martedì 19 novembre 2024

appunti

Vivere in questa condizione significa portare sulle spalle un peso che cresce ogni giorno, una fatica che si rinnova incessantemente e non concede mai tregua. È un'esistenza in cui nulla, nemmeno il più piccolo gesto, nemmeno il più lieve respiro, può essere vissuto senza la consapevolezza di doverlo strappare al silenzio, alla resistenza ostinata di un mondo che sembra opporsi a ogni tentativo di essere o avere. Non c’è nulla che arrivi spontaneamente, nulla che si presenti come un dono: tutto dev’essere conquistato, tutto dev’essere guadagnato attraverso un processo infinito di lotte, di compromessi, di rinunce.

Il presente non è un rifugio, non è quel luogo stabile e fermo in cui ci si può fermare per sentirsi al sicuro. Al contrario, è un campo di battaglia perenne, un terreno scivoloso in cui ogni passo richiede un’attenzione spasmodica, una vigilanza che non può mai venire meno. Nulla è certo, nulla è garantito: ogni momento, per quanto insignificante possa sembrare, diventa un’occasione per combattere, per dimostrare di meritare anche le cose più basilari, quelle che dovrebbero essere scontate. Il cibo, il sonno, la pace interiore, persino l’illusione della felicità: tutto deve essere guadagnato con uno sforzo che sembra non finire mai.

E se il presente è un’arena in cui devo lottare incessantemente, il futuro appare come un orizzonte lontano e sfuggente, una promessa che non si realizza mai del tutto. Non è un luogo di possibilità, ma un percorso accidentato, pieno di insidie e ostacoli che sembrano moltiplicarsi proprio quando cerco di avvicinarmi. Non c’è nessuna strada sicura, nessun sentiero che si apra con chiarezza: ogni direzione richiede scelte difficili, decisioni che lasciano dietro di sé il rimpianto per ciò che è stato abbandonato. Il futuro è una terra inaccessibile, che si fa sempre più distante, sempre più irraggiungibile, man mano che tento di avanzare.

Eppure, il peso più grande non è nel presente né nel futuro, ma nel passato, in quel tempo che dovrebbe essere ormai concluso, definitivo, stabile, e che invece si rivela come una voragine, un abisso che devo continuamente colmare. Il passato, lungi dall’essere un rifugio, è un luogo incerto, fragile, che si sgretola sotto il peso dell’oblio e della mia stessa incapacità di trattenerlo. Ogni ricordo, ogni immagine, ogni momento che credevo al sicuro nella mia memoria si dissolve lentamente, sfuggendo al mio controllo, come se non fosse mai stato davvero mio.

Il passato non mi appartiene: è come una terra occupata, un bene che devo riconquistare giorno dopo giorno, frammento dopo frammento. Nulla è stabile, nulla è scolpito nella pietra: anche le memorie più care, quelle che dovrebbero essere incrollabili, si comportano come qualcosa di estraneo, di distante, che mi guarda da lontano e mi sfida a raggiungerlo. Ogni ricordo è un debito, un peso che devo portare con me, ma che richiede continuamente di essere riscattato, come se potesse essere perduto da un momento all’altro.

E così, mi trovo costretto a vivere in una dimensione di lotta perpetua, in cui tutto – il presente che tento di costruire, il futuro che inseguo, il passato che cerco di custodire – mi richiede uno sforzo incessante. Non c’è nulla di garantito, nulla che possa essere posseduto senza lotta. Anche ciò che ho già vissuto, ciò che dovrebbe essere immutabile, richiede una fatica costante per essere mantenuto vivo, per non dissolversi in quel vuoto che sembra inghiottire ogni cosa.

La memoria diventa un campo di battaglia, un luogo in cui devo combattere contro l’oblio, contro il tempo, contro la mia stessa vulnerabilità. È un lavoro senza fine, una costruzione che non può mai dirsi completata, una lotta che mi tiene sveglio la notte, consapevole che ogni giorno perdo qualcosa, che ogni giorno devo faticare per non lasciarmi sfuggire ciò che mi definisce. E in questa fatica, che si rinnova senza tregua, mi accorgo che non sto solo cercando di vivere: sto cercando di esistere, di non essere dimenticato, di non dimenticarmi di me stesso. È una lotta per rimanere intero, per non cedere alla frammentazione, alla dispersione, a quel silenzio che minaccia di avvolgere tutto ciò che sono stato e tutto ciò che sono.