Che potere oscuro sei tu, che senza chiedere, senza neppure bussare, hai osato scuotere ciò che giaceva lontano dalla luce? Da quale abisso sei sorto per riportarmi, contro ogni mio volere, al tepore crudele di questa terra? Mi hai fatto resuscitare, sì, ma non c’è gioia in questo, solo un peso insostenibile. Cosa speri, tu, potenza cieca e muta, nel ridarmi una vita che avevo già consegnato al gelo? Eri tu, dunque, che volevi risvegliare ciò che era stato accettato dal nulla?
Non comprendi, forse, la pace che mi avvolgeva in quei letti di neve eterna, candida e silenziosa. C’era dolcezza in quella bianca immobilità, un oblìo così perfetto che persino la memoria era diventata inutile, svuotata, lontana. La neve non era fredda, no, era un balsamo, un abbraccio senza richiesta, una carezza priva di calore, ma colma di silenzio. Mi cullava come una madre troppo stanca, senza più parole, e lì io trovavo finalmente riposo. E tu, spettro insensato, hai deciso che non doveva essere così, che la vita doveva tornare a reclamare il suo diritto su di me.
E ora guardami, mentre mi alzo, a malapena, dal letto di nebbia che mi tratteneva. Non è forse un oltraggio tutto questo? Non vedi quanto sono rigido? Questo corpo non vuole più rispondere ai tuoi comandi, questa carne non vuole più vivere. Ogni movimento è un insulto, un’eco di qualcosa che avrei dovuto dimenticare per sempre. Non c’è nulla di glorioso in questo risveglio, solo il peso della resurrezione che mi grava addosso, come un mantello troppo pesante da portare. È una piaga, questa vita, e tu l’hai riaperta.
Io ero molto capace di sopportare il freddo, sai? Avevo imparato l’arte della stasi, del non sentire, del vivere senza vivere. Il freddo mi aveva insegnato a essere nulla, a scomparire senza lasciare traccia. Era la mia sola forza, la mia unica vera capacità. E ora, mi costringi a sentire di nuovo, a muovermi in questo mondo che non voglio. Il gelo mi aveva reso libero, mi aveva insegnato a non desiderare più, a non aspettarmi nulla. Ma tu, con la tua forza impietosa, mi hai tolto anche questo.
Non capisci, dunque? Non voglio più respirare. Ogni respiro è una corda che si stringe attorno al mio collo, una catena invisibile che mi trascina verso il basso. Ogni passo è un ritorno alla sofferenza, al dolore che avevo dimenticato. Io non appartengo più a questo mondo, non ho più desideri, non ho più forze per combattere la vita. Mi hai tolto il solo bene che avevo: la quiete. E ora, cosa vuoi da me? Cosa puoi sperare in un corpo che non desidera più nulla?
Lasciami tornare nel freddo. Lì, dove il tempo non esisteva, dove nulla si muoveva, dove il silenzio era totale. Lasciami tornare alla mia neve, alla mia solitudine bianca, dove non c’erano più sogni, né parole, né dolore. Non voglio più vivere sotto il tuo comando, non voglio più sentire questo calore che brucia e consuma. Il freddo era la mia unica patria, l’unica cosa che ancora mi apparteneva. Lì c’era la libertà che la vita non può offrire, un’assenza così perfetta che nulla poteva più toccarmi.
Lasciami, lasciami morire congelato di nuovo. Non c’è più spazio per me nella vita, non c’è più luce che possa scaldarmi. Non c’è più nulla che desidero. La vita è un peso che non voglio più portare, una prigione che mi soffoca. Lì, nel freddo eterno, c’è la mia vera pace. Non ho più bisogno di risorgere, non ho più bisogno di sentire. Lasciami, lasciami sprofondare nel bianco immutabile, dove il gelo potrà finalmente chiudere su di me il sipario, come una madre che finalmente si addormenta.