domenica 13 aprile 2025

Il futuro riflesso nel passato: Jared Diamond e le lezioni del collasso

Cosa succede quando una società ignora i segnali di allarme del proprio ambiente? Jared Diamond, nel suo poderoso saggio "Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere", pubblicato in Italia da Einaudi nel 2005, affronta questa domanda con la meticolosità dello scienziato e il respiro ampio dello storico delle civiltà. Il suo approccio non è quello dell’allarmista, ma piuttosto quello dell’anatomopatologo del passato: seziona con attenzione, compara con rigore, osserva la storia come un medico osserva un corpo malato per comprendere i sintomi prima del tracollo. E lo fa con un intento preciso: mostrarci che i fallimenti del passato non sono reliquie lontane e irripetibili, ma modelli ricorrenti, specchi in cui potremmo riconoscerci.

Il libro si apre con una serie di studi di caso che sono vere e proprie parabole tragiche. L’Isola di Pasqua è forse la più celebre tra queste: una comunità umana isolata nell’Oceano Pacifico che, secondo l’analisi di Diamond, avrebbe vissuto una sorta di suicidio ecologico. Gli abitanti, spinti da motivazioni religiose e sociali, avrebbero abbattuto ogni albero per erigere i loro enormi moai, finendo per distruggere la base stessa della loro sopravvivenza. Nessuna barca per fuggire, nessuna legna per scaldarsi, nessun albero da frutto per nutrirsi: un’economia al collasso e una popolazione ridotta alla fame, in un paesaggio lunare. E se questa storia può sembrare un’eccezione estrema, Diamond ci mostra che essa condivide molti tratti con altri collassi.

Nel mondo precolombiano, i Maya conobbero una caduta simile: la loro straordinaria civiltà, ricca di conoscenze astronomiche e architetture monumentali, si sgretolò progressivamente, secondo Diamond, per una serie di fattori concatenati. Deforestazione, sovrappopolazione, siccità e guerre intestine: il tutto accompagnato dall’incapacità delle élite di cambiare rotta. A nulla servirono i templi sempre più grandi: quando la terra smette di nutrire, nessun dio può garantire la sopravvivenza.

Passiamo poi alle colonie vichinghe della Groenlandia, una delle storie più emblematiche raccontate nel libro. Qui, l’ostinazione culturale si rivela letale. I norreni, arrivati dalla Scandinavia, tentano di replicare i modelli agricoli e sociali della madrepatria in un ambiente ostile, ignorando le pratiche più sostenibili delle popolazioni indigene inuit. Rifiutano il pesce, privilegiano il bestiame, consumano il suolo fragile. Alla fine, il ghiaccio li seppellisce. La lezione? Le culture non sempre sono capaci di adattarsi: a volte, preferiscono morire piuttosto che cambiare.

Ma Collasso non è solo un libro sulla preistoria o sulle civiltà antiche: Diamond ci conduce con passo sicuro anche nel presente. Il Ruanda e il genocidio del 1994 vengono riletti alla luce della pressione demografica su un territorio limitato e già impoverito: un’esplosione di violenza dove la tensione etnica fu esasperata da una lotta per la sopravvivenza materiale. Similmente, il confronto tra Haiti e la Repubblica Dominicana — due nazioni che condividono lo stesso spazio geografico — mette in luce quanto le scelte ambientali e politiche possano influire in modo decisivo sul destino di un popolo. Mentre Haiti ha assistito a una deforestazione catastrofica e a un impoverimento cronico, la Repubblica Dominicana ha saputo preservare, almeno in parte, le proprie risorse.

Non mancano poi i riferimenti all’Australia, un continente fragile dal punto di vista ecologico, e alla Cina, dove l’inquinamento e la gestione delle risorse pongono sfide enormi per il futuro. L’invito di Diamond è chiaro: il disastro non è qualcosa che accade, è qualcosa che si sceglie, spesso inconsciamente, per inazione o per cieca fedeltà a modelli culturali inadeguati.

Nel cuore del libro c’è un modello teorico che Diamond propone con lucidità: cinque fattori chiave che possono determinare il destino di una società. Innanzitutto, i danni ambientali causati dall’uomo, come deforestazione, erosione, perdita di biodiversità. Poi, i cambiamenti climatici, spesso congiunti ai primi. Terzo, le relazioni ostili con le società vicine (guerre, conflitti, colonialismo). Quarto, le relazioni amichevoli, che possono diventare dipendenze pericolose (come l’importazione di beni vitali). Infine, il quinto e più imprevedibile fattore: la risposta culturale, ovvero la capacità — o l’incapacità — di una società di cambiare i propri valori, le proprie strutture e il proprio stile di vita di fronte a una crisi. Ed è qui che si gioca tutto: perché se i primi quattro fattori possono essere parzialmente subiti, il quinto è una scelta.

Diamond non si limita a descrivere, ma giudica. Non in senso moralistico, bensì nella misura in cui mostra come l’intelligenza collettiva — o la sua assenza — può condurre verso la catastrofe o verso la salvezza. Alcune società hanno saputo riorientarsi: un esempio positivo è la gestione ambientale del Giappone feudale, che ha saputo regolare l’uso delle foreste per evitare il collasso. Altre invece, come quelle già citate, si sono dimostrate incapaci di mettere in discussione se stesse.

Il tono del libro è discorsivo, ma sostenuto da una mole impressionante di dati, fonti archeologiche, testimonianze, grafici e mappe. Diamond scrive come un professore appassionato che cerca di spiegare ai suoi studenti perché la materia è urgente. E la materia è la sopravvivenza. Non solo degli alberi, delle acque o delle città, ma del concetto stesso di civiltà.

Collasso non è privo di critiche: alcuni studiosi lo hanno accusato di appiattire la complessità storica in schemi troppo lineari o deterministici. In particolare, il caso dell’Isola di Pasqua è stato messo in discussione da nuove letture archeologiche che minimizzano il ruolo dell’autodistruzione e sottolineano invece l’impatto delle malattie e della colonizzazione europea. Ma Diamond non si presenta come l’arbitro assoluto della verità: il suo è un invito al confronto, al dibattito, alla presa di coscienza.

Leggere Collasso oggi, in un’epoca in cui il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti e i limiti del pianeta diventano ogni giorno più evidenti, è come ascoltare un ammonimento antico e attuale insieme. Le civiltà muoiono non quando vengono sconfitte, ma quando smettono di ascoltare. Smettono di cambiare. Smettono di imparare.

E noi? Quale strada sceglieremo?