I. Tematica e struttura concettuale dell’opera
Al centro della trattazione si situa la nozione di simmetria, intesa non soltanto come equilibrio formale o disposizione armonica di elementi nello spazio, ma come principio generativo e regolativo delle forme della realtà, tanto fisica quanto artistica. Caglioti, fisico di formazione e profondo conoscitore delle questioni epistemologiche contemporanee, analizza il concetto alla luce della moderna fisica teorica, in particolare della meccanica quantistica, della teoria dei gruppi e delle leggi della termodinamica, evidenziando come la rottura della simmetria rappresenti un passaggio necessario per la manifestazione del fenomeno, sia esso naturale o artistico.
In questo quadro, il testo non si limita a una semplice esposizione teorica, ma si propone come un vero e proprio esercizio interdisciplinare. L’autore costruisce parallelismi concettuali fra la percezione delle figure ambigue (come il celebre vaso di Rubin o i disegni ambivalenti di Escher) e il processo di misura in ambito quantistico, suggerendo che entrambi implichino un’interazione irriducibile fra osservatore e oggetto. La simmetria, quindi, è il punto di partenza: ma è la sua infrangibilità – il momento di rottura, l’irruzione dell’asimmetrico – a generare significato, a rendere possibile la differenziazione, la scelta, l’atto interpretativo.
II. Interdisciplinarità e universalità delle forme
Una delle intuizioni più affascinanti dell’opera consiste nella proposta di una epistemologia visiva universale, secondo la quale alcune strutture formali — come quelle prodotte dalle simmetrie — sarebbero percepibili in modo pressoché analogo da tutti gli esseri umani, indipendentemente dal contesto culturale o geografico. Caglioti porta esempi tratti sia dal dominio dell’arte figurativa che da quello musicale (come nella corrispondenza tra simmetrie visive e armonie sonore) per sostenere che la nostra capacità di codificare certi segni dipende dalla loro prossimità strutturale alle leggi fondamentali della natura. L’immagine del passaggio pedonale o del volto umano simmetricamente composto diventa paradigma di una percezione immediata, preculturale, inscritta nella nostra fisiologia cognitiva.
L’analogia fra percezione estetica e osservazione scientifica è centrale: in entrambi i casi, ciò che emerge come significativo non è l’equilibrio originario, ma la sua deviazione, la rottura che introduce tempo, direzionalità, evento. L’arte, così come la scienza, secondo Caglioti, non può nascere in uno stato di perfetto equilibrio: è nella frattura della simmetria, nell’asimmetrico, che prende forma l’opera, l’intuizione, la scoperta.
III. Valore teorico e limiti del testo
L’approccio di Caglioti si distingue per la sua audacia concettuale, per l’ambizione di connettere mondi e linguaggi diversi attraverso un codice comune — quello della simmetria e della sua infrangibilità. Tuttavia, proprio questa ambizione rappresenta anche uno dei punti più problematici del libro. La densità teorica, la frequente ricorsività concettuale e l’uso di un linguaggio talvolta marcatamente tecnico — soprattutto nei passaggi dedicati alla fisica — possono rendere ostica la lettura per un pubblico non specialista. Non si tratta tanto di una debolezza, quanto di una scelta di campo: l’autore privilegia la profondità e la complessità rispetto alla divulgazione accessibile, offrendo un testo che richiede una lettura attenta, meditativa, in alcuni passaggi quasi iniziatica.
A ciò si aggiunge una relativa scarsità di apparati critici e di riferimenti bibliografici sistematici. Se da un lato l’opera si propone come originalissima e in parte “eretica” rispetto agli schemi disciplinari convenzionali, dall’altro avrebbe forse giovato di un confronto più esplicito con le grandi correnti della filosofia della scienza e dell’estetica novecentesca — in particolare con autori come Bachelard, Cassirer, Panofsky o D'Arcy Thompson — il cui lavoro verte sullo statuto delle forme e della percezione simbolica.
IV. Conclusioni
In definitiva, Simmetrie infrante nella scienza e nell’arte è un contributo di grande originalità nel panorama della saggistica italiana contemporanea. Non tanto per il suo contenuto scientifico, che non si presenta come una proposta innovativa sul piano tecnico, quanto per l’orizzonte teorico che dischiude: un invito a pensare insieme scienza e arte, percezione e teoria, forma e coscienza. L’opera si colloca all’incrocio fra l’estetica filosofica e la riflessione epistemologica, senza mai cadere nella facile tentazione della metafora vaga o della mistica delle corrispondenze.
Si tratta di un libro che può suscitare entusiasmo nei lettori più attrezzati e delusione o smarrimento in coloro che cercano un’introduzione divulgativa. Ma è proprio nella sua intransigenza intellettuale, nel rifiuto di semplificare l’inestricabile legame tra vedere e conoscere, che risiede la sua forza. La simmetria infranta, da cifra estetica e fisica, diventa così emblema di un pensiero capace di abbracciare la complessità, accettare la frattura, e fare del disequilibrio un luogo generativo.
Amplio ulteriormente l’analisi di Simmetrie infrante nella scienza e nell’arte di Giuseppe Caglioti, portando l’attenzione su almeno tre aspetti ancora poco messi in rilievo: la dimensione pedagogica implicita, la tensione metafisica sottesa al testo, e l’importanza della visualità come chiave epistemica.
1. La dimensione pedagogica e il “visibile pensato”
Pur rivolgendosi a un lettore colto, l’opera si presta — in modo quasi carsico — a un uso didattico, in particolare nei contesti in cui si tenti una riconciliazione tra sapere umanistico e sapere scientifico. Le numerose immagini presenti nel volume (molte delle quali emblematiche: dalla spirale logaritmica alla mano di Escher) non sono meri supporti illustrativi, ma veri e propri strumenti cognitivi: agiscono come “precipitati visivi” del concetto. Caglioti, con consapevolezza quasi bachelardiana, fa del visibile un veicolo per il pensiero astratto, tentando una sorta di “visione intelligente” che, partendo da ciò che si vede, conduca alla struttura invisibile del reale. È un metodo, oltre che una poetica.
2. La tensione metafisica: tempo, entropia, irreversibilità
Un altro nodo cruciale riguarda la relazione fra la rottura della simmetria e la nascita del tempo. Se una realtà perfettamente simmetrica è anche, per definizione, atemporale, è proprio l’infrangersi di tale simmetria a generare l’irreversibilità, cioè la possibilità del divenire. Questo slittamento dal fisico al metafisico — implicito ma costante — fa sì che il testo non si limiti a un’indagine sulle forme, ma sfiori questioni fondamentali come la morte, la trasformazione, la perdita. La rottura della simmetria diventa figura del trauma originario, ma anche condizione della libertà creatrice.
3. L’immaginazione scientifica come forma d’arte
Infine, Caglioti ci invita a riconsiderare lo scienziato non solo come osservatore, ma come “immaginatore” — colui che, proprio come l’artista, sa vedere ciò che non è ancora visibile, prefigurare strutture, ipotizzare realtà altre. La distinzione classica tra l’estetico e il razionale si scioglie in un’immagine di pensiero ibrido, in cui l’estro creativo e la disciplina analitica si rinforzano a vicenda. Così, il gesto con cui Newton infrange la luce nel prisma diventa parente stretto di quello con cui Cézanne infrange la prospettiva in un paesaggio.
Il testo di Caglioti può essere letto come un’opera-limite, una sorta di saggio-faglia in cui si incontrano campi separati da secoli di epistemologie divergenti. È una sfida, un invito a pensare per immagini senza abdicare al rigore, e a contemplare la bellezza della dissonanza come fondamento stesso della realtà. Una proposta rara, persino coraggiosa, nel panorama saggistico italiano, ancora troppo spesso prigioniero della partizione disciplinare.
Il confronto tra Simmetrie infrante nella scienza e nell’arte di Giuseppe Caglioti e le opere di autori come Roger Penrose e René Thom è particolarmente fruttuoso per comprendere fino a che punto si possa spingere un pensiero che non si accontenta di descrivere il mondo, ma tenta di ricomporre la frattura tra logos scientifico e immaginazione formale. In questo contesto, il testo di Caglioti si pone come una voce italiana che dialoga, con originalità, con due figure cardine del pensiero scientifico contemporaneo che hanno osato attraversare i confini tra matematica, filosofia e arte.
Roger Penrose: simmetria, coscienza e bellezza platonica
Il primo riferimento inevitabile è Roger Penrose, fisico matematico e cosmologo, autore di opere come The Emperor’s New Mind (1989) e The Road to Reality (2004), in cui propone una visione “platonica” del reale, fondata sulla convinzione che le strutture matematiche abbiano un’esistenza oggettiva e che la bellezza — e dunque la simmetria — giochi un ruolo centrale nella scoperta scientifica. Tuttavia, Penrose, pur affascinato dalla simmetria, ne riconosce la limitazione e l’incompletezza: solo attraverso la rottura della simmetria, come nella geometria dei suoi celebri “tilings” (pavimentazioni non periodiche), è possibile accedere a nuove dimensioni di ordine. In questo senso, il dialogo con Caglioti è diretto: entrambi vedono nella rottura della regolarità una chiave per il pensiero creativo. Ma mentre Penrose si concentra sul mistero della coscienza e sull’ipotesi che la mente umana attinga a un ordine profondo non computabile, Caglioti resta ancorato a un piano più figurativo e culturale, dove le forme della scienza si riflettono — con echi quasi metaforici — nelle espressioni artistiche.
René Thom: catastrofi, morfogenesi e il dramma delle forme
Il confronto con René Thom, fondatore della teoria delle catastrofi, tocca invece un altro livello: quello morfogenetico. In Modèles mathématiques de la morphogenèse (1972), Thom formula una matematica delle discontinuità, dove la rottura non è una patologia, ma un momento necessario della genesi delle forme. Il suo pensiero si struttura attorno a una topologia degli eventi critici, in cui le transizioni qualitative (le “catastrofi”) sono alla base della percezione, della biologia, del linguaggio stesso. In questo senso, la “simmetria infranta” di Caglioti può essere letta come un’eco della “morfogenesi instabile” di Thom. Ma se Thom tende a costruire una semiotica naturale, una grammatica delle trasformazioni in cui l’universo appare come un testo leggibile attraverso la geometria delle pieghe e delle cuspidi, Caglioti mantiene un tono più fenomenologico, più orientato alla rappresentazione che alla formalizzazione. Entrambi, però, condividono una postura filosofica: l’idea che la bellezza risieda non nella stabilità, ma nella soglia, nell’intermittenza, nell’asimmetria gravida di senso.
Caglioti come figura di mediazione
In questo panorama, Caglioti si distingue per la sua capacità di mediare tra i linguaggi: egli non è né un “filosofo della scienza” in senso stretto né un “teorico dell’arte”, ma piuttosto un “artista del pensiero scientifico”, capace di montare e smontare forme visive, intuizioni fisiche, strutture cognitive in un caleidoscopio (non a caso) di analogie e tensioni. Il suo testo si avvicina, per stile e intento, a opere come La nuova alleanza di Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, dove l’epistemologia si tinge di narrazione e la scienza si fa speculazione poetica.
Conclusione del confronto
Laddove Penrose cerca il fondamento metafisico dell’universo nella matematica non banale e Thom lo cerca nei salti qualitativi della forma, Caglioti esplora la superficie visibile dove arte e scienza si specchiano, riflettendo e rifrangendo l’una nell’altra. Potremmo dire che, mentre i primi due guardano l’abisso del reale da una vetta speculativa, Caglioti lo attraversa trasversalmente, come un viaggiatore nella zona di confine. Questo ne fa una figura meno “sistematica”, ma più agile, e forse per questo più prossima alla sensibilità contemporanea, sempre più attratta dalle zone liminali, dagli ibridi, dalle soglie inquiete.
Proseguendo con altri confronti, l’analisi del libro Simmetrie infrante nella scienza e nell’arte di Giuseppe Caglioti guadagna ulteriore profondità se messa in relazione con il pensiero di Hermann Weyl, matematico e filosofo, e con le riflessioni teoriche di Vasilij Kandinsky e Paul Klee — due artisti che, ben oltre la prassi pittorica, hanno elaborato una visione della forma come struttura psichica e spirituale, spesso in dialogo diretto con la scienza.
Hermann Weyl: simmetria come principio ontologico e linguaggio della bellezza
Hermann Weyl, nel suo celebre saggio Symmetry (1952), offre una delle più lucide e complete definizioni filosofico-matematiche del concetto di simmetria, vista come “invarianza sotto trasformazioni”. La sua riflessione è profondamente intrisa di un’esigenza estetica: la simmetria è, per lui, il linguaggio della bellezza formale, ma anche una categoria fondamentale dell’intelligibilità dell’universo. Tuttavia, e qui si pone l’elemento decisivo del confronto con Caglioti, Weyl è anche consapevole che la simmetria perfetta è sterile, morta. In un passo fondamentale, egli afferma: «la simmetria impone ordine, ma l’arte, come la vita, nasce dalla sua rottura».
Questa tensione tra ordine e rottura è esattamente ciò che Caglioti tematizza nel suo libro, ma lo fa da un punto di vista più “iconologico”, potremmo dire: mentre Weyl, da matematico, tende a considerare le strutture simmetriche come idealizzazioni astratte (gruppi, trasformazioni, spazi), Caglioti osserva il modo in cui queste strutture, una volta incarnate in forme sensibili — quadri, edifici, figure scientifiche — si piegano, si distorcono, si spezzano sotto l’impulso dell’invenzione o dell’entropia. Entrambi riconoscono che la perfezione è un limite, non un traguardo: è nel perturbamento della regola che si annida il germe della creazione.
Kandinsky: la necessità interiore e l’equilibrio instabile
Vasilij Kandinsky, nei suoi scritti teorici più noti, da Lo spirituale nell’arte (1912) a Punto, linea, superficie (1926), propone una concezione della forma non come espressione di un codice prestabilito, ma come manifestazione di una tensione interiore, quasi musicale. Il punto geometrico, pur essendo entità astratta, si carica di “forza espressiva”, così come la linea retta o curva diventa traiettoria emotiva.
Kandinsky parla spesso di “equilibrio dinamico”, una nozione che sembra anticipare proprio la simmetria infranta di Caglioti: le composizioni kandinskiane non cercano la simmetria classica, ma quella che potremmo chiamare una asimmetria bilanciata, in cui ogni elemento si dispone rispetto a forze invisibili, non euclidee. In questo senso, Caglioti potrebbe essere letto come l’interprete scientifico di un’intuizione profondamente modernista: la simmetria, come categoria estetica, è valida solo se messa in discussione, se attraversata da dislivelli, da accenti, da turbolenze.
Paul Klee: la morfogenesi poetica e la matematica intuitiva
Ancor più esplicitamente vicino a Caglioti è Paul Klee, soprattutto nelle sue lezioni alla Bauhaus, dove teoria artistica, pedagogia e suggestioni scientifiche si intrecciano. Klee, come Thom, è ossessionato dalla genesi della forma: disegna alberi come metafore di biforcazioni naturali, costruisce pesci che sembrano derivare da equazioni parametriche, elabora teorie della linea come “cammino generativo”.
Klee parla della “natura operante”, e in questo Caglioti gli è affine: entrambi cercano di cogliere non la forma finale, ma il processo che la genera — quella “forza invisibile” che, nella scienza come nell’arte, produce e disfa. La simmetria, per Klee, è l’effetto di un principio vitale che si organizza, ma mai in modo definitivo: la bellezza risiede nel quasi simmetrico, nel “mancamento”, nel gesto che devia. Ed è esattamente in questa devianza che il libro di Caglioti fonda il suo discorso: ogni forma significativa, ogni immagine che resista al tempo, nasce da un’incrinatura, da un errore produttivo, da un attrito tra forze.
Una topologia dell’asimmetrico
In sintesi, il confronto con Weyl, Kandinsky e Klee mostra come Simmetrie infrante nella scienza e nell’arte si iscriva in una tradizione ampia, che potremmo chiamare “topologia dell’asimmetrico”, una genealogia trasversale che unisce scienziati, artisti e filosofi nel tentativo di cogliere le leggi profonde che presiedono alla creazione — siano esse formule, dipinti, strutture cristalline o versi poetici.
Caglioti non è solo un “ponte” tra i saperi: è un testimone del loro comune destino, ovvero il fallimento della perfezione e l’elevazione dell’anomalia a nuova regola estetica ed epistemologica. In questo, la sua voce risuona con sorprendente attualità, in un’epoca in cui ogni simmetria — sociale, politica, ecologica — sembra spezzarsi, e in cui solo dal riconoscimento profondo della frattura può nascere una nuova forma di comprensione.
Al centro del pensiero contemporaneo, il concetto di “simmetria infranta” si carica di un valore filosofico e poetico che travalica i limiti della fisica teorica o della storia dell’arte: esso diviene una vera e propria metafora ontologica, un dispositivo interpretativo con cui leggere la crisi delle strutture unificanti, la decostruzione delle totalità, la frantumazione dei paradigmi identitari e conoscitivi. È in questa prospettiva che il libro di Giuseppe Caglioti, Simmetrie infrante nella scienza e nell’arte, si rivela, retroattivamente, un testo filosofico implicito, inscritto in un orizzonte che va da Gilles Deleuze a Jacques Rancière, da Jean-Luc Nancy a Donna Haraway, passando per Slavoj Žižek.
Deleuze: la piega e la differenza
In Le Pli. Leibniz et le Baroque, Gilles Deleuze descrive l’arte barocca come un proliferare di pieghe e increspature, una geometria non euclidea che si sviluppa nello spazio, nel tempo e nel pensiero. La piega è ciò che spezza la simmetria classica e la riorganizza secondo logiche locali, differenziali. Non è difficile cogliere qui un’analogia con le “infrangiture” di Caglioti: il mondo non è fatto di simmetrie astratte, ma di processi di deformazione, di tensioni e dislocazioni che generano forma proprio in quanto ne compromettono la regolarità.
Deleuze parla di “differenza che si fa forma”, e questa affermazione potrebbe costituire l’asse filosofico su cui ruota il libro di Caglioti: la forma, sia essa artistica o scientifica, nasce dalla deviazione, dalla variazione, dalla rottura costruttiva dell’identico. La simmetria infranta è, in questo senso, un principio di vitalità.
Nancy: la comunità infranta e il senso del mondo
Jean-Luc Nancy, nella sua riflessione sulla comunità inoperosa e sul senso del mondo, ha insistito su un punto cruciale: ogni forma di totalità compiuta è mitica, e ogni figura identitaria è già infranta. La verità della comunità sta nella sua non-completabilità, nel suo essere sempre esposta alla dissimmetria dell’altro, alla frattura del senso. È qui che la “simmetria infranta” assume valore esistenziale e politico: non come patologia, ma come condizione ontologica della coesistenza.
In quest’ottica, il libro di Caglioti può essere letto come un’epistemologia del vivere-con: ogni sapere, ogni arte, ogni scienza si fonda su un’asimmetria originaria che non è da colmare, ma da abitare. La frattura non va sanata, ma interpretata; e l’infrangimento diventa gesto creativo.
Žižek: la rottura come evento
Slavoj Žižek, nella sua rilettura di Hegel e Lacan, afferma che la rottura è l’unico evento reale: non esiste struttura che non porti in sé la propria scissione. La totalità è sempre posticcia, retroattiva, e la verità emerge solo quando la superficie della simmetria si incrina. Questo paradosso è al centro anche dell’arte, della scienza e della percezione secondo Caglioti. Non c’è verità nella forma perfetta: la verità si annida nella faglia, nello scompenso, nella dissonanza che persiste.
Per Žižek, il reale è ciò che sfugge alla simmetria del simbolico. Analogamente, Caglioti suggerisce che l’arte e la scienza diventano pertinenti solo quando accedono a questa zona instabile, quando rinunciano alla coerenza per avvicinarsi all’irriducibile.
Haraway: simmetria infranta come etica relazionale
Infine, Donna Haraway — nelle sue teorie postumaniste — ha rifiutato le simmetrie identitarie tra soggetto e oggetto, tra maschio e femmina, tra umano e non-umano. In testi come Staying with the Trouble o When Species Meet, la simmetria è vista come una costruzione patriarcale, coloniale, stabilizzante, che va infranta per dare spazio a forme di relazionalità radicalmente situate, tentacolari. Anche qui il gesto di rottura non è distruttivo, ma generativo.
Caglioti, sebbene operi su un piano disciplinare diverso, prefigura questa stessa dinamica: quando un pattern si rompe, quando una simmetria viene meno, emerge la possibilità di nuove configurazioni. La simmetria infranta non è perdita di senso, ma apertura al molteplice, al possibile, all’altro.
Una poetica dell’instabilità
Il concetto di simmetria infranta non è soltanto un tema scientifico o estetico: è una chiave di lettura del nostro tempo, in cui ogni ordine sembra sgretolarsi e ogni forma si dissolve nel proprio negativo. Il merito del libro di Giuseppe Caglioti è averci offerto, attraverso una prosa limpida e al tempo stesso rigorosa, una filosofia implicita della forma che possiamo considerare poetica, epistemologica e politica insieme. La simmetria infranta diventa, in ultima analisi, un invito a pensare — e a vivere — nella fragilità, nell’ambiguità, nell’instabilità generativa delle forme. Non è solo un concetto: è un destino.