Il tema centrale ruota intorno all’intelligenza, intesa non come qualcosa di esclusivamente umano o computazionale, ma come qualcosa che si manifesta nelle sue varie forme: naturale, artificiale e, soprattutto, collettiva. Ratti immagina un’architettura capace di incorporare queste diverse modalità cognitive e trasformarle in strumenti per leggere il mondo e costruirne di nuovi. La mostra non vuole essere soltanto una rassegna di progetti, plastici e rendering: aspira a diventare un organismo vivo, in cui la transdisciplinarità – cioè la capacità di dialogare tra saperi diversi – diventa il motore stesso dell’esplorazione architettonica.
Il curatore ha dichiarato di voler creare un evento che non si limiti a esporre, ma che coinvolga la città, i suoi abitanti, i visitatori e persino gli agenti atmosferici. Venezia sarà, a detta di Ratti, un “Living Lab”, un laboratorio urbano diffuso, in cui gli spazi della Biennale – i Giardini, l’Arsenale e Forte Marghera – ma anche i luoghi minori e decentrati, si trasformeranno in ambienti reattivi, innescando esperienze, confronti, esperimenti.
Quattro saranno le linee guida principali che struttureranno la mostra. Innanzitutto la transdisciplinarità, cioè il superamento della visione dell’architettura come disciplina chiusa e autoreferenziale. Architetti, urbanisti, artisti, filosofi, ingegneri, chef, scienziati e persino attivisti sociali saranno chiamati a collaborare per dare forma a una visione complessa e sfaccettata del nostro tempo. In secondo luogo, il concetto di Living Lab, che significa letteralmente laboratorio vivente: uno spazio in cui idee e materiali vengono testati in situazioni reali, con la città come co-protagonista. Il terzo punto è lo spazio per le idee, un’area aperta al contributo attivo del pubblico, che potrà proporre visioni, riflessioni, pratiche. Infine, un protocollo di circolarità, volto a ridurre l’impatto ambientale della mostra, promuovendo l’uso di materiali riciclati, la riduzione degli sprechi, la rigenerazione dei padiglioni stessi.
Un aspetto interessante di questa edizione è che, a causa dei lavori di ristrutturazione del Padiglione Centrale ai Giardini, la Biennale si diffonderà maggiormente nel tessuto urbano veneziano. Questa difficoltà logistica si è trasformata in opportunità: il decentramento spaziale, infatti, rafforza l’idea di una Biennale diffusa, che entra in relazione con la città vera e propria, con i suoi canali, le sue calli, i suoi abitanti. In questo senso, l’architettura si fa più porosa, meno museale, più ibrida.
L’apertura al pubblico è prevista per il 10 maggio, con orari variabili durante la stagione: fino al 28 settembre, le sedi apriranno dalle 11 alle 19 (con prolungamento all’Arsenale il venerdì e il sabato fino alle 20), mentre dal 30 settembre fino alla chiusura del 23 novembre gli orari saranno anticipati alle 10 del mattino e chiusura alle 18. Il lunedì resterà giorno di chiusura, salvo alcune eccezioni.
Sul fronte delle partecipazioni, si prevede un afflusso di oltre 750 professionisti, provenienti da tutto il mondo, e rappresentativi delle più diverse discipline. Tra i nomi confermati, spiccano studi e progettisti di altissimo livello come Bjarke Ingels Group, MAD Architects e Studio Gang. E non mancano le sorprese: nuovi padiglioni nazionali come quelli del Togo e del Qatar debutteranno a Venezia, segno di una crescente attenzione globale e di un allargamento degli orizzonti geografici e culturali della Biennale.
Tra i progetti speciali si segnala “Margherissima”, una riflessione poetico-architettonica ispirata al territorio lagunare, e una collaborazione con il Victoria and Albert Museum di Londra dal titolo On Storage, dedicata ai luoghi e alle forme della conservazione. Il programma Biennale College Architettura, già attivo nelle scorse edizioni, continuerà a offrire spazi e risorse a giovani architetti, selezionati per contribuire a progetti incentrati sul cambiamento climatico e sull’innovazione sociale.
Non meno significativo è il riconoscimento del Leone d’Oro alla carriera, che quest’anno sarà assegnato a due figure molto diverse eppure emblematiche: l’architetto Italo Rota e la filosofa e biologa Donna Haraway. Rota, noto per i suoi progetti visionari e per il suo interesse verso la contaminazione tra architettura, arte e tecnologia, e Haraway, celebre per le sue teorie sul post-umano e le sue riflessioni sul rapporto tra uomo e natura, incarnano pienamente lo spirito di questa edizione. Entrambi, ciascuno nel proprio campo, hanno contribuito a ridefinire il modo in cui immaginiamo la relazione tra corpi, tecnologie, spazi e storie.
La Biennale Architettura 2025 non si presenta come una semplice mostra, ma come una rete viva di esperienze, tensioni, domande e possibilità. È un laboratorio di intelligenze che si incontrano, si scontrano, si mescolano. È un invito a guardare all’architettura non solo come pratica costruttiva, ma come forma di pensiero collettivo, come gesto politico e poetico insieme. Sarà un’edizione da seguire con attenzione – o, ancora meglio, da vivere.