica), Manomorta (famosa per i suoi lesti toccaggi agli studentelli sulla linea del tram che va
verso Gratosoglio) e Campodicarne (grassa, sterminata, una distesa immensissima di adipe che oltre
non si può)… e via, e via, ma dove si prendono questi nomi di suono? non lo sa nessuno, essi sono
come la distesa di sangue battuto, pesto e arato, versificazioni di tessuti epiteliali, appezzamenti di
carni sfatte, prati di pelle e grasso e osse e muscolature e tegumenta sono… e via, e via, e poi ancora
c’è la Diavola (terribilissima e cattivissima amica della Valligiana) la Cessate Spirti (un po’ perché è
cessa, un po’ da un’aria del Donizzetti, parrebbe dalla Sonnambula, che dice di amare) e poi ancora,
nuovamente, si chiamano on nomi di sogno, la Fontana (sempre a boccaperta, pronta a ricevere nel
suo antro sdentato qualunque cosa), la Bandita (lesta nel furto di portafogli da braghe calate), la
Quartoggiara (che da quel quartiere vie, e nient’altro) l’Impiccata (con la sua faccia biancadaverica, una
volta c’ha provato per davvero ad impiccarsi ma si ruppe la trave… le risate!!), la Tuttatette (enormi
poppe pelose, bei capezzoli turgidi da ciucciare), la Cazzodimorto (ce l’ha enorme e ce l’ha sempre
smosciato, non c’è proprio verso), e c’è la Caronte (dimonia con gli occhi di bragia) la Pisciapiscia
(grandissima amante di goldenshower e affini), la Mangiamerda (un nome, un programma) e la più
giovane di tutti che di nome fa la Ticotico (dal suono della vecchia canzonetta).
“Già stringevo il recinto dei miei ricordi, come un affamato stringe n pezzo di pane, quel giorno alla
Fossa” dice Skeeen “una crisi del mio stesso orientamento lungo le piste cifrate, spaventose,
inaccessibili e sconosciute di quel luogo… e via, e via, questo preambolo serve solo a dare un’idea di
quanto possa essere tortuoso un rettilineo come questo di poche centinaia di metri: qui viene incontro
un piccolissimo infernetto afflitto e triste e storto e claudicante… e via, e via, arrivando dalla Cadorna
stazione nord si corre in mezzo come a una pineta superba di classici palazzi cittadini finché, di colpo,
superato il piccolo parcheggio a pagamento e il semaforo, si sbuca, improvvisi, nella stradolina tagliata
da un posto di blocco, una vecchia sbarra di ferro messa lì a bellapposta come per intralciare il passo:
oltre quella, tutto è vitalissimo, lo spazio è vastissimo seppure limitato e ci si lascia da una parte il
Teatro dell’Arte e la Triennale annunciati ossessivamente da cartelli segnaletici per i turisti, restando
però sulla sinistra del percorso stradale, dove sfrecciano consapevolissime auto che sbirciano, ecco
aprirsi un nuovo mondo: è ancora presto, quel giorno, le quattro del mattino, insonne, ma già alle prime
luci dell’alba un ordine quasi religioso regna e acquista un suono da rantolio e un colore d’amalgama di
corpi confuso e magnifico, fervido e laborioso, un ansimare inesausto dei cuori… e via, e via, un ronzio,
uno schiumare leggero e luminoso, di spermi come danze fra sorelline acerbe, d’altronde questi influssi
mistici sono piuttosto comprensibili e sembra normale che in una città come questa, laboriosa e
industriosa, possa esistere un logo come la Fossa, una zona pallida e devota, un ricettacolo che
trasporta, come su di un vassoio d’argento, il rinnovato sacramento d’una eucarestia pagana e
amorosa del sesso… e via, e via, ma naturalmente ciò non è assolutamente vero” dice Skeeen “questo
miraggio nasce da un equivoco ossia: foce non Fossa: eppure, quasi come per un tenacissimo
malintendimento, la bocca di questo fiume di terra in secca tende a confondere, irrimediabilmente, in
un’unica e sfolgorante immagine tutto il pagano che riconverte a sé ogni corpo attraversato da questo
estuario di polvere: in questo piccolo deserto arriva una fiumana che si addentra per una rete segreta di
collegamenti, una cosa sotterranea, catacombale, con lo sguardo verso l’infinito… e via, e via, si apre un
insolito panorama, una selvaggissima landa spazzata dalla tenue arietta del mattino”.
Giù di popper
Giù di popper… e via, e via, “abbiamo ballato per notti intere fra boschi di maschi, in vecchi edifici
industriali riutilizzati dai circoli ARCI: dopo le prime due feste siamo approdati all’Eaglegate, uno dei
tanti locali queer della zona nord, vicino al parco dove si riversano tutti i sonnambuli a fare sesso
estremo con sconosciuti all’aperto: dall’impiegato di banca a quelli che cazzeggiano, dal tipo assurdo
stile centro sociale autogestito al pusher che ti vende popper mentre scopa, al fascistello sempre con
Lonsdale rigidamente black… e via, via, l’Eaglegate è uno spazio ad altissima tensione sessuale – un
po’ per l’ambiente, un po’ perché da quelle parti già la gente ci va a battere – eppure nelle mostre
nottate non è mai successo nulla di violento e virale ora… e via, e via, sarà stata solo sfortuna? O forse i
tempi non sono ancora maturi?” dice 32anni, attivista.
Giù di popper… e via, e via, “è andata così: eravamo sei amici, sentivamo soltanto musica disco che
quando lo dicevi in giro ti guardavano come se tu avessi un cancro al buco del culo e quindi non potessi
più divertirti, amavamo ascoltare delle cose disco fetentissime, ma sopra tutti, come un fulmine a ciel
sereno, la prima travesta della discosoul, e, senza nemmeno rendercene conto,, con quei suoi entriamo
nel futuro, nel flusso magnetico di chi balla per ballare, ascoltando la musica e battendo il ritmo e
finalmente anche il nostro atteggiamento cambia… e via, e via, tornati in questa provincialissima città
continuiamo celebrando quei fasti, sempre in sei, a casa i miniparty, così li abbiamo chiamati,
discomusic, popper, orge… e via, e via, scopriamo lentamente poi di non essere gli unici, in tutto il
mondo si stavano creando comunità spontanee, tribù di omo che ascoltavano la stessa musica e in
quella si riconoscevano e identificavano, un giorno fondiamo diskokids: nasce così la prima idea di
creare feste e avvenimenti culturali nei primi locali della città” dice 25anni, attivista.
Giù di popper… e via, e via, “è sempre stato interessante osservare le reazioni di gente che non aveva
mai partecipato a situazioni del genere… e via, e via, ti arrivano con atteggiamento canzonatorio, da
presa per il culo e dopo due ore sono lì vicino agli altri, col cazzo in mano, sudati e sorridenti e gaudenti:
sono strati nel vortice” dice 32anni, attivista.
Giù di popper… e via, e via, “in discoteche come il First, gli interscambi dei messaggi visivi, il loro
confronto, e la conseguente maturazione di un atteggiamento comune che, sì, avviene qualcosa, che
qualcosa sta cambiando: aumenta intanto il distacco tra la gente, e i microgruppi che si formano nello
stesso luogo sono pronti a difendere il loro territorio e il loro credo sessuale dalla prima presenta
minaccia da parte di un altro gruppo come a dire se stessi contro se stessi… e via, e via, il confronto
diventa improponibile: scissioni interne ci sfalda, come se ognuno pensasse alla propria realtà staccata
da un’altra seppur simile” dice 25anni, attivista.
Giù di popper… e via, e via, “io andavo sempre in disco per ballare, ma se avessi sputo prima che
c’erano feste così, non ci sarei mai andato… e via, e via, e non ci andrò mai più” dice 32anni, attivista.
Giù di popper… e via, e via, “ma dov’è il DJ?” qualcuno dice come disorientato dall’assenza di una star
che catalizzi l’attenzione, ma quel DJ non c’è, è come occultato tra la folla, piace costruire in anticipo i
flussi e le atmosfere, programmarli in digitale, come in una sceneggiatura, una sorta di viaggio pilotato
in tutto quanto l’ambiente e la messa in onda rende tutta la gente partecipe… e via, e via, la
composizione dell’evento ‘ stata creata, provata e costruita in anticipo, appositamente, per questo
avvenimento, in questo luogo esatto, scelto con criterio… e via, e via, dodici ore deve durare l’evento, e
per dodici ore consecutive durerà l’evento fino allo sfinimento: quando parte una cosa del genere non la
puoi fermare o modificare, ci si deve solo occupare di metterla in ondo, farla funzionare, dopo averla
pianificata, in sequenza libera e sei libero di partecipare attivamente oppure no: questa è l’impostazione
di tutto quanto il BOLGIASHOCK, il suo elemento unificante che accompagna dall’inizio alla fine
dell’avventura.
Giù di popper… e via, e via, “non si tratta più, semplicemente, di un fenomeno underground: le sue
caratteristiche intrise di contaminazioni gli permettono di trovare exploit commerciali in qualunque
locale: con questo evento tutto è diventato commercio: da est a ovest da sud a nord, giovani e vecchi e
poveri e ricchi, come un click ripetitivo e un rumore folle, simbolizzano ciò che è comunemente male
interpretato come sesso sfrenato: indagando all’interno all’interno, si scoprono creatività non incanalate
che il mondo libero non fa appassire: una sessualità non ripetitiva e sterile ma invenzione su
invenzione: un mondo libero come spirito nel dominio della moralità” dice 32anni, attivista.
Giù di popper… e via, e via, “per stimolare la predisposizione del singolo o di un gruppo a condividere
senza regole imposte e in maniera civile lo spazio e il tempo a El Horno… e via, e via, dovrebbe essere
una pratica comune, stanotte, durante tutto quanto il BOLGIASHOCK si scoprono nuovi momenti di
aggregazione ricreativa… e via, e via, sono avvenimenti come questo che riescono ad accomunare
anche centinaia di migliaia di persone che celebrano, attraverso una sessualità sfrenata, la liberazione
dell’identità del singolo, senza competizioni, senza esibizionismo, al riparo dagli effetti di
spettacolarizzazione tipici delle atmosfere dei cruisingbar” dice 25anni, attivista.
Giù di popper… e via, e via, “piuttosto che combattere il sistema dei gruppi, le nuove generazioni lo
ignorano, proprio non ne tengono conto: questa è davvero la rivoluzione estrema” dice 32anni, attivista.
Giù di popper… e via, e via, “a un anno dal primo miniparty, balliamo in 1000, la disco tremendissima
che ci ospitava era il Sekreta coi go-go boys nelle gabbie come animali” dice 25anni, attivista.
Giù di popper… e via, e via, “una dimostrazione di qualcosa, piuttosto che l’opposizione a qualcosa,
confonde le autorità, il fatto che non ci siano manifesti politici oppure aggregazioni riconoscibili rende
impossibile qualunque forma di persecuzione e riconoscibilità: un evento come il BOLGIASHOCK, un
fenomeno in crescita continua questo BOLGIASHOCK” dice 32anni, attivista.
Gli cenna di vicinarsi mentre gli inservienti de El Horno, quelli che leccano tutto quello che gli capita a
tiro, si danno da fare per servirlo.
Gli occhi rossi, che brillano per una specie di rancore e i collera, cercano di sondare fino in fondo i
calmi occhi neri del giovane rasato a pelle con Adidas che osserva il viso amaro e sconcertato della sua
vittima con una espressione di curiosità per l’effetto del potere della sua testa completamente lucida ma
senza tuttavia riuscire a reprimere una specie di impazienza tradita dal picchiettare nervoso delle sue
dita sul bordo del tavolo.
Gli spiega la sua proposta, ha la faccia turbata. “ti avevo lasciato in pace per una buona decina di
minuti” dice il rasato che indossa la Fred Perry nera “ma il tuo chiodo, le tue Adidas sporche sono per
me come una roccia, una casupola da perlustrare: vorrei abbrancarti come una mantide religiosa che
scopa con una libellula: per cultura e per elezione, adesso, ti guardo e ti guardo le scarpe ed è difficile
orientarmi in questo mosaico di pensieri e desideri: è come se l’immagine di un unico centro del mio
desiderio – le tue Adidas sporche, la tua testa rasata come la mia – si moltiplicasse logicamente… e via, e
via, tutto questo può provocarmi un qualche scompenso?... e via, e via, niente affatto! Non faccio
alcuna confusione!?... e via, e via, io stesso affioro da questi stessi pensamenti che sono come uno
splendore ferocissimo e abusivo, armonioso e sereno: qui c’è violenza e qui c’è pace, un equilibrio che
accozza e misura a dismisura un canto: fiore d’ibisco e d’Angsana fiore, ordina, Re, di portarti parola
pellegrina e portarne il seme, per comando accogli quale gioiello tale parola”.
Gli sta salendo dentro una corrente diversa dall’elettricità da contatto di prima… e via, e via, è più fonda
e lo porta più in alto, fino quasi a toccare le travi del soffitto de El Horno, e giù nello stesso tempo:
dentro le sue parole e dentro lo sguardo e la voce e i sensi e i gesti che quel rasatoadidas gli fa, gli
dice: conchiglia di sguardo, calice dolce che la vita risucchia.
Gonfio come un otre, strozzato alla cappella il suo cazzo comincia a dimostrarsi… e via, e via, poi si alza
e guarda il rasatoadidas negli occhi e vede come un volto nudo, spossato, smagrito, imbiancato dalla
notte estrema de El Horno sul quale brillano come diamanti due puntuti occhi neri e posa le mani sul
rasatoadidas ed è come se un frammento di anima sbucasse dal rasatoadidas e allora lesto il
rasatofredperry ritrae la sua mano dal rasatoadidas e s’infila svelto nell’ombra della dark per
confondervisi… e via, e via, altrettanto svelto il rasatoadidas abbozza lo stesso movimento e si
incontrano alla sommità della dark e lì si compie un qualcosa di simile ad un atto perfettissimo: il
rasatofredperry afferra il rasatoadidas per didietro e lo trattiene amorevolmente fra le braccia chiuse, poi
quello si gira e i loro cazzi urtano l’uno contro l’altro e producono un breve rumore assolutamente
impercettibile e restano per un istante immobili, rinchiusi nuovamente fra le loro stesse braccia e
aspettano un poco a bocca semiaperta e poi ancora sciolgono la stretta e fanno ricadere le loro braccia
e il rasatofredperry porta la mano del rasatoadidas alla bocca e l’altro si stupisce ma appena appena e
capisce che sulla mano cola la saliva del rasatofredperry e fuori dalla dark si danza al suono del
tamtam lontano e presente e sgranano i loro occhi i due rasati e si stanno facendo fino a stramazzare di
stanchezza.
“Grande!!!” dice Skeeen, tra spaventato e divertito “il doppio del mio, non è che mi diverta troppo
prenderlo, non è questione di dimensioni, non è quello il problema, è che a me piacciono i giochi, un po’
forti se vuoi, ma di averlo ficcato dentro non è che mi interessi poi molto: preferisco il ditone del piede,
piuttosto, un bell’alluce che mi sfiora l’ano e che cerca di penetrarlo – qualche volta ce l’ho anche fatta
ad averlo dentro, ma si trattava di dita molto lunghe – oppure i peli delle ascelle da leccare, o farmi
pisciare addosso… e via, e via, sì ma adesso non è che mi posso mettere qui a raccontarti tutto quello
che mi piace fare, come un libretto delle istruzioni, so solo che il tuo cazzo nel mio culo, se proprio ne
senti la necessità, puoi metterlo dopo, molto dopo, per quel che mi riguarda possiamo anche farne a
meno”.
“Guardando il cielo rigorosamente azzurro con pochissime nuvole bianche sospinte dal vento” dice
Skeeen “e sentendo in lontananza il calore del sole sui sassi lisciati, ero felice di starmene lì alla Fossa
come lo si è quando ci si è lasciati dietro un mucchio di preoccupazioni quotidiane e si è finalmente in
possesso di qualcosa che si ama, che ci fa sentire bene e completamente soli ed estranei a tutto quello
che ha tanta importanza agli occhi degli uomini… e via, e via, sì, è soprattutto questo che sentivo con
forza, che ero lontano dagli uomini e pensavo che le preoccupazioni degli uomini di questa Terra che mi
attorniavano erano assolutamente prive di significato ma soltanto una ricerca, armoniosa e disarmonica
al tempo stesso, di sesso umilmente necessario con voce di bimbetti non più e di vecchi non ancora… e
via, e via, non mi dilungherei tanto sullo stato di euforia nel quale mi deliziavo se non avessi avuto
motivo di credere, un’ora dopo, che esso fu il prologo e in un certo senso l’origine della prima
manifestazione del mio male in forma attiva.
“Guardavo quel viso lì alla Fossa e se ne stava fermo fermo… e via, e via, stava zitto, ricordo, era come
notte e giorno e versava lacrime di tristezza, ricordo, con mille brame e centomila desideri, aveva forse
appena dato il cuore per la prima volta e il suo sguardo, ricordo, proprio innamorato cercava
d’incontrarli nuovamente quegli occhi sconosciuti e per baldanza d’attimo in lui m’imbattei e mise il dito
tra i denti, ricordo, come i bimbi e il mio gesto improvviso venne a levar via la cortina di tristezza e
credendolo assorto il piede gli guardai, ricordo, e il suo sandalo guardai e l’unghia sporca di terriccio
guardai e lui sorridendomi scostò quel piede da terra, ricordo, non avrebbe avuto altro amante che me
quel giorno, ricordo, e ancora oggi ho negli occhi quell’immagine, il luogo che mi veniva incontro al
desiderio in gran segreto, ricordo, e gli anni son passati ma ancora, ricordo, mani e piedi, ricordo,
quando lo avevo sorpreso con lo sguardo, ricordo, ad onta delle mie stupide pretese di amore di allora,
ricordo, ancora oggi quel luogo di desiderio, ricordo… e via, e via, tutta la zona aveva un aspetto
particolare, quel giorno, a metà strada tra il paesaggio marino e quello urbano, mi pareva d’essere nelle
vicinanze di un porto, poteva essere il meno elegante bordello di Venezia di fine ‘700, pareva un antro
color oro color porpora, un preludio dove vanno a liberarsi gli uomini dai loro stessi umori per portarvi,
necessariamente, un po’ di grazia e un po’ di freschezza: insomma tutti lì ci andrebbero per battere o
chiavare sia di giorno che di notte ma quella volta era come giorno e notte insieme e offriva alla più
turpe immaginazione ogni corrusco piacere… e via, e via, tutti veglianti, all’impiedi o seduti sui massi ai
bordi dell’avvallamento, me li figuravo sempre lì a sbirciare che si avventurava dietro ai cespuglietti a
fottere, tutti lì a cercare come sula porta d’un puttanaio, lascivi sulla piazzola che li ospitava, come stelle
filanti di musica si srotolavano nelle tenebre dei loro pensamenti… e via, e via, ma quella volta la Fossa
permetteva di trarre ancora più cose immaginifiche da quello stretto lembo di territorio lercio e cieco e
grigio e deturpato proprio da tutto quanto l’obbrobrio urbano della ferrovia” dice Skeeen “mai avevo
visto un viso così splendido, così ardente e così freddo allo stesso tempo,, così vicino a me al punto che
identificavo la mia poca gioia con quella che esso stesso mi sembrava esprimere – eppur ancora
abbastanza distante da impormi il rispetto e suscitare in me una curiosità a cui si andava mescolando
un desiderio tanto più ardente in quanto il suo visetto aveva un’apparenza di inacessibilità.
“Guardavo quel viso lì alla Fossa e se ne stava fermo fermo… e via, e via, stava zitto, ricordo, proprio
come assorto in un pensiero dominante e ossessivo, esclusivo: la morte! E non potevo” dice Skeeen
“fare a meno di quella sensazione violenta e acida che mi portava a fantasticare su quel volto… e via, e
via, tutto?... e via, evia, io d’altronde cos’ero, quel giorno, lì, in quel posto, se non lo stesso laido di
sempre, la Piede, come mi chiamano da quelle parti… e via, e via, sorpresi il suo sguardo, ricordo, che
mi guardava come supplicante e decisi allora di andargli incontro e poi ancora fui certo, ricordo, quel
dolce volto era una puttana devastata dagli anni e dalle malattie, la bocca sifilitica, questo fu quello che
vidi, ricordo, e mi gridò: non te ne andare, rimani ad aiutarmi, vuoi sapere chi sono e da dove vengo?
Sono un uomo rovinato, ero un bellissimo uomo, anzi un bellissimo ragazzo ero e sono fuggito di casa
anni fa e non ho più il coraggio di tornarci in questo stato… e via, e via, e lo guardavo, e cominciavo a
vederlo meglio, ricordo, e gli guardavo il piede e annuivo e stavo zitto come di pietra e tutta quanta la
Fossa era come un cammino, un movimento di parole, ricordo, e avrei dovuto non guardarlo più, quel
piede, e avrei dovuto non vederlo più e non tornare a cercarlo con lo sguardo e guardavo e insieme
andavo col pensiero, ricordo, ed era ancora uno sgomento, quella volta, nel sentirmi unico, nel sapermi
solo su tutta la faccia della Terra: diverso” dice Skeeen.
H
Ha bisogno di essere stimolato dalla convinzione che lo si ascolti, seppure macchinalmente, Skeeen,
non si segue più la sua logorrea e la sua ampia bocca: un fervore pensante e sovraffollatissimo che
porta che porta verso un gravido abisso e brevi e infime radici di pensamenti seriali che popolano il suo
dire come vento, come un reticolo di vene e il loro intrico sfolgora e al centro del suo parlare-parlare un
mosaico di scoppi di colori traslucidi, un durissimo martellare cosmico, comandamenti seriali, gravezze
sfigatissime, ripiombi senza posa nella realtà de El Horno, nel suo chiasso quasi distillato, questo
ovattato avvilupparsi di rumore che possiede l’insistenza ottusissima della penetrazione d’uno sguardo,
di mille sguardi vividi: sì, tutto El Horno fornisce la fitta bambagia mentale di Skeeen dove ancora non
c’è un definito pensamento ma una massa mutante, una nausea potente e fangosissima, un ingorgo di
parole scroscianti a raffica e tutto come trema al margine della sua mente ed estirpa vertigini da una
massa mutante, una nausea potente e fangosissima, un ingorgo di parole scroscianti a raffica e tutto
come trema al margine della sua mente ed estirpa vertigini da una massa informe di
cazziculicapezzolipiedipeli che, come un pensiero profondo, si stratifica, s’impallidisce, diventa
trasparente: è una gran massa che muta e ogni volta che la si guarda assume un taglio più preciso,
un’oscurità che si diffonde… e via, evia, la sua bocca segnata da una sottile bavetta bianca che
fuoriesce e testimonia l’uso di medicine, la sua lingua che sfreccia e rompe la crosta della calotta del
suono delle voci e va con passo di piattola ma piattola di brace fino all’orribile livello del proprio parlarsi
addosso.
Ha la forza di lanciare un grido che turba, Skeeen: laddove gli altri propongono pompe, Skeeen
pretende soltanto di svelare il proprio spirito: è un brucio di domande e di risposte.
Ha la forza di lanciare un grido che turba le graminacee glabre e i bei crisantemi pelosi del grande
giardino deserto del cortiletto, ma subito si sveglia in lui la voluttà.
Ha la forza di lanciare un grido che turba ma ha troppo male alla testa, Skeeen, in questo momento,
forse le Ceres, per andare a cercare il suo Godz… e via, e via, a quello che lo sta guardando non
importa, meglio lasciarlo piangere, urlare Skeeen e non provocarlo Skeeen, ma questo, quello che lo
guarda, non lo sa e non sa che per Skeeenè una sensazione di bruciore negli arti e muscoli contratti e
come scorticati, un senso d’essere di vetro e frangibilissimo, una paura, una ritrazione estrema davanti
a qualunque movimento, a qualunque rumore: un disordine inconscio d’andatura, uno stato d’ebbrezza,
di gesti, di movimenti sconnessi, una volontà perpetuamente tesa, una voluttà che rinuncia al più
semplice gesto: una stanchezza fissa e stupefatta, una specialissima stanchezza da morto, nessuna
tensione più, un estremo annullamento del proprio essere erotico: ma tutto questo lo sterile ometto che
lo guarda, che continua a fissare Skeeen al pacco, non può saperlo ma lui è un POETANERO, un poeta
nero, un culo di vergine che assilla, un poeta inacidito e nero, è una vita che bolle, è una città che si
brucia, è un cielo che si riassorbe in pioggia, è una piuma che gratta al cuore del bucodelculo, è un
bosco, un nero poeta bosco, è occhi brulicanti e manto su erbe moltiplicate, è capelli d’uragano e come
tutti i poeti inforca cani e cavalli, è occhi rabbiosi e lingua rivoltata, è cielo di nuovo su per le nari come
azzurrissimo latte nutrizio… e via, e via, e Skeeen sta come sospeso sulla sua boccaccia, è un ventre
che evoca, è un cantiere, è una pubblica piazza e la materia del ventre di Skeeen pare puro granito o
marmo o gesso ma un gesso indurito dal granito ed è come schiuma del cielo e come traslucido colore
di montagna: mare sonoro e leggendario e vietatissimo e trova un posto nell’anima dell’altro che lo
osserva ed è un dipinto descritto con le lacrime perché come dipinto colpisce a cuore
SCHEGGE DI PUBBLICO
DISORDINE SESSUALE
“possible future”
1 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! proprio così a volte in una visione vedo un
futuro di esseri viventi felici, tutti intelligenti, e davvero non c’è proprio mai nessuno che opprime, e mai
nessuno che è oppresso.
2 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! davvero a volte ballano protesi verso di te
ma proprio completamente nudi e con preservativi lucidi e fluo e invitano il tuo cervello a danzare con
loro:
3 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! come in quei film: le nuove e inspiegabili
sensazioni che coinvolgono separatamente tutti i diversi protagonisti spingendoli contro tutto e tutti, tutti
alla continua ricerca della conferma che qualcosa sta succedendo, si concretizzano nell’unione in un
luogo, un’arcana e antica montagna tronca, e in un evento, di cui fino ad allora avevano solo avuto un
individuale ma irresistibile desiderio di frequentazione: uno spiazzo, i colori, le luci, la musica come
unica comunicazione, la tecnologia esasperata del futuro che viene utilizzata però da meravigliosi
esseri viventi che risultano completamente nudi-bambini-universali.
4 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! proprio con il wood alcuni dei colori
prendono vita come fossero in un’altra dimensione onirica: in tutto quanto l’ambiente buio della dark
proprio dove soltanto i colori accesi e fluo davvero risaltano, le figurette piano perdono la loro consueta
fisionomia e quindi la loro stessa identità e quindi il loro stesso ruolo di esseri umani: perdono, si
potrebbe dire, la loro identità.
5 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! precisamente con la sola dicitura
INGRESSO LIBERO esposta in evidenza proprio vicino all’unica entrata del locale si intende “LIBERO”
sì ma in tutti i sensi, cioè liberi di essere e di non apparire, cioè liberi di agire e di non subire.
6 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! creare una vera e autentica aggregazione
non è semplice, gli elementi che la compongono sono di solito da valutare attentamente.
7 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! dai!, insomma chi organizza il
BOLGIASHOK si diverte sul serio, ed è proprio per un atteggiamento assai diverso da quello di chi
organizza una serata, una festa o un evento come macchina per fare soldi.
8 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! durante il BOLGIASHOK ti offrono anche la
frutta all’alba, distribuiscono dei variopinti profilattici fluo, alcuni nudi ballano sul bancone del bar, ti
dipingono la faccia: però se ti muovi puoi trovare anche dei tipi che fanno il trenino mentre danzano:
proprio una situazione, verso l’alba, completamente e assolutamente irreale: da non credere.
9 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! così potrai usare bene tutti questi poteri o
potrai usarli male, dipende da te.
10 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! finito davvero il tempo in cui una felice ed
impaurita minoranza continuava a vivere decisamente proprio sula stupidità del giudizio dei più. Ora
siamo una maggioranza.
11 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! l’unica, la vera presa di coscienza, in
occasioni come questa, è simultanea, individuale o di un gruppo che, senza mai comunicarselo in
nessun modo, arriva, in luoghi e momenti diversi, alla stessa conclusione aggregativa e così ricorda,
per analogia, le sequenze e i dialoghi di un vecchio film di fantascienza di cui non ricordo il titolo.
12 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! mentre balli o ti aggiri, incontri qualcuno
che ti chiede “stai bene?”, a risposta affermativa tira un sospiro di sollievo, ti sorride o ti abbraccia e si
ferma a chiacchierare un po’, non hai bisogno di essere uno strafigo per poter partecipare all’empatia
generale, dopo un po’ tutte le endorfine si stimolano da sole al ritmo dei corpi che si palpano anche del
tutto senza rendersene conto.
13 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! quel tempo è finito.
14 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! questo futuro può esistere soltanto se tutti
scelgono che deve esistere, e se esisterà avremo un Mondo molto più glorioso, un Mondo molto più
splendido, un Mondo molto più felice, un Mondo molto più ricco di immaginazione, molto più di quello
conosciuto finora.
15 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! veramente se noi prendiamo mille
persone, se noi poi le mettiamo tutte dentro ad un enorme scatolone con della musica assordante e
sesso a go-go, se le facciamo ballare fino all’alba e fottere senza sosta, senza creare una vera
atmosfera di aggregazione – con l’unica pura libertà di continuare solo a sballare e sborrare senza
coscienza – le conterremo ma senza però veramente unirle.
16 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! davvero qui si può fare sesso quasi
ovunque, e la scelta del luogo è anche legata al rispetto di chi lo utilizza da sempre quello spazio.
17 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! spero che questo sia il possibile e unico
futuro dell’umanità.
18 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! eternamente tu li userai bene se capirai
che l’umanità è un’unica famiglia, e che possiamo essere tutti felici o tutti miserabili.
19 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! seriamente, un fenomeno così, come
questo freeparty, il BOLGIASHOK, incomincia da qui, da questa attentissima valutazione di tutti quelli
che sono esattissimamente gli ambienti davvero necessari come per aggregare e non contenere.
20 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! questo freeparty, come è il
BOLGIASHOK, pone tutti i partecipanti allo stesso livello, senza però volerne unificare l’aspetto, senza
davvero volerne unificare il pensiero e poi il corrispettivo atteggiamento, ed è così che tutto quello che
qui viene proposto può giustamente, al limite, consigliare, creando così una specie di atteggiamento
nuovo dove gli eccessi non vengono negati ma non sono il fine ultimo.
21 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! all’interno del locale, uno sguardo, un
cenno: lì per lì niente, niente altro.
22 Hai poteri che gli uomini non hanno mai avuto prima, mai! viene ogni volta progettato il rapporto
sessuale estremo con l’altro, sono gli elementi che concorrono a rimodellarlo: la musica, le luci, le
decorazioni e la distribuzione dei colori, di tutto l’abbigliamento e gli oscurissimi elementi che intralciano
e quasi ne ridefiniscono per intero tutto l’eccitamento e anche tutta quanta quella estrema e meticolosa
organizzazione degli spazi adibiti al sesso.
“Hai sete? Vuoi un bicchiere di Ceres? Hai un fratello per caso?” chiede.
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telegiornale flash edizione speciale
HAITI. Per un anno non succede proprio niente, poi sulla pelle cominciano ad apparire delle placche
porporine… non è tutto: al sarcoma si affianca un parassita che divora bellamente i polmoni e il corpo
non reagisce perché sembra avere perduto ogni remota possibilità di difesa immunitaria… e via, e via, gli
americani l’hanno chiamata AIDS (Aquired Immune Deficiency Sindrome) ed è un flagello che sta
sterminando morti da un capo all’altro del continente… e via, e via, rilevata per la prima volta in un
gruppo di omosessuali di Los Angeles è stata battezzata cancer gay, in realtà il cancer gay è stato poi
scoperto anche ad Haiti e poi è approdato in Europa e non solo fra i gay… e via, e via, ma ancora
nessuno ci crede… e via, e via, ma perché diavolo è stato chiamato in causa il popper? Il nome l’ha
preso dal rumore che fa quando si preme la capsula che contiene nitrito d’amile: si tratta di una
sostanza volatile usata in medicina per la cura dell’angina pectoris, il nitrito d’amile è un liquido giallo
chiaro confezionato in ampolle, flaconcini o capsulette, se ne aspirano i vapori, ma proprio appena
alcuni secondi, dopo l’inalazione si produce una dilatazione dei vasi sanguigni, l’effetto dura due o tre
minuti e in questo brevissimo lasso di tempo il consumatore ha come una sensazione di rilassatezza,
inalando appena prima dell’orgasmo sembra che intensifichi le percezioni: il popper provoca anche un
rilassamento dei muscoli involontari: l’uso è comunque sconsigliato per le persone sofferenti di
glaucoma o di ipotensione.
“Hei!, creatura!!, non crederai alle notizie delle tele!” quasi a coccolarlo con la voce, quasi a non volerlo
trattare male “te l’ho già detto prima: frequentiamo anche gli stessi locali, compreso questo… e via, e via,
come quelle della tele, sono tutte cazzate quelle che dicono su noi due… e via, e via, siamo solamente
fratelli gemelli, tutto qui”.
Hemant è un eclettico, le sue collezioni passano dall’alta moda al pronto moda, per arrivare agli abiti del
passato rivisitati: quello che li accomuna è l’eleganza, anche quando disegna abbigliamento da
discoteca in fibre poliesteri, Hemant sembra voler ribadire il famoso detto di Coco Chanel secondo cui
la moda deve scendere dagli atelier alla strada, e non viceversa.
Hemant Trivedi, 24 anni, è stilista: vive e lavora a Bombay, è l’enfant prodige della moda indiana e due
dei suoi abiti presentati allo show di Dheli hanno vinto un concorso internazionale in Australia.
“Ho anche già detto che non sfuggivo” dice Skeeen “al piacere stravagante – ma tanto ambito da certe
persone preoccupate soltanto dell’effetto da loro prodotto – di fare incuriosire con tanti mezzi e spesso i
meno onorevoli, e quando la curiosità si allentava, di eccitarla di nuovo, andando un po’ più in là, poi
molto più in là di quanto il più elementare pudore, d’altro canto di puro principio, non consentisse.
“Ho caldo!
“Ho dimenticato di rilevare al momento debito un fatto che assume, anch’esso, ai miei occhi, un certo
significato e non posso decidermi a passarlo sotto silenzio, malgrado la mia costante preoccupazione di
esporti qui solo l’essenziale.
“Ho già detto che per nulla al Mondo snaturerei i fatti.
“Ho mentito nel dirlo” dice Skeeen “e mi dispiace dovere riconoscere he non ero affatto disposto alla
serenità e quando appena mi avevano fatto subire un’offesa che mi aveva ferito più che se fosse stato
uno sputo in faccia, come avrei potuto annettere la minima importanza alla purezza glaciale di quella
strada – lo stesso percorso che alcuni, per comodità o solamente perché sono dei semplicioni,
chiamano fetish – in cui affrettavo il mio passo costeggiando i muri del mio quotidiano pieno di
vergogna… e via, e via, non cercavo neanche di liberarmi dalla disperazione mista al disgusto per me
stesso in cui mi aveva gettato quella risata che mi compiacevo contradditoriamente di evocare con una
curiosa insistenza dovuta quasi certamente all’attrazione irresistibile che il suo ricordo esercitava sulla
mia mente tormentata da un duplice sentimento di colpa e di disgrazia – più o meno confessato anche a
me stesso – e non c’era nulla che desiderassi quanto spingere agli estremi una maledizione da cui
traevo una specie di piacere analogo a quello del penitente che non solo trova naturale incorrere in un
giusto castigo ma anzi lo reclama con fervore sproporzionato al suo desiderio di espiazione” dice
Skeeen.
“Ho osservato che in me la vista di esercizi così bassi, benché resi legittimi da una approvazione degli
uni e dall’indifferenza degli altri, non mancava mai di provocare un violento disgusto cui si sostituiva – se
per disgrazia io stesso ne ero stato la causa – l’insopportabile sensazione della mia decadenza e della
mia prigionia: mai più sarei uscito, e questo ben lo sapevo, da tutto un gioco di incastri e di occasioni,
spesso mancate, da un estremo riflettere desiderio su desiderio” dice Skeeen.
“Ho paura” dice Skeeen.
“Ho sprecato la mia vita” dice Skeeen e fa una pausa per guardarsi intorno, fa una pausa, poi aggiunge
“non è mai venuto… e via, e via, o meglio, io non ho mai capito che cosa volesse da me forse dolcezza
ma io mi annoio con la dolcezza, per me vanno bene solo calci in culo, ma per davvero, voglio dire che
ti faccio proprio rimbalzare se ti prendo a calci con i miei stivali” e l’altro resta a bocca aperta.
“Ho voluto insistere su questo punto solo perché mi pareva costituire l’unica chiave che mi consentisse
di esplorare, anche se limitatamente, il contenuto di una emozione peraltro inadatta a proiettarsi nella
cornice del mondo reale” dice Skeeen.
I
I lampioni sono spenti e, in effetti, sta facendo nuovamente giorno.
I membri de El Horno amano il mare di corpi da calpestare, l’odore di sudore che esso emana li inebria
e, tra gli argini dei greti di gambe, i relitti dei vascelli degli ani, le lische di pesce delle schiene, i ruderi di
antiche città sommerse dei cazzi flosci, essi ritrovano l’atmosfera dell’amore e quel particolare ansimare
che pure testimonia, ai nostri sensi, l’esistenza reale di una mondo immaginario, sperduto tra lo
scricchiolio dei varchi inariditi delle bocche, tra le emanazioni del magnifico afrodisiaco chiamato ambra
di sperma, e lo sciacquio delle gialle onde di piscio multiplo che s’infrangono sui capezzoli puntuti e
sulle cosce pelosette quando, raggiungendole alla cintura, gli incollano il pantalone alla carne.
I sentieri di cipresso del sogno solitario, vicino al cimitero maggiore, sono troppo spesso percorsi da
fantasie: ma qui il fist è già partito.
I suoi limite sorprende nel dormiveglia delle troppe Ceres, Skeeen.
I suoni salgono nell’aria ghiacciata de El Horno e si fondono, anonimi e spersi, come se fossero
diventati improvvisamente la voce stessa dell’angustia di Skeeen, una voce grave e lacerante, schiva e
nostalgica.
I vaghi oggetti in mostra al BOLGIASHOCK sparsi sulle mensole.
Ideale, infine, come tutto ciò che suggerisce l’esistenza di un mondo armonioso, che non ha nulla in
comune con la cosa che fanno e che non è mai altro che un’odiosa larva del fare sesso.
Il barista serve un bicchiere d’acqua mettendoci dentro un cubetto di ghiaccio.
Il barista tracanna furtivamente una gran sorsata di gin.
Il bianco fa balzare il seme bianco.
Il biondo accarezza i capelli al moro e lo bacia sulla bocca e dopo un attimo il moro si libera
dell’abbraccio.
Il biondo accarezza il sesso del moro sotto i pantaloni di jeans bianco.
Il buffo è che probabilmente si sono visti una volta sola in qualche locale balordo.
“Il cambiamento si produsse, in un certo senso, senza un preventivo accordo della mia volontà” dice
Skeeen “il che equivale a dire che non dovetti neanche passare attraverso i tentativi angosciosi e
sempre infruttuosi che compivo per favorire la liberazione di quanto confusamente mi opprimeva e che
avevano impresso fino allora un terribile marchio anche sulla sola evocazione delle mie ultime crisi”.
Il cassiere grassottello sonnecchia e il pelo gli si smuove sulla schiena.
Il culo smilzo contrasta con quelli grassi, le chiappe, i posteriori quadrati e i culi cadenti.
Il culo, abbassandosi, sfoggia ancor meglio la sua appetitosa rotondità.
“Il fatto è che effettivamente ero tentato di andare a vedere in quella risata un castigo” dice Skeeen “alle
confidenze cui mi ero troppo volentieri abituato e che, per quanto piacevole fosse stato il sollievo
provato sul momento, avrei adesso dovuto pagare a caro prezzo.
“Il fatto è che non potevo fare a meno di godere intensamente della duplice scena che mi offrivano da
una parte il viso doloroso e perplesso dell’uomo domato che, segretamente furibondo per l’incapacità in
cui lo poneva la sua passione divorante, non riusciva a nascondere completamente una specie di
rabbia fredda (e poco mi importava che fosse diretta a me), dall’altra il sorriso misterioso, gli occhi
disarmanti, il portamento imperioso e altero di Godz che sapeva tenere bene a distanza il suo debole
amante quando voleva farsi corteggiare da un altro.
“Il fatto è che oggi il fracasso di tali battaglie mi ripugna e mi stanca, e ce l’ho a morte con chi mi
strappa con la forza alla mia indifferenza”.
“Il gioco d’azzardo delle coppie non so perché provoca una totale caduta della orale il gioco tra i demoni
che rendono succube la mente è tra i più subdoli il lavoro non significa nulla per me non farò mai
carriera perché detesto tutte quelle pratiche di merda quei deficienti con cui sono costretto a trattare io
mi scoperò tutte le coppie di questa Terra e ci riuscirò! Ah se ci riuscirò” dice una voce al tavolo
accanto.
“Il lavoro consiste nell’organizzare mentalmente, nel raggruppare o mettere uno vicino all’altro i diversi
apprezzamenti” dice Skeeen “raccolti sul vivo o riferiti indirettamente, di una determinata persona sul
mio conto, per arrivare in seguito a ricomporre un’immagine abbastanza verosimile che, lusinghiera o
sfavorevole, non corrisponde mai completamente alla mia realtà permanente, si ripete a ogni nuovo
contatto e costituisce per me la prova più angosciosa”.
“Il locale in cui penetrammo” dice Skeeen “con tanto di solita tessera di circuito, questo diavolo di
Traveller’s, ci accolse con il nostro viso arrossato da un vento invernale tagliente come una lama di
coltello, con i cappelli coperti di neve e i dr Martens blu cobalto umidi, era invaso dalla folla più
brulicante ed eterogenea di uomini che ridevano e ballavano che mai avessi visto in città… e via, e via,
devo confessare che apprezzai molto le risate fragorose, lo scricchiolio delle scarpe da tennis e degli
anfibi sul pavimento, i richiami di varia natura, il più delle volte volgari, a malapena coperti da una
musica aceed asperrima che schizzava contro i muri e anche la densità degli avventori pressatissimi
che si divertivano, ballavano, bevevano in un ambiente non proprio piccolo dove si sarebbe creduto
impossibile introdurre un nuovo cliente seppur magrissimo: se non mi sentii subito a mio agio in
quell’atmosfera (è un fatto, voglio specificare, che ci si aspetta di vedere, in locali di quel genere, solo
una categoria ben definita di individui, e che l’intrusione di persone di una categoria diversa come
quella a cui visibilmente appartenevamo i miei amici ed io, sembra insolita e anche urtante fino al
momento in cui, grazie a non so quale straordinario spirito di mimetismo, vi accorgete di respirare in
quell’atmosfera estranea con altrettanta naturalezza che se fosse quella a voi abituale… e via, e via,
riflettendo, sarebbe più esatto dire che, appena varcata la soglia, per un lasso di tempo più o meno
corto, percepite una corrente di ostilità nei confronti dell’intruso che ancora siete) almeno avevo motivo
di credere che sarei passato inosservato e mi rallegravo all’idea che mi sarebbe stato impossibile
parlare agli altri, non essendovi alcuna speranza di farmi sentire… e via, e via, sarei rimasto in disparte,
senza badare alle battute che avrebbero detto sul fatto che non aprivo bocca… e via, e via, era
piacevole pensare che avrei potuto abbandonarmi in tutta tranquillità al piacere di contemplare scarpe,
lacci di scarpe, anfibi, lacci di anfibi, qualcosa di vivo senza essere sollecitato a prendere parte a quel
tumulto annoiato… e via, e via, tutto quel che desideravo, adesso, era di starmene in un angolo,
circondato di fumo, di musica e di risate eppure solitario, a osservare avidamente e lucidamente uno
spettacolo pieno di vita cui mi compiacevo di essere l’unico a non partecipare attivamente ma allo
stesso tempo partecipandovi attivamente”.
Il mondo di El Horno rimane sospeso in una nuvola eccitatoria permanente quanto il desiderio di
rimanere eccitati.
Il moro s’irrigidisce un istante di fronte al nuovo biondo ma si riprende subito dalla sorpresa e sorride
un po’ spavaldo in atteggiamento di difesa.
Il moro se ne va, il nuovo biondo gli lancia uno sguardo struggente.
Il moro si sente adesso un po’ a disagio “vedremo” dice.
Il moro sorride di nuovo, aperto e disinvolto.
Il moro tira con sé il bruno a un tavolo qualunque, gli fa aprire il buco.
Il moro tira e sorride, El Horno è il bordello della città, sta quasi albeggiando, la notte è finita… e via, e
via, dal disordine e dalla sporcizia si intuisce che è stata una nottata movimentata: ballano strettamente
abbracciati un ballo che ha qualcosa di brutale e lascivo: El Horno è un’immensa organizzazione dove
ragazzi pagati appositamente masturbano gli uomini più belli per atteggiarsi in spettacolini che
veramente nessuno si ferma a guardare.
Il peggio è che uno dei lavativi marchettoni ha una di quelle voci tanto Brad Davis, quelle voci snob e
strascicate.
Il pelosotto si china su di lui e gli allontana dalla fronte la mano.
“Il più delle volte mi piacerebbe che mi si credesse di quella specie di uomini dai quali nessuno può mai
prevedere che cosa uscirà: reazioni, opere, atteggiamenti davanti a una determinata situazione… e via,
e via, in modo che ogni nuovo rapporto con loro implichi un totale cambiamento di prospettiva” dice
Skeeen.
onTV
Il Pragati Maidan, letteralmente la ‘piazza del progresso’, è una città nella città: settanta ettari di terreno
percorsi da undici chilometri di strade che portano i nomi dei fiumi più famosi dell’India, un lago
artificiale, il Mansarowar, tanti giardini fioriti, tutt’attorno, i padiglioni delle strutture quasi avveniristiche
in acciaio e cemento armati, gli auditori, i musei, le gallerie d’arte, i cinema, i ristoranti e i piccoli
chioschi dove si vende the caldo e frittelle speziate.
“Il primo approccio con una coppia venne dopo un mese e mezzo con due tipi le cui foto erano
abbastanza interessanti anche se non si vedevano bene i volti ma questa è prassi una gran discrezione
dovuta al timore di essere sputtanati e vogliono inquadrarti e vogliono studiarti e vogliono convincersi
che no sei un tarato mentale da cui ricavare solo grane e paranoie” dice una voce al tavolo accanto.
Il primo sacro delirio muore e il ragazzo ha appena allungato la mano, l’uomo la ferma.
“Il rapporto di dipendenza psicologica di vera e propria assuefazione che si instaura quando si
oltrepassano certi limiti con le coppie è fortissimo.
“Il rendez-vous era in un bar e qui imbastimmo una banalissima conversazione di una noia mortale
roba da scappare via uno era sui quarantacinque-cinquanta statura media con giacca e cravatta e un
polso pelosissimo che già presagiva pelo ovunque l’altro una vera vacca sui trentotto un poco
cicciottello brunetto scuro di pelle e con quel po’ di pancetta morbida che mi fa letteralmente impazzire
e come se non bastasse una camicia bianca stiratissima completamente aperta sul petto che ad ogni
movimento lasciava scoprire un capezzololino dritto da ciucciare e mordicchiare entrambi rasati il primo
parlava con fare sicuro con proprietà di linguaggio l’altro interveniva di tanto in tanto già si capiva chi
avrebbe comandato.
“Il resto della mia conversazione fu per non sentirmi a disagio e preoccupato soprattutto di dare
un’immagine di me come tipo discreto e affidabile.
“Il resto di questa faccenda si risolse nel loro alloggio che si trovava nei pressi della stazione e
consisteva in una cucinetta con televisore bagno e un grande locale ottenuto forse dall’abbattimento di
un tramezzo divisorio con letto a due piazze e notai con un brivido di soddisfazione due telecamere
Hitachi puntate nella zona del letto due televisori più uno schermo da film con proiettore una vera
alcova e di gente assai danarosa pensai” dice una voce al tavolo accanto.
cartello
IL RIBELLE CHE, NON INTENDENDO CONFORMARSI
A UNO STATO DI COSE DA LUI RIPROVATO
– PER IGNAVIA O PER UN QUALSIVOGLIA INTERESSE PERSONALE –
MA DA TUTTI AMMESSO, E CHE NON ESITA A SFIDARE LE AUTORITA’
E LE REGOLE DI QUESTO LOCALE E DI QUESTA FESTA
CHE LO TENGONO, A SUO DIRE, NELL’OPPRESSIONE,
FIERAMENTE DECISO A NON CEDERE SE NON DOPO LA VITTORIA
(ANCHE SE QUESTA E’ IRREALIZZABILE O, PER IPOTESI,
ADDIRITTURA IRRAGGIUNGIBILE DATA LA NATURA STESSA DEL LOCALE)
VERRA’ ESPULSO A DISCREZIONE DELLA DIREZIONE DE EL HORNO,
CON RITIRO IMMEDIATO DELLA TESSERA
Il ridicolo prende il posto del patetico, e il sangue pulsa martellando dolorosamente sul labbro spaccato
e gonfio ma il sangue si è quasi arrestato davanti al mare di piscio mentre, avvolto nel collare, guarda.
“Il signore vuole una minerale versata sul culo questa volta?” dice il barista e ride.
Il silenzio, il silenzio per il quale prova quel misto di terrore e di attaccamento determinato dal solo
avvicinarsi di una cosa nello stesso tempo attraente e pericolosa, affascinante e temuta, quel silenzio
alle cui aride leggi non ha mai acconsentito a piegarsi, che ha sempre odiato, ma al quale resta tuttavia
legato da una cocente nostalgia, si sorprende a chiamarlo segretamente con desiderio, anche se un
residuo di orgoglio o rispettoso timore lo trattengono ancora dal fare il primo passo (ed è con sollievo e
con gioia che l’altro scorge nel carnefice i segni della fatica che sono anche i segni della propria
liberazione).
Il suo gran culo grassottello e sobbalzante ad ogni colpo, si trova così a due dita dalla bocca.
Il suo risveglio dei sensi.
Il suono si diffonde tutt’intorno, un rantolo da Powerfist.
onTV
Il tema del Fashion show di quest’anno è il Commonwealth. Il club dei paesi anglosassoni celebra in
questi giorni a Nuova Delhi i suoi fasti alla presenza della Regina Elisabetta d’Inghilterra e a un Principe
Filippo – lo ha scritto lo Statesma di Calcutta – ‘eretto come sempre’.
Il tempo è annientato, aboliti i legami con le cose estreme di sempre.
Il tipo scende dallo sgabello e facendo ampi gesti con le braccia si prodiga in un profondo inchino e si
esprime in termini solenni e in maniera enfatica “lorsignori mi faranno l’onore di berne un sorso insieme
tutt’e due” l’uomo lo guarda con un’aria annoiata e lo ringrazia freddamente ma il tipo non sembra
essere proprio in sé, cosa che terrorizza un poco l’altro “non penserete mica che io sia ubriaco?! No
nella maniera più assoluta!” dando alle sue parole una cadenza ritmata e nel frattempo continua a
prodigarsi in preziosi inchini fino a quando non li fulmina con uno sguardo terribile “no, sono
perfettamente lucido, il fatto è che non sempre so controllare i miei gesti, le mie espressioni, le mie
parole, le mie” pare riflettere poi “ le mie relazioni, ho bisogno di… e via, e via, ho bisogno di” pare
riflettere “di adattarmi, sì, proprio così, di adattarmi” e si scioglie in un largo sorriso che mette in mostra
una forte dentatura giallastra negli interstizi e nella quale si possono intravedere pezzetti di carne del
pasto “di adattarmi” riprende con espressione beata.
Il torrente rompe gli argini.
“Il vile nasconde la verità sotto l’equivoco dell’insolenza o dello scherzo” dice Skeeen “vedi bene che
ingigantisco i miei vizi, sta a te sistemare la cosa, nulla ti impedisce di ritenere tutto questo l’invenzione
di un esibizionista candido e irreprensibile nelle azioni, se non nei pensieri”.
“Importante constatare che perché si scatenino e possano agire con straordinaria efficacia è necessario
che le coppie scoprano in me un terreno di ricettività propizia e di conseguenza che per qualche
risoluzione della mia stessa vita io mi trovi in disposizioni emotive del tutto particolari” dice una voce al
tavolo accanto.
“In altre circostanze, ovviamente” dice Skeeen “l’importanza eccessiva che avrei dato all’opinione che
gli altri si sarebbero fatta di me e il disagio che m i avrebbe causato, sarebbero stati tali che non mi
sarebbe rimasta alcuna probabilità di liberarmi momentaneamente da ciò che mi rode interiormente,
dato che il mio piacere sarebbe stato di conseguenza assai ridotto, se non completamente avvelenato.
“In altri termini, anche se dovevo pensare che non era i caso di confidare a sconosciuti particolari
intimi che solo una crisi di patologica mi ha fatto pubblicamente rivelare, anche se una legittima
vergogna mi impedisse di rinnovare qui confidenze cui in seguito mi sono sempre pentito di essermi
lasciato trascinare, sarei completamente incapace di soddisfare qualunque curiosità e sono
fermamente deciso a non piegarmi e a resistere davanti all’incredulità di chiunque sebbene sospettoso
e deluso: non riuscirete a farmi aggiungere nulla, assolutamente nulla di inventato.
“In compenso, mi sembra particolarmente sospetto l’inebriante sconvolgimento che, per poco che
l’ambiente e le circostanze siano favorevoli, traggo dall’ascolto di stupidissime messe in scena senza
importanza, di un nauseante sentimentalismo o di un pathos di cattiva lega, smerciate alla meno
peggio.
“In compenso, questa tua risata, la vedo perfettamente, la vedo fin troppo, e temo che me ne rimarrà il
ricordo persino oltre la morte” dice Skeeen.
In confronto agli altri, il modo di camminare dello zoppo è estremamente arrapante.
In due rotondi emisferi sale il fiato ritmico e leggero: ed è visibile, lo zoppetto, seducente: dove un
sonno felice e placido chiude tutta la porta nelle valli scure.
“In effetti” dice Skeeen “sono stato a lungo convinto che quel che c’era in me di più attraente – o, se
vuoi, di più misteriosamente affascinante – fosse la mia diversità: non un pensiero, non una grinza di
minimo desiderio di affetto: purissimo nulla di sesso consumato in tutta fretta con sconosciuti… e via, e
via, nient’altro: porte ben chiuse: nessuna sofferenza, bruschi abbandoni a metà che erano così dolci,
nuove terre, novità, scudi e corazze, indurimenti della mia pelliccia.
“In effetti è molto sorprendente che io abbia smesso di credere alla realtà del pericolo della
contaminazione dal momento in cui sono entrato nel giardino stesso del pericolo.
“In effetti, al sopraggiungere della paura, si era dissipato da solo e mi pare non meno notevole che,
quando la paura mi ha a sua volta abbandonato, appena varcato l’ingresso del giardino del pericolo,
esso non abbia immediatamente ripreso a dominarmi”.
“In effetti, è quasi ridicola questa ostinazione a credermi gravemente malato di mente quando sono giù
di corda” dice Skeeen “quando un’oscura gelosia mi rode, quando una nuova rivelazione della mia
insufficienza mi produce voglia di nascondermi sotto terra, o quando l’ambizione mi divora, o anche la
vanità, , insomma tutti i cedimenti a cui vado soggetto di frequente e per i quali non dispongo purtroppo
di nessun rimedio, dato che sono afflitto da una totale mancanza di volontà e non ho mai quella
disinvoltura, comune a molti uomini fortunati, che mi appare come la qualità di gran lunga più
invidiabile… e via, e via, quando mi trovo in mezzo al marasma dei miei pensieri che mi piovigginano
addosso e mi fanno tremare, non cerco di uscirne, ci rimango dentro fino al collo… e via, e via, è pur
vero che spesso mi hanno preso in giro per il mio carattere taciturno, poi mi hanno compianto… e via, e
via, il fatto è che anche qui ero propenso a scorgere in questa incapacità ad aprirmi a tutti i sintomi di
una malattia incurabile e, fatto molto più significativo, era impossibile perfino ai miei amici, davanti
all’angoscia che mostrava loro il mio viso mentre si sfinivano a provocare le mie confidenze, non essere
colpiti dall’analogia evidente tra lo stato in cui mi vedevano e quello di un malato ripiegato su se stesso
da una sofferenza interiore… e via, e via, ma questa volta, anche se tutto derivava soltanto e
principalmente dall’impossibilità di soddisfare un ardente desiderio, una banalissima voglia di piedi
maschili da leccare e baciare, la mia angoscia si distingueva dalla precedente per la natura stessa delle
sue cause”.
“In generale, non provo nessuna difficoltà a ricordare quello che voglio di uno spettacolo piacevole o
per esempio di un piede che mi ha colpito per la strada e molto spesso, durante le ore della mia
insonnia notturna, mi capita di evocarne le vene azzurre del dorso con una precisione sorprendente
finché dopo averne esaurito i dettagli passo ad un altro argomento, ma stavolta, anche facendo grandi
sforzi, non ritrovo la minima traccia di quel particolare che poggia ben saldo a terra di cui tuttavia ho già
detto quale attrazione possa esercitare su di me… e via, e via, è una cosa molto irritante: voglio
ricordarmene, voglio assolutamente ricordarmene, lo voglio ancor più di quanto non sia disposto a
confessarlo a me stesso e tento dapprima di ricordarmi i suoi capelli e lo strano modo che aveva di
socchiudere gli occhi guardandomi, e il suo naso, com’era il suo naso?, e così a poco a poco e come
senza farci caso, scendo sempre più in basso, mi avvicino alla zona scottante, ma nel momento in cui
credo di avere captato il vago ricordo del suo sorriso, è un atroce ricordo del suo piede calzato in un
sandalo ad invadere il campo della mia memoria” dice Skeeen.
“In genere sono freddi i bastardi che non imprecano né bestemmiano che non gemono quelli che
meriterebbero di essere presi nemmeno in considerazione sono proprio coppie di merda perché ti
usano e io cerco proprio di evitarle ma non è facile perché sono fra le migliori facce di cazzo” dice una
voce al tavolo accanto.
In piedi c’è un cretino di divo che si fa una sigaretta mentre lui viene fistato nuovamente e allora riparte
la storia di Nina.
In pratica saranno le cinque del mattino e mentre guarda il cielo Nina li vede volare non riesce a
muoversi vuole aprire la bocca gridare chiamare qualcuno ma è come paralizzata da una immensa
onda di energia molto calda e molto piacevole che l’avvolge all’inizio resistevo un po’ forse ho avuto
paura ma poi mi sono abbandonata a questa esperienza e ne ho avvertito l’immenso potere del resto
credo di essere sempre stata una persona con vocazioni paranormali fin da quando avevo diciassette
anni e vivevo a Berlino est a quel tempo avevo esperienze ricorrenti sulle mie vite precedenti ed
entravo spesso in contatto con forze magiche di cui non conoscevo il nome o la provenienza ma che mi
avevano convinta di essere una creatura di altre dimensioni… e via, e via, io sono già in paradiso anche
se il mio corpo abita in questo pianeta e naturalmente sono anche per davvero in contatto con
quell’energia che voi chiamate dio… e via, e via, dio è attorno e dentro di noi è telepatico teleprotettivo
telematico… e via, e via, e telefonativo e sta preparando per il secolo a venire una nuova venuta del
cristo che sarà un alieno a bordo di un ufo dice Nina.
In quel mentre, con il braccio di Powerfist che lo sfonda, in pratica saranno le cinque del mattino, sente
uno strano suono, e vede due persone incontrarsi e fermarsi a scoparsi forsennatamente.
In quel momento, qualcuno entra da dietro.
In quell’ora che parrebbe crepuscolare, mentre grossi fiocchi di neve ben distinti cadono a terra uno
per uno, nell’aria chiara e gelata fuori, a Skeeen sembra importante conservarne un ricordo preciso.
In realtà i suoi timori erano superflui.
“In realtà, nulla era più autentico del sentimento di calma, di distensione, di euforia al quale mi
abbandonavo” dice Skeeen “e che era insaporito soltanto da una curiosità tutto sommato abbastanza
legittima”.
In seguito brucia tutto il suo bucodiculo, senza luan brucia tutto quanto.
In tutta la città la sua reputazione si propaga, irreprensibile, verginale come la sua vita e, anche nel
bagliore degli sbagli, un campo minato diventa, un’invasione di ultracorpi: colui che si fa fistare dal
primo che passa, diventa proprio Ninacheparla esattamente.
“In un gruppo meglio se c’è anche qualche donna provo una gioia vivissima a interpretare la mia parte
non con un dichiarato scopo di ipocrisia ma per il bisogno istintivo di darmi importanza e di ammantarmi
di un’ombra lusinghiera nei confronti delle coppie” dice una voce al tavolo accanto.
In un pomeriggio estivo già non più la primavera camminando mi sento accarezzare da uno strano
senso di attesa dall’imminenza di un fatto importante incinta di Cosma Shiva la mia bambina me ne
stavo a letto proprio nella casa di Malibu quando all’improvviso senza una ragione apparente ho sentito
l’impulso di alzarmi e di andare nel terrazzo di casa saranno state le cinque del mattino come
stamattina e mentre guardavo il cielo blu li ho visti volare e non riuscivo a muovermi dice Nina.
Incantesimo puro, segreto, ai margini del Mondo pesante e insulso che portiamo in noi, dotato della
particolare seduzione che attira quel che non ha l’odore corrotto del peccato, e che incanta come la sola
evocazione delle parole: gioia, primavera, sole: uguale a tutto questo è sempre la visione di Nina.
“Incredibile quanto mi piaccia leccare i piedi, incredibile davvero… e via, e via ma queste cose non è che
puoi raccontarle in giro, ti prendon per scemo, quasi” dice Skeeen.
Incredibilmente esce una mano da quel bucodiculo che più culo non è ma che culo era: e vai di fist.
Io sono un artista molto eclettico dipingo recito scrivo poesie compongo musica canto e faccio e faccio
molte altre cose per il canto mi vanno bene sia la Callas che Edith Piaf ma mi sono soprattutto a Zarah
Leander un’attrice e cantante dell’epoca nazista rappresentava la parte spirituale folle del nazismo ma
possedeva una intensità unica i soldati al fronte quando ascoltavano le sue canzoni piangevano… e via,
e via, vedrai che qualcuno concluderà che Nina ha naturalmente delle evidenti simpatie naziste!!! Ma
daiii, io ricevo energia da altri mondi… e via, e via, questa è la mia droga… e via, e via, l’ultimo acido l’ho
preso un anno fa è stato durante quel viaggio che ho conosciuto Maria che adesso suona il nella mia
band quel giorno arrivò con una chiave d’oro per me ricordo che ridevo in continuazione senza mai
riuscire a smettere ero diventata come una specie di corrente elettrica… e via, e via, comunque
l’esperienza più forte con l’LSD l’ho avuta a diciassette anni nello spazio di una notte sono uscita dal
mio corpo ho conosciuto la gioia e l’orrore di mille morti in mille corpi diversi e in mille pianeti diversi e
poi sono ancora rinata quella volta ho avuto davvero paura dice Nina.
JK
Jesus! Io non ho case permanenti l’unica è quella dove sta il mio cuore e il mio cuore spazia
dappertutto stare qui è come abitare in qualunque altra parte dell’universo io non credo nelle frontiere e
nelle nazioni la Terra è una palla senza fine ed è mia e così è di tutti ed anche lo spazio e i pianeti sono
di tutti io non scelgo mai non decido nulla ho smesso da tempo questo gioco di decidere le cose sono
quello che sono e procedo lungo le mie coordinate gli altri decidono e sono sempre in mezzo al dubbio…
e via, e via, io canto la mia canzone di vita sono parte di una grande orchestra cosmica… quando anche
tu te ne accorgerai capirai che non puoi fare altro che cantare questa canzone la canzone della
creazione e della vita o sei un dio o sei un burattino attaccato ai fili che altri manovrano… e via, e via, i
problemi non esistono sono una vostra invenzione esistono invece delle circostanze certo ma niente
che si possa definire un problema perché il problema sei tu a creartelo dice Nina
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato, io ho imparato troppo tardi che cosa è l’amore,
e ancora ne provo dispiacere” e sospira per il tempo perduto “io no, io sono un irrequieto” dice l’altro.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato” e Norman gli risponde “io adesso voglio
proprio vendere un milione di copie di STUPID LEATHER il mio snuff movie, voglio che lo passino in
televisione nell’ora dei cartoni animati, e voglio vedere la faccia di Skizodisperma, il narratore-
protagonista del film, stampato sulle magliette dei dodicenni”.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato, già all’entrata si inizia a predisporre il cazzo:
c’è un’angoscia acidula e confusa già all’entrata, più dura della lama d’un coltello, un’aria acidula col
suo strazio che ha peso di terra, un’angoscia a sprazzi già fin dall’entrata, una scansione d’abisso, fitte
e strette qui viaggiano le piattole e non c’è Mom che tenga, come brufoletti duri in movimento ti fissano…
e via, e via, proprio un’angoscia già dalla porta d’entrata in cui qualunque spirito di gioia si strozza e si
stronca da sé e si ammazza: qui nulla si consuma che non appartenga al niente, tutto nasce come da
una asfittica mancanza di luce reale… e via, e via, è già all’entrata un congelo del midollo di ciascuno,
un’assenza di fuoco mentale, uno schiaffo di circolazione vitalissima”.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato, indiscutibilmente, il mio attuale
comportamento in questo locale mi consacrava uomo, era la rivincita dei passati insuccessi e, con un
residuo di infantilismo, poco ci mancava che vi annettessi un senso di rivelazione nuovissima,
rivelazione a me stesso e agli altri, di carattere molto generale, che mi faceva insensibilmente passare
dall’intimo piacere di incutere rispetto al piacere vanitoso di pavoneggiarmi in pubblico, come un attore
che, inebriato dal successo, esagera gli effetti, incapace com’è di rinnovarli, svelandone in tal modo, a
poco a poco, la grossolanità”.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato, infatti da molto tempo la duplice azione di
guardare e di ascoltare per me è legata a un’emozione molto speciale che può insorgere nel momento
più imprevisto ed essere provocata da qualcosa o da qualcuno a cui non ho nessuna particolare
ragione di interessarmi”.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato, infine chiunque, qua dentro, pieno di botte
d’amore, fa l’elemosina di ogni membro e gode come un’invasato stringendo l’uomo ferocissimo che lo
percuote, con tutta la sua forza, al proprio corpo martoriato”.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato, inoltre, per quanto questa scusa possa oggi
apparirmi mediocre, credo sia giusto aggiungere che mi trovavo in uno stato, stasera, di ipersensibilità
dovuto ad un eccesso di Ceres che spiega, in parte, la stranezza della mia condotta”.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato, insistente, questo locale maleodorante,
sovrasta la pura e buona aria del El Horno, completamente”.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato, insomma si vorrebbe farmi ammettere che la
mia estasi, il mio bisogno di chiacchiere, di piedi e la vergogna che segue solitamente, sia da mettere
unicamente sul conto del mio stato di ebbrezza, che, in ultima analisi, ne costituisce soltanto i diversi
aspetti”.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato, insomma, non parlo dei miei gorgheggi di
racconto, dei miei contorcimenti mentali, dei miei sotterfugi di spiegazioni, delle mie smorfie ad ogni
incomprensione”.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato” intanto sale i gradini della dark con rapidità.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato” intorno a lui si accalcano in cerchio i clienti
che ridono sgangheratamente, con una mano sul fianco, facendo ballare il ventre, certamente estasiati
di uscire dal silenzio cui il lungo discorso di Skeeen li ha obbligati e di dare libero sfogo alla loro
esasperazione che, tutto sommato, si esprime solo con una ilarità frenetica inframmezzata da mugolii
striduli e da manate sui pacchi.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato” intorno allo sterco fresco che manda un lezzo
di ammoniaca e che si stende sulla neve di sperma del pavimento della dark, in mezzo alle orme degli
anfibi, con oscena precisione, turbinano e calano, sull’uomo nudo disteso a terra, voli di corvi
spompinatori con un rumore di fauci arrugginite e sdentate.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato” inutilizzabili cazzi al suolo ricoperti da
calpestio ai coglioni e calci nel bucodiculo.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato” invece di fermarsi e di voltarsi qua e là come
aveva fatto ogni volta, prima, si mette a camminare velocemente in mezzo alla stanza buia, urtando
chiunque, col petto pesante, il fiato ansante, le narici aperte, ma presto una fitta, aggiunta al fatto che è
rimasto senza fiato per lo sforzo, lo costringe a rallentare sensibilmente per poi fermarsi del tutto.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato, investitolo, questo luogo – e là, giù, pare
d’esservi l’altare, il suo trono di gemme preziose – per parte loro, d’un nuovo mutamento di ruolo, con
più forza lo chiamano: Sovrano Powerfist.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato, io sedetti in una poltrona da barbiere esposta
in un angolo appartato il cinquantenne sul divano mentre il vaccone dalla camicia bianca subito tolta si
aggirava con tazzine e bicchieri a piedi scalzi bel piede pensai io seguitai la conversazione nella più
assoluta banalità mentre pensavo a cosa fare mi sentivo abbastanza imbarazzato non sapevo come
fare per cominciare mi chiedevo se toccava me a buttarmi oppure a loro stavo addirittura cominciando a
dubitare de vero motivo del nostro incontro fu il tipi in giacca e cravatta in pelle che ancora indossava a
togliermi d’impaccio si mise a farmi cenni col capo verso l’alto come per dire e dai datti da fare e dai il
puttanone scamiciato mi ronzava attorno si chinava sistemava i bicchieri e proprio mentre si trovava
così a novanta dopo un lungo attimo di esitazione mi sono buttato poco dopo eravamo nudi e quella
vacchetta pelosa parlando con una strana cantilena me lo trastullava e lo mostrava all’altro sempre
vestito in pelle di tutto punto dicendo che bel cosone che cetriolone ci trovammo sul pavimento a
rotolarci a sputarci in faccia a leccarci i pedi e le ascelle a prenderci a schiaffi ci siamo anche pisciati io
un po’ meno perché non ci riuscivo quella volta lì non mi usciva proprio niente di liquido e leccavo
l’interno di quelle pelose cosce calde il pacco molle in mezzo al pelo del pube il buco del culo con la
rosa pelosissima del contorno un sacco di pelo che mi si strofinava sulla faccia e l’altro che guardava
vestitissimo di pelle senza masturbarsi poi d’un tratto s’inserì senza spogliarsi mentre il piccolo vaccone
peloso me lo stava leccando chinato e l’altro lo montò da dietro senza spogliarsi solo estraendo un
cazzo enorme che feci appena in tempo a vedere e via una scopata con noi due nudi e quello sempre
vestito a fottere per interminabili minuti poi si staccò non so se venne ma non credo visto che la sua
espressione rimase sempre uguale andò in bagno a non so fare cosa poi al distributore automatico
dove scelse da bere stappò una vodka e restò la poi tranquillo a guardare sgranocchiando non so cosa
tutto vestito con giacca e cravatta in pelle e con solo il cazzo fuori enorme e penzolone mentre io con il
piccolo vaccone peloso non finivo più di giocare”.
“Kenyon” dice Skeeen “è uno scantinato male riscaldato, senza un angolo bar dove servire tè
aromatizzato, tisane e cioccolata calda con panna ai clienti… e via, e via, ma solo macchinette per le
bibite e per le Ceres e per i panini preconfezionati al sapore di plastica, ci si può sedere su megapouf
che altro non sono che ammassi di pneumatici di camion, accarezzati da nessun odore di veli di tulle
rosa o di piume o di lustrini che calano dal soffitto: qui soltanto uno sbracamento da vendetta popolana,
come se tutti i froci di questo merdosissimo locale – e altri a questo non dissimili – attraversassero nuovi
percorsi interpretativi attorali, un nuovo scenario… e via, e via, una specie di incrocio, un bivio fra una
nuova prospettiva antropologica e una nuova storicizzazione del loro essere… e via, e via, qui essi
parlano fra di loro, anatomizzano quasi, si direbbe, i loro modi e le loro forme in uno stato nuovo: una
nuova rappresentazione… e via, e via, tutto ciò che potrebbe pensarsi sacrificale qui diventa solamente
naturale… e via, e via, all’interno di questo locale essi disegnano, con metodi e ottiche completamente
stravolte, una mappa che, mettendosi comunque regolarmente sulle tracce delle loro oscure
perversioni, li può far rinvenire, proprio attraverso l’ossessiva maschilizzazione della loro sessualità:
sono tutti come degli ostaggi… e via, e via, è in locali come questo il vero segreto di questi ostaggi del
sesso maschile fra i maschi… e via, e via, qui nessuno viene a dare oppure a ricevere sesso… e via, e
via, è in locali come questo che dare o ricevere diventa un puro atto simbolico, non è nemmeno più fare
sesso… e via, e via, e poiché dare oppure ricevere è davvero un puro atto simbolico, è proprio l’atto
simbolico per eccellenza, non significa più nulla: fare sesso esattamente fingendo di fare sesso, come
un teatrino delle marionette, e questo toglie tutta quella negatività che è per ognuno l’ordine naturale
del sesso.
L
“L’accusato, colpevole o no, venga messo alla gogna da una società marcia di onestà e di buon senso,
in una parola che si ribellano ai quali la lotta solitaria conferisce un’aureola di purezza, meritano questo”
dice l’attivista.
“L’AIDS è un microbo” dice l’attivista.
L’alba color limone inonda il giardinetto semideserto, sgocciala spermatozoi dai rami e dai cornicioni,
sbriciola i blocchi d’ombra tra gli alberi e già il fumo delle sigarette galleggia basso sull’acqua opaca.
L’altro torna al bancone del bar, Skeeen aspetta.
L’altro, imbronciato, va a chiudere la porta de El Horno, sprangata, Skeeen aspetta.
L’ambiente è grosso modo quello di tutti i locali dove si può entrare a condizione di non avere l’aria né
troppo sciocca, né troppo intelligente, né troppo intimidita, né troppo spaccona, né troppo allegra, né
troppo triste, dove ci sono bei ragazzi che ballano nudi sui cubi e ragazzi meno belli che ti fanno gli
occhi dolci e talvolta ti versano da bere per rallegrarti e dimostrarti che non sei venuto solo per sederti e
non fare niente, dove c’è, per esempio, un DJ modesto ma dignitoso ma tutti sono un tantino brilli,
ognuno munito di un cazzo diverso: il primo a forma di un sassofono, il secondo a forma di una
fisarmonica, il terzo a forma di un piano verticale che pesti sul culo a tempo perso… e via, e via, arriva
sempre, ad un certo momento, una banda di leather mezzi ubriachi che, immediatamente, si
accaparrano tutta l’attenzione generale per i loro eccessi di linguaggio, le loro voci sguaiate, e i loro
gesti epici e può darsi che uno di loro, particolarmente vigoroso ed esaltato, se la prenda con un
bellimbusto che non vuole mollare un bel ragazzo e protesti con voce irata o lacrimevole, secondo la
natura della sua sbronza, finché non riceve una lezione ed è gettato fuori con la timida approvazione
dei gestori, non senza essere stato prima alleggerito del portafoglio, e , quando esci di lì, può darsi che
anche le tue tasche siano vuote, ma, in generale, è solo l’indomani pomeriggio, quando ti risvegli con
una corona di ferro per il mal di testa e una coscienza ritornata limpida, che ti rendi conto che ti
mancano i soldi ma ti rifiuti di non dire che è stato uno spasso.
L’andatura di uno zoppo attrae così anche l’attenzione di Skeeen, Skeeen aspetta che Powerfist riparta.
L’angolo insolito sotto il quale si presentano i fatti che Skeeen si accinge a riferire, giustificherebbe un
metodo narrativo che tuttavia continua a ritenere poco onesto: qualche nebbia, una incoerenza studiata,
ammaliante per via dell’impressione che essa darebbe di un ordine invertito… e via, e via, una specie di
magia ottenuta per mezzo di combinazioni sperimentate che capitassero al momento previsto e poco
importa quali, purché l’effetto di verosimiglianza fosse raggiunto, il pullulare complicato di tutti gli artifici
imposti alla mente del suo ascoltatore come idea di un momento nello stesso tempo essenziale e molto
intenso che lo colpirebbe con violenza sufficiente a rendere inutile qualsiasi spiegazione in una lingua
logica e discorsiva: insomma, molta più arte e molta meno onestà.
“L’aria fredda mi toglieva il fiato” dice Skeeen “mi fermai a respirare, abbracciando con un’occhiata
soddisfatta la strada in tutta la sua lunghezza che, nel punto in cui io mi trovavo, era fiancheggiata da
un lato da un lungo edificio basso la cui era costituita solo da un muro bianco forato da un’immensa
porta con i pesanti battenti aperti, nascosto in fondo a un giardino circondato da un’inferriata che la
stagione trasformava in una sterpaglia bianca, dall’altro lato da una fila di casette che non avevano
nessuna caratteristica della città che le ospitava salvo quella, se si vuole, di essere tutte di pietra grigia,
colore che benissimo s’intonava con gli altri edifici, e con tutte le finestre munite di un balcone di ferro la
cui linea, dagli arabeschi tutti rigidamente identici, risaltava a causa della neve che si stendeva
dappertutto in sottili strati”.
“L’effetto teatrale non fa per me” dice Skeeen “mi conviene di più limitarmi a descrivere lealmente le fasi
successive della mia crisi con l’unica preoccupazione di rivelare nelle linee essenziali quel che mi è
apparso della sua evoluzione.
“L’elemento comune fra le due crisi, la prima già descritta e questa, si limita esclusivamente alla
sensazione di euforia che le ha precedute entrambe.
“L’equivoco in cui ero caduto mi fece, per così dire, toccare con mano il folle eccitamento nel quale mi
trovavo.
“L’essenziale, per me, era di scopare, e non mi curavo della natura della mia scopata”.
L’Europa sta proprio ingiustamente sprofondando nell’acqua è un posto vecchio abitato da gente
vecchia e cieca ma andrà tutto bene vedrai qualcuno si salverà con la sua arca elettronica invece i
paesi dell’Est diventeranno molto religiosi perché la gente lì comincia a credere di nuovo e non in quello
che gli viene detto ma in se stessi dice Nina
L’ha capito fin dalla prima volta, Skeeen, fin dal primo pugno dentro alle viscere: tutto il bordello, l’odore
della morte: la verginità secolare di Brad Davis.
“L’ho comprata ieri: mi piace, la biancheria” dice il tipo, sospira “più vado avanti e più mi piace l
biancheria intima usata, sto spendendo un capitale”.
L’istinto suggerisce d’immaginarsi che nulla è accaduto, né in bene né in male e di resistere
all’invasore.
“L’ombra dell’uomo che invadeva tutta la strada fra quei palazzi coperti di neve dietro di me” dice
Skeeen “in modo che la sola ombra della sua testa, adesso girata di profilo e ridicolmente deformata
dalle asperità del terreno, raggiungeva il ponte delle Fossa, era un’ombra che gli conferiva un aspetto
gigantesco e minaccioso che, in realtà, egli era ben lungi dall’avere, perché era piccolo di statura e
apparentemente poco robusto.
“L’omettorosso, il cui volto era diventato di un pallore giallastro, esitò un poco a prendere una
decisione.
“L’oscurità della Fossa” dice Skeeen “rende qualunque cosa plausibile”.
“L’ultima performance che ho fatto risale a qualche anno fa e consiste nell’avere incollato, su un muro di
un’area di parcheggio, ventimila polaroid di culi, chiappe una di seguito all’altra: tra questi culi ventimila
culi c’è un’unica polaroid raffigurante un cazzo in erezione, che nessuno ha notato e che nessuno sa
che è dell’autore” Norman è un po’ tanto stronzo, a casa di Norman non si scopa mai, racconta,
racconta del video che ha in mente…
“L’unica cosa che mi attrae nella vita sono le sensazioni forti e io con le coppie provo solo sensazioni
forti” dice una voce al tavolo accanto.
L’uno è maschile, l’altro è maschile, e si parlano e si guardano in cagnesco vicino al bancone del bar.
L’uomo entra ne El Horno trascinandosi dietro uno nuvoletta di vapore di popper appena annusato.
L’uomo gli si fa sempre più vicino.
L’uomo prende fra le mani il bicchiere e sorseggia di nuovo una piccola quantità d’acqua mentre il DJ
attacca un ballabile, qualcuno si alza e lanciandosi nel ballo disegna sul laminato pavimento traiettorie
complicate tra corpi stesi a terra per essere calpestati.
“La cattiva coscienza che in tale modo coltivavo in me” dice Skeeen “costituiva un ottimo rifugio contro il
dolore fisico e macchinalmente mi ripetevo, senza crederci, che per me non ci sarebbe più stato un
raggio di luce, un sorriso cordiale su un viso, né il suono di una voce umana”.
La corrente adesso tende a spingerlo oltre, al punto che le parole e le espressioni non gli bastano più.
“La cosa che mi piace di più quando scopo con le coppie è affondare le dita fra due natiche morbide e
pelose più pelose sono e più mi piace e mi piace se l’altro sta lì a guardare e basta e a volte qualcuno di
questi vuole anche lui affondare le dita fra le natiche insieme con le mie così una volta uno ha voluto
fistarselo con il suo e il mio pugno nel culo larghissimo e ce ne sarebbero stati altri due di pugni dentro
contemporaneamente una cosa pazzesca io non avevo mai visto un buco di culo così largo e con una
fessura così accogliente poi mi hanno spiegato che per anni ci avevano ficcato dentro di tutto fra quelle
chiappe e che ormai il tipo non riusciva nemmeno a trattenere più insomma voglio dire non è che mi
abbia fatto schifo a quel punto però mi ha dato molto da pensare su come si riduce la gente ma ai molte
coppie sono fatte così e dopo ti raccontano i fatti loro le loro storie il perché e il percome e un po’ ti
scappa la voglia di frequentarli ancora perché in fondo preferisci divertirti senza tante complicazioni
mentali mentre invece questi te la contano su e a te sinceramente non te ne frega un bel niente” dice
una voce al tavolo accanto.
“La fase critica, la più acuta della mia crisi, ebbe luogo in una specie di dancing il cui nome è Eagle’s”
dice Skeeen “con tanto di pista da ballo, con tanto di zona bar, con tanto di dark, con tanto di camerini,
con tanto di sling, con tanto di labirinti, quattro, con tanto di saune , due finlandesi e tre turche, con
tanto di piscina ma tutti infinitamente sporco, su due piani in cui ero capitato con alcuni amici che,
avendo buttato giù parecchi bicchieri sommati a popper, si erano messi in testa di andare a divertirsi da
qualche parte, nonostante l’accesa resistenza che avevo opposto al tremendissimo progetto, avendo
sempre detestato tutto quello che assomiglia, da vicino o da lontano, all’orgia programmata, ma mi resi
conto che erano talmente più avanti di me nella sbronza e nel loro viaggio mentale che non avevano più
la forza di pensare che era assurdo e dalla serietà con cui parlavano di andare a fare una capatina in un
luogo ancora più malfamato – l’Eagle’s: quindi partimmo, altro tormento, altro luogo d’infame sporcizia,
un luogo come di là d’ogni luogo d’immaginazione, ma proprio fetente, fondamentalmente mutante: un
composto tremito che passa in quei resti di corpi che là stazionano perennemente – la fase critica , la
più acuta e capii che avrei dovuto vuotare un certo numero di bicchieri ma non sniffare popper ché mi si
smoscia prima di raggiungere il grado di ebbrezza e di partecipare a cuor leggero ai loro piaceri… e via,
e via, mi presento in giro dicendo che partecipavo alla conversazione per ripetere loro i consigli di mia
nonna, che dopo tutto il mio eterno silenzio era preferibile a quei faceti discorsi di morale, che d’altra
parte avevo la mente troppo lucida per dire qualcosa di sensato… e via, e via, incassai, sorridendo, i loro
sarcasmi, ma mi sentivo offeso… e via, e via, mi bastava guardare un attimo intorno a me per capire che
era inutile e forse pericoloso insistere, così decisi di trincerarmi in quel mutismo a cui scortesemente mi
invitavano… e via, e via, e pensare soltanto a piedi su piedi su piedi fissamente”.
La gamba di marmo, piede enfaticamente alzato.
onTV
La luce dei riflettori è adesso abbagliante, la musica si arresta in una pausa incantata: Vanessa Vaz
ondeggia sui fianchi come una luna d’argento, si sente il rumore dei suoi passi leggeri, ampliato dal
tavolato.
La luna, rimasta per un momento nascosta, appare tra le nubi che si lacerano e inonda di una luce
gelata.
La magnifica esaltazione di Skeeen è soltanto più una immensa stanchezza.
“La mente naturalmente lucida” dice Skeeen “non mi induce mai a barare eludendo quello che
potrebbe essere troppo sgradevole”.
“La mia fiducia va scemando, la mia unica preoccupazione” dice Skeeen “che dovrebbe essere
sufficiente a mondarmi da qualsiasi accusa di doppiezza, è di risvegliare il tuo interesse e di mantenerlo
desto mediante certi difetti ingannevoli che hanno il solo scopo di portarti più sicuramente là dove
volevo condurti, cioè fino a questo punto”.
La musica finisce all’improvviso perché il DJ si è messo a discutere con uno ubriaco impugnando
minaccioso il suo microfono, i danzatori tornano ai tavoli, qualcuno lo fa con esibizionismo.
La neve fuori si è indurita, fa più freddo.
La parete de El Horno è istoriata da bassorilievi di sperma.
La parola A-L-B-A, la fine della nottata.
“La paura di essere imbrogliato, sempre all’erta” dice Skeeen “sventa in me il complotto di ipocrisia e di
vanità che porta a credersi un personaggio inverosimile, quasi come un eroe, d’altra parte cercare il
conforto nella lode di sé, meritato o no che sia, mi sembra volgare, non lo ritengo legittimo, in nessun
caso, è inutile che neghi di aver mai pensato di attribuire un atto tanto audace a un coraggio di cui sono
totalmente privo.
“La piacevolissima contropartita del mio aspetto insignificante del quale mi lamento sempre, è
comunque una vita libera e svagata”.
La porta de El Horno si apre di nuovo e un uomo entra, questo, trovato subito l’uomo che cerca, gli si
siede accanto con le gambe aperte a dire “sono un vero uomo io”.
“La presenza di un nemico mi sembrava una fortuna rarissima che bisognava sfruttare” dice Skeeen
“con sprezzo della paura, pagando con una sofferenza fisica il beneficio del riscatto, no nera perciò con
la fierezza del combattente, con un desiderio di successo, di dominio o di gloria, che stavo per
affrontarlo, ma con l’umiltà passiva di una vittima liberamente consenziente, a cui sembra normale e al
massimo grado auspicabile incorrere nel castigo che sa di aver meritato.
“La realtà, come potei presto constatare, era di natura molto meno esaltante. Non dal cielo e neanche
dall’altro capo del mondo, quella musica di sonori ceffoni mi era diretta, ma semplicemente dall’alto del
muro, lungo il canale della Fossa, dietro il quale ho già detto che in certe ore del giorno si innalzavano
le grida e le risate degli astanti dai visi sgraziati che si vedevano uscire il giovedì notte per andare al
Sekreta, fetidissimo discoclub, e spazzare il selciato con jeans scampanati e puma nere sporche di
fango, guidati da qualcuno dal mento glabro, il cui abbigliamento non si distingueva in nulla da quello
degli altri e che andava e veniva proprio vicino a loro, vicinissimo alla pista da ballo, ma non dentro,
lanciando, di tanto, in tanto, un’osservazione dura e arcigna nel monotono ronzare delle molteplici
conversazioni del Sekreta, fra il dimenarsi dei cubisti mezzi nudi e con le alette angeliche e schiavetti in
latex chiusi nelle finte gabbie che compongono gran parte di tutto quanto l’arredamento.
“La sceneggiatura è stata scritta in tre giorni di cold turkey” come la chiama Norman, perché, per i
brividi provocati dalla lunga astinenza da eroina, la pelle diventa simile a quella di un tacchino, Norman
è un po’ tanto stronzo, a casa di Norman non si scopa mai, racconta, racconta del video che ha in
mente…
La stanza non è circolare, è solo la prima dark, più piccola, che introduce alla seconda, infinitamente
più grande, quindi un corridoio poi si sbuca in un’altra, ancora più larga e fiancheggiata da una doppia
fila di camerini e gloryhole, che si prolunga a destra fino a sfociare su di un altro minuscolo antro che è
il regno di Powerfist che già è all’opera su di un piccolo relitto d’uomo.
La sua bocca è socchiusa, ha labbra spesse che sembrano gonfie.
La sua eco è potente, Powerfist è fierezza nella discordia e nel guerreggiare – ché evitata non viene la
battaglia, beninteso, ma sul fondo della nicchia del soffitto si vanno disegnando, e sempre più
chiaramente, alcune nuove forme – può opportunamente venir bollato del marchio di traditore infame.
parlare d’improvviso e smuovere, innalzare le terre tutte che tessono le loro carni al tocco suo in un
ordito di campi pesanti e ariditi, riattizzati in lontananza e ricomincia tutte le dominazioni eterne mentre
più fortunoso si fa il suo cammino – già, ai suoi passi lenti, torbida e vicina, rimbomba la voce di quelli,
minacciosa – l’esilio volontario.
La sua faccia bestiale favorita dai rossi di pelo.
La sua figura è la sua creatura, romba come fa il tuono fra le nubi quando il tempo s’appressa.
La vecchiezza decrepita del suo corpo è un’illusione fino ad acquisire dimensioni sue proprie, quasi un
significato metafisico.
La verità è che, a corto di fantasia eppure ancora poco desideroso di tacere, Skeeen, anche stanotte,
non ha trovato nulla di meglio che rivelare la sua truffa a quelli che ne sono state le vittime, e non è
affatto disposto a risparmiare loro il sia pur minimo particolare: è come fosse due mostri nati dal suo
stesso smembramento.
Lancia racconti e costringe a piangere e a ridere.
Lassù qualche vocalizzo puro, quasi sottile della voce di Nina, la cui ironica disinvoltura provoca in
Skeeen quell’ebbrezza che è la disperazione assoluta, prossima alla felicità.
L’unica cosa certa è che sopravviene, ogni volta, a quel canto mussato di Nina, un attimo di estasi del
tutto imprevedibile prima che quella musica possa giungere sino alle orecchie di chiunque o almeno
prima che si possa percepirla chiaramente.
onTV
Le attrici indiane – tutti lo sanno – sono grassocce e melliflue: devono fare da spalla all’eroe maschile del
film, le modelle indiane, invece – che sfilano, ballano e ondeggiano da sole – sono belle come i fiori del
loto.
Le conseguenze dei pugni ricevuti nell’ano adesso si fanno sentire pesantemente.
Le cose non vanno bene come è parso fino a qualche minuto prima, ma questo clima pesante di
dramma in cui adesso è immersa la sala, invece di paralizzare, spinge, al contrario, a sfidare insistendo
nel dipingere a tinte ancor più fosche tutto l’evento, il BOLGIASHOCK, già abbastanza scandaloso.
Le cure piccanti si precisano, accusate ancor meglio dall’allargamento delle natiche.
Le due figure sembrano ora riposare.
Le lancette dell’orologio elettrico che pende dal muro s’inseguono con indifferenza: l’orario non è
nemmeno esatto.
Le lotte, la febbre, il disordine sono cessati: tutti fissi a guardare.
Le mani gli si contraggono sulla panchina e getta uno sguardo circolare alla stanza, a tutti gli astanti,
con una specie di avidità spossante.
onTV
Le musiche e i volteggi delle danze di corte Mughai sono terminati, nei camerini, con un po’ d’affanno,
le modelle sfilano gli splendidi lehenghas delle concubine di Akbar per indossare i vestiti in pelle
dell’ultimo quadro della sfilata Gopal e Govind, due gemelli, scortano in pedana Sareena, indossano un
abito militar-punk con stivali di cuoio nero e occhiali di plastica bianca: il riferimento alle divise degli
uomini dell’armata rossa non sembra involontario, qualche imbarazzo tra gli ospiti d’onore che siedono
sui morbidi cuscini di paglia in prima fila dello Shringar Theatre.
Le persone sedute ai tavoli de El Horno continuano ad occuparsi dei fatti loro mentre le immagini della
sfilata si appannano, il barista s’immerge in altre occupazioni.
“Le perversioni sono sempre esistite!” dice ma lo dice non per giustificarsi: lo dice una voce.
Le risa e gli scoppi di voci giungono ancora fino a Skeeen, lontani, resi sordi dall’aria ovattata, e
tessono un rumore spesso prolungato in sordina dai suoni della musica.
Le risposte a eco, che le voci si lanciano, sembrano altrettanti richiami alla cui seduzione nessuno può
sottrarsi, anche se volesse.
Le strade, fuori, sono deserte, i lampioni radi e lontani.
Le teste, dentro, hanno orifizi equivoci.
Lei, Nina, c’è, sta cantando insomma come sempre nell’aria del locale, grida in quattro o cinque lingue,
modula degli acuti che si spazzano via su varie tonalità, così veloce mette a punto
contemporaneamente il sintetizzatore che non riesce a seguirla, torna al microfono, ci rutta dentro, poi
attacca un pezzo in ruvido tedesco che sembra Wagner Universo.
“Lei è il padrone, ordini!” questo fist è più potente dei precedenti, la voce di Nina è infinitamente
elevata.
Lo bacia gentilmente “lo grando sbaglio è lo confuso eccito diffuso, non certo l’odorìo e il risuonamento
del tono mattutino” dice Powerfist.
Lo lascia secco con questa frase completamente folle.
Lo picchia, l’altro lo abbraccia piangendo.
Lo portano via, e l’altro fa la puttana in compagnia del suo amico fino al momento in cui si innamora di
un tedesco, grande, forte, imberbe, possessore di un grande membro infaticabile.
Leggenda metropolitana
lo sconosciuto è accanto al coprofago in agguato che aspetta di slanciarsi sulla fresca in un angolo fatta
dal ragazzotto pelosetto che frequenta di solito l’ultima panchina in fondo al corridoio sterrato della
stradina sullo sporco materasso di plastica sotto l’affresco più paganopunk quello dell’antico satiro dalle
gambe di caprone che porta gli occhiali da sole neri come Fassbinder e sodomizza il vecchio con a
fianco la scritta THE DEVIL MADE ME DO IT
lo sconosciuto è accanto al graffito RISING TO THE LOVE WE NEED dove un ragazzo bianco e uno
nero si sbaciucchiano teneramente in piedi masturbandosi a vicenda incuranti del giovane rasato che si
fa spogliare e poi ancora leccare tutto il corpo nudo e glabro dalle lingue fameliche di due baffuti macho
e di un biondo occhialuto sotto lo sguardo torbido di un vecchio gobbo che in disparte si scuote invano il
pene scuro e flaccido
lo sconosciuto è anche vicino al biondino che sembra un adolescente addormentato su di un divano di
pelle nera accanto alla scritta SU QUESTI DIVANI E’ VIETATO DORMIRE LA NOTTE E’ FATTA PER
RESTARE SVEGLI!
lo sconosciuto è così ancora qui oggi al mattino presto prima di recarsi al lavoro in ufficio in completo e
cravatta grigi parcheggia la macchina sulla riva della via
lo sconosciuto è lì a spompinare un nuovo camionista che si prepara a ripartire o si farà inculare da un
altro impiegato con la cravatta a farfallino e la moglie in vacanza da qualche parte
lo sconosciuto è l’ dopo aver varcato la soglia di questo TEMPLE OF FREEDOM FROM TABOOS dove
non esiste mai sesso a pagamento scarica a raffica nell’avida bocca o nel culo di uno senza nome i
coglioni indolenziti dallo sperma accumulato nello scroto ancora gonfio di sonno o già rattrappito dalla
igienica doccia fredda dl risveglio
lo sconosciuto è lo studentello sceso dall’autobus a una fermata non lontana
lo sconosciuto è non lontano dalla Fossa merdosa al piano di sopra della casa accanto da una finestra
si vede tutto
lo sconosciuto è lì con il giovane intellettuale romantico intento a contemplare il proprio riflesso nei
palazzi dorati dalla luce del primo sole mentre si lascia leccare le palle da un astuto rapinatore che gli
sta svuotando le tasche dei pantaloni slacciati abbandonati al suolo
lo sconosciuto è il semplice che appartandosi in un angolo con un effemminato tira fuori dalla tasca il
suo bel coltello e sibila tra i denti “gimme all your money or i cuty your ass asshole!” fingendo d’essere
straniero
lo sconosciuto è ricevitore di tanto seme
lo sconosciuto è forse uno assonnato e stravolto dalla nottata passata in una o più darkrooms buie e
fetide dove ha sodomizzato altri sconosciuti fiutando poppernitratodiamile e succhiato cazzi fino all’alba
col rischio di beccarsi una delle tante malattie veneree al momento disponibili fra cui il mortale kaposi
sarcoma
lo sconosciuto è un grasso vestito dalla testa ai piedi in cuoio nero con catene e fazzoletto rosso
appropriato e le dita ancora unte di Crisco con cui è andato a render visita col pugno all’intestino di un
magro masochista fra i voyeurs dello scantinato
lo sconosciuto è un signore elegante con cravatta rosa e tempie argentate reduce brillo da una nottata
di danza
Lo sguardo fa naturalmente da zoom, prima di qualunque approccio.
“Lo so bene, abbiamo una lingua, abbiamo inventato la penna, e l’una e l’altra domandano solo di
essere usate” dice l’attivista.
Lo sperma di tutti gli astanti va ad invaderlo costantemente, lui resta steso.
Lo steso si mette a dividere il furore di tutto quanto il fist per intero, e le sue unghie s’accaniscono sulla
pelle di lima delle spalle di Powerfist.
“Lo vidi aprire il cappotto” dice Skeeen “e tirare fuori un cazzo enorme, lo guardai e solo allora alzai la
testa e, con il cazzo sempre in mano, fece un passo verso di me guardandomi dritto negli occhi con una
espressione corrucciata… e via, e via, l’istante successivo abbassò di nuovo lo sguardo su di un orologio
da polso ma senza cinturino che ripose cautamente nella tasca interna del suo chiodo, poi si sforzò di
richiuderlo, quel chiodo, con le dita irrigidite dal freddo sulla zip: fu soltanto quando con un colpo
improvviso mandò indietro il cappello in pelle, scoprendo un triangolo di capelli rossi e impomatati, che
riconobbi il rosso de El Horno.
Lui è lento e rende, nuovamente, la sua luce opaca, è un volare dentro il sole, è sempre vigilato
interamente e, in modo allegrissimo, è spalancato verso il soffitto, ovvero: il foro dell’uomo nell’umidore
gradevole e basso, Godz, quale fiaccola al pallore, completo e senza sorgenti! Esposto pienamente, si
presenta.
Lui è un risveglio totale del reale e del puro naturale, un insieme, è, di tutte le cose narrate, sigillate dal
cuore.
M
Ma a questo punto si fa riconoscere: Powerfist, alla propria massa corporea, contrappone, silenziose,
le notti tremende del tempo, le furie e il loro mormorio.
“Ma ad ogni modo, in tutta la faccenda, sono gli unici a dare l’impressione d’essere intelligenti, sul serio”
fa dice il tutto vestito in pelle, un po’ stucchevole.
Ma anche quel non so che di vasto e di limpido che è simile alla brezza marina possiede questo tutto
vestito in pelle, un po’ stucchevole.
Ma ancora non è soddisfatto dalla esibizione cui ha assistito – “dove sono i due giapponesi? che me li
ciulo” dice il tutto vestito in pelle, un po’ stucchevole “costano cinquanta in più” dice il rasato rosso
organizzatore del BOLGIASHOCK “”va beh, non importa, me li ciulo adesso, ché sennò, poi, mi si fa
tardi e e arriva ancora più gente e tocca far la fila” fa dice il tutto vestito i pelle, un po’ stucchevole.
Ma andiamo avanti… e via, e via.
“Ma certamente il mio disagio era accresciuto dal fatto che ni era diventato ormai impossibile, a causa
delle vibrazioni velocissime e tese dall’uso del popper, prestare ascolto al rumore leggero dei passi e al
respiro del mio invisibile pedinatore” dice Skeeen.
“Ma come avrei potuto compiere questa impresa a cuor leggero? Non è mai stato troppo piacevole
aprirsi a gente malintenzionata decisamente predisposta a scorgere intorno a sé solo quel che c’è di
più vile e di più corrotto, la confessione di un vizio, che nessuno osa segretamente riconoscere come
suo, non può presentarsi che a commenti ironici da parte dei più ipocriti e sollevare, tra i più cattivi, un
concerto di imprecazioni scatenate.
“Ma conoscendo le mie viltà, come potrei sperare di trovarmi bene per ungo tempo in un paese
monotono e derto che non mi ama?” dice Skeeen “mi trovo in un certo qual senso nello stato di un
uomo che, credendo di aver fatto il possibile per scongiurare la sorte avversa, deve arrendersi
all’evidenza e riconoscere che la partita è perduta, assolutamente perduta: né gli resta, nelle condizioni
in cui essa si conclude, l’orgoglio di averla sostenuta.
“Ma cos’è, ora, questo vocio indistinto alla televisione?” dice Skeeen.
Ma così come viene il momento in cui la fiamma più vivace si avvolge su di sé, si abbassa mandando
fumo, vacilla e infine si spegne, così a lungo andare Skeeen prova una crescente irritazione in fondo
alla gola, gli occhi gli si confondono per avere troppo a lungo fissato quelli dell’interlocutore nei quali si
sfinivano a ravvivare un bagliore di interesse, non sa se più esattamente, Skeeen, ciò che aveva da
dire, e spera in qualche benefico riposo, sicché si verifica in lui quel che non poteva prevedere, e che
l’altro sperava più potesse accadere riprende a raccontarsi.
“Ma credo sia necessario risalire più indietro” dice Skeeen “fino alle origini del mio male, perché tanto
io, anche se in modo poco notevole, penso e penso che sono ancora disperatamente riconoscente e
per l’eterno e posso splendere ancora: quella grande sera, rivedo ora, il pantalone colore del tramonto,
gli splendori di gioia e il piede e la mia rassegnatezza o indifferenza, e il mio parlare e il mio atterrito
sussurro… e via, e via, benché descriverlo il mio male – e renderlo comprensibile a persone che non ne
siano mai state colpite – mi sembra impresa di insormontabile difficoltà… e via, e via, e prima di tutto, il
carattere assai suggestivo dell’atmosfera e dei luoghi in cui si sono svolti gli eventi in occasione dei
quali dovetti subire quella prima crisi, quel regime di vita futura, di cui mi accingo a riferire,
giustificherebbe certamente una discrezione particolareggiata che solo un affabulatore ansioso di
commuovere, ritto a simile tipo d’esercizio e dotato per natura di doni cui non mi sogno nemmeno di
aspirare, sarebbe in grado di fornire”.
“Ma dove sono andati a finire tutti?” dice Skeeen ruotando gli occhi fino all’entrata del perimetro della
dark “andati a scopare in qualche parte, credo, di solito in questo locale basta che uno mediamente
carino si sposti da un’altra parte, che tutti prendono a seguirlo come un esodo di massa” risponde
Powerfist con una scrollata di spalle e riprende, con lentezza, il suo giro di sigaretta nel portacenere.
onTV
Ma è il fashion show ad avere il successo più travolgente di pubblico, grazie alle sue collezioni, alle sue
luci e ai suoi colori e soprattutto alle sue modelle: assieme a Vanessa Vaz sfilano in pedana Audrey
Casmiro, Simrit Lamba, Jayashri Gole, Phiroz Ewari, Sareena Vandana Sarin e Suchita Kumar: alcune
ra le più belle top model dell’India, molte di loro farebbero gola all’agenzia di John Casablancas.
“Ma fingere di rinunciare agli artifici, è ancora un artificio, e oltremodo subdolo” dice Skeeen.
“Ma forse pensavano anche che il mio rivale, credendo che io nascondessi sotto un’apparenza di
calma e di indifferenza tutto un mondo di astuzie sconosciute, ne fosse stato talmente impressionato da
ritenere prudente di battere in ritirata.
“Ma il mio turbamento” dice Skeeen “e la mia goffaggine diventano allora più accentuati”.
Ma il moro inizia a strozzarlo a quello, safe sex, lo chiama, ma così lo stringe a lungo finché si accascia
sfinito, il moro lo stende delicatamente a terra, poi gli apre la cerniera dei pantaloni e vi appoggia sopra
le mani, quindi estrae il suo cazzo, gli infila un anello, un cockring, e si strappa una sega tormentandosi
la cappella, allontanandosi dal luogo, il moro scavalca due corpi carichi di sperma a terra e si dirige con
cautela verso l’uscita di El Horno: dietro la porta si trova di fronte un altro biondo e si masturba ma il
nuovo arrivato si guarda attorno con attenzione nella vana speranza di trovare un posto libero al
bancone del bar “per favore, un bicchiere d’acqua” e così “subito, mister” risponde il barista dal secco
petto villoso, il barista esamina il tizio con rispetto e si mette al lavoro, prende un bicchiere da mezzo
litro, vi fa dell’acqua fresca del rubinetto, introduce del ghiaccio, troppo, ne estrae qualche pezzetto
gettandolo via, con aria assente presenta sul bancone il bicchiere appannato ricolmo d’acqua gassata
che pare gelida “il signore è servito” e ghigna subito appresso, e timbra il pass per la consumazione,
l’altro beve a piccoli sorsi e si passa la lingua sulle labbra secche prendendo una pasticca, poi
improvvisamente resta immobile come in preda ad un sogno e guarda fisso il barista al pacco.
“Ma in che odo ciò autorizza a rimproverarmi aspramente il male da cui sei tu stesso colpito?” dice
Skeeen “non puoi chiedermi di restare nel cantuccio, silenzioso e modesto, ad ascoltare inebriarsi di
parole persone delle quali ho tutto il diritto di pensare che non hanno maggiore esperienza né maggiore
ponderatezza di quanta ne abbia io.
“Ma in società, quando non mi preoccupo di passare inosservato e di vedere senza essere visto, mi
capita quasi sempre di voler interpretare una parte.
“Ma le libagioni del sesso sono moti sottili e incipienti, spietate e divampanti” dice Skeeen.
Ma lo trova così avviluppato nella camicia colorata e aderente che deve aiutarlo a toglierla.
“Ma mi ostinavo a rimanere piantato lì, guardando in giro senza muovere la testa: questo non
significava forse confessare che avevo capito, che ero proprio quello che chiamavano, che ero pronto
ad ubbidire? la forza dell’incantesimo diventava incredibile, tale da lasciarmi senza fiato.
“Ma naturalmente lungi da me qualunque intenzione di lasciare la faccenda, sia pure per poco, in
sospeso: si dà il caso che io tenga pronta la stessa risposta per le domande più differenti” dice Skeeen.
Ma no c’è un altro colpo di culo, e tutta questa fortuna non entra mai nelle mie cose e mai pronuncia il
mio nome.
“Ma non mi importa che tu sia irritato dalla mia preoccupazione costante di descrivermi” dice Skeeen “di
esaminarmi minuziosamente, tutto quel che potrei dire, che non esprimerà mai altro che la mia boria,
sarà sempre sufficiente a farmi condannare, sia che esamini il mio caso con serietà, sia che adotti un
tono di scherzo”.
Ma non riesce a comprendere dove inizi un corpo e dove ne inizi un altro qui a El Horno.
Ma oggi che dice Skeeen di aver perduta un po’ della sua arietta di silenziosa sufficienza, oggi che è
passato da sopravvissuto, di notti da sveglio, ben protetto sotto le ali grandi e spaventose e miracolose
del buio, scortato nelle avventure da oscure membrane alte e rigide e irte come montagne, come può
nascondersi in modo che non o si distingua più in nulla?
“Ma oggi, nessuno chiama più” dice Skeeen “e non poco questo mi distrugge e non senza lamento” non
più una vera passione, un tremendo che lo segua nelle vie segrete dei parchi cittadini… e via, e via,
come un addio aa passato, un vendicativo e meritato “ho visto ciò che avrò e non mi va: non ho altra
parola da dire se non questo non mi va”.
“Ma per quanto tempo puoi ancora farne a meno?” dice il tipo rossodipelo mentre la sua attenzione si
concentra sempre di più verso Skeeen, sfugge dagli occhi, torna indietro con lo sguardo mentre inspira.
“Ma per quanto vuoi” dice Skeeen “quella volta non ho mangiato per giorni, ma avrei potuto andare
avanti ancora, se avessi voluto: avrei potuto smettere di mangiare per sempre.
“Ma perché allungare tutto quanto questo resoconto, sto facendo veramente molti giri di parole per
arrivare finalmente a scrivere questa semplice frase: avevo voglia di ballare con quei piedi, e come
trattenermi dal confessare che quel desiderio aveva, in fondo, come soli oggetti del mio desiderio la
serietà di un volto e ancor più l’attrazione incalzante e puramente fisica che esercitava su di me un
corpo meravigliosamente disarmonico, e non, come mi affanno, senza motivo, a far credere lo stupore
attonito in cui mi immergeva l’analogia, verosimilmente creata di sana pianta dalla mia immaginazione
di ubriaco, tra le mie formule del piacere? Ma, dopo tutto, che cosa vi importa? L’ho desiderato
fisicamente, oppure ha soltanto eccitato la mia curiosità con la sua aria seria? Qualcuno ci tiene a
conoscere con esattezza i motivi che ni fanno alzare e invitarlo in un camerino?”.
“Ma perché dice il tipo rossodipelo, con una curiosità incerta che torna a riscaldargli lo sguardo “hai
smesso?”.
“Ma perché, così” dice Skeeen “perché non ne avevo più voglia: ogni tanto mi stufo di fare le cose,
come mangiare, bere, respirare, fare sesso con sconosciuti, anche fistare non so chi: basta che ci provi,
ti rendi conto che puoi farne a meno.
“Ma poi il punto è non pensare alle conseguenze, pensare solo a quello che vuoi fare, il resto è
irrilevante.
“Ma presto, comunque, mi divenne del tutto impossibile sopportare quietamente ciò che era al di sopra
delle mie forze, e non parlo solo di quel senso di freddo crudele dell’anima di cui tutta la mia pelle era
satura e che mi trafiggeva fino al midollo delle ossa, ma anche del senso di angoscia e di desolazione
di cui d’altronde non ebbi veramente coscienza se non quando mi sorpresi a gemere come un animale
ferito, con mancanza di ritegno favorita anche dal silenzio circostante.
“Ma prima di allontanarmi, volli gettare un ultimo sguardo su quel piede del mio supplizio”.
“Ma prima di tutto, un momento, te ne prego” dice Skeeen “promettimi che mi seguirai in questo sfacelo
di racconto”.
“Ma prometto” dice il tipo rossodipelo “lo prometto”.
“Ma proprio nel momento in cui mi accingevo a spolverare, di lingua, il fondo dei jeans” dice Skeeen “un
dolore penetrante alle reni mi strappò un grido.
“Ma può anche capitare – e qui tocchiamo il mio caso personale – che le parole siano restie e che voi
proviate allora un’angoscia paragonabile a quella di un paralitico che vuole fuggire davanti a un pericolo
imminente”.
Ma quando scopa, Skeeen, flutti di lussuria, luce all’alba, fragranza di rosa.
“Ma quel bisogno importuno che ci è comune” dice Skeeen “costituisce forse una tara per la quale
coloro che non arrossiscono hanno il diritto di giudicarmi? Ho la debolezza di ritenere che la mia
coscienza, anche se sporca, è migliore della vostra cecità”.
“Ma quel che non devo omettere di dire a proposito di quei canti d’amore, è la certezza che nulla
avrebbe potuto togliermi di mente che essi mi portavano un profumo familiare, vestigia insolite di un
mondo così radicalmente distinto da quello in cui mi dibattevo quanto l’inverno lo è dall’estate e che,
nel bel mezzo della mia allegrezza, mi procurava una cocente nostalgia simile a quella che l’evocazione
di tutto un passato glorioso provoca in un uomo al tramonto, o anche a quella che provate se un giorno
vi capita di tornare imprudentemente sui luoghi che sono stati teatro di una passione della quale,
tuttavia, vi credevate guariti per sempre.
“Ma quel che rimpiango di non sapere esprimere è il piacere sensuale, nello stesso tempo molto
tranquillo e di una estrema acutezza, che provavo quando, seduto su una panchina dalla quale potevo
godere un paesaggio fatto d’edifici, di verde a perdita d’occhio e di nuvole, al quale la luce primaverile
conferiva, sì, uno splendore magico, con il corpo riscaldato da un sole dolce e avvolto in un maglione
piuttosto pesante che mi proteggeva dal vento ancora abbastanza fresco in quella stagione, rimanevo a
lungo a contemplare, di volta in volta, i passanti che si incrociavano, a volte si salutavano, davanti a me,
l’acciaio scintillante del ponte rigido sopra al laghetto del parco o anche, rovesciando la testa, la volta
verde chiaro dell’abete che mi guardava dall’alto in basso con tutta la sua maestà, tutte cose, in sé,
piuttosto trascurabili, e rimpiango pure d’ascoltare i discorsi sconnessi della gente che si era seduta
vicino a me, le grida di gioia dei bambini, il sussurrio precipitato delle auto di passaggio che rimbalzava
sotto il ponte metallico della Fossa, a eco.
“Ma quel che soprattutto ricordavo, era lo stato di estasi indicibile che provavo, ora mi ci abbandonavo
con compiacenza unendo la mia voce – malsicura – a quella degli altri, ora, se il mio orgoglio ostile
esigeva la sfida, mi opponevo ad essa con tutta la mia volontà di autonomia, tenendo allora la bocca
ermeticamente chiusa, con le labbra gonfiate in una smorfia sprezzante, la testa e il busto molto diritti,
gli occhi sfavillanti d’arroganza, con la duplice speranza di esprimere, con la rigidità del mio contegno, il
disgusto che mi ispiravano quelle lodi servili e di affermare pubblicamente la mia libertà, ed era
soprattutto in quest’ultimo caso che avevo la sensazione di diventare improvvisamente un personaggio
prestigioso, quale ai miei occhi rimane chi, noncurante dello scandalo e sprezzando una riprovazione
unanime, lotta arditamente, uno contro mille, per imporre le sue opinioni, anche se errate”.
“Ma quel giardino, popolato o no” dice Skeeen “quel luogo chiamato Fossa, sarebbe stato soltanto
capace di trattenermi: esso mi dava l’impressione di essere situato ai confini del mondo abitato e da
quella panchina potevo contemplare non solo il torrente di persone che scorreva, si precipitava in
grandi onde trasparenti di arrapamenti luminosi, dalla cima dello sterrato fino a un immenso ribollimento
bianco tappezzato di sperma più in basso, ma anche tutta la lunga prospettiva del fiume di terriccio
attraversato da un unico ponte che, anche se perfetto come nascondiglio, bisognava rinunciare a
frequentare per il troppo afflusso dei corpi e poi ancora il grande muro compatto della stazione Nord, e
finalmente i culi penetrabili, sormontati dai cespugli di tigli, che, di là dal torrente prosciugato, oltre le
sterpaglie secche, mi incuriosiva spiare a causa del rumore confuso e misterioso che producevano e
che si sentiva in certe ore del giorno e della notte, fatto di piedi che camminavano o correvano sul
terreno sconnesso, di richiami lanciati a voce alta nell’eccitazione di un gioco e che il tintinnio acuto di
una sborrata faceva improvvisamente cessare”.
“Ma quel giorno” dice Skeeen “ero decisamente molto diverso dal mio solito modo di essere, quella
piacevole illusione non durò che un attimo… e via, e via, si dà il caso che io non mi sia mai trovato a
dover respingere spiacevoli interventi, tant’è vero che passo inosservato ovunque.
“Ma spero che mi domanderai che io mi sia adoperato con ardore così inconsulto a mettere in chiaro i
miei raggiri e, supponendo che tu non abbia affatto l’intenzione di farmi una domanda del genere, ho
qualche motivo per ritenere che me la farai quando non sarò più qui per rispondere, il che avrà almeno
il risultato di mettermi al sicuro dall’ingiusto sospetto di eludere quel che mi imbarazza, pur dandomi
l’occasione di soddisfare la poca voglia di raccontarmi che mi è rimasta.
“Ma stavolta ero completamente preso dalla musica affascinante dei ricordi e nulla avrebbe potuto
turbare il mio godimento e così, cullato dalla mia piacevole euforia, non sospettavo che sarei diventato
l’attore principale, tanto vale dire l’unico attore, della scena successiva, con quel tizio che passava”.
“Ma dammi retta, prima di tutto abbandona l’atteggiamento malevolo che non ti si addice affatto: speri
ancora di svergognarmi? Stai attento” dice Skeeen “che io non abbia in riserva una risposta capace di
scalzare tutto l’edificio della tua stupidissima ed odiosa ironia”.
“Ma, immediatamente, quel tizio fece dietrofront!, ritornò sui suoi passi, attraversò di nuovo il fiume
essiccato cautamente e si arrestò all’altezza del prato essiccato anch’esso, nascondendosi dietro un
albero, invece di venire verso di me, attraversò il prato e si inoltrò finché dalla panchina, mi fu
impossibile distinguerlo ancora” dice Skeeen.
“Ma, irritato dalla mia inerzia, egli si rizzò in tutta la sua piccola statura e sferrò un potente pugno che ni
raggiunse alla fronte, caddi seduto, mentre tentavo di rimettermi in piedi, mi colpì ancora due volte,
ruzzolai sulla schiena e rimasi immobile e così, ancora irritato per essere stato spossessato del suo
bene, aprì lo zainetto e ne estrasse uno staffile fatto di strisce di cuoio intrecciate” dice Skeeen “nel
complesso avevo raggiunto quel che volevo ottenere.
“Ma per farlo fino in fondo, sarebbe stato necessario che prendessi la decisione di tirarmi in pedi, e
non mi credevo in condizioni di fare un simile sforzo, riuscii tuttavia a sollevare il busto e appoggiai la
schiena contro il tronco dell’albero morto, restai un bel po’ in quella posizione, senza fare un
movimento, con le gambe allungate, dritte davanti a me e unite ieraticamente come una statua distesa
su un sarcofago antico, con le mani appoggiate sulle ginocchia, mettendo tutta l’attenzione a tenere gli
occhi aperti e a contemplare sopra di me il cielo che era come una volta di ferro battuto” dice Skeeen.
Ma prima di tutto, sembra necessario dare un’idea approssimativa dell’ambiente, dell’atteggiamento
della gente nei confronti di Skeeen, di tutti gli elementi secondari che hanno potuto, in qualche modo,
concorrere all’origine di una crisi che non si distingue dalle precedenti solo per la durata, e per
l’intensità e per la compiutezza, ma anche per il modo imprevisto con cui si è trasformata in uno
smarrimento vertiginoso come lo era stato inizialmente il piacere che Skeeen si sforza di definire.
Mentre ballano, Skeeen si è già raffigurata vagamente la difficoltà che avrebbe prima o poi incontrato a
intrattenerlo nella sua lingua, ma non se ne preoccupa in quanto uno scambio di parole banali gli
sembra tale da turbare la sua esaltazione verso questo tedesco di passaggio a El Horno.
Mette in moto il trimmer per tagliare i capelli che già di loro sono rasati.
Mezzo nudo.
“Mi colpì con tutte le sue forze, le mie gambe barcollarono, caddi sulle ginocchia” dice Skeeen “mi
costrinsi a rimanere per un minuto a guardare quella piaga grigia e rosa circondata da schizzi di
frammenti sanguinanti, ripugnante come un ascesso sulla carne sana.
“Mi dicevo che ero ancora libero, che avrei potuto ancora voltarmi via e scappare attraverso il cancello
aperto da quale mi separavano solo una cinquantina di metri, che se non mi fossi affrettato a lasciare
quel giardino buio, quel parco, forse avrei dovuto rinunciarvi per sempre, non potevo andarmene.
“Mi domando se c’è ancora qui vicino qualcuno che mi ascolta”.
Mi nutro di liquidi e di frutta e poi non mangio niente di quello che è vivo tipo animali o pesci ma non
perché sono vegetariana… vedi quando tu mangi una cosa questa diventa parte di te del tuo organismo
e tu diventi parte di questa cosa per cui se tu mangi qualcosa che aveva un ego acquisisci questo ego
nella tua composizione chimica… per questo motivo cerco di mangiare cose che non hanno un grande
ego che già faccio fatica a liberarmi del mio! dice Nina.
“Mi pareva quella volta al parco Nord di attingervi un’idea di me stesso poco compatibile con quanto
anni di autoanalisi mi avevano insegnato” dice uno di passaggio vicino al bancone, mentre la musica
riempie la sala di El Horno “amo i giochi di carattere fetish: pissing, bondage, il rapporto slave/master…
e via, e via, non S/M, non mi piace quello”.
“Mi piaceva pensare che c’era stata, fra me e Godz, fin dal nostro primo contatto, una specie di
complicità nata come da una comune insoddisfazione, il suo desiderio di darmele di santa ragione era
identico al mio desiderio di lasciarmele dare, così che ciascuno di noi praticava a modo suo un comune
un comune principio, uno stesso ragionamento” dice Skeeen.
“Mi precipitai barcollando” dice uno di passaggio vicino al bancone “verso l’uscita del parco Nord dove
sostano le auto ma, prima di uscire mi voltai una singolarissima irritazione provocata da un branco di
corvi affaccendati, che stridevano su un mucchio d’immondizie, ai quali arrivai perfino a lanciare delle
pietre, il mio gesto fece soltanto fuggire in un’unica massa e ricadere poco più lontano davanti a me con
un volo pesante: quel sasso lo avrei lanciato volentieri a quello stronzo che mi aveva menato così,
senza nessuna sensualità”.
“Mi si verrà a dire che questo sfiora il delirio dell’interpretazione?” dice Godz “non ho riconosciuto io
stesso che avevo perso tutta la mia lucidità con Godz? A che mi servirebbe ostinarmi a descrivere e a
commentare avvenimenti molto comuni a cui una mente non predisposta si rifiuterebbe di accordare
qualsiasi significato? E infine, quel sentimento di abiezione non è forse lo stesso che provano tanti
ubriachi e che cosa ha in comune con la mia crisi di chiacchiere?”.
N
Naturalmente senza dirgli come ne è entrato in possesso, caccia il popper “che strano, a me ‘sto popper
me lo fa smosciare, io non capisco” dice Skeeen “gli altri come fanno? Non faccio in tempo a sniffare
che mi scende giù tutto quanto, proprio che non mi funziona più… e via, e via, sì, vabbè, mi gira la testa…
e via, e via, e allora che cazzo significa’… e via, e via, a me non è che mi fa sesso a farmi girare la
testa”.
Naturalmente, intervenire su questo argomento, non è neppure pensabile.
“Ne consegue che, malgrado il ricordo inorridito che conservo del popper, vi torni talvolta con una
sensazione di nostalgia analoga a quella di un vecchio attore che torna col pensiero all’immenso teatro
risonante di applausi nel quale ha conosciuto i maggiori successi.
“Né per orgoglio né per impotenza” dice Skeeen “voglio rinunciare a una attività cui ho a volte un così
furioso desiderio di abbandonarmi.
“Né ragazzo né uomo, ma ne El Horno il proprio il proprio posto immaginario è come sacrificato alle
solite scemenze.
“Ne risulta pure che la delusione inflittami il più delle volte dalla mia difformità mentale, dalla mia
immagine ossessionata – sulla quale, devo confessarlo, il mio naturale pessimismo ho discretamente
impresso il marchio – pur mantenendo l’equivoco, mi conferma nella convinzione che siccome l’unica
parte di me che considero veramente importante rimane sempre nascosta allo sguardo degli esseri che
amo di più, mentre tutto quello che posso mostrare di diverso è privo d’importanza, non sarò mai capito,
capito si confonde per me con amato, ed è una constatazione crudele di cui mi succede talvolta di
ridere per quel che c’è in essa di evidentemente puerile”.
“Né tu né io meritiamo di essere presi tanto a cuore, tanto alla lettera” dice Skeeen.
Nel convincimento della sua enorme differenza e nell’aver trovato giusto motivo di esaltarsi per quanti
sacrifici ha poi consumato in nome d’essa e quanto orrore e fretta e castigo poi e punizione nella sua
felicità e nei suoi incontri di luce ma non altro pare potrebbe giustificare tutti i suoi comportamenti e le
sue manie e le sue estenuanti ricerche.
Nel mezzo del vasto fiume delle cose, non far nulla, imparare a vedere ed ascoltare.
Nel mezzo della strada vuota del non fare più nulla, una linea bianca va rimpicciolendo in fondo, sulla
superficie livida e ghiacciata dell’asfalto di una vita dissoluta, zebrata da chiazze di neve di sperma.
“Nel secondo caso di cui adesso ti racconto” dice Skeeen “il mio stato, se si era molto accresciuto
quanto a intensità, conservava tuttavia le sue caratteristiche: lo stesso ottimismo, lo stesso godimento
ardente e passivo, lo stesso distacco che non escludeva un forte risentimento di simpatia nei confronti
di quanto mi circondava: solo le cause erano mutate: non voglio trascurare l’importante fattore costituito
forse proprio dall’avere un’apprezzabile quantità di Ceres… e via, e via, può darsi che alcuni gli
attribuiscano, con una certa ironia, una funzione predominante, ma non mi si potrà impedire di ritenere
che la visione di un tipo così meravigliosamente bello e peloso motivasse da solo il piacere sfolgorante
che provavo, così come a sua volta questo era solo capace di preparare il terreno favorevole su cui
dovere scoppiare la crisi più forte che io abbia mai avuta”.
Nel sollevarsi, le chiappe si aprono e appare per un attimo la rosetta del buco del culo, per sparire
nell’abbassarsi quando le belle natiche si restringono su fist e parte la visione.
“Nell’oscurità non potevo distinguere con esattezza il suo viso, ma lo immaginavo pallido e deformato
dal dolore, non doveva essere piacevole da guardare” dice Skeeen.
“Nello stato di pura energia il gio…” CLIK! Norman ha spento il discorso assurdo che sta facendo dentro
il suo walkman per registrare impressioni che poi girerà e continua a parlare del suo cazzo di film e che
ora che ha ripreso a drogarsi, certe cose del film gli paiono esilaranti, come la scena del lattaio che
stordisce una babysitter e la tiene ferma mentre un gigantesco fermento lattico la feconda… e via, e via,
Norman è un o’ tanto stronzo, a casa di Norman non si scopa mai, racconta, racconta del video che ha
in mente.
“Nessuna ansia” dice Skeeen “nessuna sfiducia, nessun lugubre presentimento di un insuccesso
improbabile”.
onTV
New Delhi, Vanessa Vaz cammina con passo spavaldo nell’ultimo tratto di pedana dello Shringar
Theatre di Delhi, un teatro all’aperto, ha gli occhi magnetici incollati sul pubblico, quasi in atteggiamento
di sfida: si ferma, indossa un minivestito in pelle color verde marcio, s gira, gli uomini la guardano
ammutoliti, con la bocca socchiusa.
Niente da fare, Nina, sul soffitto, è bella, seducente, con inarrestabile carica erotica, così sicura di sé
che nemmeno per un istante teme di essere brutta o volgare o priva di sex-appeal, così tutto le è
permesso e si permette di tutto sconvolgendo ogni immaginazione ed ogni estetica.
Nina è un piacere assoluto, ha una gusto della messa in scena, della teatralità e del trucco con
influenze Kabuki all’oltraggio postatomico del suo abbigliamento composto non altro che di stracci,
plastica, acrilici tenuti insieme appena da un filo di immaginazione che si rompe ogni dieci minuti per
produrre una nuova machera da proporre: scusa non potresti rimetterti quel copricapo da tartaro che
avevi prima? Ma non l’ho più, è andato via, l’ho disfatto, non ti guardare sempre indietro, la vita cambia
continuamente, guarda quanti altri bei copricapi ho dice Nina.
“Nooo” dicono e urlano i due all’unisono.
“Nooo, no con la mano” dice l’uno sennò mi ci fai venire”.
“Nooo, non mi lasciare” dice l’altro, replica assetato.
“Nooo, quel che mi preoccupa è meno nobile” dice Skeeen “del tirare una sega ad uno sconosciuto”.
Non appena si rialza, proclama che ha grande culo, e fortuna, tanto ci i abitua agli orrori della merda.
Non aveva avuto seguito e non aveva mai assunto carattere di violenza abituale in quel genere di
alterchi ma era esattamente questo che l’aveva reso più straordinario agli occhi degli avventori, i quali,
conoscendo da lunga data il carattere aggressivo dell’uomo, sempre pronto a far uso dei pugni, proprio
quando si riteneva offeso dall’assiduità di qualcuno, non potevano capacitarsi di vederlo fare marcia
indietro giusto davanti a uno sconosciuto dall’aspetto meschino, la cui combattività, a giudicare
dall’assenza completa di reazioni, pareva delle più mediocri.
“Non avresti per caso una sigaretta?” domanda del cazzo “ho dimenticato a casa le mie” aggiunta del
cazzo e l’uomo passa un pacchetto di Gauloises senza filtro.
Non bisogna lasciarsi ingannare: non è per una tardiva ma lodevole preoccupazione di onestà che a
Skeeen viene in testa di svelare i suoi espedienti uno alla volta con la fredda minuzia di un orologiaio
che smonti un orologio, non conosce scrupoli, è semplicemente per la voluttà di distruggere quanto ha
creato e di avvizzire l’entusiasmo che ha suscitato, mette dunque in fila i pezzi sul tavolo, dando così un
aspetto volgare ai suoi migliori giochi di destrezza mentale, deliziandosi nel deludere coloro che aveva
meravigliato, scendendo di sua volontà dall’altare su cui lo avevano posto le stesse vittime dei suoi
inganni, spiando avidamente nei loro occhi ancora ingranditi da uno stupore infantile, la prima ombra di
disillusione. Per poco sulla loro maschera triste sussista, irrigidito in un sorriso vuoto, il minimo bagliore,
e si affretta a spegnerlo on la stessa cura che il giorno prima aveva messo in opera per coltivarlo, quel
fuoco.
Non cerca altra visione, abbastanza devastato per volerne ancora, da non dire che questo avesse avuto
niente di notevole in confronto a quelli cui si assisteva tutte le sere.
Non ci mette molto a infilarvi la lingua.
“Non ci si lasci ingannare, dunque, ero mosso proprio dal desiderio di farla finita con l’ossessione del
castigo da cui mi sentivo minacciato, volevo anch’io la mia bella dose” dice Skeeen.
Non ci sono angoli, la parete non ne ha nella dark e nemmeno fenditure, ci sono, nel muro, solo tracce
di quelle istoriazioni prodotte da getti di sperma rattrappito.
Non compie un passo che la mano si spalanca, tesi tutti i tendini di Skeeen.
Non dice niente, Skeeen.
“Non dovevo vincere un nemico, dovevo abbandonarmi alle percosse di un uomo che, propriamente
parlando, mi appariva come il giusto esecutore, designato per purificarmi dalla mia lordura e verso il
quale, per questo o quel motivo, non dovevo provare che sentimenti di gratitudine” dice Skeeen.
Non è che io credo davvero che un tipo come Gesù Cristo verrà a trovarci pilotando un navicella
spaziale lo so per certo! Prima vi saranno una serie di catastrofi e di turbolenze che scuoteranno il
nostro pianeta poi ci sarà un risveglio generale la nascita del nuovo umanesimo e sarà bellissimo! Non
si tratta di crederci o non crederci queste informazioni sono scritte nel mio codice genetico e forse
anche nel tuo ma tu non stai attento e ti lasci confondere sempre da segnali molto superficiali senti
cosa diceva Ronald Laing “ogni break-down può diventare un break-through” ossia ogni caduta nella
follia può diventare uno squarcio in un’altra realtà in un’altra dimensione ed è per questo che coloro che
non hanno mai avuto di queste esperienze ci considerano pazzi ti ricordi Jimmy Hendrix quando
cantava but first are you experienced? Se non hai fatto l’esperienza non puoi capire e non c’è niente da
fare per comunicarlo agli altri l’esistenza continua a mandare segnali molteplici da ogni tempo e da ogni
galassia ma se la gente è sorda o cieca e non vuole sentirli o vederli non puoi convincerli con le tue
parole io sono stata aperta al contatto e da quel giorno la mia vita è cambiata e dove sto andando io ma
non posso spiegarlo a parole l’unica cosa che io posso dire alla gente è di stare più attenti e di essere
meno scettici e superficiali e di prepararsi psichicamente e spiritualmente al contatto perché la nostra
epoca sarà momento di grandi trasformazioni esattamente proprio nel cammino dell’evoluzione ma solo
per i più coraggiosi solo per coloro che avranno il coraggio di rinunciare alle loro miserabili certezze
mettiamola così il cosmo non è un accidente e non funziona in maniera casuale risponde ad una legge
perfetta in cui niente muore secondo una costante evoluzione ora se tu sei in contatto con la legge
eterna l’esistenza si prende cura di te e ti guida per mano fino alla tua completa maturazione a volte
appunto con interventi da altri pianeti perché non solo la Terra è un villaggio globale come dice
McLuhan ma tutto quanto l’universo lo è e se invece ti ostini ad andare per i cazzi tuoi senza ascoltare i
messaggi della tua voce interiore finisci per andare continuamente in cerchio ripercorrendo la stessa
identica spirale vita dopo vita commettendo sempre gli stessi sbagli e infliggendoti sempre le stesse
sofferenze ma ricordati che sei tu a sceglierlo nessuno è responsabile delle tue scelte e l’energia
cosmica non è propriamente un’energia aggressiva non bussa alla tua porta ma è come il sole se apri
la finestra entra però se la tieni chiusa non ti accorgi nemmeno che esiste dice Nina.
“Non è forse folle rischiare la propria reputazione, esporsi al sarcasmo generale, per sola voluttà di
raccontarsi? Perciò dipende solo da me imbrogliare ogni tanto la pista che ho accuratamente e
metodicamente tracciata” dice Skeeen.
“Non è mica strano che ti piacciano le dita dei miei piedi” dice l’altro poi si guardano subito intorno come
se l’altro avesse detto una cosa proibita.
“Non sei ubriaco?!” dice Skeeen “non sei drogato?!”.
Non è il caso di lanciare intorno a loro sguardi troppo preoccupati, improvvisamente smettono di aver
paura i desiderarsi.
Non esiste la replica di quella affermazione, Skeeen, è già tanto se cerca di stabilire tra sé e il suo
interlocutore un minimo rapporto vitale.
Non esita a mettersi tra l’uno e l’altro quel bastardo appena arrivato.
Non fa nemmeno in tempo ad arrampicarsi su uno sgabello del bancone che viene affrontato da un
barista vestito in latex bianco e dall’aria feroce e barbata, tutti i tavoli sono occupati da persone che
pensano ai fatti loro.
Non gli basterebbe neanche sedersi al tavolo a guardarsi intorno come la sera prima, c’è bisogno di un
vero e proprio gesto significativo per Skeeen.
Non ha alcun disgusto, Skeeen, per la pelle talvolta floscia, al contrario prova una grande tenerezza,
vicina all’attrazione, ma proprio un’attrazione gioiosa, non viziosa.
“Non hai mai parlato di lui e del suo piede, Godz” e intanto spinge il proprio piede verso Skeeen.
“Non ho la vanità di credere che sono riuscito ad ottenere la tua comprensione, né con il tono sicuro
che mi sono sforzato di mantenere fino a questi ultimi tempi, né con il tracciare, a dire il vero in modo
abbastanza laborioso, una trama logica fra gli episodi sconnessi di un’avventura un po’ troppo
chiaramente inverosimile, e se, per esempio, fossi riuscito ad imporre alla tua credulità le mie
dissertazioni sul carattere clinico del mio vizio, mi dichiarerei pienamente soddisfatto” dice Skeeen.
“Non ho mai dovuto suggestionarmi per commuovermi ascoltando parole che potrebbero, potrebbero,
sembrare insensate” dice l’altro “esse esercitano su di me un ascendente a cui non cerco di sottrarmi”.
“Non ho mai parlato di lui? Di Godz?! E perché avrei dovuto parlarne?!?” dice Skeeen”.
“Non ho paura che mi parli del suoi piede… e via, e via, sono i tuoi occhi che cambiano espressione… e
via, e via, quando parli di lui… e via, e via, è di questo che ho paura… e via, e via, è perché sei
magnifico… e via, e via, spaventosamente magnifico tutto quello che racconti” dice l’altro.
Non intraprendere nulla, vegliare, aspettare, vegliare.
“Non lo trovare sconveniente” dice Skeeen “ho baciato un tale, ero contento, mi ha tradito, ero triste, un
tizio mi ha minacciato, avevo paura, lascia che ti dica che questo posto è sordido e fastidioso.
“Non me ne rendevo pienamente conto, credo.
“Non mi abbandonava con lo sguardo, Godz, neanche quando con un gesto improvviso afferrava il
bicchiere lo portava avidamente alle labbra, come se, scandalizzato oltre che affascinato dalle mie
parole, che per un senso di sfida esageravo di proposito, cercasse nell’alcool la forza di sopportarne il
tenore.
“Non mi dispiacerebbe, per quante siano le canzonature a cui la mia delirante sessualità mi esporrà,
essere considerato un ingegno serio o anche, se devo cadere in un eccesso, di una serietà un po’
buffonesca”.
“Non ricordo di avere assistito allo spettacolo troppo frequente di due uomini che si leccano i piedi dal
vivo” dice l’altro.
“Non mi si accusi di rimanere volutamente nel vago quando si tratta di esporre la natura delle mie
confessione” dice Skeeen “e prima di tutto non è proprio il caso in questo momento di passarle in
rassegna”.
Non parla molto, tranne che per sdilinquirsi per i cazzi, come tutti del resto, perché è occupatissimo ad
allungare il collo e a fare l’affascinante.
“Non promettere, giura che mi bacerai il piede” dice l’altro e ride.
Non può capire.
“Non riesco a vedere niente altro, io proprio non ci riesco a venire se non tocco almeno un piede, ormai
mi è del tutto indifferente, che ti posso dire” dice Skeeen”.
Non risponde.
Non so come si chiama, questo ma fa sempre la parte di quello che gli prende la fifa quand’è il
momento d’essere preso.
Non si riparlano, prolungano il silenzio, lui e Skeeen, si comportano come se non fosse successo
niente, perché così semplificano le cose per entrambi.
“Non sono di quelli” dice Skeeen “che rimangono indifferenti alla vista di un bel pelosotto”.
Nuovo amore sicario di un amore presto assassinato.
O
O piuttosto Skeeen è come fuori dal tempi, perché, nella fretta di alleggerirsi interamente di tutti i suoi
rutilanti racconti, prima ancora che lo facciano definitivamente tacere, accelera la velocità delle sue
stesse parole, raddoppiando in cinismo la narrazione, con una precipitazione stordita che lo sottrae al
tempo stesso dalla realtà, affrontando, senza timore e senza vergogna, il vento d’ira che sente alzarsi
dal’assembramento degli avventori che, in maggioranza, sono affluiti in file serrate verso El Horno.
o piuttosto
per prima cosa
si vede Skeeen
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, a Skeeen fanno offerte profane: è un iniziato ed è per lui un
grande onore, una logica amorosa
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, a guadagnarsi tutta la bellezza sconvolgente per cuori
barbari
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, a ricondurre anime proprio al suo stesso dio: si può dire che
ci si dà a lui per spirito d’equilibrio e, con lui, vi partecipano i trasbordi d’oro d’ogni perso sorriso
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, accetta pillole solo se le prende purissime, Skeeen, solo che
ce n’è una speciale che Skeeen nasconde dentro il chiodo, nel taschino, pillola davvero dall’effetto
molto erotico… e così ancora una! Un’altra... Ah! Tutt’e due… in calore… ma Skeeen, stavolta, ce li ha
davvero li spasmi1 rantola, schiuma, schiatta quasi, e schiatta di tutto quanto l’amore: del resto è quella
stessa miscellanea di robe chimiche a chiudere la porta della conoscenza ed aprire quella dell’estremo
misticismo che ha reso segreto, davvero, ciò che deve restare segreto
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, capanna di lamiera ondulata, sauna, ecco la ragione prima
della sua ascensione, il tesoro occulto del tempio di vapore, ove sono conservate, nell’umido, reliquie di
spermi d’imbroglioni e verghe di fuoco raddoppiate sono conservate
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, cazzi e miseria! E nient’altro
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, connubio d’anima e corpo, una scienza astronomica della
natura umana, Skeeen, un espresso mistero di vita senza posa e senza sesso reale, una linea di
passaggio, Skeeen, per i portatori insani di foco
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, Skeeen adesso fa il mago, è spossato, i medici possono
mica ridargli l’ardore erotico, i suoi vent’anni… e lui, Skeeen, è pazzo d’impotenza e gelosia e canta! E
che canti!! Skeeen, adesso giudica e chiama tutti coloro che devono essere giudicati, li chiama a
confronto infernale
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, Skeeen è ancora ben in arnese, anzi pimpante, ha finito con
l’imparare canzoni e passi di danza, chiuso con Godz?... allude a una certa fuga con Godz, sicuro…
come ha fatto a fuggire quel bastardo di Skeeen, a scapparsene e mollarlo là in quella galera di locale?
“eh? Come? Lo so bene io, lo so io come hai fatto a mollarmi là” dice Godz “ho buona memoria, io, il
diavolo non è mai soddisfatto del tutto… ‘perseverare’ la sua legge maledetta” e Skeeen a guardare con
occhi fessi come si si potesse assaporare il proprio nulla e questo niente assolutissimo non fosse altro
che una sorta d’essere, ma non fosse proprio del tutto l’essere stesso
o piuttosto
per prima cosa
si vede Skeeen
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, Skeeen e Godz danzano un poco al suono, se ne sbattono
dei cazzi, quand’ecco dalla savana di corpi danzanti sopraggiungere un impresario scheccante in cerca
del vero mschio al naturale per farne un vero campione di un qualche show preserale, uno di quei
pupilli che in città quasi non si trovano più, vuol scoprire uno strenuo autentico cannibale della danza,
un omicida, batte le disco di tutta la città (ma ‘st’impresario è il diavolo, in realtà), ce l’ha sempre con
Skeeen e Godz e li vuole rovinare sulla piazza per portarli con sé “ma via, ma via, ci morirete in una
metropoli simile, piena di malattie, di miseria, di froci che vi odiano, i froci vi sbraneranno… e via, e via,
anime marce come le vostre, perle ai porci! Il mio talento, la mia voce, il mio sapere! no! io vi porterò in
America, laggiù conoscerete la fama, sicuro, qui non siete compresi” urla l’impresario e Skeeen vuole
convincere Godz, abbandonare la città con l’impresario e il suo amante che pare un gorilla superbo, un
colosso dallo scatto felino, fututo campione della danza
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, Skeeen vorrebbe già scappare in America
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, deve fare l’occhietto agli avventori, canta nei locali per
traveste, lui che travesta non lo è mai stato, il gorilla superbo, colosso dallo scatto felino, futuro
campione della danza e il diavolo manager se la ridono… il diavolo si vendica… ma ecco che, in uno di
quei localini malfamati, Skeeen viene notato da un turista italiano, un vecchio amico di passaggio, gli fa
dele avances, innamorato cotto, Skeeen si sacrificherà, ancora una volta, riparte per l’Italia, verso la
sua città: eccoli in aereo, verso la sua città, Skeeen in Italia, Godz fa i paria in America, desolato, a
cantare il proprio dolore, duetti della desolazione, Godz fra le alte inferriate del ricordo, in stracci, e
riesce a farsi ancor più detestare, gli cavano pure gli stracci, nel vicoletto buio, e botte da orbi, lo
menano a sangue ed è così che canta il suo ricordo per Skeeen, il traditore tornato in Italia
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, e Skeeen bazzica gli ambienti di marchette nel parchetto
della grande metropoli italiana
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, che ricorda Godz con la fiducia che gli vacilla un tantino, ha
una bella voce, un incanto, in sauna lo vezzeggiano, in sauna lo coccolano, in sauna vogliono che non
canti altro che successi francesi… oh oui, parlez-moi d’amour… canzoni di Anne Pigalle in America, ma il
gorilla superbo, colosso dallo scatto felino, futuro campione di danza è diventato il più duro omicida
della sauna, l’assassino d’ogni cuore, il distruttore di coppie e sta corrompendo Godz, che si sente in
dovere con le marchette di tutti quanti quei locali, e le vuole salvare dalla mercificazione dei corpi, alla
fine è pescato, in una retata, Godz, con un gran pacco di cocaina in tasca, regalo a tranello del gorilla
superbo, colosso dallo scatto felino, futuro campione di danza, bell’e fottuto!, in galera!, e così il tempio
di latta, la sauna provvisoria e marcia, si chiude!
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, e poi ancora Skeeen, animula vagula e blandula, nella
grande metropoli italiana, ah, Godz l’hanno suonato per bene, ma è ancora bello tutto abbruttito, ma
ecco lo sgomento: non ama più Skeeen il suo bel Skeeen che lo ha mollato lì, in America, eppure
Skeeen l’ama sempre, solo che bisogna arrangiarsi, non hanno più niente da dirsi, no! Godz non ha più
la forza, lo zelo, l’ardore il calore, è quasi un vecchio, adesso
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, eccoli in America come erano: di nuovo un miserabile
piccolo tempio di latta, una sauna per turisti frettolosi, di passaggio, fatta di lamiera ondulata, in
periferia, e loro che si amano ancora e Skeeen canta Anne Pigalle, canta, il suo fascino attira i turisti di
perdutisi per tutt’altro che santi motivi
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, certo Skeeen lo ama sempre il suo povero Godz, sempre
più un amante perfetto… Godz tenta di rappacificare le due opposte fazioni: i piglianculo e i mettanculo,
anche qui, in America, si fa amici e nemici nelle due schiere per meglio evangelizzarli all’aggregazione,
ma entrambe le schiatte lo sospettano, gli mollano qualche marchettone per lavorarselo un po’, per
capire che vuole questo italiano, sapere se è al corrente di certi traffici, se è mica spione o chissà che
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, a seguire come un cane il suo Godz in questo stupido
evangelismo dell’aggregazione del cazzo e amore
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, i giornalini e le rivistine di incontri per soli uomini gli
pubblicano una foto
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, in pieno accordo, Godz e Skeeen, decidono che è meglio
rifuggirlo un posto dove il diavolo ha davvero troppo buon gioco, troppo merda incallita, troppo dura la
lotta
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, Godz è malvisto per le chiacchiere pacifiste, com’era
malvisto nella grande metropoli italiana quando anche lì voleva riconciliare, pacificare le bande di
piglianculo e mettanculo, che regolarmente s’incontrano, gra papaveri, nei paraggi del fiume
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, Godz mette su una campagna pacifista pure in America,
non vuole che i giovani si facciano guerre per queste cose, sono altre le guerre da affrontare
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, e allora la coca in tasta, ci sta
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, Godz, che adora il suo Skeeen quando sta in America con
lui, il suo Skeeen è tanto infelice, mica per la fotoporno formato tessera pubblicata sulle rivisti di incontri
per soli uomini, no! è che fanno i cascamorti, troppo i galanti con Godz! Ah! Quant’è difficile in
condizioni simili, all’estero! ‘sta miseria e ‘sta bellezza che, lungi dal ricondurre le loro stesse anime
l’uno verso l’altro
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, ma Skeeen non sta bene qui, in America, un po’ rimpiange
le disco e le saune italiane, eppure il diavolo ricompare, l’impresario sta per comparire, sta per arrivare,
mica li perde di vista
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, ma Godz è sveglio, sex-appeal fantastico, il membro di
Godz suona meraviglioso e Skeeen canta rapinoso nel merdoso locale per traveste, i borghesi e gli
operai e i bulli e i pappa lo vengono a sentire e a puntare con gli occhi
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, puro e raggiante di divino lucore, chiaro che Godz ama
Skeeen, ma è tanto, troppo onesto, pure Skeeen è onesto, ma la vita è dura e allora ciccia!
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, ragazzo de El Horno
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, s’aprono le porte de El Horno, Sheeen è salvo da tempo,
ritrova Godz, pacifista angelico, menato a sangue, irriconoscibile, tumefatto, smagritissimo ma tornato
in Italia dopo mesi
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, “ah mica mi starò sbagliando?! Ma non è lui?! È il cuore a
guidarmi” si estirpa da sotto i cadaveri degli avventori de El Horno, lo avvicina, il suo Godz “avanti,
coraggio, sei fra amici, ora” dice Skeeen e se lo trascina, Godz ha gli occhi così pesti che non ci vede
quasi più, ma riconosce la voce che cantava Anne Pigalle, là, in America, è turbato e Skeeen pure è
turbato
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, sposini tipo esercito della salvezza, lui e Godz
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, suo malgrado
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, non torneranno più come prima, troppo giovani, lui e Godz,
tutti troppo astuti, troppo scaltri per loro
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, una giovane marchetta francese che gli ha insegnato le
canzoni di Anne Pigalle, Godz, marchetta francese, Skeeen, subito amore coatto
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, in un posto, un parchetto della grande metropoli italiana,
dove fabbricano ragazzi minuti, carini, e fanatici di Anne Pigalle e anche traditori
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, una roba da dio!, si sistemano nella periferia operaia della
grande metropoli italiana
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, vanno in Africa, in Marocco, a succhiare cazzi, eccoli nella
savana, in questa foto, isolati, basta pericoli, tentazioni, galanterie e Skeeen impara tutte le canzoni di
Anne Pigalle
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, vanno nella dark, gli altri li slumano
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, virtuoso, Skeeen, ma il diavolo impresario è lì vicino, e li
vuole, entrambi, lui e Godz
o piuttosto per prima cosa si vede Skeeen, col cazzo duro su quella rivistina porno di incontri per soli
uomini
Ogni cosa al passaggio risorge: il BOLGIASHOCK riporta in Italia Godz e tutta una serie di ricordi per
Skeeen, è Godz stesso il migliore organizzatore di quest’evento, ha realizzato il suo sogno
d’aggregazione.
Ogni cosa al passaggio risorge: “la stampa ci ha trattati bene, proprio con i guanti, i ragazzi qui in Italia
sono simpatici e la città è da sempre indulgente verso i piaceri della carne, in America tutto è un po’
diverso, orse questione di abitudini, di pensiero: l’Italia è un luogo ideale per la nostra aggregazione, è
un cielo che si apre per non finire mai più… e via, e via riunirsi e ritrovarsi in occasioni come questa è
importante davvero… e via, e via, ho praticamente riacquistato tutti quanti i miei europeismi, sono
tornato ad essere un italiano imperterrito, ma in questo caso no! organizzare il BOLGIASHOCK mi
ridona tutta la vivacità di una creatura pellegrina, un eterno viandante del Mondo” dice Godz, poi si
ricompone, ritorna se stesso e se ne va verso un altro gruppo leccandosi le penne di pavone con la
calma di chi sa quello che fa, è come un temporale rantolante che non c’è, lotta per la suprema meta
della sua vita.
Ogni cosa al passaggio risorge: “su un giornale locale è uscito un servizio in cui un vecchio membro di
una storica associazione elogia il BOLGIASHOCK e dice che non si fatica a imparare la libertà,
bisognerebbe imparare da queste organizzazioni, vedendoli pensiamo quanto siamo stati liberi e più
non lo siamo ma lo si è una sola volta nella vita e con il BOLGIASHOCK, tocca farci i conti e tocca a
loro insegnarci a mettere a profitto le nostre libertà, così dice” dice Godz.
Ogni sera prima del sesso con gli sconosciuti, Skeeen si crede insaziabile, ma quando ha sentito
quindici volte di seguito la calda espansione del suo buco, deve offrire loro lo stanco didietro ancora,,
perché possano soddisfarsi, oppure quand’è troppo stanco anche per questo, lascia prendere il suo
membro in bocca a qualcuno e permette che glielo si succhi fino a quando non ordina di smettere.
Ogni tanto si strofina il cazzo rattrappito per ridargli un po’ di vita.
“Oh credo che sia meglio non toccarle affatto queste piccole bruciature di sigaretta” dice Skeeen.
“Oh…” dice a commento l’altro, osservandolo con occhi spalancati.
Ora è mattina.
Ora può distinguere i disegni sulle pareti, Skeeen: silhouette di corpi si baciano, silhouette si
agganciano lingua a lingua, silhouette si leccano vicendevolmente, silhouette si penetrano, silhouette si
allacciano, silhouette si respingono esauste, silhouette si fanno.
Ora sbrana i lenti tictac dell’orologio che vanno lentamente.
Ora si rende conto, Skeeen.
Ora si spera certamente che io dia una spiegazione plausibile di questa bugia” dice Skeeen “almeno è
qui che mi aspettano quelli che, desiderosi di vedermi cadere nella pania di una seconda bugia, mi
inviteranno ironicamente a discolparmi ma mi basta sentire quell’uomo laggiù, la sua voce, Godz, anche
soltanto vicino a me, perché tutto diventi semplice e chiaro.
“Orbene adesso, inspiegabilmente liberato da una tale ossessione, da un rimuginare continuo e
mentre le cose smettono d’apparirmi in una visuale tragica, nulla mi impedisce di godere, in tutta
tranquillità, della bellezza di questo El Horno, in cui non mi sento più braccato né minacciato, questo
luogo che è l’evocazione medesima di tutto un passato di cui esso era la cornice favorita di uno
sconvolgente prestigioso”.
Osserva le labbra del rosso attivista, Godz, con la testa china in avanti e appoggiata sulla mano destra
chiusa a pugno da cui sfugge il fumo azzurro della sigaretta che tiene cautamente stretta tra il pollice e
l’indice, come il cazzo, quando si piscia.
P
Pare di vederli tutti, tutti seduti in circolo, mentre quello coi peli che gli si possono pettinare parla con
lentezza e invia una boccata di fumo verso il soffitto.
Parla Skeeen ed è una sensazione magnifica, silenzio qualche istante e poi ancora “paura di che? È
poi vero che non dubitassi dell’esistenza del mio nemico” dice Skeeen “può darsi benissimo che fosse
stata creata di sana pianta dalla mia immaginazione che l’eccesso di Ceres aveva reso
eccezionalmente inventiva, e che in preda ad un panico irragionevole, e dallo stesso tempo
suggestionato dall’idea di un castigo senza remissione cui nel mio sgomento davo forma di estremità
maschile e possente, io fossi scappato dall’America a gambe levate solo per tentare disperatamente di
fuggire via.
“Pazienza se ciò riuscirà sgradito ai curiosi e ai pignoli.
“Peggio per me se non è più sano, ma mi sono abbandonato ad un godimento di tutt’altro genere,
voglio dire a quello di parlare, e vedete bene che parlo e parlo ancora… e via, e via, ehi Godz! Pensi che
io sia un impostore?! Un pigro che si abbandona alla facilità, non ne puoi più di ascoltare le mie storie?
Odi ogni parola che esce dalle mie labbra?! È più forte di te”.
“Pensavo semplicemente” dice Skeeen “che sarebbe bello stringere un corpo contro il mio petto e
vedere quegli occhi grigi fissarsi nei miei e sentire vicino al mio orecchio il mormorio di una voce il cui
timbro deve essere così catturante… e via, e via, d’altra parte non attribuisco alcuna importanza a
quanto potrebbe avvenire in seguito credimi che se analizzo, se costruisco ipotesi, se temporeggio,
non è tanto per lo scrupolo di non tralasciare nulla di quello che mi viene in mente alla rinfusa quanto
perché mi piace abbandonarmi a un giochetto frivolo quanto inoffensivo e che consiste nel tenere
l’interlocutore col fiato sospeso”.
Per il momento è ancora molto padrone di sé, Skeeen, vuole ancora lasciarsi esaltare lentamente da
questa notte bianca, sentire ancora il tempo scivolargli tra le dita e rifiutarsi a qualsiasi cosa che possa
costargli un eccessivo dispendio di forze e, per questo, conservare la sua facoltà di attenzione
totalmente vacante.
“Per la maggior parte delle donne giovani di un certo tipo” dice Godz “innamorarsi di noi è un rito di
passaggio, una carriera, un’evoluzione quasi meccanica, quasi nessuna ne passa indenne, il marchio
resta chiaro nella pelle e nella memoria”.
“Per me” dice Skeeen “confidarsi per poco che sia o prestarsi alle confidenze per pur concessione a
qualcuno equivale a vendere la propria anima al diavolo per ottenerne in cambio magri anni di
protezione: ridicolo godimento quello che si paga con una scottatura eterna! In ciò a cui si dà
nobilmente il nome di confessione, non vedo che l’assai colpevole e costoso esercizio di una debolezza
e nessuno può impedirmi di ritenere particolarmente sospetta un’amicizia in cui ciascuno si studia
continuamente di provocare nell’altro preziose confidenze.
“Per naturale tendenza sono portato allo stile allusivo, colorito, passionale, cupo e sdegnoso e oggi ho
preso, non senza riluttanza, la decisione di trascurar qualsiasi ricerca formale, così che mi trovo con
uno stile che non è il mio”.
Per picchiare più comodamente l’amico, si mette in ginocchio in mezzo alla sala de El Horno.
“Per quanto spiacevole e inverosimile possa essere sotto certi aspetti una tale constatazione” dice
Skeeen “ho completamente dimenticato che cosa dissi nella mia primissima narrazione per il buon
motivo che mentre la pronunciavo non vi facevo assolutamente attenzione”.
cartello
PER QUESTO RIFIUTO SARAI
MORTUARIA CARNE
PARABOLA ANTICA E MALEDETTA
NEL DESERTO DEI SENSI
SE TU NON CI STAI
“Per stanotte basta così con le Ceres” dice Skeeen “basta così”.
“Per stanotte basta così con le Ceres?” dice insistendo il barista con un’insolenza appena percettibile.
Per un attimo, finito d’inchiappettarlo, pensa perfino che salirà in tassì, accidenti!!, perché non ha voglia
di accompagnarlo a casa a piedi.
“Per un momento potei pensare che ci osservassimo a vicenda” dice Skeeen “ma quando si allontanò
dal suo angolo con un balzo rapido e sporse in avanti la testa con una specie di ottuso stupore, capii
che mi aveva scoperto solo in quel momento mentre mi esaminava coi suoi occhietti acuti, tutto il mio
corpo pareva come contratto dall’angoscia e dall’indecisione, era animato da un leggero dondolio,
come se avessi oscillato restando fermo”.
Per una strana incoerenza, che d’altra parte non fa altro che sottolineare l’aspetto di netta ostentazione
delle sue crisi, Skeeen comincia a parlare nel momento preciso in cui il DJ si arresta, in cui le
conversazioni, fino ad allora animate, si arrestano e si rilassano improvvisamente.
“Per voi è chiaro che faccio gran conto del mio acume, e anche questo è odioso” dice Skeeen.
Percepisce il loro dolore, caldo e gradevole, simile a quello emanato dalle finestre dei macelli.
Perché mai il rosso rimane in piedi con l’aria di un bambino che sta per piangere? Perché continuava a
incassare? Al suo posto, Skeeen, avrebbe rotto il muso di quello sporco rasato che gli è davanti, ma
dimentica di essere appunto quello sporco rasato.
(“Perché mai mi sono esposto quando potevo rimanere nella folla anonima? Perché mai ho attirato su
di me la loro attenzione? Perché mi trovo adesso segnato in cima alla lista del nemico? Ho sacrificato al
mio vizio la dolcezza dell’oscurità e, con una scaltra finzione, ho cercati di ingannarli, con la
provocazione di coprire la mia inutilità al mondo esterno e nello stesso tempo di giustificare le mie
contraddizioni – era un abile sistema per sviare l’attenzione e per imbrogliare le carte – e, per esempio,
quando alla fine riconosco che non ho assolutamente niente da dire, scopriranno nel tono della mia
voce qualcosa che assomiglia proprio all’orgoglio?”) dice nella sua mente Skeeen.
“Perché negare che c’era in questo anche della commedia? Con un po’ di tenacia, sarei riuscito, senza
troppa fatica, a tirarmi in piedi: a dire il vero, nessuno dei miei tentativi era troppo penoso, ma al colmo
della sofferenza che i morsi del freddo quel giorno alla Fossa mi procuravano, provavo come la
tentazione di preservarmi all’immobilità: credevo ad essa, con la medesima avidità con cui in estate mi
crogiolavo al sole del fiume con il corpo nudo, con la differenza che qui il bruciore non mi procurava
nessuna voluttà positiva, mentre quello si spostava dal suo angolo.
“Perché nessuna prova era superiore alle mie forze, le sentivo illimitate.
“Perché quella panchina era la stessa su cui amavo sedermi in primavera, quando il parco accanto era
brulicante di bambini turbolenti e di coppiette abbracciate, tanto crivellato di cinguettii di uccelli e
vivificava di rumori la fontana distrutta del de Chirico, suoni dei quali l’acqua vicinissima amplificandone
stranamente la sonorità, tanto scintillante di sole e di ombre verdi, quanto oggi era deserto, rendeva
silenziose e buie” dice Skeeen.
“Perché se, in generale, c’era in quella giornata alla Fossa come un qualcosa che avvolgeva ed era
confortevole proprio quasi come l’atmosfera di una sala surriscaldata di cinema porno, un forno nel
quale si entri dopo una lunga sosta nel freddo all’esterno, quel che in essa, in quella medesima giornata
mi commuoveva fino alle lacrime, era esattamente il duplice carattere di libertà e di gaia innocenza.
“Perciò era senza la minima convinzione che facevo finta di interessarmi alle vetrine dei rari negozi
della città nei quali le serrande non fossero state abbassate, soste che mi permettevano di sorvegliare
furtivamente gli angoli delle strade in cui mi aspettavo vagamente di vedere un’ombra profilarsi sul
selciato o sui muri coperti di tanto in tanto da manifesti sui quali i lampioni gettavano una sventagliata di
luce gialla” dice Skeeen.
“Piegati!, dai!, altrimenti ci passa il tempo e non si conclude io e te”.
“Più altero perché disprezzavo coloro i quali, con la scusa di eccitare la sensibilità, si avvoltolano nella
confusione della loro sessualità come le papere nell’acqua e se constato, non senza amarezza, che la
menzogna è tollerata, o meglio, approvata e lodata da tutti, intendo per mio conto essere spietato verso
tutto ciò che non è assolutamente puro e lucido, almeno oggi in cui mi ha preso così, perché insomma
non me ne faccio affatto una regola d’ordine oppure un compito… e via, e via, ma la definizione della
propria sessualità, questo sì” dice Godz.
onTV
“Più fashion o più show?” dice rispondendo Asha Kocchar che, assieme a Vydyun M. Singh, ha
organizzato lo show: Asha è laureata in psicologia e per anni ha disegnato le luci nelle rappresentazioni
teatrali del TAG, il Theatre Action Group diretto da Barry John. Vidyun è una famosa modella
internazionale, lavora ad Amsterdam, Bombay e Londra, anche lei ha fatto parte del TAG: è la
coreografa dello show…
Più in basso, le labbra pelose e allargate inghiottono l’enorme elemento che, nel movimento di ascesa,
appare quasi per intero, e totalmente bagnato.
onTV
“Più show, più entertainment… per forza” dice rispondendo Asha Koccar “c’è chi vi accusa di vendere
glamour… la bellezza femminile: è una tautologia: una donna bella è una donna bella”.
Più tardi è rapito da un armaiolo, bello come Brad Davis, e si deve parlare religiosamente della sua
verga, che sembra di bronzo dorato e che è inesauribile.
Più tardi viene rapito da un biondone pelosissimo, bello che pare Christopher Reeve, e si deve
parlare.
Più tardi viene rapito da un piccolotto, bello che sembra quel Sam Jones di Flash Gordon.
Più tardi viene rapito da un tipo completamente nudo con un paio di anfibi, bello quanto Robert
Mapplethorpe.
Poco dopo l’atmosfera si fa calda e dorata e i corpi grigi diventano di colpo brillanti.
“Poco mi importa che un’omissione o una vera e propria dimenticanza gettino un’ombra su ciò che nel
complesso non potrebbe essere tale da farvi affidamento” dice Skeeen.
Poi attaccano a parlare di un mucchio di gente che conoscono entrambi.
“Poi c’è la frustrazione che ti deriva quando il figlio di puttana di solito il più anziano della coppia che hai
davanti ti batte sul tempo rovinandoti il gusto dell’attesa” dice una voce al tavolo accanto.
“Poi distolsi lo sguardo per buttarmi nel flusso che gradatamente si ampliava in una scalata di infinita
maestà nel marciume della Fossa” dice Skeeen.
Poi finalmente passa nel lume doloroso come a difendersi da taluni mutamenti scandalosi, rimettendosi
in cammino e costeggiando la piazza della stazione Nord trasformata dall’inverno in una specie di
terreno da discarica, interamente preda dello spazio, limitato sul fondo da costruzioni che gli paiono
abbandonate in cui la pietra assume un aspetto di bravata accanto al muro affumicato e in rovina,
parecchi baracchini per avventori frettolosi in cui alcuni negozietti hanno la loro sede priva di fasto e
spesso anonima.
Poi se ne va col pensiero, si gira verso il barista per ordinare una Ceres “domani sarai al verde, se
continui di questo passo, non vuoi altro?” dice il barista “va bene così “dice Skeeen ma una voce dal
fondo del locale “fermo, fermo” grida al barista “gli offro da bere” il barista non sa cosa fare “dacci
ancora Ceres, per due” taglia corto l’altro e poi tira una boccata della sua sigaretta e ride e chiude
l’argomento.
“Poiché la mia ammirazione va agli esseri di cui devo ritardare continuamente la classificazione, è
naturale che voglia prenderli continuamente in considerazione” è Godz e detto questo con la Ceres in
mano se ne va.
Porta, deciso, tutto quanto lo splendore dei colpi fin giù alle ginocchia piegate, viene a domare la tigre
immaginosa delle strane sere, ed è per chi non può avere, Godz.
“Potevo in piena lucidità abbandonarmi al pensiero seducente di essere il personaggio della serata –
eroe, capro espiatorio o nemico comune – sul quale convergevano tutti gli sguardi, da quello di un bel
ragazzotto in jeans sdruciti e fasciantissimi che mi ascoltava con uno zelo che immaginavo tanto più
continuo e scrupoloso in quanto parlavo troppo rapidamente per lui che, straniero, aveva un’imperfetta
conoscenza della lingua, fino a quelli lucenti d’ira d’individui che pure facevano parte di un ambiente nel
quale si è piuttosto poco disposti a farsi stupire reciprocamente” dice Skeeen.
“Potrebbero sbagliarsi soltanto quelli che hanno una certa disposizione a ridere di ciò che non
capiscono molto bene, in altri termini, trovo molto buffo ciò che è piuttosto rattristante, il che non
impedisce assolutamente a un altro tipo di persone di piangere esattamente quando ci sarebbe motivo
di ridere delle proprie miserie e dovrei anche rispondere, attribuendomi allora sentimenti meno nobili,
che trovo una specie di godimento perverso nel disingannare io stesso coloro che ho ingannati, che
provo gusto a esibire le mie tare o che mi piace essere vituperato da quelli che ho attirato con esche
false, o potrei ancora evocare il piacere puerile che spesso proviamo nel distruggere quel che con le
nostre stesse mani siamo riusciti a costruire a costo d’incessanti fatiche.
“Potrei rispondere che il rimorso tardivo mi ha portato a svelare quel che avevo con tanta cura
nascosto, che il mio innato orrore per la menzogna ha infine vinto la mia vergogna nell’accettarla fino a
farmi apparire buona cosa lasciare nell’inganno chiunque avesse avuto la cortesia di seguirmi” dice
Skeeen.
“Povero diavolo che pensava certamente che, caricandomi di botte, avrebbe fatto trionfare il suo amore
e, nel frattempo, sguazzava con voluttà nella collera, quel giorno alla Fossa” dice Skeeen.
Presupponendo che non si lasci trascinare dall’emozione che un lontano ricordo di un’emozione
passata potrebbe suscitare in lui, preferisce ormai esporsi all’accusa ingiustificata di passare sotto
silenzio confidenze che lo comprometterebbero e chissà c se esiste qualcuno che avrà l’ingenuità di
credere che sia ancora al punto di evitare di compromettersi.
“Preferivo torturare cuore e cervello, piuttosto che la carne paurosa, e se non potevo fare a meno di
concedermi una breve tregua, non erano soltanto più lacrime di fuoco che scendevano a bruciarmi il
viso, quel giorno alla Fossa, ma centomila aghi che affondavano uno dopo l’altro, con regolarità e
precisione impressionanti, nelle parti meno vulnerabili del mio corpo” dice Skeeen.
“Preso com’ero dalla gioia della liberazione del mio corpo, non mi preoccupavo dei discorsi
raccapriccianti che facevo e dei quali conoscevo soltanto i riflessi sui visi dei miei ascoltatori di volta in
volta illuminati da una curiosità ardente, deformati da smorfie di disgusto poi pallidi per l’indignazione,
come quelli dei giurati che devono ascoltare un imputato, un po’ troppo espansivo per uno che
dovrebbe essere schiacciato dai rimorsi ma perfettamente padrone di sé, esporre freddamente i delitti
immondi che l’hanno condotto a compromettersi davanti a loro” dice Skeeen.
Presto la metamorfosi volge al termine e si mette a lucidare il pavimento con la punta della lingua.
“Prima di tutto la musica non è volgare stasera, poi scuote le casse come nessun’altra avrebbe mai
saputo fare, mi sento ricolmo di benessere e come invaso da una serenità analoga, sotto tutti gli aspetti,
a quella di cui son stato indotto a parlare a proposito dei sintomi della mia prima crisi” dice Skeeen.
Privo di ogni base di orientamento, Skeeen rischia di tormentarsi, di snervarsi e, in definitiva, di vedere
rovinato tutto il suo piano per tentare di riconquistare Godz.
Proprio nello stesso momento il biondo sbronzo si spacca il muso sul parquet de El Horno e i ragazzi
saltano e s’agitano facendo finta di divertirsi un sacco.
Prostrato dai colpi ricevuti e dalla notte insonne, Skeeen è come assopito per un attimo, in piedi, ad
occhi aperti, come i cavalli, e durante il suo sonnellino quella musica fresca, regolare e senza scosse,
esercita su di lui un’influenza calmante in cui sente prolungarsi gli effetti dopo il risveglio, anche se
tuttavia afferma che ne ignora ancora la causa, il che spiegherebbe molto probabilmente
quell’improvviso sussulto seguito da una specie di laceramento della sua angoscia – come se nubi
minacciose si fossero squarciate d’improvviso mostrando un cielo sereno – alla quale si aggiungono una
fiduciosa certezza di poter godere adesso di tutto senza rimorsi e una felicità così viva che la sua
sofferenza fisica – lividi alle braccia e gambe, emicrania dovuta in parte all’alcol, torpore – ne producono,
quasi, un annullamento.
Prova la penosa impressione di trovarsi in fondo a un crepaccio dal quale non ce l’avrebbe fatta ad
uscire, neanche a costo degli sforzi più disordinati, sottratto per sempre agli sguardi umani, perso per il
mondo fuori da El Horno, quando anche tutti i passeggiatori domenicali avessero circolato in file serrate
intorno a lui.
Q
Qualcosa di umido sta toccando qualcosa di umido, al centro della dark.
Qualcuno continua a ballare col cappello in testa “è divertente, qui, dentro alla dark” dice l’uomo.
“Quale fosse la sensazione che io sentivo quel giorno alla Fossa, dove il freddo mi paralizzava” dice
Skeeen “essa mi pareva attraente per l’intenso colore che se ne sprigionava, dovuto all’effervescenza
di certi infantili spinte all’ano, cui si aggiungeva, per voce comune, in secondo piano, una cortina di voci
più tenere e perfettamente serene”.
Qualsiasi cosa dica Skeeen, fosser’anche le sue parole assolutamente più innocue, parla in modo tale
da essere biasimato sempre.
“Quando alcuni di essi mi mancheranno per la comprensione del tutto” dice Skeeen “saprò fare a meno
del vantaggio che mi arrecherebbe un’impressione più forte su tutti i miei desideri, suscitata da qualche
fatto inventato di sana pianta, non sostituirò alle lacune della memoria menzogne più verosimili, più.
“Quando ardo dal desiderio di parlare, non mi preoccupo di sforzarmi di tacere, e tuttavia la più piccola
delle mie preoccupazioni, lo dico senza affettazione, è di rendere pubblici i miei sfoghi o anche di
svuotare il sacco in un orecchio amico o nemico che sia.
“Quando ci si vergogna di essere come me” dice Skeeen “si comincia con lo stare zitto”.
Quando danza, giace così, Godz.
Quando danza, si riscalda, Godz.
“Quando dico che avevo paura, quel giorno, alla Fossa” dice Skeeen “voglio dire che mi rendevo
perfettamente conto di essere su una china perigliosa e, senza attribuire a questa immagine altro valore
che quello di un’evocazione, che avrei toccato il fondo dell’abisso malgrado tutti i miei sforzi per frenare
e risalire”.
Quando dorme, oh!, che profumi!, Godz.
Quando è tempo di tornare in dark, sto lì per vomitare un’altra parte del racconto mentre alcuni si alzano
dalle sedie e vanno.
“Quando fui a pochi metri da lui, rallentai” dice Skeeen “poi mi fermai davanti a un albero abbattuto di
recente che ostruiva il passaggio, nel punto in cui il sentiero proveniente dal ponte che attraversa la
ferrovia Nord di congiungeva alla parte della Triennale che avevo appena abbandonato, con gli occhi
fissi sull’uomo che immobile e schiacciato sotto il tronco, si stringeva intorno ai fianchi un cappotto
troppo lungo i cui lembi gli sbattevano contro le gambe”.
Quando ho fame mangio quando ho sete bevo e quando sono arrapata scopo non so se questo possa
definirsi sexy io penso sia una fama dovuta soprattutto al mio atteggiamento giudicato libertario o
spregiudicato è ovvio che non accetto le regole e le morali di questa società per questo ho una pessima
reputazione mi hanno accusata perfino di essermi proprio masturbata durante un programma televisivo
in Austria mai fermarsi alle apparenze! La verità è che ci avevano invitati ad uno di questi programmi
giovanilistici in cui cercano con belle parole di inserire nuovamente i giovani più turbolenti sulla retta via
e quando il discorso è andato a finire sulla libertà e sull’amore io ho detto che era appunto quello che
mancava ai giovani e siccome fingevano di non capire ho dovuto dare una dimostrazione pratica ed ho
cominciato a toccarmi qua e là così naturalmente è nato uno scandalo e adesso mi ritrovo con questa
fama! dice Nina.
Quando il culo è sceso per bene, e l’asta completamente inghiottita, si rialza e inizia un grazioso
movimento di va e vieni che modifica il suo volume in proporzioni notevoli dando vita a uno spettacolo
delizioso a vedersi.
Quando la gente viene ai miei concerti per ascoltare la mia musica provo una gioia immensa e la loro
presenza è un atto d’amore che io ricambio cantando mi piace stare in mezzo alla gente l’adoro del
resto anche dio si è trovato da solo e ad un certo punto di crearsi un po’ di compagnia o no? dice Nina.
Quando la musica rallenta nuovamente Skeeen gli chiede se gli permette di offrirgli da bere… e via, e
via, accetta sorridendo, ma, appena al bancone, il rosso gli si avvicina… e via, e via, lui fa un cenno di
diniego con la testa senza guardarlo… e via, e via, il rosso sbotta allora in imprecazioni, poi fa valere le
sue ragioni con un ardore disperato… e via, e via, lui non gli presta nessuna attenzione e mantiene il
silenzio, sempre con quello stesso sorriso arguto sulle labbra… e via, e via, comprendendo che è inutile
cercare di piegarlo e furioso di sentirsi derubato, si volta verso Skeeen e gli va incontro facendo
dondolare i pugni con aria cattiva… e via, e via istintivamente indietreggia e si mette in guardia, un po’
prematuramente, con una goffaggine probabilmente assai comica”.
Quando piange, piange, Godz.
“Quando ripresi i sensi, ero disteso nella neve” dice Skeeen “le mani contratte sui risvolti del chiodo che
esse stringevano al petto, sentivo un dolore lancinante alla fronte, tra gli occhi, con una torsione delle
reni riuscii alla meno peggio a voltarmi sul dorso e rimasi così disteso, immobile, guardando fisso sopra
di me l’albero che si ergeva, incerto come un sonnambulo, nella nebbia leggera e bianca, mentre con
una mano mi tastavo goffamente il viso reso insensibile dal freddo e, con l’altra, esploravo lo strato di
neve sciolta sul quale giacevo: l’uomo da lungo cappotto era ormai andato.
“Quando vi penetrai ebbi comunque la sensazione che quello fosse appunto il luogo in cui i miei passi
dovevano inevitabilmente condurmi, benché non avessi nessuna ragione di avventurarmi lì piuttosto
che altrove.
“Quanto a me, mi ero crudelmente scontrato con l’ironia.
“Quanto a me, restavo seduto in silenzio a contemplare quello spettacolo atroce con una notevole
incoscienza di quanto una situazione simile avesse di umiliante per me, accettando con una
leggerezza, che oggi mi sembra stupefacente, che il mio avversario venisse allontanato dalla mia
mente da un espediente così sleale, senza contare l’odio che non avrebbe potuto mancare di dedicarmi
e di cui avrei dovuto poco dopo sopportare le conseguenze”.
“Quanto a quelli che non perdono il loro tempo a chiedersi dove io volessi arrivare” dice Skeeen “e, per
esempio, se ho veramente tuffato la testa nella neve gelata o se me ne sono allontanato con una
smorfia, cerro a loro farebbe piacere sapere se è vero che dopo aver ascoltato quella musica di pugni
sul costato io non abbia mai più osato aprir bocca con quello”.
“Quanto ai miei amici, non credevano ai loro occhi” dice Skeeen.
Quegli occhi e il mistero.
Quegli occhi e il mistero. Ma quel povero diavolo non aveva capito che Skeeen era ormai indifferente
alle grazie del suo amico, no?! gli sarebbe bastato di averlo visto dileggiarlo davanti a tutti gli avventori
di El Horno: provava una profonda compassione per lui ed era più che mai deciso a lasciare che l’altro,
quella sera, gliele desse a volontà. Quel vivo odore lo riconosce.
Quella mancanza, lo consuma, la mancanza di colui che non è mai venuto.
“Quello che meno di qualsiasi altra cosa sembrate disposti a perdonarmi, è una certa cattiva coscienza”
dice Skeeen.
Quest’ordine di pensamento non risveglia a tutta prima in lui che uno strano e muto gesticolare
accompagnato da suoni strozzati.
“Questa è la vera passione: dare un sacco di botte al prossimo per puro sesso: bella e nobilissima
concezione della sessualità!” dice Skeeen “quell’uomo aveva tutta la mia simpatia, ero felice che il
destino me lo avesse mandato quel giorno alla Fossa, in un momento nel quale poteva sembrare quasi
che, indovinando il mio desiderio di espiazione e non già guidato dall’odio, fosse venuto là per offrirsi
come carnefice.
“Questo è un momento spaventoso, e mi vedo morto, morto mentre pasticcio con qualcuno che
nemmeno ricordo chi fosse, non devo proprio più stare là dietro a quei cespugli bassi, sotto il dosso,
non devo proprio dare più spiegazioni sulle mie decisioni, che siano esse al di fuori o al di dentro di tutto
quanto il male del mondo relativo a questa miserrima esistenza, a questa disperazione: quando tutto è
stato detto, tutto è stato fatto”.
Questo fenomeno sembra interessante nella misura in cui e sintomatico della ripercussione che simili
ricordi, per poco che conservino il loro violento profumo, possono avere sul corso di pensieri, anche
dominati dalla paura, come in questo caso e la notte Skeeen perde le forze, niente ha estirpato dal suo
cuore, nemmeno Godz che vorrebbe ancora teneramente geloso aspettarlo trepidante per tutta la notte
come madre inquieta, e invece soffre tremendissimamente della sua stupidissima incapacità di volere o
disvolere, nessuno si occupa più di lui, non è un’ossessione, ora, la festa sta per finire, è solamente
un’abitudine.
“Questo stato di perpetua alternativa era estremamente penoso, ma questa volta non ero ancora
arrivato alla fase terminale della mia insoddisfazione, il ricordo della sala piena di fumo e soffocante del
Traveller’s, la sua illuminazione brutale, al neon e luce di Wood, nella quale si accalcavano le persone
ballando, le risate volgari che diventano come un tradimento a qualunque tacito patto al silenzio, e
infine tutto quell’aspetto di festa popolare di cui mi ero compiaciuto qualche omento prima, non
facevano altro che rendere più forte il piacere che adesso provavo contemplando quel paesaggio
immobile, glaciale e silenzioso nel quale ero solo” dice Skeeen e si ritrova a fissare un paio di spessi
stivali foderati di pelo e l’orlo ispido di un pelosotto.
“Qui, non pensavo ad esercitare sulla mia voce un controllo che riservavo scioccamente a quella
provocatami dall’ascolto di voci delle quali, più o meno confusamente, sentivo la vacuità.
“Qui, oltre le mura d’ambra del Traveller’s” dice Skeeen “si ripete questa terribilità, in questo varietà da
genere umano, la certezza della trasgressione, dello scandalo non bastano di certo, bisogna fare i conti
per davvero con questa idea di morte che è entrata dentro il locale, magari liberamente… e via, e via, è
come un rimpianto, ma per quale ripugnanza? per quale brivido?”.
Quindi finalmente quel lavativo di Godz si accorge di Skeeen e viene davvero a salutarlo, per bene.
(“Quindi mi lancerò avanti a capofitto”) dice nella sua mente Skeeen.
“Quindi permettimi che io inviti alla pazienza quei pochi, ammesso che ce ne siano in mezzo a questi, i
quali, appassionatisi al racconto delle mie avventure e non intendo restare a bocca asciutta, mi
potrebbero interrogare, ansanti, con gli occhi fuori dalle orbite e la gola secca” dice Skeeen.
“Quindi persi l’equilibrio, quel giorno alla Fossa, caddi faccia avanti e non potei fare altro che
proteggermi la testa con la mano.
“Quindi, personalmente, non faccio professione di modestia: pavoneggiarmi mi è indifferente quanto
restare nell’ombra, nessuno scrupolo mi tratterrà dall’insidiare la tua buona fede, se ritengo che
l’interesse che le mie storie hanno risvegliato in te mi aiuti a soddisfare il mio vizio”.
“Quindi, pur constatando amaramente che la punizione cercata quel giorno alla Fossa non aveva
prodotto in me il cambiamento che mi ero aspettato” dice Skeeen “e arrossendo per essermi ridotto ad
un espediente così pietoso, mi sentivo ugualmente tenuto a subire una nuova prova la cui efficacia,
stavolta davvero reale, temevo tuttavia di dover pagare con una sofferenza fisica pi atroce,
probabilmente altrettanto umiliante e che mi parve, anticipatamente, così temibile che, intenerito e
impietosito da me stesso, mi misi a piangere come un bambino, lacrime stupide, d’altra parte, forse
provocate soltanto da una fortissima depressione”.
“Quindi pur senza cercare di vedervi nient’altro che una coincidenza, non posso fare a meno di
osservare con quanta esattezza, quel giorno, quel contrasto corrispondesse precisamente a due
tendenze della mia natura tra le quali continuamente oscillavo e che mi sembravano, talvolta, dirigere
da sole tutte le forme della mia sensibilità, provando improvvisamente ripugnanza insormontabile per la
vita sessuale, con il suo corteo d’intrighi, di spregevoli smanie e di parole vuote, tutto quel calore di
stufa che emanava da una promiscuità impostami dai sinistri obblighi della vita, aspiravo solo a
liberarmene per godere i vantaggi dell’aria pura e del silenzio del sesso con sconosciuti… e via, e via,
ma non appena avevo accennato ad ubbidire a quel desiderio, spaventato dalla prospettiva di trovarmi
ormai privo di qualsiasi contatto umano ed essendo questa paura sufficiente a giustificare a me stesso
l’abbandono di una posizione che continuo a ritenere la migliore, correvo a insozzarmi, con voluttà, nel
contatto con la gente, vera e propria cloaca da cui presto sarei uscito, non potendo ragionevolmente
fissarmi un tempo e una data, e sicuro ancora una volta che la mia vita non fosse affatto associabile a
quella degli altri, me ne fuggivo a precipizio, scrollandomi come un cane appena uscito dall’acqua, per
rifugiarmi di nuovo nel luogo inviolabile di cui avevo sognato e così, di seguito, amato” dice Skeeen.
Quindi purpureo s’ingigantisce il suo cazzo, dal corpo crudele che il suo delitto assolve.
“Quindi taccio, adesso, taccio perché sono sfinito da un tale eccesso: queste parole, queste parole,
tutte quante queste parole, senza vita, che sembrano perdere perfino il senso del loro suono spento”
dice Skeeen.
R
Raramente Skeeen si era comportato in modo così assurdo, recitano un po’ una parte, Skeeen e Godz,
così come il vecchio Bowie suona il piano giù al concerto.
Resta inteso che ciò che predominava in lui, quel giorno alla Fossa, era una gioia così intensa da
urlarne, quella stessa gioia intensa che dilania l’uomo che stringe a sé un uomo da molto tempo
desiderato o che scopre finalmente, dopo veglie spossanti, la verità che lo mette finalmente in contatto
con quanto di più irrimediabilmente e impenetrabilmente nascosto giace in fondo all’animo umano.
Resta ancora lì un momento, steso a terra, nella fetida neve della Fossa, poi si riassesta, raccoglie il
cappello di lana al quale la neve ammucchiata sulla cupola dona quasi l’aspetto di una torta alla crema.
Restare immobile, ostinatamente sordo a quel chiacchierio bello e solenne che è solo inganno, questo
gli tocca, solo questo, dopo quella giornata alla Fossa, rimane in un atteggiamento senza gesti, da
refrattario, si mantiene saldo davanti alle suppliche degli altri, vuole essere considerato, dai suoi
oppressori, dai loro servitori e da colui che essi pretendevano servire, Godz, il grande capo del branco,
se non come una pecora nera, almeno come un nemico reso più temibile a causa della sua purezza:
fare la figura di un seducente ribelle di fronte ai suoi compagni, ai quali non lo univa però nessun
legame di complicità (salvo il fatto che era abbastanza abituale parlare male dei capigruppo), a tutti
ispirare un timore rispettoso, tutti mezzucci – volgari, se non fossero stati cosi puerili – per mezzo dei
quali pretende giungere al potere, liberarsi dalle sue catene, in una parola illudersi momentaneamente
poiché, tutto sommato, si tratta solo di sopportare la costrizione, inebriandomi di sicurezza orgogliosa.
“Rifarei tutto quello che ho fatto, con le coppie, comunque non rimpiango nulla” dice una voce al tavolo
accanto.
Rimane da identificare l’episodio della sua vita al quale continuamente si ricollega, tanto più ansioso di
ritrovare l’esatto punto di riferimento in quanto assorbito esclusivamente da quella ricerca di affetto che
gli impedisce di godere totalmente la musica dei ceffoni, fino a sentirsi a poco a poco invaso
dall’ossessione di una domanda che non si sarebbe mai adattato a lasciare senza risposta.
Rimane da sapere se ha veramente sentito quella musica, Skeeen, se ha provato davvero quella
vergogna.
“Rimasi inginocchiato ancora un po’, col cappelletto di lana in mano, a guardare il cielo nero, mentre le
lacrime mi scorrevano sulle guance” dice Skeeen.
Riprende fiato, i battiti del cuore cominciano a rallentare, la corrente interna si attenua.
“Ripresi la strada verso la stazione Nord, accelerando l’andatura, ma non avevo fatto neanche venti
passi che mi sembrò nuovamente di sentire dietro di me un rantolo leggero e regolare che scandiva il
ritmo del mio cammino.
“Risoluto a non cedere alla paura o alla ribellione di quanto mi rimaneva di dignità” dice Skeeen “se
non dopo aver subito fino in fondo la prova che avrebbe consacrato il mio riscatto, mi sforzavo, con cura
febbrile, di tenere le braccia lungo il corpo, immobili, nell’atteggiamento abbastanza comico,
probabilmente, della vittima abbandonata senza difese nelle mani di un crudele carnefice”.
biglietto
RITORNA A ME GODZ RITORNA
L’HO FATTA FINITA CON LE CAUSE
CON LA COSCIENZA DI UN PASSERO FERITO
CHE MITEMENTE MORDENDO MORTE
NON PERDONA AL PASTO FIERO
PASSO SENZA POR TEMPO IN MEZZO
ALLA DESCRIZIONE DEL FENOMENO
PROPRIAMENTE DETTO CHE SON IO
firmato coluichenonperdona
Rizza i capezzoli facendogli solletico, Godz, per cui scoppia a ridere Skeeen, ma diviene molto serio
quando mette in mano un membro duro grande e lungo.
Roba da matti!
S
S’estende umilmente a raggiera simile al mare, Skeeen.
Sa di cadavere come tutti gli europei, e per molto tempo non ci si può abituare a questo puzzo
insopportabile.
“Sa forse egli stesso di che cosa sono fatto, ammesso che io sia fatto di qualche cosa? Godz intende
forse rimanere estraneo a tutta questa discussione, si lava le mani dei miei sbandamenti?!”.
“Sapete almeno chi vi parla così? Comunque, accogliete con la più grande benevolenza e stima un
uomo che si presenta modestamente dicendo il suo nome, c’è, infatti, una certa nobiltà a offrirsi alle
critiche come una vittima rassegnata.
“Saprete vivere da oggi in un mondo illuminato?” dice Skeeen.
Saranno molto sorpresi e, chissà, forse lusingati se Skeeen rivela loro che ha cercato di metterli sulla
falsa strada attribuendosi pensieri contorti non tanto per paura della vergogna che avrebbe potuto
provare al ricordo di quella vecchia risata, lacerante quanto una coltella, quanto perché aveva motivo di
temere un’altra risata, e, con maggior esattezza, precisamente la loro risata, sì, la loro risata!… e via, e
via, deve fare una dichiarazione estremamente ridicola, vuole dire che può prevedere con certezza che
n on mancheranno persone male intenzionate che lo riterranno tale: ridicolo.
Scatta l’interruttore e si sente trattenere il fiato mentre scava il cammino verso il buco finché tocca la
radice da cui germogliano sia il corpo sia l’anima, la storia oscura e finalmente riconosciuta: raddoppia il
proprio potere e diviene sovrumana presenza.
“Scommetto che scuoti la testa” dice Skeeen “con il sorriso saputello di quello cui non la danno a bere,
forse pensi che io adesso cerchi scampo nell’intimidazione, non essendo capace di uscire più abilmente
dalle difficoltà? Allora, spetta a te provarmi che non sei di quelle persone impressionabili che si lasciano
ingannare da grossolani raggiri”.
Scostumata e sontuosa la carne che lungamente s’accalda e suda di lussuria, agitata dalla lingua che
piano scivola fino alle cosce rotonde.
“Se allora soffrivo ancora per quell’antico sorrise, non era tanto perché dovevo rinunciare a combattere
per mancanza di nemici, quanto per il affatto di vedermi incalzato dappresso da nemici con i quali la
ragione mi consigliava di non entrare ancora in lotta aperta, in mancanza di armi abbastanza efficaci da
sgominarli, al massimo potevo ostentare, in loro presenza, un atteggiamento di provocazione e di
rabbia pura o anche sferzarli con una risata perfettamente cortese… e via, e via, ma attingevo
consolazione proprio dall’idea che quando fosse giunto il momento tanto desiderato di passare
all’attacco, cioè quando fossi stato finalmente in grado di spiegare tutta la mia forza, la mia duttilità e la
mia astuzia, allora avrei conosciuto l’ebbrezza della vittoria.
“Se ardi dalla curiosità di venirne a conoscenza” dice Skeeen “ti avverto che ti stai preparando a una
bella delusione, perché, con buona pace delle persone sventate, pronte a credere che io sia dotato di
una memoria senza cedimenti e che sia legittimo aspettarsi da me un esatto resoconto dei miei gesti e
fatti, se è vero che ho promesso, una qualche volta che non ricordo quando, di studiare
coscienziosamente e senza sotterfugi tutto il complesso meccanismo delle mie crisi, non ho però
l’ambizione di riferire tutto, compreso quel che non ho mai saputo, non dipende da me che le cose più
importanti mi sfuggano, che dico, mi siano sfuggite solo quando avrei potuto così facilmente afferrarle.
“Se avessero allora cercato di strapparmi alla dolce vertigine che tale contemplazione mi procurava,
forse avrei reagito violentemente per istinto di difesa, rispondendo alle domande più inoffensive con
parole o gesti pungenti, a costo di rammaricarmene e di scusarmene in seguito.
“Se credono di farsi beffe di me, saranno beffati”.
“Se da tutto questo” dice Skeeen “risulta chiaramente che appartengo alla categoria di quelle persone
che sono chiamate fetish, libero chi ascolta di indignarsene, ma chi vi assicura che io non mi lasci
trascinare dalla mia immaginazione? Fornitemi la prova che dichiaro la verità… e via, e via, come dite?
Questa bugia non mi gioverebbe? E se mentissi per il piacere di mentire e mi piacesse di raccontare
questo invece di quello mettiamo, una bugia invece di una verità, cioè esattamente quello che mi passa
per la testa, e se non chiedessi di meglio che essere giudicato in base a una confessione falsa,
insomma supponete che mi fosse infinitamente piacevole compromettere la mia reputazione?”.
Se è vero che la loquacità cresce fino alla più folle esaltazione davanti al consenso o alla
contraddizione, essa resiste però molto onorevolmente anche di fronte all’indifferenza e alla noia.
“Se l’oggetto del mio esame è un po’ vicino ai miei gusti” dice Skeeen “mi concedo appena il diritto di
valutare, con uno sguardo il fascino, il fascino dei suoi polpacci prima di passare al viso che interrogo
appassionatamente e sul quale, in genere, posso decifrare, senza sforzo, lo scatenarsi di peluria
ovunque e di un ardore provocato dal suo corpo durante il ballo, dall’atmosfera dominante o dalla
speranza di una conquista e che produce anche a me estasi e vertigine, perché come il riflesso
folgorante del sole su una superficie perfettamente bianca colpisce lo sguardo molto più crudelmente
della percezione diretta del sole, così lo spettacolo del pelo altrui deve, penso, il suo potere contagioso
e il suo valore emotivo al fatto che quel pelo, per lo splendore di cui ammanta la carne di un viso
adornato, fa parte del campo, per noi assolutamente convincente, dell’esperienza ipersensibile… e via, e
via, ma quando il mio sguardo, frattanto, incontrò, quella volta, quello suo mentre ballava con un uomo
di statura ridicolmente alta, col naso adunco e i capelli rossi che formavano due onde disuguali da
ciascun lato di una scriminatura impeccabile, tagliata nel mezzo dalla visiera di un berretto incollato
quasi alla nuca: ebbi immediatamente la sensazione riconfortante che in quella sala ci fosse ancora
qualcuno che, sotto una maschera impassibile, si nutriva segretamente del piacere degli altri, con
un’avidità non meno febbrile e metodica della mia: se non riuscii a staccare immediatamente lo sguardo
da quello che non sembrava, d’altronde, oltremodo a disagio per l’interesse che, complice l’ubriachezza
e la noia e il suo pelo che mi attraeva, gli manifestavo con un’insistenza forse scorretta, fu perché i suoi
occhi, il suo viso e tutti i suoi modi risaltavano curiosamente per nulla vicino a quello degli altri che
ridevano e lanciavano sguardi o esibivano disinvoltamente le cosce snudate da cortissimo hot pants,
senza stancarsi di apostrofare al femminile questo o quello con una libertà di linguaggio autorizzata
soltanto dalla natura particolare del luogo e dai gusti volgari della clientela”.
Se ne sta in piedi a filmare con gli occhi la scena davanti alla fessura d’entrata della dark, e intanto
ascolta il calpestio dei piedi che si affrettano alla porta.
“Se non rinunzio completamente a evocare quest’atmosfera, benché il romanticismo un po’ facile cui
inevitabilmente essa dà luogo” dice Skeeen “e benché io stia sempre attento a superare ogni
preoccupazione di pittoresco, significa che, secondo me, essa ha avuto una parte importante e che non
potrei, senza commettere un arbitrio, passarla sotto silenzio.
“Se qualcuno troverà la cosa poco divertente, peggio per lui.
“Se sono stato il primo a rendere evidente la parte avuta dallo stato di eccitazione in cui mi avevano
messo tutti i bicchieri di Ceres, piuttosto numerosi, che avevo buttato giù, asserisco e sosterrò a
qualsiasi costo che sarebbe assurdo esagerarne l’importanza, che i miei discorsi non erano per nulla
discorsi da ubriaco e che non contenevano nulla d’incoerente che avrebbe potuto dare adito a risate o
anche solo a sorrisi”.
“Se uno è troppo bravo a fare una cosa, finisce che dopo un po’” dice Skeeen “se non ci sta attento, si
mette a calcare la mano.
“Sebbene in generale mi dimostri incapace di compiere la benché minima prodezza o anche di
comportarmi con sangue freddo di fronte ad un nemico di forza superiore o soltanto pari alla mia,
stavolta mi rimettevo coraggiosamente di fronte a un pericolo reale, come se, liberato da qualsiasi
timore o almeno facendomi un punto d’onore di superarlo, mi fossi giudicato di stazza adeguata a
misurarmi con un avversario del quale ignoravo perfino il nome, quando la prudenza mi avrebbe
consigliato, di starmene fermo su quella panchina, dove ero sicuro che non avrebbe potuto vedermi”.
Seguendo i dettami della moda della stagione, sta cambiando le sue pelurie da bionde a bianche, che
volteggiano in una stanza arredata con un tavolo in nudo legno, uno sgabello e un orologio da muro
fermo da chissà quanto.
“Sei matto?!” dice e sorride.
Sei una stella, qual è il tuo nome?, mia stella splendida” dice e sorride.
“Sei una stella, una grande stella, e questa stella rischiarerà per sempre la mia vita, mi proteggerà”
dice e sorride.
“Sei veramente tu?” dice e sorride.
Sembra che due api siano perennemente posate sulle punte dei suoi capezzoli.
Sembra di percepire i profili di due corpi.
Sembra tutto in calore, lo strappa via bruscamente da sopra il suo palo, e gettandosi su, senza
minimamente preoccuparsi della merda, che sporca anche lui, s’infila la banana su, con un gran sospiro
di soddisfazione.
Sempre di più, fino a far penetrare il membro in erezione tra le sponde pelose delle sue chiappe
ampiamente aperte.
Sente al tatto i contorni delle braccia, l’accavallarsi delle gambe sulla sling.
“Sentii il sangue gelarmisi quando vidi le sue ginocchia tremare sotto il pantalone grigio chiaro che gli
fluttuavano larghi sui piedi.
“Sentivo l’odore sottile e ghiacciato dell’acqua” dice Skeeen “sentivo il torrente, e il ponte si vedeva
adesso nitidamente, con le sue linee rigide e scintillanti, nella penombra macchiata di luna.
“Sentivo nell’aria un profumo di disastro”.
Senza cuore per sentire il battito del furore del fist che snoda il lento morire nelle ore del tempo
innamorato.
Senza potere vedere nulla, Skeeen intuisce scritte ricavate nel muro, figure di corpi stranamente
connessi fra loro.
Senza rispondere, lo fa coricare, scopre le gambe e, infilando la lingua in bocca, distrugge.
Senza rispondergli, lo fa coricare, gli alza le gambe e, infilandogli la lingua in bocca, distrugge la sua
verginità.
“Senza sapere con precisione a quale delle due categorie mi rivolgo, ritengo comunque che non sia
troppo chiedere agli uni e agli altri di ostentare la più grande serietà, una perfetta impassibilità, non ho
detto una comprensione completa, o, in mancanza di questo, uno sdegnoso silenzio accompagnato,
non ci vedo nulla di male, da una maestosa alzata di spalle, insomma mi si capirà se dico che non ho
tanto bisogno di complicità, di approvazione, di rispetto, d’interesse quanto di silenzio? Ah il silenzio!
Allora, volete credermi se ho la spudoratezza di proclamare proprio a questo punto la mia insuperabile
avversione per i maniaci della confessione? Questo riempirà, sì, di felicità un certo numero di poveracci
che tentano nell’ombra di farmi cadere in contraddizione e di confondere qualche innocente che
un’interpretazione coscienziosa, se non molto attenta, delle narrazioni precedenti, aveva disposto a
pensare il contrario e già li sento approfittare per chiedermi, gli uni con un sorriso iranico, gli altri
levando le braccia al cielo, a quale genere di attività io pretenda dedicarmi da un certo tempo a questa
parte” dice Skeeen.
Sonda come un bolide, proprio al centro.
Sgorgato da un universo senza sesso e senza sangue, non degradato, però da nessuna delle tare
caratteristiche di quanto è esangue e scarnito: incantesimo che oppone la sua guancia aerea
all’abbattimento di animale ferito.
Sguardo insaziabile.
Si accarezza i capezzoli perforati facendosi il solletico, per cui scoppia a ridere, ma diviene molto serio
quando gli mette in mano un membro duro, grande e lungo.
Si agita freneticamente per sgusciare fuori di sotto il bancone, ma per la retta vi sbatte contro la testa.
Si alza e si aggira barcollando per El Horno, imprecando sommessamente e tenendo la mano destra
stretta sotto l’ascella sinistra, mentre con l’altra si comprime la tempia destra.
Si consumano, nel cielo del soffitto, le nubi e le dolci labbra – quella stessa sensazione che, in simili
circostanze, ai ragazzetti è nota – osano, gli dèi, d’ignorare le sue tenerezze preoccupate.
Si contrae nuovamente, trema.
Si crede insaziabile, ma quando ha sentito ben quindici volte la calda espansione del suo retto, deve
offrirgli il suo stanco membro perché possa soddisfarsi, oppure, troppo stanco anche per questo,
prende il suo stesso arnese in bocca e lo succhia da contorsionista fino a quando non smette.
Si ficca un cigarillo tra due denti e lo abbassa all’altezza dell’accendino del barista, respira qualche
boccata di fumo che poi proietta verso il soffitto, la sua espressione si è addolcita e i suoi occhi
tradiscono una certa soddisfazione con un che di pretenzioso, pure riprende la parola in questi termini
“scommettiamo che non sapete indovinare il mio mestiere” dice “sei uno sportivo” dice azzardando
timidamente uno dei due “in effetti” dice rispondendo placidamente “ogni tanto mi capita di praticare un
po’ di sport, mi piace correre ma soltanto nelle gare riservate ai dilettanti… e via, e via, no, non hai
indovinato, sono uno studente” “in botanica?” dice chiedendo l’uomo, cercando di fare uno sforzo
d’irrazionalità “non male, non male come battuta” dice rispondendo con un tono di superiorità “no,
studio genetica” dice e ride e l’altro aggiunge “studi cosa?!” e tutto a un tratto, interessato, il barista
tenta di inserirsi nella conversazione “davvero ti occupi di genetica?” dice e ripete “davvero?”. Segue
una breve pausa, solo un leggero brusio testimonia della vita intellettuale delle persone presenti.
Si gira, lo guarda, aspetta.
Si lascia cadere su una poltrona da cinema porno, emettendo flebili lamenti.
Si mescola umidità da stanza da bagno.
Si muove convulsamente, qualcuno, sopra, si sta agitando.
Si prepara alle lacrime, a tutte le composizioni possibili che riuscirà a riprodurre – conferito l’incarico
suo – seppur marcite e calde di putrefazione.
Si ricorderà che, con una modestia che poteva benissimo essere presa per eccessiva ostentazione,
non ha mancato di sottolineare la volontaria nudità del suo pensare, e che era il primo a dolersi
ipocritamente del fatto che una sua certa monotonia fosse l’inevitabile prezzo dell’onestà.
Si siede su una poltrona di cuoio, non lontano da un piccolo tavolo ingombro di persone.
Si soddisfano con un pezzo di marmo giallo, lavorato ai due capi a forma di membro.
Si strugge nel muro bianco – troppo caro il lutto suo, e prezioso e allucinato prima che consumato –
come un fanciulletto allunga la mano a sentire la pioggia della doccia e i suoi capelli tristi, molto tristi,
danno i suoni che producono gli schiaffi.
Si volta di scatto.
Sì!, è signore.
Sì!, è sovrano.
Sì.
“Sì, devo riconoscere di non esser più tanto sicuro che qualcuno mi ascolti” dice Skeeen.
“Sia come sia, questo era chiarissimo: mentre entrando al Traveller’s, ero soltanto un personaggio
sconosciuto e trascurabile, adesso godevo di una certa considerazione da parte di persone che in
generale rispettano e ammirano soltanto chi è più potente di loro, e da questa constatazione traevo una
sensazione di smisurato orgoglio che non è stato certamente estraneo al fatto che la mia crisi, al
contrario delle precedenti, abbia assunto un carattere di ostentazione tanto più sorprendente in quanto
ho sempre ritenuto insopportabile l’esibizionismo degli altri.
“Siamo due morenti, io e Godz, che cercano ancora un po’ di piacere sulla terra prima di trovarci
all’inferno” dice Skeeen.
“Sicché avevo ragione di considerare quella risata come una giusta sanzione per essermi scoperto
impudicamente con discorsi che con cupa violenza mi rimproveravo adesso di avere pronunciato
davanti a un pubblico così vasto e di qualità tanto mediocre.
“Sicché mi sono esercitato a rimanere sordo a quanto” dice Skeeen “esaltando apparentemente la mia
sensibilità, faceva di me solo un assurdo piagnone ma ahimè! Sono troppo emotivo”.
“Sicché misi il primo annuncio sull’allora nascente rivistina, la meno patinata di tutte, di quelli tipo
trentenne, superdotato, peloso, cerca coppia depravata, e così, come mi era stato consigliato, allegai
una foto del cazzo in erezione e il mio numero di telefono… e via, e via, è subito seguito uno scambio di
foto, d’informazioni, di domande che allora trovavo ovviamente imbarazzanti, ma il gioco era cominciato
e così da un momento all’altro mi ritrovavo catapultato in una realtà parallela” dice una voce al tavolo
accanto.
Sicché, se avessi un po’ di fantasia, sarei costretto a parlare di tutt’altro che di me.
Sputa addosso in piena faccia, è davvero fuori di sé, Skeeen e il metro e cinquanta di pallore, pelosi
riccioli e silenzio che gli sta di fronte non dice niente.
Sta con un biondo di prima qualità, il metro e cinquanta di pallore, pelosi riccioli e silenzio, fumando
come un turco e con l’aria di annoiarsi a morte.
Sta per uscire per sempre da El Horno, il metro e cinquanta di pallore, pelosi riccioli e silenzio.
Sta per uscire per sempre da El Horno, il metro e cinquanta di pallore, pelosi riccioli e silenzio, si trova
davanti un nero che è una montagna, il metro e cinquanta di pallore, pelosi riccioli e silenzio sferra al
nero un destro che è una bordata, un vecchio regolamento di conti, si direbbe, gli rompe la maschera in
due pezzi e gli fa saltare metà del naso nero, perde sangue il naso nero, il nero, appena vede il fiotto
del suo stesso sangue, comincia a urlare “aiuto, che schifo, aiuto, che impressione, aiuto mi viene da
vomitare” dice e poi molto velocemente si butta in ginocchio e si dimena.
Sta pisciando tenendoselo con le mani sul viso del nero il metro e cinquanta di pallore, pelosi riccioli e
silenzio, e il crisco l’ha perso, è caduto da qualche parte nella dark.
Stagna, pesante, o di vent’anni o di più, nel corridoio interno di El Horno, e si spande come per aprirsi
deciso all’olfatto di chiunque il puzzo di piscio rancido.
“Stavolta mi capitava di mentire” dice Skeeen “era solo per permettermi in seguito di farne umile
confessione: certo, avevo una spiacevole tendenza a raccontare frottole per nasconderla e ciò significa
che non ero mosso da cattive intenzioni… e via, e via, si poteva fare affidamento su un uomo così
visibilmente preoccupato di non cadere nel difetto più o meno comune a tutti di camuffare la verità della
propria tendenza?
“Stavo per alzarmi e fuggire, quel giorno alla Fossa, quando scorsi un’ombra che, a qualche passo da
me, nascosta dietro un cespuglio, sull’altro lato del viale terroso, tastava costantemente con la mano
nella tasca del suo jeans, a masturbarsi.
“Stelle di lussurie estreme e notturne!” dice Skeeen.
T
“Tutta la maledetta storia centrale, il canovaccio su cui davvero lavorare, potrebbe essere il rapporto di
due dandy omo” dice la voce registrata “uno di venti, l’altro di settant’anni o più che vivono insieme in un
lungo corridoio bianco privo di finestre che si affaccia su una strada alla fine del ‘900, il più vecchio
opera continuamente il cervello del più giovane con un bisturi d’oro, facendogli credere che è malato: in
realtà il vecchio dandy vuole avere un partner che cambia carattere tutti i giorni, essendo inquieto e
facile alla depressione: il giovane dandy passa così attraverso innumerevoli identità, credendo, di volta
in volta, di essere una donna incinta, un poeta maledetto, un metalmeccanico, un antico prototipo
macho, un torero punk, fino ad implodere in se stesso per le continue manipolazioni mentali a cui lo
sottopone il vecchio pazzo innamorato” questa è la storia registrata sul nastro, la strana storia che
Norman ha in mente, Norman è un po’ tanto stronzo, a casa di Norman non si scopa mai, racconta,
racconta del video che ha in mente…
“Talvolta penso di essere un perdente anche nella vita, così, per cominciare, non mi verrà a mancare la
fantasia? Dove potrei trovare il materiale per dare sfogo alla mia eloquenza? Perché chiunque può
capire che non posso limitarmi ad aprire la bocca per produrre suoni inarticolati o per mettere in fila
arbitrariamente parole senza nesso.
“Tanto sognavo di espiare attraverso la lezione che mi sarei fatta impartire quel giorno alla Fossa, la
vergogna del mio recente comportamento e, una volta saldato il debito, di godere liberamente di un
presente nel quale nessun rimorso sarebbe venuto a mischiarsi.
“Tanto io sono un uomo reale? O un’ombra? Oppure nulla, assolutamente nulla? Ho acquistato
spessore per il solo fatto di avervi parlato a lungo? Mi immaginate dotato di altri organi oltre alla lingua?
Vi è possibile identificarmi con il proprietario della mano destra che sta per toccarvi il capezzolo sinistro
con la punta delle dita? Come saperlo? Non aspettatevi che denunci da solo chi sono io.
“Tanto sono prontissimo a fare onorevole ammenda per quanti ho abusivamente ingannato, posso
assicurare che m’importa pochissimo di avere l’ultima parola, chiedo semplicemente che mi sia
permesso di spiegarmi pacatamente su un caso come il mio che, forse, vale tanto quanto quello di
qualcuno di voi, credo che ci capiremo ancora per poco e che mi lascerete il tempo di tornare indietro e
di ricominciare daccapo, ahahah quanto son folle nel solo pensarlo!, in modo da poter correggere gli
errori e poter dissipare definitivamente questo malinteso che è durato troppo a lungo, dimostrando che
non si basava su nulla di così grave, come avreste potuto pensare: solo una fissa: solo un chiodo fisso.
“Tanto sono sgradevole che so bene che cercando i motivi del vostro scontento, ora, non posso far
altro che scontentarvi ancora, ma io non sono soltanto l’insolenza, la goffaggine, l’immodestia, né
l’affettazione di sincerità o di chiaroveggenza – anche se c’è effettivamente un poco di tutto questo, non
lo potrei mai nascondere – che mi deprezzano ai vostri occhi.
“Tanto sono sicuro che non avrete mai bisogno di dire basta.
“Tanto sono ugualmente incapace di giustificare la non meno cattiva impressione che suscitarono in
me i rintocchi cadenzati delle campane delle vostre smorfie che, nel buio sopra la mia testa, si misero a
suonare ad ogni mia narrazione, ogni mio particolare di mentre fiancheggiavo la Fossa quel giorno pure
se essa sovrastava tutte le case, con tutta la sua maestà non convenzionale e rigida degli edifici
pubblici e privati che la circondavano ignari di ciò che sarebbe accaduto e nemmeno so se, a voi,
potesse mai importare” dice Skeeen.
Tastando sotto la pelle di pantera del chiodo di Skeeen sotto vede agitarsi dei corpi, convulsamente
Tastando sotto la pelle di pantera del chiodo di Skeeen sottomesso esclama “il mio animo è nella sua
dura intransigenza” e la fenditura lunghissima e cara serpeggia fra le cose oblique
Tastando sotto la pelle di pantera del chiodo di Skeeen sta per accarezzare quest’interstizio di pelle
dolce, i pettorali, sotto gli occhi del barista secco
Tastando sotto la pelle di pantera del chiodo di Skeeen si spoglia la mente e non ne può più
Tastando sotto la pelle di pantera del chiodo di Skeeen tutto bianco e ricurvo, tace un po’ e tasta
“Te la farò pagare, ti ucciderò con le mie stesse mani stringendoti alla gola, vigliacco di un Godz!” dice
Skeeen.
“Te lo raccomando io” dice l’altro.
“Temevo di sentirmi già alleviato da questa pena e davvero ho paura d’essere io quest’uomo crudele
e pazzo” dice Skeeen
Temperatura in lieve diminuzione, involucro bolla di sapone che si ricostruisce rapido, intorno.
“Tenevo accesi tutti i registratori a nastro che posseggo, a turno, durante le 24 ore, giorno e notte: da
questo delirio ho tratto un soggetto grezzo di 100 pagine” Norman è un po’ tanto stronzo, a casa di
Norman non si scopa mai, racconta, racconta del video che ha in mente…
“Ti sarò grato” dice uno, “io so come si tratta un ragazzo che lo fa per la prima volta” dice l’altro, “non lo
metti mica tutto?” dice uno, “certo che non te lo metto mica tutto, solo chi è un giocatore può farlo e tu
ancora non lo sei, non sono così pazzo, so dove e come arrivare” dice l’altro “solo che mi devi giurare
che se dico basta è basta, e questo in qualunque momento” dice: parte il fist, lento, inesorabile.
“Tirerei nelle carte giorni e giorni, per comprenderne il futuro, perché non riesco a farmene una ragione:
quando la sfortuna è così insistente, sembra di essere vittime di un complotto, quasi concludo che un
dio esiste e ha deciso di punirmi, forse è per questo che sono qui” dice Skeeen.
“Tiro fuori io le carte, posso?” dice uno con un piercing a forma d’angelo al capezzolo destro.
“Torno dopo, certo che puoi” dice Skeeen.
“Tra le lettere che ti arrivano c’è di tutto froci che ci spediscono foto a culobusone mentre si allargano a
dismisura le natiche e ti scrivono il tuo uccello mi fa impazzire, ti posso insegnare le perversioni più
sottili, perché non proviamo?” oppure foto di coppie mentre uno sta pisciando o peggio e poi gente
bruttissima schifosa flaccida mentre spompina a più non posso chissà chi che ti sembrano marchette
ma forse non lo sono e poi ancora gente tutta vestita in pelle e poi ancora legati e poi ancora che si
leccano qua e là e poi foto dove si vede qualche piede qualche viso sfocato ma con la testa rasata con
sopra scritto rasami tutto sei vuoi e via di questo passo tra scantinati garage parchetti divani salotti e
ambientazioni d’ogni genere” dice una voce al tavolo accanto.
Trafelato strappa via bruscamente il corpo da sopra un palo di carne, Skeeen, e trasmette un collera
terribile, annega il pensiero, e sconvolge, trattiene il respiro, a modo suo è buono.
“Tremendo, sono subito da lei, padrone” dice e aggiunge “mi è caduto un sigaro acceso da qualche
parte, qui sotto”.
“Troppo tardi, troppo tardi” dice Skeeen e geme e gode e stop.
Tutti e due sono insaziabili, l’uno nelle braccia dell’altro, pazzi, schiumanti, urlanti, si agitano
furiosamente come due cani che vogliono rosicchiare lo stesso osso.
Tutti e due, quello che frusta e quello che è frustato, delirano come baccanti e sembrano godere l’uno
e l’altro allo stesso modo.
Tutti i beati momenti.
“Tutti per sempre siete condannati a esibirvi, bisogna che vi rassegniate a fare i ciarlatani” dice Skeeen.
Tutti quanti sul quadrante, le lancette hanno raggi unto la stessa posizione, cosa che capita molte volte
nel corso di una giornata.
Tutti simili a cascate di capelli, alcuni sono così appesi e lunghi e secchi da sembrare lievitati.
Tutti sono allacciati e sono d’accordo e straripano, come da una ferita.
“Tutti, e quindi suppongo che anche a voi” dice Skeeen “sarà capitato di vedersi afferrare da uno di quei
fantasiosi simili a me che, avidi di far sentire il suono garrulo della propria voce, vanno in cerca di un
compagno la cui unica funzione sarà di dar loro ascolto senza per questo essere obbligato ad aprire
bocca: sono vascelli pavesati a festa, appaiono come reggendo fra le mani un luminoso vassoio
animoso di pezzi di vetro di sole, un’opera muraria, ricordi da nulla, rendiconti e narrazioni, perdute
memorie e incastri di gioie passate… e via, e via, e, per di più, non è detto che questo importuno esiga
che lo si ascolti, basta assumere un’aria interessata, ia assentendo ogni tanto con un cenno del capo o
con un leggero mormorio di approvazione, sia sostenendo valorosamente lo sguardo insistente del
povero diavolo narratore, malgrado l’estrema stanchezza che una simile tensione dei muscoli facciali
non mancherà di causare”.
Tutto è come intessuto di malinconia, come un addio, un sentore di probabilità, di assenza di tutti gli
altri, di mancamento, come se ora, ognuno, inesorabilmente, fosse solo al Mondo e se anch’egli
morisse, più nessuno avrebbe con sé: “ma fottiti” si dice Skeeen, si dice “ma fottiti che non è così” e
pensandoci storce la bocca “ma fottiti”, ma non si commisera, guarda questi a El Horno tutti tremanti, in
questa falsa luce di cieca aurora e dietro di loro, anche, vede come un qualcosa che sparisce e graziosi
motti di labbri su cazzi, vede, e ancora fissamenti di sguardi e altri labbri su cazzi, vede, su buchi di culo
e baci schioccati e pertugi pelosi da sfondare e salive magrebine e passamenti di pugno dentro, anche
doppio: un delirante sesso, vede, una bestemmiata beatitudine gridata e piuttosto dura, una pena da
non credere ma voluta.
Tutto El Horno sorride.
Tutto El Horno sorride, con aria un po’ canzonatoria, ma pieno di naturale tenerezza, così che anche il
biondo sorride.
Tutto El Horno sorride, con un’aria furbetta.
Tutto quanto il sistema hi-fi è lì, a tutto volume, che semplifica ogni cosa e contenta tutti, ma proprio
tutti, tutti quanti.
Tutto questo scenario immobile e astratto che circonda El Horno, gli edifici resi austeri dalla neve nera
che ne pone in rilievo i contorni e ne gela le superfici, e tutta quanta l’atmosfera felpata e come
sterilizzata, il vuoto delle strade pulite e rettilinee della periferia urbana che sembrano appartenere a
qualche città abbandonata, e perfino il grande portone spalancato su un cortile ugualmente deserto e
tristo ha quel carattere disumano e cittadino che ha sempre fatto battere il cuore a Skeeen, sotto
qualsiasi aspetto l’abbia incontrato, e può darsi che Skeeen stesso sia tanto più in grado di apprezzarne
l’aspetto insieme vellutato e severo, geometrico e miracoloso, in quanto esso stesso contrasta in modo
così evidente con l’ambiente disordinato del luogo di malaffare di cui si è appena chiuso la porta alle
spalle… e via, e via, ci si perde alla ricerca dell’assoluta novità, e del bizzarro, la realtà del sesso è come
una rottura inquieta, a El Horno, i proprietari stessi la percepiscono come minacciosa e l’immaginano –
proprio per questa estremissima ragione – migliore e futura, una e splendentissima, meticolosa
sessualità: una visione gloriosa e meschina di un sesso che non appartiene che a coloro che se ne
servono e che ne fanno una guerra santa immaginando collettività senza coscienza ma imposta a un
universo di ombre e di scambi imperituri, nell’uniformità trasparente, quasi, e rigida di un ordine
propriamente totalitario ma è un ordine, questo, che prestamente, a sua volta, si corrompe: circoscritta
da tutto questo, la città è investita come da una sessualità criminale, troppo vasta e incontenibile e si
decompone, la città stessa, e le sue particelle si liberano dall’insieme della metropoli come attori che
insorgono contro una messa in scena del tutto irreale: ognuno, qui, a El Horno, prende davvero
coscienza, una volta per tutte, che il proprio oggetto del desiderio, l’unica volontà di sopravvivenza, è
altrove, non certo punto di raggiungimento di una perfezione duratura, ma vividissima fragilità in cui la
morte è l’unica effettiva presenza.
“Tutto si era svolto come se io fossi la vittima di una sapientissima macchinazione da parte del mio
anonimo inseguitore, il quale, conoscendo alla perfezione la topografia della città, mi aveva spinto
attraverso tutto un dedalo di stradine e di piazze solo per farmi entrare a mia insaputa in quel luogo, la
Fossa, cui non pensavo minimamente, quella vota, di dovere arrivare” dice Skeeen.
Tutto smerdato il pugno, uno gode profondamente, e sente presto restringersi il buco, dice con voce
rantolante “porco, vengo… e via, e via, godo…”.
“Tutto solo, dopo un lungo rovello, ho consentito, e questa confessione ne è la prova, a ingannare la
vostra buona fede.
“Tutto solo, quella risata aveva potuto fare scattare in me un senso di umiliazione quasi fisica e
rendermi infine pienamente conscio di ciò che non potevo considerare altrimenti che come una specie
di decadenza di cui non sarei mai più davvero riuscito a cancellare il ricordo e dalla quale non avrei mai
potuto risollevarmi, malgrado qualsiasi sforzo di immaginazione per riabilitarmi ai miei stessi occhi.
“Tutto sommato, da allora, mi sono comportato con gli uomini come essi avrebbero voluto essere
capaci di fare, rappresentavo in un certo il loro ideale di quel che un uomo doveva essere, audace,
sprezzante, se necessario aggressivo e sarcastico, bevitore un po’ eccessivo, accanito fumatore, come
dovrebbe essere ogni vero uomo, flemmatico davanti al pericolo, intraprendente con chiunque e capace
di piacere loro a prima vista, ma soprattutto dotato di una straordinaria disinvoltura.
“Tutto sopra di me era al limite del credibile, i fili telegrafici emettevano un suono ininterrotto, acuto,
strano, mai udito, come se il freddo dell’aria avesse trovato una voce, quel giorno alla Fossa” dice
Skeeen.
Tutto sospeso per aria, il tipo, il rumore del suo respiro da flebile diventa ritmico, sicuro.
Tutto sul serio.
U
“Ugualmente è logico che adesso io sia tentato non solo di attribuire all’attrazione magica che
quell’uomo esercitava su di me una parte di primo piano, ma anche di esprimere qualche dubbio
sull’importanza di quella, a mio avviso non determinate e piuttosto aleatoria, mia ubriachezza o
dell’atmosfera molto rumorosa ed eccitata del luogo o anche di qualsiasi altro fattore dello stesso ordine
di quelli che vi ho già descritti” dice Skeeen.
Un altro motivo di disperazione è la tramontana affilata come un rasoio che taglia le orecchie appena
protette da una miserabile sciarpa troppo corta e troppo stretta.
Un baratro che occorre solcare.
Un dolore acuto gli trapassa la mano, facendogliela sollevare di scatto.
Un freddo che penetra attraverso i vestiti, attraverso i pori dilatati dall’alcool e scivola subdolamente fin
nelle ossa.
onTV
Un giovane sikh, con il turbante giallo e gli occhi sbarrati, pronuncia a mezza voce una frase
intraducibile, un ghigno di approvazione a sinistra, un brusio di protesta a destra, un attimo di esitazione
e gli inservienti, come ragni che hanno avvistato l preda, convergono con passi veloci al centro
dell’anfiteatro: da lontano, colpiscono l’uomo dal turbante giallo con i fasci di luce delle torce elettriche:
in platea torna la calma, Vanessa Vaz è scomparsa, resta il buio umido della notte.
Un inglese lo raccoglie: puzza di cadavere, come tutti gli europei, e per molto tempo non ci si può
abituare davvero a quest’odore.
Un inglese lo tira su.
Un lampo balena e un nero mostra una massa tormentata di bucodiculo somigliante piuttosto a un
cratere vulcanico che non a un didietro.
Un niente, appena la punta del cazzone.
Un perfetto testadicazzo Norman, insomma, eppure cinque mesi fa questo coglione ha avuto un colpo
di genio: ha inventato una maglietta video che può trasmettere ciclicamente venti secondi di immagini in
movimento preregistrate, grazie a uno speciale tessuto videoconduttore “questo rivoluzionerà la
concezione della T-shirt: non più la statica immagine della faccia da bocchinaro di Mick Jagger, ad
esempio, ma l’intera smorfia, ripetuta all’infinito, su tutta la maglietta, dei suoi stessi pompini: geniale!”
Norman è un po’ tanto stronzo, a casa di Norman non si scopa mai. Racconta, racconta del video che
ha in mente…
Un po’ più tardi, coltiva quella tristezza che lo contraddistingue, sperando, così, di calmare la febbre del
suo organismo.
Un sibilo.
Un sibilo acuto – diminuito e aumentato dal verdepratointenso del suo occhio – rossocupo di colore,
lagocielo di forma.
onTV
Un suo sguardo, uno sguardo di Vanessa Vaz è l’incanto di mille specie che fa trasalire, è quest’inverno
molto piovuto, parimenti al dolore che è nelle voci degli altoparlanti che cantano e suonano.
Un tale con uno di quei giubbotti di pelleantracitescurissima e una braga a quadri.
Un tempo, sul suo bel torace peloso, aveva offerto abbracci scandalosi allo sguardo avido della
plebaglia… e via, e via, poi strade vicine l’avevano portato in ben altre direzioni e non si era mai più
rivisto.
Un tipo con gli occhiali rayban aviator fa ballare un marchettone sfoggiando un bel gioco di gambe a
ritmo per il pubblico e sorrisi per il DJ, sembra un po’ ubriaco e perfettamente a suo agio.
onTV
si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado
Un’ora dopo l’inglese impazzisce, un’ora dopo lo schermo impazzisce, un’ora dopo lo schermo come un
contatto improvviso e tremendo, un’ora dopo l’inglese impazzisce, si crede lo Shogun e vuole inculare il
Mikado, un’ora dopo parte un porno, l’uomo è soltanto un cazzo e il sesso formicola nell’ombra elettrica
dello schermo, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, sul letto si vede il cazzo che subito
s’indurisce, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, patta aperta e lo tocca con mani poco gentili,
si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, cicatrici guarite pulsano ancora sotto la carne e il muco
rettale, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, spettro fluttuante di ragazzo nel bagliore dello
schermo, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, nella periferia della città si masturba sotto
sottilissimi pantaloni di tela, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, orgasmi fatti di dita nel culo
come crepuscoli scesi improvvisamente sulla pelle scandinava del protagonista, si crede lo Shogun e
vuole inculare il Mikado, ombra di fianco a lui e sulle dita sperma che cola, si crede lo Shogun e vuole
inculare il Mikado, improvvisamente uno strattone al capezzolo e denti digrignati e sangue che cola dal
capezzolo, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, tutta insieme la sequenza d’immagini e i
muscoli si rilassano e contraggono strenuamente, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, scalcia
con i piedi stupefacenti in aria, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, un torrente continuo e un
flusso ben architettato il movimento di quei 45 come tamburi nel vuoto della stanza, si crede lo Shogun
e vuole inculare il Mikado, peli puberali e altra carne ancora e ancora cazzi e ancora peli del pube e
pedi 45, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, fa scattare le pinze d’acciaio cromato sui
capezzoli duri e puntuti, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, lascia cedere i pantaloni di stoffa
sdrucita e sottile e rimane nudo, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, il suo cazzo scivola fuori
dalla pelle pulsando di sangue, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, se siede di nuovo sul letto
e una goccia di luan sprizza fuori dal tubetto tascabile e scintilla nella debole luce bluastra, si crede lo
Shogun e vuole inculare il Mikado, si siede al suo fianco e lo bacia con la lingua in bocca toccandogli
fortemente il cazzo, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, spinge indietro l’uomo sul letto e
inginocchiata sopra la figura sottile e pelosetta si strofina sull’altro corpo, si crede lo Shogun e vuole
inculare il Mikado, mette le mani sotto i ginocchi, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, li spinge
su su fino alle orecchie e strofina dentro il buco la sua lingua con lentissima mossa circolare, si crede lo
Shogun e vuole inculare il Mikado, i denti digrignano quando fa scivolare dentro un dito sentendo i
muscoli rilassarsi e contrarsi in movimenti risucchianti, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado,
scalcia i piedi 45 per aria, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, ecco sullo schermo la
tranquillità enormemente paurosa del cazzo eternamente teso, si crede lo Shogun e vuole inculare il
Mikado, pomeridiano ragazzo biondo imberbe americano accoglie cazzi e s’adagia su d’una poltrona
col pudore infedele e rauco alla bisogna, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, tutto vuoto
intorno lo scenario ove soltanto emisferi culoni vengono sfondati da mani e rapidamente penetrati da
altre nervose mani che cercano altre mani e cazzo e culo e vita fisiologica e sborre mosce e trepidanti
biancori e spumette e luridi busideculo slargati, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, l’orrore
non esiste se qui c’è merda e buco è un porno e un porno non si lascia intimidire dai pensieri di chi lo
guarda, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, cazzo grande e affilato come coltello per
uccidergli il culo e affanno cieco e sesso da ginnici e sudore a ondate e ammiccamenti di boccucce, si
crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, ma la vita si muove dentro al foro di quel ragazzo e i peti e
le scoregge e gli afrori che solo si possono immaginare e il siero che sbava, si crede lo Shogun e vuole
inculare il Mikado, un brandito uccello nella notte e un cazzo a forma di randello e un vortice perlaceo di
sborra in bocca e ingoia e fantasia a zero, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, un cazzo
eternato in un video pornografico è gioia per gli occhi di tutti e mani a brandire cazzi di carne e
masturbazioni mentali e reali sborii, si crede lo Shogun e vuole inculare il Mikado, “t’inculo?” “sì” sono le
uniche parole di tutto il video, un’ottima sceneggiatura, tutta la sfilata diventa un puttanaio di marchette
porno.
Un’orgia pestilenziale.
Un vero e proprio film porno.
Una breve pausa e tutta la collera diviene la sua prigione di pensamenti, cosa davvero rivoltante la sua
prigione di pensamenti e, come una lama di luce, penetra dal corridoio cadendo sul pavimento ma il
sigaro di Skeeen rimane una visione imperdibile.
“Una paura abbastanza analoga a quella che mi concedevo quando, già non più bambino,
attraversando il bosco del Ticino durante la notte, mi mettevo diligentemente a immaginare lupi,
assassini, fantasmi in agguato nell’ombra, e allora, il mio cuore era abbastanza contratto dal terrore,
provavo una specie di inebriante soddisfazione pensando di essere padrone di far battere il mio cuore e
fremere i nervi, il dito mignolo o di disporre della mia anima” dice Skeeen.
Una pelle giovane e sensuale nonostante i suoi anni: due facce l’una all’altra di fronte.
Una risata volgare attraverso cui ogni cosa proclama apertamente il proprio tradimento, ammesso che
non fosse stata sempre nel campo dei raggiri atti a rafforzare in Skeeen l’idea che tutti quanti i destini
sono come miracolosamente riuniti questa stessa notte a ElHorno e che avrebbe sempre trovato in
ognuno un alleato sicuro e leale… e via, e via, Skeeen manda tutti i segni della complicità ingannandosi
in questo modo sulle sue reali intenzioni con una facilità resa tanto maggiore dalla sua naturale
seduzione e tutto questo per ispirarsi fiducia ed eccitarsi a perseverare nel suo ruolo comico (a meno
che non avesse semplicemente cercato di ottenere da se stesso ciò che poteva desiderare una della
sua stessa specie).
Una sembrerebbe raffigurare il sole, l’altra il sole: una pelle giovane e sensuale nonostante i suoi anni:
due facce l’una all’altra di fronte.
Una tosse cupa venuta dalla gola fa trasalire Skeeen.
Una voce maschile ma femminile dice “padrone.
Una volta buio, nella dark si accendono le luci blu e rosse e allora il sangue ricomincia a scorrere al loro
interno: una pelle giovane e sensuale nonostante i suoi anni: due facce l’una all’altra di fronte.
Una volta ghermito, però, una pelle giovane e sensuale nonostante i suoi anni, due facce l’una all’altra
di fronte, sente in forma acuta e le sue sensazioni in culo sono particolarmente profonde.
Una volta in piedi, incapace di decidersi, Skeeen, a fare anche un solo passo, rimane per qualche
istante immobile, senza fiato, con una mano contratta sul pacco e l’altra affondata in tasca… e via, e via,
poi riprende.
“Una volta stretto a me il ragazzotto” dice Skeeen “e scartato il suo amante dalla mia strada, non mi
restava che immergermi nel piacere come in una marea di carezze… e via, e via, piacere talmente
impetuoso e sconvolgente che per esso dimenticai il desiderio di sentire la sua voce… e via, e via, con
gli occhi gli ciucciai l’alluce senza dire una parola… e via, e via, se le sue narici tremavano, se il suo
sguardo brillava di una fiamma nerissima, se sentivo sotto la mano il suo corpo fremere a lungo, come
dominato da uno deliziosa tortura, in compenso vedevo sulle sue labbra un sorriso ambiguo che tuttavia
non mi faceva tanto l’effetto di un tradimento quanto di una conturbante complicità resa ancor più
evidente dal silenzio che osservavamo in mezzo al frastuono circostante… e via, e via, sia che lui fosse
messo proprio sull’avviso da quel che poteva esserci di losco o di leggermente stonato nel mio modo di
fare, di titubante nella mia andatura, di sciatto nella mia tenuta, sia che cercasse di avvertirmi con un
leggero cenno ironico che non si sarebbe fatto completamente ingannare dalle dichiarazioni che avrei
potuto essere indotto a fargli e che avrebbe dovuto in buona parte attribuire alla mia ubriachezza, fatto
sta che, in preda a una vertigine meravigliosa che mi vietava di pensare che nei nostri reciproci
sentimenti potesse esserci disparità e che mi dotava di una specie d’invulnerabilità illusoria, non mi
preoccupavo di sapere che cosa pensasse di me e questa noncuranza merita di essere presa in
considerazione… e via, e via, quando si quando si sa che nessuna preoccupazione mi agita di più di
quella di scovare, a forza di discernimento, di perspicacia e di astuzia, proprio l’immagine che di me si
fa la persona che amo o almeno alla cui stima tengo”.
Uno al bancone del bar lascia il suo posto per proporre a un altro di bere un goccio insieme “l’invito è
decisamente estensibile anche al signore che t’accompagna” dice con tono da puttanone pelosissimo
“che diavolo vuole?” dice l’uomo “vuole invitarci a bere” dice l’altro.
Uno scalpiccio di popper.
Uno sniffare di popper.
Uomini monocromi camminano nella stessa direzione, uniformi anche nei loro monotoni atteggiamenti.
V
“Va da sé che ogni altra normale pratica hard fa parte del nostro quotidiano e quindi tranquillamente
praticabile su richiesta delle coppie” dice una voce al tavolo accanto.
Va e viene come una marea, e come giunco, torcendosi flessibile, ha il suo bel daffare, Godz, per
mantenere il BOLGIASHOCK ad un buon livello, Godz: spende il suo santo corpo dietro a questo
evento: tutto il mutamento d’una nuova ragione fluttua visibilmente, in mancanza di meglio, Godz, si
tocca il pacco, è un gesto che ripete meccanicamente mentre spiega a tutti i presenti gli intenti e le
ragioni.
Va e viene come una marea, Godz e tutto si riagita nel cervello di Skeeen e ormai non c’è soltanto
rumore d’odio o dimenticanza, è Godz che lo divora con tutta la sua conoscenza e il sapere e s’affretta
a palesarsi come se gli fosse fratello e bacia e bacia ogni nuovo sconosciuto e saluta al cospetto del
suo ex: è Godz, è Godz, è Godz… e via, e via, verso ubbidienza il fato l’attira, Skeeen è come un canto
d’uccello tramortito, è insonnia, è roco ricordo, è caro pensamento: con Godz davanti s’ignora
l’imperfezione della vita e si respira l’aria che respira: Godz è un pazzo, un inarrestabile assediante
vampiro e trascina in un tempo di dura pietra che il ricordo non consuma.
Va e viene come una marea, Godz ed è una ostile e minacciosa voce la sua.
“Veniamo ai motivi che mi hanno spinto a mettermi sordidamente in mostra” dice Skeeen “sì, tutto, o se
non tutto quasi tutto, infinite cose fondamentali per la mia vita sono cambiate, o stanno per mutare,
forse impietosamente: qualcosa, questo odiato qualcosa, è forse l’amore, il senso d’amore per Godz,
come dolore, come febbre di ragazzetto, abbandoni a vari pensamenti inchetanti: osserverete,
certamente, il tono un po’ canzonatorio a cui mi abbandono, malgrado la decisione presa di essere
ugualmente serio e sincero, poco provocante e poco simpatico… e via e via ma se farete un’esperienza
simile, scoprirete che non c’è nulla di più difficile, a meno di essere sorretto da qualche convinzione,
che parlare di sé con gravità lasciando da parte tutti i piacevoli giochi propri dell’insolenza, per ché
l’anima si è naturalmente malata d’amore dopo i sogni potenti e ribelli della fanciullezza che caramente
ci guarda e subito dopo il mare annebbiato e confuso dei sogni dell’adolescenza… e via, e via, temerete
il ridicolo e, per scrupolosa possa essere la vostra confessione, sempre vi troverà sfogo una
insopprimibile ironia: così si capisce, d’un tratto, il perché di tanti miei mutamenti”.
Verso la metà della nottata Skeeen si trova in un pavimento ombreggiato da corpi distesi.
“Vi assomigliate molto, è vero” dice e intanto spinge all’ano “è vero siamo fratelli gemelli, e allora?... e
via, e via, è falso che scopiamo fra di noi” dice, si appoggia alla parete, nero alabastro la carta da parati
nera cede alle sue spalle, si sgretola di vecchiaia, e dietro c’è il vuoto, una voragine che inghiotte tutti
quasi misteriosamente… e via, e via, “non ho ancora trovato nulla che abbia accresciuta a mia vita, non
mi è sembrato di vedere un grande miglioramento nella mia vita stessa” dice Godz e intanto allarga il
buco “quello di renderci liberi è un obbiettivo nobile, ma irraggiungibile se ci rendiamo ridicoli” e intanto
allarga l’ano “e proprio questo, ormai, dovrebbe davvero essere ovvio. Molti sono rimasti a guardare
mentre si sbriciolavano tutti i gruppi politicizzati” e intanto allarga il foro ma resta dritto, bilancia il suo
peso ora su un piede ora sull’altro, Godz, e adesso ascolta la voce dell’altro, adesso, guarda le mani
dell’altro, adesso”.
Vivere significa sentire, e bere e ballare e ridere significano sentire, quindi bere, ballare, ridere
significano vivere e su questo faceto sillogismo Skeeen vuota la sua Ceres.
“Voglio dire che ho messo da parte” dice Skeeen “le lusinghe ridicole con cui mi capita a volte di
giocare, pur sapendo bene ciò che valgono: esse non sono altro che i frutti di un’abilità abbastanza
ordinaria, ciò perché tanto io ignoro cose in me, forze di mare, murene che imito contro natura,
affabulatori altissimi e terribili incantamenti che ora mi rallentano ora mi velocizzano: a tutto ciò
aggiungete che il mio stile naturale è quello del confessionale, nulla di strano che assomigli a
innumerevoli altri stili, ma io non ho pretese, siete avvisati."
“Voglio dire che il mondo delle preoccupazioni umane era improvvisamente sospeso, in un certo
senso addormentato e costretto a un meraviglioso armistizio.
“Voglio dire che questa era l’opinione che pensavo si facessero di me.
“Volevo chiarire quel punto una volta per tutte, e se fosse stato necessario sarei rimasto volentieri fino
all’indomani a rievocare mentalmente l’infanzia, esplorandola da capo a fondo, esaminando con
attenzione gli episodi più salienti per vedere se non potessi scoprirvi qualche indizio che mi servisse da
chiave e facesse improvvisamente scattare la luce, ma mi avrebbero lasciato il tempo necessario, quei
miei pensieri, per esaurire il mio compito? La musica non sarebbe svanita improvvisamente e con essa
tutto ciò che mi avrebbe consentito davvero di risolvere l’enigma? E se così fosse stato, a che giovava
stancarmi a vuoto? Era certamente preferibile in ogni caso non attardarmi in tali ricerche che avrebbero
sviato la mia attenzione da quello che, appunto, le aveva determinate e avrebbero avuto l’unico risultato
di sottrarmi a tutta quanta intera l’influenza benefica di quella musica, senza che ne avessi ricavato
nulla che potesse giustificarle.
“Volutamente facevo galoppare nella mia testa ogni specie di amare riflessioni relative, per esempio,
al mio nero isolamento, consapevolmente mi trascinavo nauseabondo e gustavo compiaciuto il sapore
acre della mancanza di Godz che non sarebbe più tornato”.
“Vuoi ascoltarne un pezzo?” dice e nemmeno aspetta la risposta, sceglie a caso una delle decine di
audiocassette contrassegnate STUPID LEATHER e la infila in un discreto impianto stereo, una voce
roca e impastata di zombie esce dagli altoparlanti. Norman è un po’ tanto stronzo, a casa di Norman
non si scopa mai. racconta, racconta del video che ha in mente…
“Vuoi essere ammanettato biondo?
“Vuoi sapere cosa faccio contro la guerra, biondo? Fotto!” dice Godz.
Vuole finire secondo il suo capriccio… e via, e via.
WXYZ
the end?