Un exile volontaire. Un roman
Un esilio volontario. Un romanzo (1890) – Il deliziosamente controverso Marc-André Raffalovich (1864-1934), poeta e scrittore francese, noto tanto per il suo fascino intellettuale quanto per il suo mecenatismo, ci offre un'esperienza narrativa audace e anticonformista. Raffalovich, figura di punta della letteratura queer e amante del poeta inglese John Gray, costruisce un intreccio che tocca temi scottanti come il matrimonio e l'infedeltà, arricchendolo di un cast di personaggi queer che oggi sarebbero a casa in una serie Netflix. E non manca un finale sorprendente da far saltare sulla sedia.
Ma Raffalovich non era solo un autore intrigante. Nel 1894, divenne una delle voci più importanti sull'omosessualità (o “unisexualité”, come la definiva) sulle pagine delle Archives de l’Anthropologie Criminelle, la rivista che faceva impallidire tutti gli accademici dell'epoca. Qui, la sua penna tagliente e il suo pensiero audace l’hanno reso un esperto riconosciuto, intrattenendo fitte corrispondenze con i massimi studiosi europei. Il suo capolavoro, Uranisme et unisexualité (1896), è considerato una lettura obbligatoria per chiunque voglia capire le radici del pensiero queer moderno.
Ah, ma ecco il colpo di scena: nel 1896, sotto l’influenza dell’amato John Gray, Raffalovich si converte al cattolicesimo e si unisce ai Domenicani. Immagina un poeta queer che si trasforma in fratel Sebastian, tutto per amore di San Sebastiano! E ovviamente, dove va Gray, segue Raffalovich. Così, nel 1905, lo troviamo al fianco del suo partner spirituale (ormai prete a St Patrick, Edimburgo), non solo come amico fedele ma anche come generoso benefattore, contribuendo alla costruzione della chiesa di St Peter.
E in quel nido dorato chiamato Whitehouse Terrace? Raffalovich diventa il perfetto padrone di casa, ospitando un salotto letterario degno di un dramma di Oscar Wilde, con ospiti del calibro di Henry James e Max Beerbohm.
Eppure, l’anima tormentata di Raffalovich non smette mai di oscillare tra la fede e il desiderio. Contrario alle teorie sulla "inversione sessuale" che circolavano all'epoca, secondo cui un gay era semplicemente un'anima femminile intrappolata in un corpo maschile, Raffalovich scuoteva la scena con la sua visione di “unisessualità”, più in linea con la moderna concezione di omosessualità. Credeva che l'attrazione verso lo stesso sesso fosse una questione di cuore e non di genere. Tuttavia, i suoi ideali di virtù e vizio lo portarono a difendere la repressione dei desideri omosessuali in nome di una vita spirituale e artistica, in netto contrasto con Magnus Hirschfeld e i pionieri della liberazione gay.
Il tempo, però, non è stato clemente con le sue idee più reazionarie. Raffalovich sostenne persino il famigerato Paragrafo 175 tedesco, un atto che molti oggi considererebbero una tragica contraddizione nel suo percorso. Alla fine, nel 1910, il nostro eroe si ritirò dalle discussioni sull'omosessualità, preferendo dedicarsi al suo salotto scozzese e al sostegno dei giovani artisti.
Raffalovich morì nel 1934, nello stesso anno del suo fedele amico John Gray, lasciando dietro di sé un’eredità complessa e affascinante, tanto quanto le opere che ha scritto e la vita che ha vissuto.