sabato 13 settembre 2025

Leonora Carrington – La prima grande retrospettiva in Italia

Palazzo Reale, Milano | 19 settembre 2025 – 11 gennaio 2026

L’approdo in Italia di un’ampia retrospettiva dedicata a Leonora Carrington costituisce un evento di rilevanza storica non soltanto per la storia del Surrealismo, ma per l’intero sistema culturale che intende oggi interrogare i rapporti tra arte, genere e identità. Questa mostra, ospitata presso Palazzo Reale di Milano, si colloca come un momento di svolta nella ricezione critica dell’artista nel nostro Paese, ancora parziale e frammentaria nonostante la crescente attenzione internazionale che negli ultimi due decenni ha posto Carrington al centro di un dibattito in continua espansione.

La scelta di Milano non è casuale: Palazzo Reale ha progressivamente consolidato la propria vocazione come luogo di restituzione di grandi protagonisti dell’arte internazionale, da figure canoniche della modernità europea sino alle espressioni più eccentriche e irregolari. In questo senso, Carrington rappresenta una figura quasi paradigmatica, essendo stata a lungo considerata una “eccentrica” persino all’interno di quel movimento – il Surrealismo – che più di ogni altro ha coltivato il margine, il sogno, l’irrazionale.


Un’artista liminale tra più mondi

La biografia stessa di Carrington è materia di inesausta analisi. Nata in Inghilterra nel 1917, figlia di un industriale tessile e di una madre irlandese, Leonora manifestò sin da giovanissima un atteggiamento di resistenza alle convenzioni familiari e sociali, scegliendo di inseguire la propria vocazione artistica e letteraria nonostante l’opposizione dell’ambiente aristocratico in cui era cresciuta. Questa scelta di distacco, che potremmo definire “iniziale atto fondativo della sua identità”, diventa un elemento ricorrente: l’artista si muove costantemente verso spazi di libertà, sperimentando forme di vita non canoniche e creando una mitologia personale di emancipazione.

L’incontro con il Surrealismo, a Parigi sul finire degli anni Trenta, avviene nel momento in cui il movimento guidato da André Breton aveva già definito i propri strumenti teorici principali, dall’automatismo psichico alla fascinazione per il sogno come spazio privilegiato di accesso all’inconscio. Ma Carrington non si limita ad assimilare questo linguaggio: lo riformula, lo piega alle proprie esigenze espressive, facendo emergere una componente narrativa e mitopoietica che raramente si trova con tale coerenza in altri surrealisti. La sua relazione con Max Ernst, intensa e breve, ha avuto un peso significativo non tanto in termini stilistici, quanto per la possibilità di introdurla stabilmente in un contesto culturale internazionale che le consente di consolidare un’identità artistica pienamente autonoma.


Metamorfosi, femminile e ritualità

Una delle caratteristiche più riconoscibili dell’opera di Carrington è la centralità del corpo femminile inteso come luogo di metamorfosi. Le sue figure femminili non sono mai ridotte a icone decorative né a semplici proiezioni erotiche, come spesso accade nel Surrealismo maschile; al contrario, esse sono agenti di trasformazione, sciamane, sacerdotesse, creature ibride che attraversano spazi liminali tra umano, animale e divino. Questa scelta non è puramente estetica: è profondamente politica, poiché sovverte l’immaginario patriarcale e propone un modello di soggettività femminile autonoma e conoscitiva.

A ciò si aggiunge un uso radicale del simbolismo rituale: l’artista attinge all’alchimia, all’occultismo, alla tradizione celtica e alle cosmologie precolombiane, tessendo una trama che combina elementi mitologici eterogenei. L’effetto è una pittura che non si limita a rappresentare, ma sembra agire come un dispositivo esoterico, una sorta di “talismano visivo” che chiede al fruitore di oltrepassare la mera fruizione estetica per entrare in una dimensione esperienziale.


Il trauma e l’esilio come fattori generativi

L’esperienza del trauma – emblematico l’internamento psichiatrico a Santander durante la Seconda guerra mondiale – costituisce un punto di svolta nella vita e nell’opera di Carrington. L’artista stessa ne ha scritto in testi che oscillano tra memoria e invenzione, come Down Below (1944), mostrando come l’arte possa fungere da strumento di sopravvivenza psichica e reinvenzione di sé.

L’esilio in Messico, luogo in cui trascorse gran parte della vita, apre un nuovo orizzonte culturale e immaginativo. Qui Carrington entra in contatto con una comunità cosmopolita di artisti e intellettuali – da Remedios Varo a Kati Horna – e sviluppa una pratica pittorica in cui la dimensione rituale si lega a un interesse crescente per l’ecologia e per le cosmologie indigene. Il Messico diventa non solo un rifugio, ma un laboratorio di trasformazione dove la sua arte si fa più radicata e allo stesso tempo più universale.


Letteratura e pittura: un binomio indissolubile

Oltre che pittrice, Carrington è stata una scrittrice di racconti e romanzi, e la retrospettiva milanese restituisce pienamente questa doppia vocazione. La sua scrittura, spesso surreale e intrisa di humour nero, costituisce un complemento essenziale per comprendere la logica interna dei suoi dipinti: entrambi i linguaggi condividono la stessa tensione verso la metamorfosi e la trasfigurazione. I racconti non si limitano a illustrare l’universo pittorico, ma ne ampliano le possibilità interpretative, creando un vero e proprio “ecosistema poetico” in cui immagini e parole si alimentano reciprocamente.


Un linguaggio anticipatore

L’attualità di Carrington risiede anche nella sua capacità di anticipare temi oggi centrali: la critica all’ordine patriarcale, la riflessione sull’identità fluida, la valorizzazione dell’immaginario femminile come spazio di autonomia politica, il rapporto tra arte e natura. In un’epoca segnata da crisi ecologiche e dalla ricerca di modelli alternativi di convivenza, la sua opera risuona con una forza rinnovata, offrendo immagini di un mondo in cui il confine tra umano e non umano, tra natura e cultura, è radicalmente ripensato.


Un’esperienza conoscitiva più che spettacolare

La retrospettiva non si limita a riunire opere importanti: essa offre un’esperienza conoscitiva che implica uno spostamento di prospettiva. Non si tratta di una semplice esposizione celebrativa, ma di un dispositivo critico, un invito a interrogarsi sulla funzione stessa dell’arte visionaria nella contemporaneità. La scelta di affiancare alle opere pittoriche documenti, fotografie e scritti non si riduce a un’esigenza didascalica, ma mira a ricostruire l’orizzonte complesso entro cui la produzione di Carrington si è sviluppata.

Lo spettatore è dunque sollecitato non tanto a “vedere” quanto a “leggere”, a interagire con le opere come se fossero mappe di un territorio ignoto. L’effetto complessivo è quello di una mostra che rifiuta la spettacolarizzazione facile, invitando invece a una fruizione lenta, meditativa, quasi rituale.


Conclusione

Leonora Carrington – La Prima Grande Retrospettiva in Italia si impone come un evento che va oltre la dimensione estetica: è un atto di riconoscimento culturale verso un’artista che ha contribuito a ridefinire i parametri della modernità visiva e letteraria. In un momento storico in cui l’arte viene spesso ridotta a fenomeno di consumo rapido, questa mostra si pone come un invito a un’altra temporalità, quella dell’ascolto profondo, dell’osservazione attenta, dell’esperienza trasformativa.

Carrington non è semplicemente un capitolo del Surrealismo: è una voce autonoma, una costruttrice di mondi, un’artista che ha saputo trasformare la propria vita in un’opera e l’opera in un’esperienza di libertà. Milano, con questa retrospettiva, restituisce finalmente a questa figura la complessità che merita, aprendo una finestra su un universo in cui il sogno non è evasione, ma strumento di conoscenza e liberazione.