"A me dà fastidio perfino parlare di due culture: metterle
sullo stesso piano come se fossero due realtà parallele, di
uguale peso e di uguale misura. Perché dietro la nostra
civiltà c'è Omero, c'è Socrate, c'è Platone, c'è Aristotele
c'è Fidia. C'è l'antica Grecia col suo Partenone e la sua
scoperta della Democrazia. C'è l'antica Roma con la sua
grandezza, le sue leggi, il suo concetto della legge. Le sue
sculture, la sua letteratura, la sua architettura. I suoi
palazzi e i suoi anfiteatri, i suoi acquedotti, i suoi ponti, le
sue strade,
C'è un rivoluzionario, quel Cristo morto in croce, che ci ha
insegnato (e pazienza se non lo abbiamo imparato) il
concetto dellamore e della giustizia. C'è anche una Chiesa
che mi ha dato l'Inquisizione, d'accordo. Che mi ha
torturato e bruciato mille volte sul rogo, d'accordo. Che mi
ha oppresso per secoli, che per secoli mi ha costretto a
scolpire e dipingere solo Cristi e Madonne, che mi ha quasi ammazzato Galileo Galilei. Però ha dato anche un gran contributo alla Storia
del Pensiero: si o no?
E poi dietro la nostra civiltà c'è il Rinascimento. C'è
Leonardo da Vinci, c'è Michelangelo, c'è Raffaello, c'è la
musica di Bach e di Mozart e di Beethoven. Su su fino
Rossini e Donizetti e Verdi and Company, Quella musica
senza la quale noi non sappiamo vivere e che nella loro
cultura o supposta cultura è proibita Ed ora ecco la fatale
domanda: dietro all'altra cultura che c'è? Boh! Cerca cerca
io non ci trovo che Maometto col suo Corano e Averroè coi
suoi meriti di studioso".
Oriana Fallaci, "La rabbia e l'orgoglio"
In queste righe, Fallaci esprime una posizione che si può definire eurocentrica nel senso più netto del termine, con una difesa appassionata, e al tempo stesso polemica, della cosiddetta “civiltà occidentale” e della sua superiorità culturale rispetto ad altre, in particolare quella islamica. L’elenco che snocciola — Omero, Socrate, Platone, Cristo, Leonardo, Mozart, Galileo — ha il tono enfatico e oratorio tipico del suo stile più maturo, un linguaggio che sembra costruito per accendere le coscienze (o le polemiche), non per smorzarle.
Tuttavia, è proprio su questa retorica che molti hanno trovato criticità: nel presentare l’“altra cultura” con un generico “Boh!” e ridurla solo a Maometto e Averroè (tra l'altro figura chiave nella trasmissione del pensiero aristotelico in Occidente), la Fallaci semplifica e polarizza la realtà in modo che — per dirla con una metafora teatrale — sul palcoscenico restino solo il Bene e il Male, l’Occidente e il resto.
Il discorso lascia fuori secoli di cultura islamica, dalla poesia di Rūmī alla scienza di Al-Khwarizmi, dall’architettura di Alhambra alle scuole filosofiche arabe medievali che hanno tradotto, preservato e reinterpretato Aristotele ben prima del Rinascimento. La cultura islamica, quella persiana, quella araba, e anche quella indiana (spesso associata, a torto, all’“altra cultura” come una massa indistinta) hanno prodotto pensiero, arte e scienza di altissimo livello — ma nella visione “civiltà contro barbarie” della Fallaci tutto ciò scompare.
Si può leggere questo brano oggi come il sintomo — o il catalizzatore — di un passaggio storico, quello dell’Europa post-11 settembre, sempre più impaurita dalla perdita d’identità, e attratta da un'idea di "radici" occidentali che sembrano dare un senso e una coesione in un’epoca di globalizzazione e migrazioni.
In sintesi: il brano ha una forza retorica formidabile, ma anche una cecità selettiva e un tono di superiorità che oggi, a distanza di oltre vent’anni, risulta ancora più problematico. Una sorta di epitome della nostalgia bellicosa, in cui la civiltà occidentale viene mitizzata e difesa come fortezza assediata, a costo di cancellare la complessità culturale degli altri mondi.
Proviamo ad analizzarlo riga per riga, come se fosse un monologo teatrale o un intervento politico da smontare con strumenti critico-letterari.
Procediamo con un’analisi riga per riga del brano di Oriana Fallaci tratto da "La rabbia e l’orgoglio", trattandolo come un testo retorico, letterario e politico. Considereremo il tono, la struttura argomentativa, le omissioni e i presupposti impliciti.
"A me dà fastidio perfino parlare di due culture:"
Subito, il tono è soggettivo, viscerale. L’“a me dà fastidio” è una dichiarazione emotiva, non razionale. È una soggettività ostentata, che stabilisce fin dall’inizio una dicotomia: chi non è d’accordo, è contro. Non è un invito al confronto, ma un'affermazione d’autorità.
"metterle sullo stesso piano come se fossero due realtà parallele, di uguale peso e di uguale misura."
Qui inizia la costruzione di un’opposizione binaria: la "nostra" cultura ha peso, misura, valore. L’“altra” è implicitamente mancante. Il problema è nella premessa: l’idea che le culture siano paragonabili solo se simmetriche e identiche nella struttura, nei simboli, nella visibilità — una premessa fortemente ideologica.
"Perché dietro la nostra civiltà c'è Omero, c'è Socrate, c'è Platone, c'è Aristotele, c'è Fidia."
Questo elenco è un catalogo identitario. Un’epiclesi della civiltà classica: l’Occidente come erede esclusivo della Grecia antica. Ma è un’eredità selettiva, che dimentica, per esempio, il modo in cui la filosofia greca è arrivata nel Medioevo europeo grazie agli studiosi arabi.
"C'è l'antica Grecia col suo Partenone e la sua scoperta della Democrazia."
L’idealizzazione della Grecia antica è totale. Si sorvola sul fatto che quella democrazia escludeva donne, schiavi, stranieri. Ma nella retorica fallaciana, la democrazia è “nostra”, e dunque deve essere mitizzata, non problematizzata.
"C'è l'antica Roma con la sua grandezza, le sue leggi, il suo concetto della legge. Le sue sculture, la sua letteratura, la sua architettura. I suoi palazzi e i suoi anfiteatri, i suoi acquedotti, i suoi ponti, le sue strade,"
Qui il tono si fa quasi epico, da sceneggiatura di un film storico. L’elenco cresce in ampiezza, come una litania laica. La civiltà è visibile: sono opere, monumenti, ordine. Il messaggio implicito è: "Noi abbiamo costruito, loro no."
"C'è un rivoluzionario, quel Cristo morto in croce, che ci ha insegnato (e pazienza se non lo abbiamo imparato) il concetto dell'amore e della giustizia."
Cristo viene riassunto come “rivoluzionario”, in chiave etica, non teologica. Il cristianesimo è usato come segno di nobiltà morale, non religiosa. È interessante: la Fallaci, agnostica e critica verso la Chiesa, usa però Cristo come simbolo fondativo della superiorità occidentale.
"C'è anche una Chiesa che mi ha dato l'Inquisizione, d'accordo. Che mi ha torturato e bruciato mille volte sul rogo, d'accordo."
Il tono qui si fa sarcastico. È un’ammissione retorica dei torti, fatta per rafforzare l’argomento. "Sì, abbiamo sbagliato, ma almeno abbiamo fatto la storia". L’oppressione viene trasformata in segno di grandezza: anche i nostri errori sono epocali.
"Che mi ha oppresso per secoli, che per secoli mi ha costretto a scolpire e dipingere solo Cristi e Madonne, che mi ha quasi ammazzato Galileo Galilei."
La Fallaci fa parlare la voce dell’artista e dello scienziato repressi. Ma anche qui il tono è di rivendicazione. L'Occidente è talmente potente da sopravvivere perfino alla sua autodistruzione. Si suggerisce che perfino i suoi crimini abbiano prodotto arte e progresso.
"Però ha dato anche un gran contributo alla Storia del Pensiero: sì o no?"
Domanda retorica. Il "sì o no?" è una forma di sfida al lettore. Non si vuole dialogare, ma ottenere adesione. È una struttura linguistica da comizio, o da editoriale militante.
"E poi dietro la nostra civiltà c'è il Rinascimento. C'è Leonardo da Vinci, c'è Michelangelo, c'è Raffaello, c'è la musica di Bach e di Mozart e di Beethoven."
Di nuovo il catalogo, ora ancora più prestigioso. Dopo l’antichità e il cristianesimo, viene il Rinascimento. È una progressione costruita come una narrazione ascendente. Dall'ethos classico, al pathos cristiano, all’apoteosi estetica del genio europeo.
"Su su fino a Rossini e Donizetti e Verdi and Company, Quella musica senza la quale noi non sappiamo vivere"
La musica diventa identità. Un criterio di umanità, di sensibilità, di civilizzazione. È un’idea molto romantica: che la musica occidentale rappresenti l’anima di un popolo. Ma anche qui: chi è questo “noi”? È un “noi” escludente, che non ammette pluralità culturali.
"e che nella loro cultura o supposta cultura è proibita"
Qui l’attacco si fa diretto e liquidatorio. “Supposta cultura” è una formula che delegittima l’alterità in modo brutale. E l’affermazione che la musica sia “proibita” è una semplificazione: vera solo in alcuni regimi fondamentalisti, ma non nella cultura islamica in generale.
"Ed ora ecco la fatale domanda: dietro all'altra cultura che c'è?"
Il culmine retorico. L’“altra cultura” resta volutamente non definita: è un contenitore vuoto. Serve solo da specchio negativo. La “fatale domanda” è fatta per risultare retoricamente fatale — ma in realtà è mal posta, perché parte da una visione monolitica delle civiltà.
"Boh! Cerca cerca io non ci trovo che Maometto col suo Corano e Averroè coi suoi meriti di studioso."
Il finale è volutamente sprezzante. “Boh!” è una risposta sarcastica mascherata da onestà intellettuale. Averroè viene ammesso, ma in modo marginale. Il Corano è ridotto a nome proprio, senza il contenuto. È il trionfo di una retorica della superiorità che non cerca davvero di comprendere, ma solo di affermare.
Conclusione
Questo monologo è costruito con straordinaria efficacia retorica, ma anche con voluta semplificazione ideologica. Non è un’argomentazione sul piano storico o filosofico, ma un discorso identitario. È una presa di posizione che usa il passato per giustificare la paura del presente e del futuro. Più che una riflessione sulle civiltà, è un grido di difesa dell’Occidente, che si sente assediato.