L'orrore della vecchiaia non è nello sgretolarsi della carne, nelle mani che si fanno ossa fragili e nelle rughe che solcano il volto come crepe su una maschera abbandonata. È nella maledizione di un’anima che arde ancora, intrappolata in un corpo che diventa giorno dopo giorno la sua prigione, una tomba che si chiude lentamente, senza scampo. È come un cuore incatenato, che batte forte e cieco contro il soffitto della propria miseria, sognando di correre, di amare, di vivere ancora – mentre fuori la vita scorre con una crudeltà che pare quasi godere del mio isolamento.
Sto qui, alla finestra, un voyeur impotente che osserva il mondo come un naufrago condannato a vedere la riva senza mai poterla toccare. Le persone passano, ridono, amano, e ogni loro passo è un colpo all'anima, un promemoria che quel mondo non mi appartiene più. Sono un’ombra alla deriva in una terra che mi è straniera, dove i colori sono sbiaditi e le risate sono vuote. La giovinezza è un ricordo che tormenta come un amante che ha tradito e abbandonato, e io rimango qui, un re spodestato dal regno che un tempo credevo eterno.
La vera tragedia è questo desiderio che brucia nel petto, come un veleno dolce e insopportabile. È la beffa di un corpo che si consuma mentre l’anima resta ingorda, avida di ciò che non potrà mai più avere. Ogni volto che passa è una promessa mancata, ogni sussurro una lacerazione, una piaga aperta che non conoscerà guarigione. Sono costretto a desiderare il mondo come un mendicante che prega invano alla porta chiusa della vita, un prigioniero che non ha più nemmeno il coraggio di sperare nella libertà.
E così resto qui, in questo limbo, sospeso tra il ricordo e la sconfitta. La bellezza stessa, un tempo mia musa e mia amante, è diventata una carnefice, una visione crudele che si dilegua appena provo a sfiorarla. Ogni sogno si spegne, ogni ricordo si fa polvere, e io resto a guardare il mondo come un’anima smarrita nell'inferno, sapendo che non ci sarà redenzione, che questo desiderio eterno è la mia condanna.