La mia carne – maledetta,
corrotta dal peccato e dal vizio,
carne di un paese che si consuma,
che sussurra inebrianti promesse,
tesse menzogne silenziose
e si nutre di oscuri desideri.
La mia carne – infetta,
chinata, confessa il proprio delitto,
stretta nei morsi del rimorso,
ginocchia coperte di polvere,
una contrizione carnale,
le lacrime non piante bruciano dentro.
La mia carne – ferita,
ogni gesto un colpo, ogni tocco un segno,
carne marchiata
dai miei perdoni senza fine,
dalle molteplici grazie,
e dalle menzogne di piacere nascosto.
La mia carne – esitante,
tace, troppo a lungo, quel “ti amo”,
desiderio che scivola lontano,
carne di perdizione,
che mi culla,
liscia e fredda, come un veleno dolce.
La mia carne – guerrafondaia,
che urla tra spasmi di una paura oscura,
muscoli contorti, quasi grotteschi,
che invocavano l’onore
tra il fragore del piacere spezzato
e il sussurro di armi mortali.
La mia carne – ipocrita,
docile schiava del piacere negato,
velo su una verità ormai perduta,
nasconde un sì, soffoca un no,
una prigione invisibile,
in cui affogo come in un abisso.
La mia carne – servile,
sorriso falso di chi implora, di chi si inchina,
muta, priva di furore,
la rabbia brucia sottopelle,
un ieri che non passa mai,
carne che geme e si piega.
La mia carne – la mia dannazione,
dolce veleno che mi hai tradito,
servo di un piacere che non mi appartiene,
anch’io perduto, per poco,
tra le braccia di una madre maledetta,
nel letto di giochi perversi.
La mia carne – decadente,
carne che si disfa, che si svuota,
guastata da tocchi effimeri,
da vacue promesse,
e da inganni che ardono nell’ombra.