sabato 3 maggio 2025

allora, addentriamoci


Allora, addentriamoci tra le pieghe come in una mappa di metafore, di riferimenti intimi e universali, di frammenti che si ricompongono in un unico, inesorabile viaggio.

"Il buio svelato": c’è qui una sfida ai tabù, al sotterraneo che ci appartiene e che spesso neghiamo, quasi fosse peccato, vergogna. Ma l’atto di esporsi "bruscamente in pubblico" sembra proprio essere l’abbandono di ogni maschera, la nudità totale, il coraggio – o la necessità – di lasciare che il nostro lato più oscuro, più vulnerabile, sia visto e compreso, come se la solitudine fosse una richiesta d’ascolto a quel “fato” che se ne sta lì, indifferente. Questa intimità esposta trasforma la vita in una "danza" che non è più magica, non più destinata a essere protetta dagli sguardi indiscreti.

Il Desiderio, in questa dimensione, si svuota. Ha abbandonato la sua carica romantica o erotica, la sua funzione di spinta vitale. Un desiderio senza un fine, un abbraccio sospeso, quasi disorientato, come un re ormai spodestato, destinato a vivere solo nella nostalgia di ciò che poteva essere. Il desiderio è diventato un simulacro, un'eco che ormai risuona solo per chi, come il poeta, tenta di salvarne l’ombra nella scrittura.

Poi troviamo la solitudine, un "cantante d'accatto", immagine potente che ci trascina in un mondo di malinconie quasi teatrali, dove ogni amore ormai è diventato un eco lontano, un sapore che sa di vuoto, come un passero, fragile e indifeso, lasciato a se stesso, prosciugato da mostruosi parassiti. È il passaggio dagli amori puri e giovani a quelli disillusi e bruciati, dove il peso degli anni ha lasciato cicatrici profonde.

Le "briciole amorose" diventano essenziali per respirare; sono le piccole tenerezze, le attenzioni, quegli ultimi resti d’amore che ci permettono di vivere, o almeno di non smettere di desiderare la possibilità di rinascere, anche se solo in un verso. È una lotta per trattenere l'amore, o ciò che resta di esso, come fosse ossigeno in una camera d’aria che si svuota lentamente.

L'esterno, intanto, è una "offesa" continua: il mondo è un teatro cinico e cruento, una farsa in cui le notizie sono pietre che ci feriscono. I campanili lontani, simboli di speranza o fede, restano appena visibili sul filo dell'alba, quasi a ricordarci che c’è sempre una promessa, ma mai mantenuta. Il mattino, con la sua luce, non è altro che un breve, flebile spiraglio prima che l’oscurità torni a prendersi il suo spazio.

Gli incontri umani sono ridotti a gesti di passaggio, un indice magro, come fosse un segnalibro tra le pagine della vita, senza più la forza di tenere fermo niente. E qui appare il "bello-bretella", il bel ragazzo in jeans e maglietta, quel simbolo di gioventù e freschezza, che resta nel ricordo come un fantasma di un’epoca, di un momento. Il Nonostante è la forza di chi rimane, anche quando tutto sembra perdersi, di chi accetta la lotta senza garanzia di successo.

Il poeta ormai vive di versi-chioschi, un’idea di poesia ridotta a un piccolo spazio, un ristoro abbandonato nel deserto. E queste parole, sempre più deboli e stanche, non riescono più a raccontare nulla, diventano fossili di un’esperienza troppo grande per essere detta.

La vita, ci dice il poeta, è già avvenuta. E quel che resta è come una panchina, un luogo di attesa e di osservazione; il poeta, come un eremita nella sua caverna, può solo guardare e raccogliere le ceneri. Il verso è ormai una dichiarazione spenta, una parola che non ha più il potere di creare, ma solo di registrare, come un testamento di speranze perdute.

Alla fine, ecco il "postremo nesso", il limite estremo, dove la "parete" diventa il custode dell’incanto. La parola si riduce a lapide, unica consolazione, simbolo di ciò che è stato e di ciò che mai sarà più. I sentimenti sono trascorsi, i figli non verranno, la musica è rimasta sola, a celebrare se stessa, consapevole del proprio destino in un mondo che va spegnendosi.

Il tentativo di un dialogo è ora un desiderio senza voce, una volontà spezzata: ogni volta che si cerca di riaprire una via, ecco che il silenzio si riappropria del suo posto, e ogni gesto diventa vano, quasi un insulto. Guardare al mondo significa masticare grani amari, quasi fossero fatti di cemento, e anche la voce è una tela ormai sbiadita, quasi del tutto cancellata.

L’aridità, questo è ciò che resta: un'età di licheni, quelli che crescono lenti e resistenti, adattandosi a un mondo che si è fatto duro e privo di speranza. I versi non sono più vivi, sono chele arrese, mani tese nel vuoto. E l'abbandono è il re di questa realtà, in cui la vita si è fatta un’ombra, ma senza la disperazione, come una tregua ormai accettata.

E infine, nella solitudine dell’abbandono, si scopre che lasciare andare è una sorta di fortuna, un privilegio che permette di restare sospesi, senza il peso del desiderio, in un racconto sospeso, in un ricordo che, solo per un momento, ci fa sentire vicini a un sogno.