domenica 11 maggio 2025

si inoltra


Si inoltra, quasi galleggiando su un pavimento di ombre, tra mura consunte che sembrano trattenere il respiro di generazioni dimenticate, piegandosi su se stesse, come pronte a sussurrare segreti troppo a lungo custoditi. E lui, l’eco di passi incerti e lievi, si inoltra in un recesso di polvere e fumo, là dove le luci si piegano, come dita, e il mondo – trattenuto in una quiete irreale – si dissolve, appena varca quella soglia, appena si lascia alle spalle la sicurezza del giorno, che ancora indugia, rassegnato, al di là della porta. Avanza, lui, con il passo greve di chi porta un fardello che non gli appartiene, eppure lo possiede – un lascito che sente nelle ossa, in quel peso che gli grava sul cuore come una verità taciuta, come un nome mai pronunciato.

È lì, fermo, appena stagliato contro l’oscurità che pare avanzare, una figura che si erge come un rito, che si offre, si dà in sacrificio a un’invocazione muta, che risuona, seppure appena percettibile, nelle pieghe profonde di quelle mura antiche – un’invocazione, o forse una domanda lasciata sospesa tra due mondi. E allora, in quell’istante in cui il suo sguardo si fonde con le ombre che lo circondano, egli sposa, come farebbe una silenziosa amante dimenticata, i medicamenti che si porta dietro, quasi fossero reliquie di una vita passata, di una verità arcaica che – forse – solo lui conosce, che solo lui osa ricordare, come una ferita nascosta che pulsa sotto la pelle.

L’aria, pesante, lo avvolge; è un’aria intrisa di miasmi e misteri, fatta di respiri trattenuti, di antichi sospiri che sembrano tessere una trama invisibile tra lui e un passato che ancora lo chiama. E allora, mentre un lieve tremito gli attraversa il volto, mentre il suo passo esita – un attimo – come sospeso in un’eterna incertezza, due squilli, vaghi e incerti come due mani che si sfiorano, echeggiano nell’aria, tracciano un filo invisibile che subito si dissolve, come il suono di un’orchestra perduta tra le pieghe della notte.

Ma lui rimane, sotto quella patina impolverata, con lo sguardo rivolto alle cose, a ciò che non si vede, e al contempo gli appare come una rivelazione intima, come un’epifania fragile e sfuggente. E sa, nel profondo del suo cuore – seppure non osa ancora ammetterlo a se stesso – che questa visita, questa ricerca incessante, è la sua sola, la sua unica, vera ragione. E allora resta, in quella solitudine gravida di senso, in quella oscurità che gli offre specchi e enigmi; resta, incatenato a quel progetto segreto, a quella verità silenziosa, e ogni cosa – ogni crepa, ogni ombra – sembra rispondere al suo richiamo, al richiamo di un’anima senza tregua, che vive nel mistero e nel dolore di ciò che non si può mai veramente possedere, se non nel riflesso eterno del proprio desiderio.