sabato 8 novembre 2025

Mario Merz: arte, natura e tempo come dimensioni interconnesse di un pensiero in evoluzione


La figura di Mario Merz si impone come un punto di riferimento imprescindibile per comprendere non solo le dinamiche formali e materiali dell’Arte Povera, ma anche la dimensione filosofica che sottende a un’arte capace di pensare il mondo in termini di interconnessione e metamorfosi. Il suo lavoro rappresenta una sintesi radicale e profonda di riflessioni che attraversano la cultura occidentale, dalla matematica alla fenomenologia, dalla biologia alla cosmologia, configurandosi come un’indagine sistematica e poetica sulle radici primarie della realtà. Merz non si limita a creare opere estetiche, ma si pone come un teorico praticante, un pensatore che traduce in forme e materiali le sue speculazioni sul tempo, sulla natura e sulla condizione umana.

Il primo elemento fondamentale per comprendere la portata della ricerca merziana è la sua costante tensione verso la connessione tra piani differenti dell’esperienza: la cultura e la natura non appaiono come domini separati o contrapposti, ma si intrecciano in un dialogo incessante e dinamico. La matematica, lungi dall’essere mera disciplina astratta, diventa per Merz una sorta di linguaggio universale che regola e descrive i ritmi e le forme del mondo naturale. In particolare, la sequenza di Fibonacci — con la sua progressione numerica che genera la spirale — è assimilata non solo come codice formale, ma come principio attivo di crescita e trasformazione, incarnando un modello di sviluppo che supera la linearità per approdare a un movimento circolare e aperto. La spirale, dunque, diviene il simbolo per eccellenza di una temporalità ciclica e di una realtà in divenire, nella quale ogni punto è al contempo un arrivo e una partenza.

Questa concezione del tempo come flusso e ritmo si traduce in una pratica artistica che si sottrae alla staticità e alla definizione univoca della forma. Le installazioni di Merz sono, infatti, dispositivi viventi, soggetti a mutamento, in cui la forma non si cristallizza ma si sviluppa in una tensione continua tra presenza e assenza. Il rifiuto della scultura tradizionale, intesa come oggetto chiuso e immutabile, è evidente nella sua predilezione per strutture aperte e materiali “poveri”, che dialogano direttamente con l’ambiente circostante e con lo spettatore. Le opere emergono così come spazi di esperienza e riflessione, luoghi dove si manifesta una concezione del reale che privilegia il processo, la trasformazione, l’interazione.

L’utilizzo di materiali naturali e quotidiani, quali il legno, la pietra, la terra, il vetro e soprattutto la cera, è in Merz il risultato di una scelta radicale, che ha radici nell’Arte Povera ma che assume una dimensione ontologica e simbolica. Non si tratta semplicemente di una ribellione contro la tradizione artistica o contro la cultura industriale, quanto piuttosto di un ritorno alle origini della materia come veicolo di significato. La cera, in particolare, svolge un ruolo centrale: la sua plasticità e la sua capacità di passare dallo stato solido a quello liquido incarnano la dialettica del mutamento e della permanenza. Essa è in grado di rappresentare concretamente il tempo, non come una semplice misura, ma come un principio vivente di trasformazione continua. La presenza della cera nelle opere di Merz va quindi letta come un tentativo di catturare il tempo nel suo stesso fluire, restituendo allo spettatore un’esperienza sensibile e intellettuale della temporalità.

Altro elemento cruciale del linguaggio artistico di Merz è la figura dell’igloo, struttura semplice e ancestrale, ma carica di significati simbolici e teorici. L’igloo diventa una sorta di archetipo, una forma che sintetizza in sé la condizione dell’abitare e del vivere in un mondo incerto e mutevole. La sua forma, apparentemente rigida e definitiva, nasconde in realtà un equilibrio precario e dinamico, un sistema in cui le opposizioni trovano una coesistenza armonica. Calore e freddo, interno ed esterno, protezione e vulnerabilità si intrecciano in questa microarchitettura, che assume una valenza cosmologica, evocando la struttura dell’universo come insieme di forze in equilibrio instabile. L’igloo di Merz non è mai un oggetto isolato, ma sempre parte di un sistema più vasto, un nodo in una rete di relazioni che collega la materia, lo spazio e il tempo.

La riflessione sul tempo, che permea tutta la poetica di Merz, si articola su più livelli. Da un lato, egli guarda al tempo storico, alla progressione lineare degli eventi, ma lo fa con uno sguardo critico e distaccato, riconoscendo in essa solo una delle possibili declinazioni della temporalità. Dall’altro, è affascinato dal tempo ciclico, dal ritmo delle stagioni, dal movimento perpetuo delle forme naturali, che rimanda a una dimensione metafisica dell’eterno ritorno. Il tempo diventa così un protagonista attivo delle opere, un elemento strutturale che non solo si rappresenta, ma si incarna e si manifesta nella stessa materia. Le installazioni di Merz sono infatti “tempi” materiali, che invitano lo spettatore a un’esperienza immersiva, in cui la percezione del presente si dilata e si arricchisce di strati di senso.

Questa concezione complessa e stratificata del tempo si inserisce in una più ampia riflessione sull’equilibrio e la libertà, temi che attraversano tutta la produzione merziana. L’equilibrio non è inteso come stabilità statica, ma come un sistema dinamico, in cui le forze opposte si bilanciano in un gioco incessante. La libertà, dal canto suo, si manifesta nella capacità di Merz di creare forme “primordiali”, di tornare a un linguaggio essenziale che non impone, ma suggerisce, che lascia spazio all’interpretazione e alla trasformazione. Questa libertà si traduce anche nella scelta dei materiali e nella modalità di lavoro, che privilegia l’improvvisazione, la sperimentazione, l’apertura alle influenze esterne.

All’interno del movimento dell’Arte Povera, Merz occupa dunque una posizione peculiare e rilevante. Pur condividendo con i suoi contemporanei l’interesse per i materiali semplici e per la critica al sistema dell’arte e della società industriale, la sua poetica si distingue per la profondità filosofica e la ricchezza simbolica che impregna ogni opera. L’arte povera di Merz non è mai “povera” in senso riduttivo o minimalista, ma anzi è un veicolo di riflessioni complesse e di visioni cosmologiche, in cui il quotidiano si intreccia con l’universale e la materia diventa portatrice di significati multipli.

La ricerca artistica e concettuale di Mario Merz si configura come una profonda meditazione sulla natura della realtà, sulla struttura del tempo e sulla possibilità di un’arte che sia allo stesso tempo esperienza sensibile e pensiero filosofico. La sua opera sfida le categorie tradizionali dell’arte e invita a ripensare la relazione tra forma e contenuto, tra materia e spirito, tra individuo e universo. La sua arte si presenta come un’esperienza viva e trasformativa, un viaggio attraverso le forze primarie che governano il mondo, che chiede allo spettatore di abitare lo spazio dell’opera con uno sguardo aperto e consapevole, capace di percepire l’incessante movimento del divenire.

Una delle colonne portanti del pensiero di Mario Merz risiede nella sua concezione della natura come sistema dinamico e interconnesso, che si sottrae a una lettura meramente estetica o decorativa per divenire terreno di indagine filosofica ed esistenziale. Merz non si limita a rappresentare la natura come soggetto o paesaggio: egli ne coglie la complessità e la profondità, riconoscendo in essa un sistema autoregolato di forze che interagiscono continuamente. Questa prospettiva riflette una sensibilità che si avvicina alle teorie ecologiche e ai sistemi complessi, anticipando in molti modi una visione della natura come rete di relazioni in costante evoluzione.

In questo quadro, la spirale assume una valenza centrale, non solo come forma geometrica, ma come paradigma stesso del processo naturale. La scelta della sequenza di Fibonacci, con la sua crescita apparentemente infinita e modulata da un ritmo preciso, testimonia l’attenzione di Merz verso la matematica come chiave di accesso ai meccanismi vitali del mondo. La spirale non è solo simbolo di bellezza formale, ma rappresenta un modello di sviluppo che si svolge secondo leggi immanenti, riconducibili a una sorta di “codice genetico” universale. Questo legame tra natura e matematica apre alla dimensione del tempo come ritmo e ciclo, superando la concezione lineare e aprendo al tempo come esperienza plurale, stratificata e multidimensionale.

L’idea di tempo in Merz non è quindi solo cronologica, ma metafisica. Egli si pone in continuità con tradizioni filosofiche che considerano il tempo come flusso, eterno ritorno e simultaneità di momenti diversi. La sua arte cerca di incarnare questa visione attraverso opere che sono in sé “eventi temporali”, non meri oggetti statici. Le installazioni diventano così strumenti per sondare il rapporto tra passato, presente e futuro, invitando lo spettatore a una partecipazione attiva e consapevole. Il tempo diventa materia, componente strutturale dell’opera, da vivere e interpretare piuttosto che da rappresentare semplicemente.

Un altro aspetto rilevante del pensiero di Merz riguarda il concetto di spazio e abitare. L’igloo, come forma iconica e ricorrente, rappresenta un paradigma di abitare provvisorio, adattabile, in equilibrio precario con l’ambiente circostante. Non si tratta solo di una struttura architettonica, ma di una metafora che riflette la condizione umana nel mondo: fragile, temporanea, sospesa tra protezione e vulnerabilità. Questa forma esprime una tensione verso la semplicità e l’essenzialità, ma anche una capacità di adattamento e trasformazione. L’igloo, con la sua geometria chiusa e insieme aperta, incarna la dialettica tra opposti che attraversa tutta la ricerca di Merz: interno ed esterno, calore e freddo, stabilità e movimento.

La scelta dei materiali poveri e naturali va oltre la semplice estetica o una critica al sistema industriale. Per Merz, questi materiali sono veicoli di significato che mettono in scena la relazione tra natura e cultura, tra forma e materia. La cera, in particolare, è centrale perché rappresenta la capacità di trasformazione della materia, la sua plasticità, e la relazione tra solidità e fluidità. La cera è un materiale che muta con il tempo, si consuma, si rigenera, ed è quindi un perfetto emblema del divenire e della fragilità. In questo senso, la scelta della cera simboleggia l’attenzione di Merz per la dimensione temporale e la sua riflessione sulla trasformazione come condizione fondamentale dell’esistenza.

Inoltre, il lavoro di Merz è profondamente permeato da una riflessione sulla libertà creativa. Non si tratta di libertà come semplice autonomia espressiva, ma come capacità di costruire forme che siano aperte, non vincolate a codici rigidi o a narrazioni prefissate. La sua arte si configura come una pratica di sperimentazione continua, dove l’improvvisazione e l’inaspettato sono parte integrante del processo. Questa libertà si manifesta anche nella relazione tra opera e spettatore, che non è passiva ma dialogica, invitata a co-creare significati e percezioni.

Infine, il pensiero di Merz va inserito nel contesto più ampio dell’Arte Povera, movimento in cui l’uso di materiali naturali e l’attenzione ai processi di trasformazione erano strumenti di critica sociale e culturale. Tuttavia, Merz supera la dimensione puramente politica o estetica per investire il suo lavoro di un profondo senso filosofico e cosmologico. La sua opera è una meditazione sull’essere, sul divenire e sulla relazione tra uomo e universo, che si esprime attraverso un linguaggio poetico e insieme rigoroso, capace di unire scienza, natura e arte in un continuum di senso.