L’arte di Alighiero Boetti (1940-1994) è un universo complesso, un intreccio di concetti, ironia, matematica, geografia e partecipazione collettiva. Egli ha attraversato e trasformato il panorama dell’arte contemporanea, partendo dall’Arte Povera per approdare a una pratica artistica che ha fatto della delegazione e della collaborazione il suo fulcro. Il suo lavoro è una riflessione continua sulla dualità—ordine e disordine, caso e necessità, individualità e collettività—e sulla natura stessa dell’autorialità artistica.
Boetti è stato un artista che ha sconvolto le categorie tradizionali dell’arte, sfidando il ruolo dell’artista come creatore unico e onnipotente, trasformandolo in regista di processi complessi. Le sue opere, dagli arazzi ricamati dalle artigiane afghane, ai timbri e mosaici numerici, fino ai giochi linguistici e concettuali, sono il frutto di una concezione aperta e dinamica dell’arte, che si nutre di regole e insieme le sovverte.
Ma chi era veramente Alighiero Boetti? Quali erano i principi che guidavano la sua arte? E perché il suo lavoro è ancora oggi così influente e studiato? Per comprenderlo appieno, è necessario ripercorrere la sua vita, il suo pensiero e la sua produzione con lo stesso spirito di curiosità e gioco che ha caratterizzato tutta la sua ricerca.
L’infanzia e la formazione: Un artista autodidatta
Alighiero Boetti nasce a Torino il 16 dicembre 1940 in una famiglia borghese e colta. Il padre, Corrado Boetti, è un avvocato con interessi nel settore tessile, mentre la madre, Adelina Marchisio, è una pianista. Questo ambiente familiare stimolante favorisce il suo approccio interdisciplinare, che rimarrà una costante nel suo percorso artistico.
Pur mostrando fin da giovane un’attitudine alla creatività, non frequenta un’accademia d’arte, né si forma in un percorso tradizionale. Si iscrive invece alla Facoltà di Economia e Commercio all’Università di Torino, ma abbandona presto gli studi, attratto dall’arte, dalla filosofia e dalle scienze esatte. È un autodidatta eclettico, affascinato da discipline diverse, dalla matematica alla filosofia orientale, dalla letteratura alla geografia.
Durante gli anni Sessanta, Torino è un laboratorio creativo e culturale straordinario. È la città della Fiat, dell’industrializzazione e della contestazione operaia, ma anche un centro nevralgico per l’arte d’avanguardia. Qui emergono figure come Giovanni Anselmo, Michelangelo Pistoletto, Mario Merz, Giuseppe Penone, artisti che daranno vita al movimento dell’Arte Povera, teorizzato dal critico Germano Celant. Boetti entra in questo ambiente con un’attitudine radicalmente diversa dagli altri protagonisti del movimento.
Gli esordi nell’"Arte Povera" e il primo approccio concettuale
Alla fine degli anni ’60, Boetti partecipa alla stagione dell’Arte Povera, un movimento che rifiuta i materiali e le tecniche tradizionali dell’arte, privilegiando oggetti e processi che mettono in discussione il concetto stesso di opera d’arte. In questo periodo realizza lavori che giocano con il concetto di tempo, ripetizione e attesa.
Alcune opere chiave di questa fase includono:
- "Lampada annuale" (1966): una lampada che si accende per pochi secondi una sola volta all’anno, un’operazione concettuale che riflette sulla percezione del tempo e sull’idea di arte come evento irripetibile.
- "Ping Pong" (1966-67): un tavolo da ping pong alterato in modo da rendere impossibile il gioco, trasformando un oggetto funzionale in un paradosso.
- "Scala" (1967): una scala pieghevole, simbolo di un percorso infinito e di un movimento senza destinazione finale.
Pur condividendo con gli altri esponenti dell’"Arte Povera" la predilezione per materiali industriali e poveri, Boetti si distingue subito per un’attitudine meno politica e più concettuale, con un’attenzione quasi ossessiva ai meccanismi del pensiero, ai giochi linguistici e alle strutture numeriche.
"Alighiero e Boetti": Il gesto di sdoppiarsi
Nel 1972, Boetti prende una decisione che segnerà tutta la sua carriera: aggiunge la congiunzione "e" al proprio nome, diventando "Alighiero e Boetti". Non è un semplice gioco di parole, ma una riflessione profonda sulla dualità dell’esistenza e sul concetto di identità multipla.
Con questo gesto, l’artista si sdoppia, riconoscendo la presenza di due forze opposte dentro di sé: da un lato l’ordine e la razionalità, dall’altro il caso e il caos. Questo concetto di doppia identità diventerà uno dei cardini della sua poetica e si rifletterà in tutta la sua produzione successiva.
Tra i lavori che incarnano questa nuova fase vi è la serie "Ordine e disordine", in cui lettere e numeri disposti apparentemente a caso nascondono strutture rigorose e segrete. La sua arte diventa sempre più un invito alla decifrazione, alla partecipazione attiva dello spettatore, che deve ricomporre i significati nascosti.
L’Afghanistan e la serie "Mappa"
Uno dei momenti più importanti nella carriera di Boetti è il suo viaggio in Afghanistan nel 1971. Qui rimane affascinato dalla cultura locale e inizia a collaborare con le ricamatrici afghane, che realizzeranno per lui i celebri arazzi della serie "Mappa".
Le "Mappa" sono planisferi tessili in cui ogni nazione è rappresentata dalla propria bandiera. Tuttavia, queste opere non sono semplici rappresentazioni geografiche: sono testimonianze storiche, poiché registrano i cambiamenti politici e territoriali del mondo.
Con l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979, Boetti non può più viaggiare nel paese e continua a commissionare gli arazzi ai rifugiati afghani in Pakistan. Questo rende la sua arte anche un documento di esilio e diaspora, un’opera politica nel senso più ampio del termine.
L’eredità di Alighiero Boetti
Boetti muore prematuramente nel 1994, ma la sua influenza nell’arte contemporanea è ancora fortissima. Le sue opere sono conservate nei maggiori musei del mondo, tra cui il MoMA di New York, la Tate Modern di Londra e il Centre Pompidou di Parigi.
Il suo lavoro ha anticipato molte delle questioni centrali dell’arte contemporanea: la globalizzazione, la partecipazione collettiva, la dissoluzione dell’autorialità e il rapporto tra arte e linguaggio.
Boetti ci ha lasciato un messaggio fondamentale: l’arte non è un oggetto, ma un processo, un enigma da risolvere, una mappa da esplorare.
L’ultimo Boetti: Il tempo, la memoria e il gioco dell’arte
Negli ultimi anni della sua vita, Boetti intensifica la sua riflessione sul tempo e la memoria, due temi già presenti nelle sue opere ma che ora assumono una dimensione quasi esistenziale. La sua produzione diventa ancora più orientata verso la serialità e la ripetizione, in un gioco continuo tra ordine e caos, tra regole ferree e improvvisazione.
Un’opera che incarna perfettamente questo approccio è "Mettere al mondo il mondo" (1972-1994), una serie di lavori su carta in cui la scrittura del titolo si moltiplica all’infinito, come un mantra visivo. Il concetto è semplice ma potentissimo: l’arte è un’azione che genera realtà, un processo che continua a esistere indipendentemente dall’artista stesso.
Altri lavori fondamentali di questo periodo includono:
- "Tutto" (1988-1994): Un’immensa tela ricamata che raccoglie immagini di ogni tipo, da simboli culturali a elementi banali, creando un caos visivo che, a un’analisi più attenta, rivela una struttura rigorosa.
- "I Mille Fiumi Più Lunghi del Mondo" (1976-1992): Una lista scritta a mano con i nomi e le lunghezze dei principali fiumi del pianeta, un esempio del suo amore per la classificazione e la mappatura del sapere.
- "Aerei" (1977-1992): Serie di disegni e stampe che raffigurano centinaia di aerei nel cielo, un’opera che gioca con la percezione del vuoto e del pieno, dell’individuo e della massa.
Questi lavori dimostrano come Boetti fosse sempre più attratto dalla possibilità di creare sistemi complessi che si autoalimentano, come organismi viventi che si evolvono nel tempo.
La morte e il mito
Boetti muore il 24 aprile 1994 a Roma, a soli 53 anni, a causa di un tumore al cervello. La sua scomparsa lascia un vuoto nel panorama artistico internazionale, ma il suo lavoro continua a vivere e a influenzare intere generazioni di artisti.
Dopo la sua morte, il valore delle sue opere cresce esponenzialmente e le sue esposizioni si moltiplicano in tutto il mondo. Tra le retrospettive più importanti ci sono:
- La grande mostra al MoMA di New York nel 2012, che ha consolidato il suo status di maestro dell’arte contemporanea.
- La retrospettiva alla Tate Modern di Londra, che ha esplorato il suo rapporto con il linguaggio e la geografia.
- Le esposizioni in Italia, tra cui quella alla Fondazione Prada, che ha analizzato la sua produzione in relazione all'arte concettuale.
Boetti è diventato un’icona dell’arte del Novecento, un punto di riferimento per chiunque voglia esplorare i concetti di autorialità, partecipazione e struttura.
L’attualità di Boetti: Perché è ancora così importante?
A distanza di decenni dalla sua morte, Boetti continua a essere un artista di straordinaria attualità. Il suo lavoro è stato precursore di molte tematiche che oggi dominano il dibattito artistico e culturale:
- L’arte come processo collettivo: In un’epoca in cui gli NFT e le opere generate dall’intelligenza artificiale sfidano il concetto di autorialità, Boetti aveva già anticipato l’idea di un artista che non è più un singolo individuo, ma un catalizzatore di idee e collaborazioni.
- La globalizzazione e le sue contraddizioni: Le sue "Mappa" riflettevano un mondo in continua trasformazione, e oggi, in un’epoca di crisi geopolitiche e ridefinizioni territoriali, il loro significato è più attuale che mai.
- Il rapporto tra ordine e caos: Con il dilagare di informazioni e immagini nel mondo digitale, il metodo di Boetti, fatto di regole autoimposte e casualità, sembra una chiave perfetta per interpretare la realtà contemporanea.
La sua eredità è oggi più viva che mai, non solo nei musei ma anche nelle pratiche di artisti contemporanei che si ispirano alla sua capacità di giocare con i confini tra arte, linguaggio e società.
Boetti ci ha lasciato un insegnamento fondamentale: l’arte non è un oggetto da contemplare, ma un modo di pensare e di abitare il mondo.