mercoledì 20 novembre 2024

Se bastò un così misero... (incipit)


Se bastò un così misero e insidioso baluginare di pensieri, una scintilla ardente, per condurre gli angeli ribelli a mutare il loro ardore di adorazione e umiltà in un infuocato rogo di superbia e di rivolta, cosa mai si potrebbe dire, o mai direi, di un essere umano, fragile e dissoluto come un petalo di rosa avvizzito, sospeso in un vento inesorabile che annienta ogni dolcezza? Ah, l’uomo! Questa creatura inquieta, vagabonda tra le fiamme della sua stessa anima, avvolta in una spirale di passioni che bruciano come torce nel buio dell’inferno, sempre in bilico tra il sublime e l’abietto, tra l’anelito alla luce e la tentazione delle tenebre, è un mistero profondo come le acque oscure dell’oltretomba, una contraddizione vivente che riecheggia i lamenti delle anime dannate.

Ecco, ora lo sai, fu questo pensiero, tanto semplice quanto devastante, che mi colse nel corso delle mie inquisizioni, come un fulmine infernale a ciel sereno, incenerendo ogni mia certezza e lasciandomi solo con il barlume di una verità inafferrabile. Fu per questo, per il peso insostenibile di questa consapevolezza, che rinunciai a quell’attività, quel compito di scrutare nell’animo umano, di scavare nei suoi abissi più oscuri, per svelare le magagne e le miserie dei malvagi, perché scoprii, con orrore e stupore, che le loro debolezze, quei vizi putridi che si annidano nell'oscurità del cuore, sono le stesse, identiche, di coloro che consideriamo santi, eletti, puri, come fiammelle tremolanti minacciate da un vento impetuoso.

Questa rivelazione, come un fendente di fuoco che squarcia le tenebre, mi portò a riflettere: qual è la vera natura dell’uomo? Se i malvagi, nel loro abbraccio con l'oscurità, non sono altro che l’eco distorta delle virtù che nel profondo ardono nel cuore dei giusti, chi sono io, allora, per erigere un tribunale? Così, nella mia ritirata da questo campo di battaglia invisibile, abbandonai le spade e gli scudi di una ricerca che appariva sempre più futile e avventata, poiché, in fondo, ogni anima è un labirinto di contraddizioni, un palcoscenico di vizi e virtù, e io, umile spettatore, non avevo alcun diritto di emettere sentenze in mezzo a tale complessità.

E in questo abbandono, in questa resa consapevole, scoprì la bellezza oscura, la dolcezza avvelenata e la miseria del nostro essere, l’eterna danza tra luce e ombra, tra estasi e tormento, che caratterizza la condizione umana, un viaggio che non può e non deve essere etichettato, ma solo vissuto, in tutta la sua imperfezione, come una poesia infernale che continua a scriversi, pagina dopo pagina, nel silenzio del nostro animo in tumulto, dove ogni parola è un eco di fuoco, ogni silenzio un abisso profondo.