"Che fare?" è un'opera di Mario Merz, realizzata nel 1968, che fa parte del suo impegno a esplorare l'interazione tra arte, politica e società. Si inserisce nel contesto del movimento dell'arte povera, di cui Merz è uno dei protagonisti. La sua installazione utilizza materiali semplici e "poveri" come il neon, la pietra, il legno e la cera, che riflettono un concetto di arte come qualcosa che non deve essere elitario, ma che deve coinvolgere la vita quotidiana e la realtà sociale.
L'opera è un grande "interrogativo", rappresentato da un neon che scrive la domanda "Che fare?" in un contesto di totale incertezza storica e politica, che caratterizza gli anni '60, segnati da profondi cambiamenti sociali e da fermenti politici. Il neon, simbolo della modernità e dell'energia elettrica, fa da contrasto con materiali naturali e rudimentali, come la pietra e la cera, simbolo di una riflessione più profonda sul destino dell'uomo, la sua capacità di agire e scegliere.
"Che fare?" è, in effetti, una domanda esistenziale, ma anche politica, un invito a riflettere su come l'arte può interagire con la realtà e stimolare la consapevolezza sociale. Merz, attraverso questo lavoro, sollecita una risposta a una crisi collettiva, ma lascia al pubblico la libertà di interpretarla in base alle proprie esperienze e alla propria visione del mondo.
Un ulteriore livello di lettura riguarda il carattere sperimentale di "Che fare?" all’interno della produzione di Mario Merz. Quest’opera si distingue per la sua capacità di essere una sintesi tra linguaggi artistici diversi, in particolare l’arte povera e le sue connessioni con la scienza, la matematica e la filosofia. Il neon, per esempio, non è utilizzato semplicemente come un elemento decorativo o tecnologico, ma come una metafora della modernità e del cambiamento, che diventa al contempo uno strumento di riflessione sull’arte stessa e sulla sua funzione. La luce del neon diventa simbolo di un nuovo ordine, che però è sempre ambiguo e, in un certo senso, inquietante.
Inoltre, Merz spesso impiegava la fibra come materiale in molte delle sue opere, simbolo di connessione e continuità. La sua arte si rifiutava di aderire a un concetto di separazione tra natura e tecnologia, tra il fisico e il simbolico. "Che fare?" non è quindi solo un’opera d’arte, ma un “invito” ad esplorare l’arte come un processo interattivo, che interroga la realtà piuttosto che semplicemente osservarla.
Non bisogna dimenticare che "Che fare?" è anche una risposta all’ambiguità del periodo storico in cui è stato realizzato, un’epoca che, come Merz voleva sottolineare, era costellata di contraddizioni. Da un lato, c'era la spinta verso l'innovazione e il progresso, rappresentati dalla luce del neon e dalle tecnologie moderne. Dall’altro, c’era la consapevolezza che questi progressi non risolvevano i dilemmi esistenziali o politici, come la crisi delle ideologie e la frustrazione di un mondo che sembrava incapace di fornire risposte concrete.
Questa tensione tra progresso e incertezza è il cuore pulsante dell’opera, un’arte che non vuole dare risposte facili, ma che cerca di risvegliare nel pubblico una consapevolezza critica e una riflessione sul proprio ruolo in un mondo in continuo cambiamento.
Un ulteriore aspetto interessante di "Che fare?" è il suo legame con il pensiero dialettico e antagonista che permeava la cultura degli anni '60. L'opera non solo pone una domanda, ma lo fa in modo che l'assenza di una risposta immediata sia, essa stessa, una riflessione sullo stato di incertezza politica e sociale dell'epoca. Il neon, simbolo di luce, progresso e innovazione, diventa quindi anche un simbolo di un futuro che appare incerto, problematico. La domanda "Che fare?" è una sollecitazione a riflettere su come l'individuo possa e debba affrontare la propria esistenza e il proprio ruolo nel contesto di un mondo che sta vivendo un’accelerazione storica e sociale senza precedenti.
Inoltre, l'opera si inserisce in una riflessione più ampia sul tempo e sulla storia. La domanda stessa può essere vista come un richiamo alla contemporaneità, in cui l’individuo è chiamato a rispondere al suo presente, senza mai dimenticare il peso della storia. Merz, pur utilizzando materiali moderni, non trascura il passato, e anzi lo rievoca tramite la presenza della pietra, un materiale antico e naturale, che in un certo senso ci connette con le radici più profonde della nostra cultura e della nostra identità.
In un contesto di arte povera, Merz rifiuta l’idea di un’arte che si limiti a rappresentare la realtà esterna senza interagire con essa. L’arte deve essere parte della vita, un’interrogazione attiva, un invito alla partecipazione. "Che fare?" non è solo una domanda in senso filosofico o politico, ma anche un invito a prendere posizione, a non restare indifferenti di fronte alle sfide del proprio tempo. La luce del neon suggerisce che, pur nell'incertezza, l'agire è possibile, ma non senza una consapevolezza critica della realtà che ci circonda.
Anche il carattere temporale dell'installazione, con la luce intermittente o persistente del neon, potrebbe suggerire l'urgenza di rispondere a questa domanda. L'arte, in questo caso, non è un oggetto statico, ma una sfida continua, che ci spinge a riflettere in modo attivo sul nostro posto nel mondo.
Un altro aspetto interessante di "Che fare?" riguarda il dialogo con altre discipline, in particolare la matematica e la geometria, che Merz esplorava in diverse opere, anche se meno esplicitamente in questa. L'uso del neon e la sua disposizione nello spazio rimandano a un ragionamento di tipo sistemico, che porta a un'interpretazione dell'arte come un campo di relazione tra elementi diversi che si uniscono in un equilibrio instabile. L'opera non è solo una riflessione sulla politica o sull'esistenzialismo, ma anche sull'idea di sistema, di connessione tra le cose, che per Merz era centrale.
L'uso della scrittura come parte integrante dell'opera è inoltre un richiamo diretto alla tradizione dell'arte concettuale, che negli anni '60 e '70 ha preso piede come mezzo per indagare il rapporto tra linguaggio e realtà. La frase "Che fare?" non è solo un interrogativo filosofico, ma anche una provocazione linguistica. La scelta di un linguaggio chiaro e diretto, privo di complessità retorica, diventa essa stessa una critica alle strutture di potere che, in quell’epoca, rendevano difficile la comprensione della realtà sociale e politica. La semplicità della domanda non è mai semplice, ma mira a evocare una riflessione profonda, un invito ad andare oltre la superficie delle cose.
Il fatto che l’opera sia stata realizzata nel contesto di una transizione storica e sociale segnata dalle rivoluzioni giovanili e dalle contestazioni politiche la rende anche un atto di resistenza artistica. Il "Che fare?" di Merz può essere letto come un incoraggiamento a non rimanere passivi, ma a rispondere alla propria condizione di essere umano in una società che sta cambiando velocemente. L'opera esprime un senso di urgenza e di partecipazione, invitando lo spettatore a riflettere sul proprio ruolo nell’affrontare le sfide del tempo.
Infine, l’aspetto interattivo di quest'opera potrebbe suggerire che non esiste una risposta universale alla domanda posta. Il "Che fare?" è aperto a interpretazioni personali, e la sua forza sta proprio nell'incitare ogni spettatore a cercare una risposta che sia legata alla propria esperienza, alla propria visione del mondo e alla propria condizione sociale e politica. Questo permette all'opera di rimanere attuale e vitale, capace di risuonare con ogni nuova generazione che si trova ad affrontare le proprie sfide.
Un ulteriore elemento da considerare riguarda la dimensione spaziale dell'opera, che è fondamentale per comprendere appieno il significato di "Che fare?". Merz non si limita a presentare un oggetto statico o un'opera da osservare in modo passivo; l'installazione è pensata per essere immersiva, invitando lo spettatore non solo a guardare, ma anche a entrare in relazione con l'opera. L'interrogativo, scritto in neon, appare come una presenza che invade lo spazio, creando un ambiente in cui l’osservatore si sente coinvolto, come se la domanda fosse rivolta direttamente a lui, alla sua esperienza.
Questo aspetto è tipico dell'arte povera, che rifiuta la separazione tra l'opera d'arte e il contesto circostante. L'installazione di Merz non è confinata in un quadro o su una tela, ma interagisce con lo spazio e l'ambiente, creando un'esperienza totale. La luce del neon e la sua interazione con l'ambiente fisico (con l'ombra, il riflesso, il movimento degli spettatori) amplificano la sensazione di urgenza, come se la domanda si potesse risolvere solo attraverso un'azione concreta, un cambiamento tangibile.
L’uso del neon, simbolo della contemporaneità, si collega inoltre a un'altra delle riflessioni più centrali di Merz: la condizione dell'uomo moderno. La luce artificiale, pur portando un certo grado di progresso, non è mai una risposta definitiva. Essa illumina ma non chiarisce del tutto, crea un contorno ma non risolve l'enigma. L'ambiguità del neon rispecchia la condizione di un'epoca attraversata da contraddizioni e da un'inquietudine diffusa, tipica di un periodo di grandi tensioni politiche e sociali.
Infine, c'è una dimensione emotiva ed esistenziale nell'opera che non può essere trascurata. La domanda "Che fare?" è il cuore di una crisi individuale e collettiva, un grido che esprime l'incapacità di dare risposte definitive a una situazione storica complessa. Ma è anche una sfida, un invito a non rimanere passivi o distaccati, a non accettare la realtà così com'è, ma a prendere in mano il proprio destino. In questo senso, Merz non si limita a porre una domanda, ma a stimolare una reazione, a spingere lo spettatore ad agire e riflettere sulla propria posizione nel mondo.
"Che fare?" è quindi un’opera che non solo incarna le incertezze e le contraddizioni del periodo storico in cui è stata realizzata, ma continua a parlare anche a chi la osserva oggi, proponendo una riflessione universale sulla condizione umana e sul ruolo che l’arte può svolgere nel confrontarsi con le sfide del presente.
Un ultimo punto da aggiungere riguarda la continuazione del tema della "crisi" che percorre tutta la produzione artistica di Merz, ma che in "Che fare?" trova una delle sue espressioni più potenti. L'opera sembra affermare che l'arte non può essere una mera risposta consolatoria o una fuga dalla realtà, ma deve, al contrario, essere un veicolo di consapevolezza e di impegno. La domanda "Che fare?" non è solo retorica, ma un richiamo all'azione, una sollecitazione a porsi di fronte al conflitto, alla crisi, e a rispondere ad essa.
Nel contesto degli anni '60, l'arte aveva un ruolo molto più attivo di quello che spesso le viene attribuito oggi. L'arte non è solo una riflessione sul mondo, ma una forza critica che può contribuire a modificare la realtà, a mettere in discussione le strutture di potere, e a fare luce su contraddizioni storiche e sociali. In questo senso, "Che fare?" si collega direttamente alle pratiche artistiche che sfidano le convenzioni e cercano di risvegliare una consapevolezza collettiva, rendendo l'arte non solo una riflessione estetica, ma anche un atto di resistenza e partecipazione.
Un altro elemento significativo è che l'opera non fornisce risposte facili o chiare, proprio come la realtà storica di quei tempi, ma chiede una partecipazione attiva alla ricerca di soluzioni. In altre parole, "Che fare?" non è solo una domanda posta dall'artista al pubblico, ma anche un invito a riflettere sulla propria posizione e sulla propria responsabilità rispetto a un mondo che cambia rapidamente e che richiede risposte non solo teoriche, ma concrete.
Infine, l'opera di Merz può essere vista anche come una riflessione sul tempo stesso. Il neon, con la sua luce artificiale e intermittente, evoca la fluidità del tempo, un tempo che non è statico ma sempre in movimento, in continuo cambiamento. In un certo senso, "Che fare?" è anche una riflessione sulla necessità di agire nel presente, senza rimandare, senza aspettare che un "momento ideale" arrivi. Il presente, con tutte le sue difficoltà e contraddizioni, è l'unico tempo che abbiamo per rispondere alla domanda che l'opera pone.
Questa combinazione di urgenza, partecipazione e responsabilità è un altro degli aspetti che rende Che fare? un’opera straordinariamente attuale e universale, capace di risuonare ancora oggi con le sfide sociali, politiche e individuali del nostro tempo.