mercoledì 21 maggio 2025

21 maggio 1972, l'aggressione a Michelangelo


Il 21 maggio 1972, uno degli episodi più traumatici nella storia dell’arte colpì la Basilica di San Pietro a Roma, dove la celeberrima Pietà di Michelangelo, uno dei massimi capolavori della scultura rinascimentale, fu brutalmente attaccata da un uomo armato di mazza. László Tóth, un geologo australiano di origini ungheresi, si rese protagonista di un gesto sconsiderato che lasciò il mondo sgomento e che ancora oggi viene ricordato come uno degli atti vandalici più gravi ai danni di un’opera d’arte. Tóth, visibilmente alterato, si avvicinò alla Pietà mescolandosi ai turisti che quotidianamente visitavano il capolavoro, apparentemente senza destare sospetti. Con un’improvvisa esplosione di violenza, iniziò a colpire con una mazza da 5 chili la Vergine Maria scolpita nel marmo, urlando frasi deliranti come: "Io sono Gesù Cristo risorto dai morti!".

I danni inflitti furono devastanti: il braccio sinistro della Madonna venne staccato, il gomito si ridusse in frammenti, mentre il naso e altre delicate porzioni del volto furono pesantemente danneggiati. Altri colpi lasciarono segni sul manto e sul velo, causando la rottura di piccoli pezzi che si dispersero sul pavimento della Basilica, alcuni dei quali furono persino raccolti dai turisti presenti. Solo il tempestivo intervento di alcuni visitatori e del personale di sicurezza riuscì a fermare Tóth, ma il danno era ormai fatto. In pochi minuti, uno dei più alti simboli dell’arte e della spiritualità occidentale era stato profondamente sfregiato.

La notizia dell’attacco fece immediatamente il giro del mondo, suscitando indignazione e dolore tra gli appassionati d’arte, gli studiosi e i fedeli. La Pietà, scolpita da Michelangelo tra il 1497 e il 1499, non era solo un’opera d’arte di ineguagliabile bellezza, ma un simbolo universale della sofferenza e della pietà materna. La perfezione tecnica con cui il giovane Michelangelo aveva lavorato il marmo di Carrara per creare una rappresentazione così commovente del rapporto tra madre e figlio sembrava rendere quell’attacco ancora più intollerabile, un atto di profanazione che ferì non solo la scultura, ma l’anima stessa di chi ne aveva ammirato la sublime bellezza.

Il restauro

Subito dopo l’accaduto, i restauratori vaticani si trovarono di fronte a una sfida senza precedenti. Il recupero dei frammenti della scultura fu una corsa contro il tempo: i pezzi più grandi, come il braccio staccato, furono subito messi in sicurezza, mentre schegge e frammenti più piccoli furono raccolti dal pavimento con meticolosa attenzione. Tuttavia, non tutto ciò che si era staccato fu recuperato. Alcuni frammenti andarono perduti per sempre, portati via da visitatori che, in un gesto di impulsività o di inconsapevole egoismo, li conservarono come "souvenir" di quel tragico evento.

Il restauro, avviato poche settimane dopo, fu uno dei più complessi mai realizzati fino a quel momento. Gli esperti lavorarono con tecniche all’avanguardia per ricomporre la scultura. Quando possibile, furono utilizzati i frammenti originali, integrati con un composto speciale a base di colla e polvere di marmo, progettato per fondersi armoniosamente con il materiale originale senza alterare l’aspetto dell’opera. La maestria e la dedizione del team di restauro permisero alla Pietà di tornare al suo splendore, ma i segni del trauma rimasero evidenti, a testimonianza della sua travagliata storia.

Conseguenze e protezione

L’attacco a un’opera così amata portò a un importante cambiamento nelle politiche di protezione del patrimonio artistico. Fino a quel momento, la Pietà era accessibile al pubblico senza barriere, permettendo ai visitatori di osservarla da vicino e persino di toccarla. Dopo l’episodio, il Vaticano prese la decisione di collocare la scultura dietro una barriera di vetro antiproiettile, che avrebbe garantito la sua sicurezza senza compromettere la possibilità di ammirarla. Questa misura, sebbene criticata da alcuni per la distanza fisica che imponeva tra l’opera e i visitatori, fu accolta come una necessaria precauzione per evitare futuri atti vandalici.

La vicenda sollevò inoltre un dibattito globale sul fragile equilibrio tra l’accessibilità e la protezione dell’arte. Come si poteva garantire che i capolavori dell’umanità fossero fruibili da tutti, senza però esporli a rischi? Questo interrogativo divenne centrale nelle discussioni sulla gestione dei musei e dei siti storici, influenzando le politiche di tutela in tutto il mondo.

Il gesto di László Tóth

László Tóth, autore dell’attacco, venne sottoposto a una perizia psichiatrica che lo dichiarò incapace di intendere e di volere. Non fu mai processato penalmente, ma internato in un ospedale psichiatrico italiano, dove rimase per alcuni anni prima di essere deportato in Australia, suo paese di residenza. Il suo gesto, apparentemente motivato da deliri di onnipotenza e visioni religiose, scatenò riflessioni più ampie sulla relazione tra follia e distruttività, sull’ossessione per l’arte e sulla fragilità dell’equilibrio mentale di alcuni individui.

Un simbolo di resilienza

Nonostante l’attacco subito, la Pietà di Michelangelo continua a essere un simbolo della potenza dell’arte e della sua capacità di sopravvivere ai traumi della storia. I turisti di tutto il mondo si recano ancora oggi a San Pietro per ammirare questo capolavoro, che rimane un monumento alla bellezza e alla sofferenza umana. Le cicatrici dell’attacco, pur se quasi invisibili agli occhi del visitatore comune, sono un monito eterno: l’arte, nella sua bellezza e fragilità, è un bene prezioso, che richiede rispetto, protezione e una costante attenzione per essere preservato per le future generazioni. La Pietà, con la sua storia travagliata, è oggi più che mai un simbolo universale dell'eterna lotta tra creazione e distruzione, tra bellezza e brutalità.