venerdì 29 novembre 2024

scrivere

Ho sempre creduto, e lo affermo con tutta la forza della convinzione che si radica nell’esperienza e nel pensiero, che la scrittura autentica debba essere un atto necessario, inevitabile, come il respiro per chi vive. Non è una scelta deliberata, un passatempo frivolo o un mero esercizio intellettuale. Scrivere, per chi lo fa in modo vero, è un’urgenza che si impone dall’interno, una tensione profonda che non si può ignorare né reprimere. È la risposta a un richiamo interiore che scuote e tormenta, un modo per dare voce a ciò che altrimenti resterebbe imprigionato nel caos dell’anima o del pensiero. La scrittura nasce dal desiderio di afferrare l’invisibile, di nominare l’innominabile, di dare forma a ciò che preme per esistere. È una ricerca di senso, un atto di creazione che non conosce padroni né confini.

Questa necessità, tuttavia, non è mai priva di rischio. Scrivere significa mettersi a nudo, esporsi, lasciarsi attraversare dalla vulnerabilità del giudizio e dal pericolo del fraintendimento. Ogni parola scritta è una finestra aperta sulla propria intimità, un frammento di sé offerto al mondo. È un gesto coraggioso e spesso solitario, che richiede di accettare l’incertezza, di abbracciare il dubbio, di vivere nell’instabilità. Eppure, è proprio in questo rischio che risiede la grandezza della scrittura: è un atto di libertà pura, una dichiarazione di indipendenza dalle convenzioni, una sfida lanciata al silenzio e alla paura. La scrittura autentica non chiede permessi, non cerca approvazioni, non si piega a regole imposte. È un atto di ribellione e, al tempo stesso, di profonda verità.

Pensare, invece, che l’autorevolezza di uno scrittore possa – o debba – essere determinata da un’entità esterna, da un’autorità ufficiale incaricata di "certificare" il valore delle sue opere, è un’idea che non solo trovo sbagliata, ma che considero profondamente aberrante. Questo pensiero tradisce una concezione distorta e impoverita della scrittura e della verità. Implica che il valore di un’opera dipenda dal riconoscimento sociale o istituzionale, che la sua autenticità possa essere sancita solo da chi detiene il potere di definirla. È un approccio che riduce la scrittura a una semplice merce di scambio, a uno strumento utile per ottenere legittimazione o visibilità all’interno di un sistema già definito.

Ma questa visione non solo svilisce la scrittura: nega la sua natura più profonda. La scrittura autentica non può essere regolata da schemi ufficiali né ingabbiata in categorie predefinite. È una forza anarchica, indomabile, che nasce dalla libertà individuale e si nutre di sincerità e coraggio. Ogni tentativo di ridurla a un atto subordinato a un giudizio esterno – che sia quello dell’accademia, del mercato o della critica – non fa altro che tradirla, svuotarla, privarla della sua essenza.

Questo atteggiamento riflette una società che ha smarrito la capacità di riconoscere la verità, di percepirla al di là dei sigilli ufficiali. È il segno di una cultura che confonde l’autenticità con il consenso, che non sa più distinguere ciò che è vero da ciò che è semplicemente riconosciuto come tale. In una simile società, la scrittura rischia di diventare un’ombra di sé stessa, un prodotto confezionato per soddisfare aspettative preconfezionate, invece di essere il frutto di un’urgenza genuina e irrinunciabile.

La verità, però, non si lascia definire né possedere. Non è qualcosa che può essere fissato da un’autorità, perché la verità – quella autentica, quella che vive – è per sua natura sfuggente, ribelle, irriducibile. È qualcosa che si intuisce, che si sente, che si riconosce con il cuore prima ancora che con la mente. E la scrittura, se vuole essere davvero tale, deve restare fedele a questa verità. Deve rifiutare ogni tentativo di essere ingabbiata o giudicata secondo parametri esterni, perché la sua forza risiede proprio nella sua indipendenza, nella sua capacità di sfidare il conformismo, nella sua libertà di esprimere ciò che è unico e irripetibile.

Scrivere, dunque, non è cercare approvazione né legittimazione. È rispondere a un richiamo interiore, seguire la propria verità, dare forma alla propria voce. È un atto di resistenza contro ogni forma di controllo, un gesto di ribellione contro le norme, un’espressione di autenticità che non può essere addomesticata. È, in definitiva, il segno più alto e puro di una libertà che non si lascia piegare da nulla e che non teme di essere se stessa, in tutta la sua fragile, meravigliosa vulnerabilità.