La storia d’amore e di poesia tra Giovanni Raboni e Patrizia Valduga è uno di quegli intrecci che sembrano usciti da un’opera letteraria, un legame in cui l’esperienza umana e il genio artistico si sono nutriti reciprocamente, dando vita a una relazione straordinaria tanto nel quotidiano quanto nelle pagine di poesia. Due vite diverse, due percorsi che si incrociano in un pomeriggio del 1981, quando Patrizia, giovane poetessa emergente di 28 anni, arriva a casa di Raboni con una copia della sua prima raccolta di versi. La scena si apre con una domanda che, riletta col senno di poi, assume una straordinaria carica simbolica: «Scusi, dov’è il bagno?». In questa richiesta disarmante c’è la semplicità di un incontro destinato a sconvolgere le loro vite. Lui, poeta e critico affermato di 49 anni, era già un uomo maturo, con alle spalle una lunga carriera e una vita consolidata; lei, invece, era una figura brillante, giovane e determinata, alla ricerca di un riconoscimento che, forse inconsapevolmente, desiderava non solo nella letteratura ma anche nella sfera personale.
Raboni, colpito dalla spontaneità e dall’energia della giovane donna che gli siede ai piedi, regala a Patrizia una copia del suo libro La fossa di Cherubino con una dedica semplice e toccante: «A Patrizia per il mio compleanno». È un gesto che, nella sua essenzialità, rivela già un’inclinazione verso quell’intimità che avrebbe caratterizzato il loro rapporto. Poi il primo bacio, un atto che, in un certo senso, inaugura un nuovo capitolo della vita di entrambi. Quell’incontro si trasforma nel preludio di una relazione che durerà ventitré anni, fino alla morte di Raboni nel 2004, e che segnerà profondamente sia le loro esistenze che la loro produzione poetica.
Le poesie che Raboni scrive per Patrizia sono forse il documento più autentico e struggente della loro storia. Nelle Canzonette mortali, pubblicate nel 1983, Raboni si espone senza difese, raccontando la sua fragilità, i suoi dubbi, la sua malinconia e, soprattutto, il timore di perdere la donna amata. Questi versi sono una finestra su un’anima che ama con intensità e consapevolezza, un’anima che si confronta con il passare del tempo e con il divario generazionale che inevitabilmente mette a nudo differenze e insicurezze. «Io che ho sempre adorato le spoglie del futuro», scrive, dando voce a un sentimento in cui l’amore si mescola alla paura, alla nostalgia per ciò che sarà inevitabilmente perduto.
Raboni non si limita a cantare il suo amore: lo analizza, lo interroga, lo scompone nelle sue componenti più intime e dolorose. Nelle poesie dedicate a Patrizia c’è il ritratto di un uomo che osserva il proprio corpo invecchiare accanto a quello della donna amata, ancora giovane e piena di vita. È una consapevolezza che si traduce in versi di rara bellezza e vulnerabilità: «Quando alle mie carezze smetterai di bagnarti, quando dal mio piacere sarai divisa e forse, per bellezza d’essere tanto amata o per dolcezza d’avermi amato, farai finta lo stesso di godere». L’amore, per Raboni, non è mai statico o idealizzato, ma una condizione che evolve, si trasforma, mettendo a dura prova chi lo vive con la stessa intensità con cui lui lo affronta.
La relazione tra Raboni e Valduga, però, non si limita a essere un amore tormentato; è anche un sodalizio creativo, un incontro tra due menti che trovano nella poesia il linguaggio privilegiato per comunicare. Raboni, nel descrivere le Canzonette mortali, parla di queste poesie come di un approdo definitivo a una scrittura personale, spudoratamente intima: «Sono poesie d’amore, e a questo punto direi che il privato, e il racconto di me, è entrato addirittura in modo spudorato nella mia poesia». In esse, Raboni abbandona ogni filtro, raccontando se stesso in modo diretto e sincero, come un uomo che non teme di mostrare la propria fragilità.
Il tema del tempo che passa è centrale in queste poesie, e non potrebbe essere altrimenti, data la differenza d’età tra i due. La paura di perdere Patrizia, o peggio ancora, di non essere più desiderato, è un’ossessione che attraversa i versi, portando Raboni a riflettere sul significato stesso dell’amore e della rinuncia: «Un giorno o l’altro ti lascio, un giorno dopo l’altro ti lascio, anima mia. Per gelosia di vecchio, per paura di perderti – o perché avrò smesso di vivere, soltanto». È un sentimento che si nutre tanto di gioia quanto di sofferenza, un amore che Raboni descrive come un equilibrio precario tra l’attaccamento e il bisogno di lasciar andare.
Eppure, nonostante le ombre, c’è anche una straordinaria dolcezza nei versi di Raboni. La loro relazione non è fatta solo di tormento, ma anche di momenti di pura intimità, come quando scrive: «Quando ci scivoliamo dalle braccia è solo per cercare un altro abbraccio». È in questi istanti che emerge tutta la forza di un amore che, nonostante le difficoltà, resta saldo, ancorato a una profonda comprensione reciproca.
Patrizia Valduga, dal canto suo, ha sempre riconosciuto l’importanza di Raboni nella sua vita, sia come poeta che come uomo. In un’intervista, ha dichiarato: «Quando penso alla mia inadeguatezza mi ripeto le parole di Proust: l’essere amato lo creiamo noi e creiamo anche i suoi difetti. Se non mi avesse amata, non sarebbe rimasto. E lui non è mai andato via. Nemmeno ora». Queste parole, così cariche di emozione, rivelano quanto il loro legame abbia segnato anche lei, lasciandole una traccia indelebile.
La loro storia, però, non è solo quella di due amanti, ma anche quella di due artisti che hanno saputo trasformare il loro amore in arte, creando opere che, ancora oggi, continuano a emozionare chi le legge. Raboni e Valduga sono stati, e sono tuttora, un esempio di come la poesia possa diventare il luogo in cui l’esperienza umana trova la sua massima espressione, un territorio in cui l’amore, con tutte le sue contraddizioni, viene restituito in tutta la sua verità.
Nelle Canzonette mortali, Raboni non solo racconta il suo amore per Patrizia, ma lo consegna alla memoria collettiva, trasformandolo in qualcosa che va oltre la loro storia personale. Queste poesie non sono solo un omaggio alla donna amata, ma anche una riflessione sull’amore stesso, sul tempo, sulla fragilità dell’esistenza. E proprio in questa capacità di universalizzare il particolare risiede la grandezza di Raboni come poeta.
La loro storia d’amore, con le sue luci e le sue ombre, ci ricorda che l’amore è un’esperienza complessa e multiforme, capace di illuminare ma anche di ferire, di dare gioia ma anche di portare dolore. È questa dualità che Raboni cattura nei suoi versi, regalandoci una testimonianza unica di un legame che ha saputo sfidare il tempo e le avversità, trovando nella poesia il suo luogo di eternità.