lunedì 30 giugno 2025

Edmund White: il libro che ti farà ricordare ogni amore che hai cercato di dimenticare

Gli amori della mia vita di Edmund White è un libro che non si legge: si attraversa come un paesaggio interiore incendiato, come un campo aperto in cui si sono combattute tutte le guerre del cuore. È un libro che si abita, come si abita un corpo, un letto sfatto, un’idea di sé che finalmente prende forma e sangue. È uno di quei testi rari che non parlano solo di amore, ma lo fanno accadere sulla pagina, lo rifanno vivere. In ogni parola c’è la febbre dell’incontro, l’eco di una voce sussurrata al buio, la tensione sottilissima tra abbandono e conquista. L’autore non racconta: vive dentro ciò che scrive. E chi legge sente tutto—la fame, il rischio, il sollievo, la perdita.

Questo libro è un atlante del desiderio, ma anche un vangelo profano della memoria. C’è qualcosa di miracoloso nel modo in cui ogni amore si sedimenta senza diventare mai statua o reliquia. Tutto pulsa, tutto respira. È come se ogni storia fosse una scheggia di presente che non accetta l’idea di essere archiviata. C’è la carne, ovunque: non solo nei corpi desiderati, ma nella lingua stessa, nella sua densità fisica, nel ritmo che sa accendersi e frenare come un respiro spezzato dopo un orgasmo o un pianto. La scrittura non è mai neutra: ha un odore, una temperatura, una nudità che disarma. È così che il lettore si trova sedotto, trafitto, amato a sua volta.

Non c’è nulla di più politico dell’amore quando si è stati costretti a nasconderlo. Eppure qui non si alza mai il tono della denuncia. Non ce n’è bisogno: bastano i dettagli, le fragilità, gli slanci improvvisi. Ogni storia è anche un atto di resistenza. Ogni nome, ogni sguardo rubato, ogni corpo perduto diventa una forma di testimonianza. Non per esibire il trauma, ma per custodire una verità profonda: che la vita è stata vissuta davvero, con tutte le sue ferite e i suoi abbandoni, e che nessun amore è mai stato inutile, anche quando ha fatto male.

Ciò che rende questo libro così potente non è solo l’intensità delle relazioni descritte, ma la capacità di attraversare il tempo e lo spazio con una leggerezza che non è mai superficialità. Gli amori si succedono come onde, ma non si confondono mai. Ognuno ha la sua luce, la sua ferita, il suo stupore. Non c’è una gerarchia del sentimento: anche l’incontro più fugace ha un peso, anche la passione più dolorosa è trattata con tenerezza. È una danza tra la memoria e il desiderio, tra ciò che è stato e ciò che si è ancora disposti a volere, a cercare, a perdere.

Nel fondo del libro si sente un ritmo che somiglia alla vita stessa: irregolare, contraddittorio, pieno di sorprese e di silenzi. Non ci sono moralismi, non ci sono modelli. C’è solo il tentativo, onesto e spietato, di restituire un senso al vissuto. L’amore, in tutte le sue forme, non è mai addomesticato. È bestiale e sacro, meschino e sublime. E il testo lo accoglie in tutta la sua complessità, senza mai censurare, senza mai giudicare.

Ci sono libri che si chiudono. E poi ci sono quelli che ti aprono. Che ti insegnano a guardare la tua storia con occhi diversi. Che ti costringono a ricordare ciò che avevi sepolto. Che ti fanno desiderare di nuovo, anche se pensavi di aver smesso. Questo libro è uno di quelli. Non si esce illesi da pagine così. Si esce forse più fragili, ma anche più vivi. Con la certezza che raccontare l’amore, soprattutto quello che ha dovuto nascondersi per troppo tempo, è una forma di verità. E di libertà.