Pier Paolo Pasolini alla Maturità: no, non è il titolo di un nuovo documentario né l’incipit di una provocazione culturale. È la realtà del 2025. Dopo decenni in cui l’opera pasoliniana è stata analizzata, discussa, canonizzata e talvolta edulcorata, il Ministero dell’Istruzione lo porta finalmente dentro l’Esame di Stato. Ma non con un estratto delle sue prose più celebri, non con un passaggio corsaro, non con un fotogramma di “Mamma Roma” o un invettiva contro la società dei consumi. Pasolini debutta invece con un testo lirico, inedito per la Maturità, tratto dai suoi diari giovanili, con tutta la forza vulnerabile del primo battito poetico. È un esordio che commuove e sorprende, che invita i diciottenni italiani ad attraversare una stanza d’infanzia che somiglia alla loro.
La poesia proposta agli studenti è “Appendice I”, tratta dai Diari 1943-1944. Non ha un titolo vero e proprio, e già questa assenza fa molto: costringe a entrare senza difese, come in una confessione. È un testo scritto da un Pasolini poco più che ventenne, eppure già segnato dall’esperienza del trauma. La guerra è sullo sfondo, ma il dolore è tutto interiore. È la scoperta della trasformazione, della perdita irreversibile di ciò che si era. Un cuore che “ora non batte più”, una madre che dorme in una stanza immutata, e fuori la luna che “ricanta la campagna”. È una poesia che parla in sordina, ma risuona forte, perché è universale: chiunque ha attraversato una soglia, chiunque ha perso la propria infanzia, chiunque ha sentito che un paesaggio familiare non riesce più a consolarlo, ci si può ritrovare.
L’ingresso di Pasolini nella Maturità è significativo anche per il modo in cui avviene. Il 2025 segna i cinquant’anni dalla sua morte: un anniversario importante, che ha riportato l’attenzione sull’impatto del suo pensiero, ma anche sul valore profetico della sua arte. Che il Ministero scelga proprio quest’anno di proporlo all’Esame di Stato è, in un certo senso, un atto riparatore. Ma è anche un segno dei tempi: in un momento storico in cui la complessità sembra bandita e le polarizzazioni diventano la norma, offrire agli studenti un poeta che ha fatto del dubbio, della contraddizione e dell’autenticità i propri capisaldi, è una dichiarazione di fiducia. Fiducia nella capacità dei giovani di pensare, di sentire, di leggere non solo le parole ma i silenzi.
E la poesia proposta è, in questo senso, perfetta. Non urla, non predica, non condanna. È un frammento sospeso. Ma dentro quei versi c’è già tutto: la frattura tra passato e presente, l’eco di una guerra esterna che si riflette in un conflitto interiore, il rapporto intimo e doloroso con il tempo. “Mi guardo attorno: la mia stanza è sempre quella”, scrive il giovane Pasolini. Quanti studenti, proprio nel giorno della Maturità, avranno sentito lo stesso? La camera da letto della propria adolescenza, le pareti note, ma una consapevolezza nuova, adulta, che non sa ancora bene dove portare.
Il Ministero, proponendo questa lirica come traccia della tipologia A (analisi del testo poetico), ha invitato i maturandi non solo a esercitare le proprie competenze critiche e stilistiche, ma anche a misurarsi con una profondità emotiva rara. Non era una poesia “facile”, ma era onesta. Era umana. Era vera. Ed è anche questo che rende la scelta importante: non è stato un Pasolini addomesticato, quello dato in pasto agli studenti, ma un Pasolini fragile, in divenire, il Pasolini che ancora non ha parlato al mondo ma già lo porta dentro.
Dal punto di vista letterario, la poesia mostra una sorprendente maturità: la struttura è essenziale, l’uso delle figure retoriche misurato ma incisivo. La luna che ritorna è una presenza mitica, quasi ancestrale. Il cuore che smette di battere è una potente metafora dell’adolescenza che si spegne. La madre che dorme è, insieme, protezione e distanza. Ma non c’è patetismo. Solo constatazione. Il ragazzo non è più ragazzo. L’uomo è entrato nella stanza.
L’accoglienza da parte di studenti, docenti e critici è stata ampia e, per lo più, entusiasta. Sui social sono apparse decine di commenti emozionati: “Finalmente un autore che parla di noi”, “Leggerlo oggi mi fa sentire meno solo”, “Mai avrei pensato di commuovermi all’esame”. Non sono frasi da poco. Indicano che la poesia, anche quella più lirica e appartata, può ancora avere un impatto. Che la scuola, quando osa, può ancora sorprendere.
Il debutto di Pasolini alla Maturità è anche un atto simbolico di restituzione: perché per troppo tempo l’autore è stato ridotto a icona ideologica, bersaglio di polemiche, profeta scomodo o peggio ancora, martire passivo. Ma lui è stato, prima di tutto, poeta. E questa poesia, scelta in punta di piedi, restituisce questa verità. È un invito a leggere Pasolini non solo per quello che ha scritto, ma per il modo in cui ha abitato il linguaggio. Per la sua capacità di far tremare la pagina con una frase semplice. Per il coraggio di dire che il cuore non batte più, ma la luna canta ancora.
C’è qualcosa di potentemente queer, anche, in questa scelta. Non nel senso identitario, ma in quello più profondo: il rifiuto delle forme imposte, il coraggio di stare al margine, la scelta dell’intimità come atto politico. Pasolini adolescente, che scrive da solo nella sua stanza mentre il mondo brucia, non è così lontano dai ragazzi che oggi scrivono versi in chat, tengono diari segreti, leggono sottovoce. La poesia, oggi come allora, resta uno spazio di resistenza. E “Appendice I” è un piccolo manifesto di sopravvivenza emotiva.
In conclusione, questo debutto di Pasolini alla Maturità 2025 è molto più di una celebrazione accademica. È un gesto coraggioso, poetico e necessario. È la conferma che, a dispetto di tutto, la parola può ancora incontrare i ragazzi. Che la poesia può ancora parlare al cuore, e che anche un cuore che “non batte più” può insegnare a vivere. Non con slogan, non con teoremi, ma con immagini luminose e dolorose come una luna che, all’improvviso, ricanta la campagna.
E questo – nel silenzio assorto di una classe, tra una traccia e una paura – è già molto. Forse è tutto.