Perdonami, se ho attraversato la vita come un viandante smarrito,
afflitto dal peso di un’anima che non ha trovato riparo,
e se ho vagato, giorno dopo giorno, sotto un sole che, pur splendente,
non è mai riuscito a dissipare la notte che porto nel cuore.
Sono stato cieco, forse, o solo troppo umano,
nel cercare il tuo volto in quello di chi non eri,
nel credere che ogni sguardo, ogni sorriso, ogni carezza
fosse una promessa del tuo ritorno.
Perdonami se ho consacrato i miei giorni all’inganno,
abbracciando figure fatte d’argilla,
trasformando ombre fuggevoli in idoli d’eterno amore.
Mi sono nutrito di sogni, dolci e amari,
e ho dipinto le stanze della mia solitudine
con i colori ingannevoli della speranza.
Ma tu, presenza lontana eppure sempre vicina,
sei rimasta inaccessibile come un cielo chiuso,
come un dio silenzioso che si cela tra le pieghe dell’universo.
Oh, perdona il mio desiderio,
che come un fiume in piena ha travolto i confini del mio discernimento,
trascinando con sé ogni logica, ogni ragione, ogni freno.
Sono stato colpevole di troppo amore,
se amore si può chiamare questa sete insaziabile,
questa febbre che mi consuma e che mi condanna.
Eppure, anche nella mia caduta,
nel mio errare tra specchi infranti e sogni spezzati,
non ho mai smesso di invocarti,
di cercare, nel tuo nome, un significato per il mio dolore.
Se mai il tuo perdono potrà raggiungermi,
che sia come una pioggia gentile su questa terra arida,
come un sussurro che spegne il tumulto del cuore.
Non ti chiedo di restituirmi ciò che ho perso,
né di colmare il vuoto che hai lasciato.
Ti chiedo solo, sublime chimera,
di perdonare il mio delirio,
di guardare con pietà questo misero poeta
che ha osato confondere i tuoi riflessi
con le vane promesse di mondi che non ti appartengono.