sabato 24 maggio 2025

Che vi marcisca in gola la parola “legalità”

Prologo

Che vi si secchi la lingua ogni volta che pronunciate il nome Falcone. Che vi si spenga la voce, che vi si torca la bocca, che vi sanguini la gola ogni volta che sbandierate “giustizia” tra una firma sotto un decreto infame e una pacca sulle spalle a un corrotto.
Perché non avete fatto nulla. E quando potevate, avete fatto peggio: l’avete lasciato solo. Lo avete odiato. L’avete umiliato.

Non siete suoi eredi. Siete il motivo per cui è morto.
Il suo sangue non vi benedice: vi accusa.

Capaci non è una ferita: è una colpa. E non guarirà mai, perché ogni giorno ci pisciano sopra con discorsi di circostanza, con la grammatica del “ricordo”, con le moine di Stato, con le targhe fresche di Comune.
Il tritolo non ha fatto saltare solo l’autostrada: ha fatto saltare l’alibi. Eppure voi lo ricostruite ogni giorno, mattone dopo mattone. Con le poltrone. Con i compromessi. Con le strette di mano ai figli dei carnefici.

Che vi caschi la lingua ogni volta che dite “Falcone è un esempio”. Che esempio? Lo avete soffocato da vivo, ora lo imbalsamate da morto. Voleva verità, voi gli date palinsesti. Voleva giustizia, voi gli date primetime.
Maledetti voi che lo usate per purgarvi l’anima. Che vi fate il selfie sotto la stele, e poi andate a cena coi professionisti del favore. Che parlate di mafia solo quando conviene. Che vi dichiarate “antimafia” e intanto firmate la resa.

E voi, cittadini col capo chino, anche voi siete complici. Siete l’altro volto del potere: quello che consente, che si gira dall’altra parte, che si tappa il naso ma continua a votare, a comprare, a tacere.
Falcone è morto per voi, ma voi non vivreste per lui. Non rinuncereste a nulla. Nemmeno al beneficio del dubbio.

Che vi pesi addosso ogni giorno quell’autostrada. Che vi tagli la schiena quel cratere. Che vi tremi la mano ogni volta che fate finta di non sapere, che vi scrollate le spalle, che dite “è sempre stato così”.
No. Non è sempre stato così. Così l’avete voluto. Così l’avete lasciato diventare.

La mafia non è invincibile, diceva.
Ma l’omertà sì. La viltà sì. Il conformismo sì. Il teatrino dello Stato, quello sì che non muore mai.

E allora ecco la mia maledizione:
che ogni 23 maggio, per sempre, vi si apra davanti Capaci.
Che vi ci troviate dentro. Che vi scoppino in testa i pensieri che Falcone pensava. Che vi manchi il fiato come a lui sotto i colpi bassi, le diffamazioni, le omissioni.
Che vi si pianti nel cuore il suono di quella deflagrazione — e vi rimbombi in petto fino a spezzarvi.
E che nessuno vi venga a salvare, come nessuno salvò lui.

Perché se l’Italia è ancora in ginocchio, non è per colpa di Cosa Nostra. È per colpa vostra.

Vostra. Tutti.
Che lo sapete. E fate finta di non sapere.


«CORO PER UN MORTO CHE NON PERDONA»
Oratorio civile in cinque atti per Giovanni Falcone

PERSONAGGI
VOCE I – Il narratore dell’orrore
VOCE II – Il testimone indignato
VOCE III – Il cinico
VOCE IV – La coscienza collettiva
CORO – Il popolo che sa, ma non parla

(Luci fioche. Suono lontano, appena percettibile: un battito cardiaco. Palco vuoto. Una voce comincia. Le altre emergono come echi, onde.)


PRIMO ATTO – L’aria è complice

VOCE I
Chi ha ucciso Giovanni Falcone?
Non un solo dito. Non una sola mente.
Ma cento. Mille.
Non solo la mafia.
Ma la burocrazia che attende.
Il collega che sbuffa.
Il funzionario che rinvia.
Il giudice che non firma.
Il politico che ride e sussurra: “esagera”.
Il direttore che sposta la data.

VOCE II
Lo avete lasciato solo.
Con la sua schiena curva.
Con la luce sempre accesa nella cella d’ufficio.
Con la sua voce bassa.
Con la sua rabbia lucida.

VOCE III
Perché era troppo bravo.
Troppo preciso.
Troppo diverso.
Falcone puzzava di giustizia.
E la giustizia, da noi, fa odore di nemico.

CORO – sussurrato, come da dietro le quinte
Lo sapevamo.
Lo vedevamo.
Lo ignoravamo.

VOCE IV – tagliente
E ora…
ad ogni maggio…
fiori plastificati.
Ceri finti.
Tweet commossi.
Documentari in prima serata.
La sua faccia sulle magliette.
Il suo nome sulle rotatorie.
Ma il cuore di quel giorno…
non lo toccate.
Vi brucia.

CORO – come un sibilo velenoso
Il cuore vi brucia.
E vi ustiona la memoria.
Ma fingete commozione.
Fingete rispetto.
Fingete dolore.
Solo finché non dà fastidio.


SECONDO ATTO – L’esempio è un alibi

VOCE I – calmo, glaciale
Falcone era un uomo.
E volevate un simbolo.
Falcone era vivo.
E vi serviva morto.
Per farne un santino.
Un’icona.
Una reliquia.
Da esporre.
Da usare.
Da sfruttare.

VOCE II – come in un interrogatorio
Perché non gli avete dato gli strumenti?
Perché non gli avete dato ascolto?
Perché non lo avete seguito?

VOCE III – con ghigno
Perché non conveniva.
Perché era troppo vero.
E la verità…
non si maneggia senza guanti.

VOCE IV – ora lirico, ferito
Avete fatto di lui una reliquia.
Ma non avete seguito il suo metodo.
Avete citato le sue frasi.
Ma avete tradito il suo pensiero.
Avete acceso fiaccole.
Ma spento le inchieste.

CORO – forte, come un tuono improvviso
Che vi secchi in gola ogni parola rubata!
Che si frantumi il marmo dei monumenti falsi!
Che vi si gonfino le vene ogni volta che mentite dicendo “giustizia”!
GIUSTIZIA NON È CELEBRAZIONE. È AZIONE.
AZIONE!
AZIONE!


TERZO ATTO – Trattative col nemico

VOCE I
Mentre lui cadeva,
lo Stato trattava.
Con Cosa Nostra.
Con Totò Riina.
Con i burattinai della morte.
Colpivano un uomo.
Ne liberavano dieci.
Chi scriveva il codice penale?
Chi firmava?
Chi cedeva?

VOCE II – ferito, umile
Ci hanno raccontato favole.
Falcone eroe.
Falcone martire.
Falcone il puro.
Ma la favola più sporca è questa:
che lo Stato fosse estraneo.

VOCE III – ora sprezzante
Lo Stato era là.
Nel buio.
Nel fumo.
Dietro i vetri oscurati.
Lo Stato era la mano che non tremò.
Era la firma sul nulla.
Era il silenzio prima del boom.

CORO – ritmato, come tamburi funebri
Tratta lo Stato.
Tratta la mafia.
Tratta chi perde, chi muore, chi serve.
Chi combatte resta solo.
Chi combatte muore.
E viene chiamato eroe.

VOCE IV – spezzata, furiosa
Falcone non voleva morire.
Voleva vincere.
Ma per vincere,
serve non cedere.
E voi…
avete ceduto.


QUARTO ATTO – Il cratere resta

VOCE I – piano, come un requiem
L’asfalto si solleva.
L’autostrada si apre.
Un cratere.
Non solo nella terra.
Nelle viscere della Repubblica.

VOCE II – come testimone oculare
Un cuore squarciato.
Una bomba cucita nel futuro.
Un messaggio: “nessuno è intoccabile”.
Un altro: “nessuno sarà vendicato”.

VOCE III – gelo assoluto
Il cratere è ancora lì.
Nelle aule sorde.
Nei tribunali pigri.
Nei politici che fingono.
Negli studenti che dimenticano.

CORO – lento, cavernoso
Il cratere resta.
Resta nelle carte archiviate.
Resta nelle memorie svuotate.
Resta nei compromessi.
Resta nelle poltrone.
Resta nei salotti.
Resta nei brindisi.

VOCE IV – tremante ma accesa
Falcone non è morto per decorare cerimonie.
È morto perché non volle tacere.
Non volle voltarsi.
Non volle piegarsi.
E per questo…
abbiamo preferito piangerlo
che seguirlo.


QUINTO ATTO – La voce che brucia

VOCE I – lancia un’ultima domanda nel vuoto
Chi ha ucciso Giovanni Falcone?
Chi lo uccide ancora?

VOCE II – urla
Lo uccidiamo noi!
Ogni volta che tacciamo.
Ogni volta che ci adattiamo.
Ogni volta che sorridiamo a chi è complice.

VOCE III – glaciale
Falcone non perdona.
Non può.
Non deve.
Perché il perdono richiede verità.
E la verità…
noi l’abbiamo barattata.

CORO – finale, come un terremoto
FALCONE NON PERDONA!
NON PERDONA!
NON PERDONA!
NON PERDONIAMO!
NON DIMENTICHIAMO!
NON TACIAMO!


(Silenzio. Le luci si spengono una a una. Nessuna musica. Nessuna uscita. Solo il vuoto. Come Capaci.)