giovedì 26 giugno 2025

Fotografare persone trans nei bagni? No, non è “libertà d’espressione”. È un crimine.

Nel clima velenoso del dibattito sui diritti delle persone trans, un gesto gravissimo come l’istigazione a fotografare persone nei bagni viene talvolta mascherato da “libertà d’opinione”. Ma la legge parla chiaro: è una violazione della dignità e della privacy. E può essere un reato.

C’è qualcosa di profondamente inquietante nell’idea – anche solo ipotetica – che qualcuno possa istigare a fotografare persone transgender nei gabinetti pubblici per poi pubblicarne le immagini online. Eppure, nel clima tossico che circonda il dibattito sui diritti trans, questa fantasia persecutoria non è poi così distante dal linguaggio che circola sui social.
Vale la pena allora chiedersi: ma un’azione del genere, nel Regno Unito, sarebbe legale?

La risposta, in breve, è: assolutamente no. E non si tratta solo di una questione etica o morale (che sarebbe già sufficiente), ma di reati veri e propri. Gravi. Punibili anche con la reclusione.

Cominciamo da una cosa semplice: la privacy. Fotografare qualcuno dentro un bagno, in uno spazio dove ha tutto il diritto di sentirsi al sicuro, è una violazione enorme della sua intimità. Che sia una persona cis o trans non fa alcuna differenza: lì dentro, si è vulnerabili, e ogni immagine scattata senza consenso è una violenza. La legge britannica – anche se non parla di “privacy” in senso costituzionale – protegge questo diritto in modo molto netto. E se la foto viene poi pubblicata? Peggio ancora. Si aggiunge l’umiliazione pubblica al danno.

Ma non finisce qui. Perché se quella fotografia viene scattata con l’intento di colpire ina persona in quanto trans, si entra nel campo dell’incitamento all’odio. In Scozia, ad esempio, la legge lo dice chiaramente: fomentare odio verso le persone transgender può portare a sette anni di carcere. Anche in Inghilterra e Galles, esistono leggi che puniscono chi usa parole o azioni minacciose per seminare paura, disprezzo o rifiuto verso una persona per quello che è.

E poi c’è un altro aspetto: l’effetto molesto, ossessivo, persecutorio. L’invito a “stanare” persone trans nei bagni, a cercarle, a renderle bersaglio, rientra in ciò che il diritto chiama molestia o stalking. E non serve che avvenga su larga scala: basta che qualcuno, anche una sola persona, si senta ferita, spaventata, messa alla gogna.

In certi casi, se l’immagine è scattata con scopi degradanti o sessualmente umilianti, può addirittura configurarsi un reato a sfondo sessuale: voyeurismo, così lo chiama la legge. Perché usare il corpo di qualcun altro – senza consenso, in un momento di intimità – per soddisfare il proprio desiderio di controllo, di odio o di umiliazione, è una forma di abuso.

E non illudiamoci che farlo su internet renda tutto più “leggero”: con la nuova legge britannica sulla sicurezza online, anche le piattaforme hanno l’obbligo di intervenire. Se i contenuti restano online, rischiano multe salatissime. E chi li ha postati, o ha spinto altri a farlo, rischia il processo.

Tutto questo per dire cosa?

Che non esiste alcun diritto, alcuna “libertà d’espressione”, che protegga la violenza mascherata da opinione.
Che la dignità delle persone trans – nei bagni, nelle scuole, negli ospedali, ovunque – non è materia di dibattito.
Che fotografare, umiliare, esporre, molestare qualcuno per il solo fatto di essere chi è, non è uno sfortunato incidente del pensiero critico, ma un crimine. Punto.

Non serve scomodare grandi ideali. Bastano le leggi. E un po’ di decenza.