venerdì 22 novembre 2024

ALL'ORIZZONTE, IN ABITO ELEGANTE

Alato di desiderio, scopro tutto. L’aria nella stanza sembra farsi più pesante, come se la sua presenza avesse alterato le regole stesse della fisica. Il giovane è lì, in piedi accanto al camino, la postura rilassata ma gli occhi carichi di un’intensità inquietante. L’abito elegante che indossa è nero, perfetto, con un taglio che sembra disegnato per lui.

“Mi stai guardando?” chiede, senza voltarsi. La sua voce è calma, ma c’è una punta di sarcasmo che la rende affilata.
“Sei difficile da ignorare,” rispondo.

Si gira lentamente, un accenno di sorriso sul volto. “Ignorare è un’arte. E tu sembri poco dotato.” Si avvicina di qualche passo, fissandomi con insistenza. “Dimmi, cosa vedi?”

Esito. Non voglio sembrare banale. “Vedo… il modo in cui riempi la stanza. Come se fosse stata costruita per te.”
“Interessante,” mormora, inclinando leggermente il capo. “E cos’altro?”

“Vedo qualcuno che vuole essere guardato, ma odia essere scoperto.”

Il suo sorriso si allarga, ma non arriva agli occhi. “Forse hai ragione. O forse stai solo proiettando. Sai, la maggior parte delle persone non vede altro che ciò che vuole vedere.” Si allontana, dirigendosi verso la finestra. Il vetro riflette la sua figura, moltiplicandola in ombre che sembrano danzare.

“Ti stai nascondendo?” chiedo.

Si ferma. “Da cosa? O da chi?”
“Da tutto. Dal desiderio, dal tempo, da te stesso.”

Per un momento, sembra assorto. Poi scoppia in una risata, breve e tagliente. “Ti piace fare il poeta, vero? Ma non hai idea di chi o cosa io sia. Né di cosa io stia facendo qui.”

“E allora dimmelo,” ribatto.

Lui si volta di nuovo, il volto ora privo di espressione. “Sono qui per ricordarti qualcosa che hai dimenticato. O forse per farti dimenticare qualcosa che non dovresti ricordare.”

Le sue parole sono un enigma, un giardino di frasi che fioriscono e si dissolvono nell’aria come bolle d’ozono. “Verrò qui a tempo. Dei puri volti stanno bruciando. Mi preoccupo.”

“Che cosa significa?” chiedo, ma lui non risponde. Si sposta nuovamente, camminando lento, come un’ombra che sfugge alla luce.

Il tempo scorre, e lui scompare senza che me ne accorga. Resta solo l’aria fragrante della cena appena trascorsa.

Più tardi, quando la notte è già avanzata, lo rivedo. È seduto su una sedia vicino alla finestra, lo sguardo fisso sugli incendi all’orizzonte. Le fiamme danzano nel buio, sorde alle preghiere e alle offerte che nessuno osa fare.

“Cosa stai guardando?” chiedo, avvicinandomi.
“Quello che non puoi vedere,” risponde senza voltarsi.
“E sarebbe?”

Finalmente si gira, i suoi occhi più scuri di quanto ricordassi. “Il mondo come dovrebbe essere. Non come lo vediamo ora, ma come avrebbe dovuto essere. Guarda meglio, se ci riesci.”

Provo a fissare le fiamme, ma non vedo altro che distruzione. “Non vedo nulla di diverso,” confesso.
“Perché non sai guardare,” replica lui, con un tono che non lascia spazio a repliche.

Rimaniamo in silenzio per ore. Lui non parla, io non insisto. Poi, quando l’alba inizia a tingere il cielo, la voce di una donna interrompe il silenzio.

“Avrai freddo. Rincasa.”

La figura appare sulla soglia, un’ombra avvolta in uno scialle. Il giovane si alza con lentezza, come se stesse lasciando indietro qualcosa di importante.

“Chi è lei?” chiedo, ma non risponde. Si limita a guardarmi un’ultima volta, con un’espressione indecifrabile. Poi esce dalla stanza, seguito dalla donna.

Mi alzo, cercando di affacciarmi alla finestra per seguirli con lo sguardo, ma non c’è più nessuno. Solo l’orizzonte vuoto, e l’eco di parole che non riesco a dimenticare.