martedì 23 maggio 2023

pioggia lava, vento asciuga

Un nuovo capitolo s’aggiunge al mio piccolo scaffale di consigli di lettura: Recensenda. Poche parole aggiunte come minimi scarti al terribile reale editoriale contemporaneo.

Proprio al di sotto del pensiero riflesso, ovvero dell’io (non maiuscolo, in questo caso) che notoriamente, da anni, si articola nel linguaggio di Giuliana, quasi vicino al dire quotidiano – la Poesia – s’implicita come un pensiero tacito, silenzioso ma preverbale e oltre ogni categoria, inscritto nel corpo dello scrivente e dotato di una capacità simbolico-espressiva che risiede nel tradursi spontaneo di un senso altro nell’altro e nella gestualità che accompagna il situarsi dell’io, spaesato, nel mondo del concreto.

Così per riscoprire questo fondamento comune che dovrebbe essere di ogni prassi e di ogni forma di attività poetica è necessario, secondo me, per quel che vale, operare decisamente una sospensione di giudizio, un’astensione, un taglio, nei confronti di tutti gli interessi di dicibilità o narrazione, nei confronti di tutte le finalità e le azioni che assumiamo e compiamo anche soltanto in quanto esseri avidi di sapere (quando di questo si tratta).

Pioggia lava vento asciuga di Vito Giuliana è, nelle sue linee fondamentali, la riflessione di un Poeta che si sviluppa in una direzione opposta a quella attuale e non considera l’immagine come il momento della rappresentazione bensì come il luogo, il punto esatto, seppur minimo, piccole figure, ove le parole si scontrano e incontrano tra leggi immutabilmente poetiche. Nel volume, dunque, si concretizza esemplarmente la relazione percettiva e corporea tra io e mondo (iniziata da Giuliana a metà anni ’80) e – nell’ultima fase della sua ricerca, qui, in questo volume – come l’apertura della possibilità di un accesso alla dimensione ontologica della visione e della sensibilità.

Cardine su cui si incentra l’interpretazione della scrittura come soggetto, direi, qui, unico, della percezione è la distinzione (ma qui sul fare poetico) tra il corpo proprio vivo – ossia il corpo “in carne e ossa”, vivente e vissuto in prima persona, del Poeta – e il corpo oggettivo, corpo rappresentato e ridotto a cosa del poetare. 

Un legame tra immaginazione e neutralizzazione della stessa e possibilità di immaginare viene radicalizzato, qui, in un testo che costituisce uno dei principali punti di riferimento, spesso polemico, per il pensiero di Giuliana.

Il riferimento del testo stesso è fondamentale per comprendere lo sviluppo del dire, nel lavoro di questo Poeta, e il suo approdo a un’ontologia del sensibile che risulta essere una parte portante dalla constatazione della sostanziale estraneità della Poesia rispetto al concreto mondo della vita soggettiva, è in quest’ottica che la coscienza rappresentativa e la riflessione diventano momenti delimitati di una vista esperenziale dominata da una viva corporeità. Sensibile e agente.

Percezione radicata nel corpo vivente, costantemente e ostinatamente orientata in modo prospettico e strutturata da diverse forme di motivazione.

Nella coscienza immaginativa del poetare lo scrivere è posto come non-esistente e in questo modo il soggetto perviene a divincolarsi dalla vastità del mondo esterno, lo neutralizza eclissandosi sospendendolo e negandolo nella sua posizione d’esistenza e aprendosi al possibile e all’irreale.

Qui Giuliana mi pare distinguere nettamente tra percezione e immaginazione attribuendo alla prima la capacità di connettersi con le cose nel mondo, e alla seconda un radicale potere di nientificazione, di annullamento dei suoi contenuti.

Sebbene segnata anche da un confronto con il reale, il quotidiano, la scrittura di Giuliana non rinnega mai la propria provenienza, in particolare per quanto riguarda il riconoscimento della centralità del problema della percezione dello scrivere e l’esigenza dello scrivere. Al centro della riflessione, in tutto il testo, vi è infatti il tema della percezione dell’inesistente-esistenza, intesa non come puro sguardo capace di descrivere assenze e strutture fenomeniche ma piuttosto come esperienza primordiale del Poeta, sfondo ultimo dal quale si staccano i suoi atti e il suo sapere.

Qui il soggetto della percezione non è tanto un ego che trascende, facile oggi a rintracciarsi nella poesia di molti minori (e molta se ne legge e quindi se ne sa), che opera la riduzione per attingere un piano di fenomeno da baraccone, di presenzialismo allo stato brado, quanto un corpo poetico agente e senziente, animato da un’intenzionalità irriflessa e precategoriale dell’io non esiste.

Solo in questo modo è possibile uscire del coro, attingere il piano di quel regno di evidenze originarie che è il piano dell’autore, di questo Poeta, un “autore minore”, sì, che esiste, al contrario di altri, pur non essendo normalmente oggetto dell’attenzione e riflessione della critica italiana.





 

(10 aprile 2018)

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