C’è un tipo di poeta che scrive per il piacere di plasmare il linguaggio, giocare con le immagini, costruire versi eleganti e armoniosi. E poi c’è Adriano Spatola. Un artista della parola che non si limita a scrivere, ma la smonta, la decostruisce, la fa esplodere, la riassembla in nuove forme, in nuovi suoni, in nuove esperienze visive e sonore. Un poeta che non accetta il confine della pagina, ma invade lo spazio, il tempo, il corpo del lettore e dell’ascoltatore.
Il suo nome è legato indissolubilmente alla Neoavanguardia, alla poesia concreta, alla poesia sonora, all’editoria militante. Ma ridurre Spatola a un’etichetta sarebbe un errore. Egli non è soltanto un poeta sperimentale: è un creatore di mondi, un alchimista del linguaggio, un costruttore di universi poetici in cui il suono diventa significato e il significato diventa immagine. Nella sua opera convivono l’eredità delle avanguardie storiche e la tensione verso il futuro. C’è la lezione di Mallarmé e Apollinaire, ma anche la furia iconoclasta dei dadaisti, la ricerca sonora dei futuristi, la libertà espressiva della Beat Generation. C’è il desiderio di sfidare ogni convenzione, di portare la poesia al limite estremo della sua possibilità espressiva, fino a farla diventare un evento, un’esperienza, una detonazione. Chi era veramente Adriano Spatola? Un poeta? Un editore? Un performer? Un teorico della poesia? Tutto questo insieme e molto di più. Perché la sua esistenza è stata una continua esplorazione, un viaggio senza sosta ai confini del linguaggio.Le origini di una vocazione ribelle
Adriano Spatola nasce nel 1941 a Sapjane, nell’allora Italia orientale (oggi Croazia), in un’epoca segnata dalla guerra e dalle grandi trasformazioni politiche. La sua infanzia è segnata dal trasferimento in Emilia, una regione che diventerà il cuore pulsante della sua attività artistica e culturale.La sua prima formazione letteraria è legata alla poesia tradizionale, ma fin dall’inizio è evidente il suo desiderio di superare i confini della lirica classica. Già nei primi anni Sessanta il suo interesse si sposta verso le nuove avanguardie, e ben presto entra in contatto con alcuni dei più importanti esponenti del Gruppo 63, il movimento letterario che in quegli anni sta rivoluzionando la scrittura in Italia.
Ma Spatola non è un semplice seguace del movimento: la sua ricerca è personale, radicale, e va oltre le sperimentazioni degli altri autori del gruppo. Mentre molti si concentrano sulla decostruzione della narrazione e sulla sperimentazione sintattica, lui spinge la parola fino al limite della sua esistenza, trasformandola in immagine, suono, gesto.
Negli anni Sessanta pubblica le sue prime raccolte poetiche,
Le pietre e gli dei (1961) e L’ebreo negro (1966), in cui si avvertono già le tensioni linguistiche e la volontà di rompere con le strutture tradizionali. Ma è solo l’inizio di un percorso che lo porterà a ridefinire completamente il concetto stesso di poesia.Poesia concreta, visiva e sonora: la rivoluzione del linguaggio
La vera svolta nella poetica di Spatola arriva con la scoperta della poesia concreta e visiva, movimenti che negli anni Cinquanta e Sessanta stanno cambiando radicalmente il rapporto tra testo, immagine e suono. La poesia concreta abbandona la sintassi tradizionale e utilizza la disposizione grafica delle parole per creare nuovi significati. Non si tratta più di leggere un testo, ma di osservarlo, di interpretarlo come un’opera visiva. La poesia visiva, a sua volta, amplifica questa sperimentazione, mescolando parole, immagini, segni grafici in composizioni che sfidano ogni convenzione.Spatola abbraccia queste ricerche con entusiasmo, producendo opere come
Poesia da montare (1965) e Zeroglifico (1966), in cui il linguaggio viene smontato e ricostruito in forme inedite. Ma non si ferma qui. Il suo interesse si sposta progressivamente verso la poesia sonora, un genere in cui la voce diventa il principale strumento espressivo. Negli anni Settanta, partecipa a festival internazionali di poesia sonora, collaborando con artisti come Henri Chopin, Bob Cobbing e Bernard Heidsieck. Le sue performance sono esperienze totalizzanti: la voce si frammenta, si moltiplica, si sovrappone a effetti sonori, si trasforma in rumore, in ritmo, in puro suono.La sua è una poesia che si ascolta, che si percepisce fisicamente, che si espande nello spazio e coinvolge il pubblico in maniera diretta.
Geiger e Tam Tam: un’editoria fuori dagli schemi
Ma Spatola non è solo un poeta e un performer: è anche un instancabile promotore culturale. Nel 1968, insieme al fratello Maurizio, fonda le Edizioni Geiger, una casa editrice che diventa un punto di riferimento per la poesia sperimentale in Italia.
Geiger pubblica opere di autori radicali, organizza eventi, promuove nuove forme di espressione poetica. Accanto a questa attività, nel 1972 fonda
Tam Tam, una rivista che diventa presto una delle principali voci della poesia d’avanguardia in Europa.Nelle pagine di Tam Tam trovano spazio le più ardite sperimentazioni linguistiche, visive e sonore. La rivista diventa un laboratorio di idee, un punto di incontro per artisti, poeti, musicisti, performer.
Per Spatola, l’editoria non è un’attività commerciale, ma un’arma di rivoluzione culturale. Geiger e Tam Tam non sono semplici strumenti di diffusione, ma vere e proprie piattaforme di sperimentazione, luoghi in cui la poesia può reinventarsi continuamente.
La poesia come esperienza totale
Nel suo saggio Verso la poesia totale (1969), Spatola teorizza una concezione della poesia che supera ogni confine. Per lui, la poesia non deve più essere solo scritta, ma deve espandersi in tutte le direzioni: deve diventare immagine, suono, gesto, installazione, evento. Questa visione si concretizza in esperimenti come Parole sui muri, un’iniziativa organizzata a Fiumalbo nel 1967, in cui la poesia invade lo spazio urbano, trasformando la città in una grande installazione testuale.La sua è una poesia che rompe le barriere tra le arti, che si nutre della contaminazione con il teatro, con la musica, con le arti visive.
L’eredità di un rivoluzionario della parola
Negli anni Ottanta, il clima culturale cambia e la poesia sperimentale perde visibilità. Spatola continua a scrivere e a pubblicare, ma la sua posizione diventa sempre più marginale.Si spegne nel 1988, lasciando un’eredità che ancora oggi è oggetto di riscoperta.
La sua opera è un’esplosione continua, un cantiere aperto, un esperimento senza fine. Rileggerlo significa immergersi in un universo di possibilità linguistiche inesplorate, scoprire un poeta che ha sfidato ogni convenzione, che ha fatto della parola una materia viva, in perenne trasformazione.