martedì 29 aprile 2025

Cani d'amore (una riscrittura)

Prefazione: Perché scegliere l’endecasillabo oggi

L’endecasillabo, un verso che ha attraversato secoli di tradizione poetica, continua a mantenere una presenza viva nella poesia contemporanea, anche se, a prima vista, potrebbe sembrare un'arte del passato, anacronistica rispetto al ritmo frenetico e alla comunicazione immediata dei nostri tempi. Tuttavia, scegliere di scrivere in endecasillabo oggi non è un atto di conservazione nostalgica, ma una decisione fondata su precise ragioni tecniche e stilistiche che rispondono a esigenze artistiche particolari. Il suo utilizzo richiede una padronanza del verso e una capacità di manipolare la lingua che non si trova facilmente in altre forme poetiche, più libere e meno strutturate.

L’endecasillabo è un verso composto da undici sillabe metriche, suddiviso in una successione di dieci accenti ritmici con una cesura, o pausa, che ne segmenta il flusso. La sua struttura fonetica e metrica è uno degli aspetti che più lo distingue da altre forme poetiche moderne. La sua regolarità consente al poeta di giocare con i ritmi in modo preciso e ricercato, senza però rinunciare a quella flessibilità che lo rende adatto a una varietà di temi e registri. L’accento tonico che ricorre a intervalli regolari permette al poeta di dosare le pause e gli accenti, creando effetti sonori e ritmici che sono fondamentali per la musicalità del testo.

La prima caratteristica tecnica che emerge nell’endecasillabo è la sua "potenza espressiva" derivante dalla sua capacità di bilanciare l'armonia e la tensione. A differenza di un verso più breve, che tende ad arrivare rapidamente al suo punto culminante, l’endecasillabo offre uno spazio di respiro maggiore, un ampio margine in cui il pensiero può muoversi con maggiore libertà. La lunghezza e la cadenza dell’endecasillabo consentono al poeta di sviluppare una riflessione più articolata, con un’alternanza di pause e movimenti che richiedono una comprensione profonda della struttura metrica. Ogni sillaba, ogni accento, ha un peso specifico che influisce sulla sensazione ritmica e sonora del verso, costringendo chi scrive a scegliere con attenzione ogni parola.

Da un punto di vista tecnico, l’endecasillabo è un verso che offre un ampio margine per la modulazione del ritmo, pur mantenendo una solida struttura. Esso consente una notevole varietà nelle combinazioni di accenti, grazie alla sua flessibilità nelle assonanze e nelle consonanze, nelle rime e nelle enjambements. Inoltre, la possibilità di spostare la cesura in vari punti del verso fornisce un ulteriore strumento di espressione, permettendo al poeta di variare l'intensità emotiva e di creare effetti di rottura, di sorpresa o di continuità.

Il ritorno all’endecasillabo può essere visto anche come una risposta alla frammentazione e alla velocità della comunicazione odierna, che spesso tende a diluire il significato per adattarsi alla rapidità della fruizione. In un'epoca dominata dal digitale e dalla comunicazione rapida, l’adozione di un verso che richiede un impegno tecnico e mentale maggiore risponde a una necessità di contrasto con la superficialità della cultura massificata. Scrivere in endecasillabi è, in qualche modo, un atto di resistenza contro la diluizione del pensiero e contro il predominio di un linguaggio che sembra sempre più orientato a semplificare e a ridurre la complessità.

Un altro motivo che giustifica la scelta dell’endecasillabo è la sua continuità con la tradizione poetica italiana, che risale alle origini della letteratura nazionale. Sin dal Decameron di Boccaccio, l’endecasillabo è stato il metro prediletto per la poesia lirica e narrativa. Nonostante le sue origini classiche, il verso ha mostrato una straordinaria capacità di adattamento alle varie epoche e alle diverse estetiche. Dalle rime dolci di Petrarca alla forza drammatica di Ludovico Ariosto, passando per la sonorità barocca di Torquato Tasso, l’endecasillabo ha saputo evolversi senza mai perdere la sua essenza. Oggi, in un contesto in cui la poesia è spesso dominata dalla versatilità del verso libero, scegliere l’endecasillabo rappresenta un modo di accostarsi alla tradizione poetica con la consapevolezza che essa non è mai un vincolo, ma una risorsa.

Inoltre, la scelta dell’endecasillabo è, in molti casi, una risposta alle esigenze espressive di una poesia che vuole essere ancora legata alla forza del verso metrico, ma al contempo aperta alla sperimentazione. Molti poeti contemporanei utilizzano l’endecasillabo per sfidare la sua rigidità, per esplorare i suoi limiti e per metterne in evidenza la capacità di dare vita a una poesia viva e innovativa. In questo senso, l'endecasillabo non è solo una forma, ma uno strumento attraverso il quale il poeta può confrontarsi con la tradizione e con l'innovazione. Un campo di tensione in cui l’esigenza di rispetto per una forma precisa si mescola con la spinta verso l'espressione individuale e moderna.

In sintesi, scegliere l’endecasillabo oggi non è solo una questione stilistica o formale, ma una scelta consapevole di come approcciarsi al linguaggio poetico. È una sfida che implica una grande responsabilità, perché scrivere in endecasillabo significa prendersi il tempo di riflettere, di mettere in atto una ricerca ritmica e sonora, di confrontarsi con un ordine metrico che esige una disciplina. Ma è anche un'opportunità per restituire al verso la sua profondità, per esplorare quel delicato equilibrio tra forma e contenuto, tra rigore e libertà, che ha fatto dell’endecasillabo uno dei versi più affascinanti e duraturi della tradizione poetica mondiale.


L'efficacia dell'endecasillabo nei testi che ho prodotto è, a mio avviso, una questione che merita una riflessione più cauta. Da un lato, l'endecasillabo è una forma che, storicamente, ha offerto grande potenza espressiva e che ha saputo raccogliere, nelle sue righe, i temi più alti e drammatici della tradizione poetica. Ma, dall'altro, c'è sempre un margine di incertezza, soprattutto oggi, nel suo uso.

1. Musicalità e ritmo: L’endecasillabo, con la sua cadenza regolare, riesce senza dubbio a conferire una certa musicalità al testo, ed è stato un aspetto che ho tentato di sfruttare per creare un ritmo fluido che accompagnasse il lettore attraverso le immagini evocative e i temi trattati. Tuttavia, non posso fare a meno di chiedermi se questa musicalità non rischi, a volte, di risultare troppo artefatta o prevedibile. La regolarità del verso, che spesso dovrebbe essere un punto di forza, potrebbe anche diventare un limite, riducendo la libertà espressiva del poeta. L’armonia ritmica, in altre parole, potrebbe non riuscire sempre a trasmettere l’intensità emotiva che vorrei, soprattutto quando il tema trattato è intrinsecamente caotico o irregolare.

2. Profondità emotiva e riflessiva: L'endecasillabo ha un grande potenziale nel dare una struttura ordinata a pensieri complessi, ma la domanda che mi pongo è se questa struttura non finisca per limitare la profondità delle riflessioni stesse. Nei testi in cui ho cercato di esplorare temi esistenziali e dolorosi, il verso lungo e ritmato a volte sembra farsi quasi troppo cadenzato, come se impedisse alla disperazione o all'incertezza di manifestarsi con tutta la loro forza. Il rischio, forse, è che la tensione emotiva venga “addomesticata” dalla forma troppo perfetta del verso, una forma che, pur essendo intrinsecamente potente, potrebbe non essere sempre adatta a esprimere il caos o la frammentazione del vissuto.

3. Connessione con la tradizione poetica: Il richiamo alla tradizione dell'endecasillabo è indubbiamente una scelta consapevole, ma mi chiedo se oggi questa scelta non possa apparire, a volte, come un'eco lontana, una forma troppo legata al passato per poter davvero parlare al lettore contemporaneo. Il rischio che vedo nell'uso di una forma così radicata nella nostra tradizione è che il suo impatto emotivo possa venire percepito come qualcosa di “già visto”, che non riesce a toccare le corde più intime della sensibilità odierna. La forza storica dell’endecasillabo, seppur evidente, potrebbe essere, in alcuni casi, troppo pesante da portare, quasi come se il poeta fosse costretto a vestirsi di un abito che non gli appartiene più.

4. Rigidità contro libertà: Il dualismo tra la rigidità della forma metrica e la libertà espressiva del poeta è uno degli aspetti più affascinanti dell’endecasillabo, ma anche il più problematico. Se da un lato la struttura dell'endecasillabo offre un terreno sicuro, su cui costruire con precisione le proprie immagini e riflessioni, dall'altro, la sua rigidità può sembrare talvolta una gabbia, che costringe l’autore a rispettare una forma che non sempre si adatta ai contenuti. Eppure, mi domando se non sia proprio questa tensione a rendere il verso interessante. Se però questa tensione diventa troppo forte, rischia di minare la fluidità del discorso poetico. La libertà espressiva che si può cercare, paradossalmente, potrebbe essere ostacolata dalla stessa struttura che inizialmente sembra facilitare la composizione.

5. Impatto visivo e strutturale: L'aspetto visivo dell'endecasillabo, la sua capacità di formare un testo ordinato e armonioso, è senza dubbio uno degli elementi che più contribuisce all'efficacia della forma. Ma a volte mi chiedo se la regolarità del verso non finisca per appiattire, in qualche modo, l'esperienza del lettore. Ogni verso in endecasillabo tende ad avere una forma definita, una lunghezza che non permette di variare troppo il ritmo. In un certo senso, la sua prevedibilità potrebbe annullare l'effetto sorpresa che altre forme più libere di poesia potrebbero generare. Non è che, a volte, l'effetto visivo, benché esteticamente equilibrato, diventi eccessivamente “preparato”, senza spazio per la dissonanza o per l’imprevedibilità che caratterizzano la realtà stessa?

Conclusione: In sintesi, credo che l'endecasillabo, pur rimanendo una delle forme più prestigiose e affascinanti della poesia italiana, non sia sempre la scelta più adatta per ogni tipo di contenuto. Mentre offre sicuramente una grande musicalità e una certa eleganza nella composizione, la sua struttura metrica potrebbe risultare, in alcuni casi, limitante. È una forma che si presta bene a contenuti che richiedono una certa solennità e profondità, ma, nel contesto di temi più disgregati o in tensione, può apparire come una prigione piuttosto che una libertà. Pertanto, pur riconoscendone il valore e l’efficacia, la domanda che rimane aperta è se l’endecasillabo, nella sua tradizione e rigidità, sia ancora in grado di rispondere pienamente alle esigenze della poesia contemporanea.


Là dove il fiume specchia i suoi cristalli,
nel gelo eterno di tempi lontani,
si piega il cuore e il corpo ormai stanco,
sprofonda nell’oblio, come pietra.
L’acqua, che sa di morte e di rinascita,
porta con sé i sospiri degli amanti,
gli echi di voci che non trovano pace,
e delle ombre che si allungano al buio.
Nel freddo assoluto della vita,
il vento è lamento, respiro smarrito,
e l’anima si dissolve nel nulla,
come sogno che svanisce nel fumo.

E mentre il tempo, con mani invisibili,
carezza il viso dei condannati,
nel fuoco spento rifugian i ricordi
che si sciolgono come cera rotta.
Oh fiori che appassiscono senza nome,
in giardini senza più fiori né luce,
fatevi coraggio! Baciando la morte,
portate via con voi la vergogna!
Là, dove ogni promessa è solo inganno
e ogni speranza svanisce nel vento,
la carne nostra è solo polvere vana,
e le voci si perdono nel mare.

Eppure, ogni notte, la luna ritorna
a gettar la sua luce fredda e opaca
sui corpi morti che non hanno sogni.
Un passo avanti, uno dietro, il cammino
si risolve nella sabbia che scivola,
come promessa che non si è mai compiuta.
Dove sono le stelle, dove i sogni?
La mia carne urla il silenzio profondo,
e il mio corpo, stanco, cerca rifugio,
è solo un'ombra che perisce nel buio.

Oh morte che arriva come una carezza!
Oh vita che si riflette nel dolore!
Tutti i giorni schiavi del cielo amaro,
che siede in silenzio sopra le nostre teste.
Le mani del destino giocano con il fumo,
e il cuore, incapace di battere, tace.
Quanto è grande la sofferenza umana!
In ogni angolo della terra, una ferita.
Il nostro cuore è campo di battaglia,
dove non c’è pace, ma solo l’eco.

Eppure, il cammino non si ferma mai,
ancora il passo si alza verso il cielo
come uccello che ignora la sua sorte,
e ogni respiro è fumo che si alza
verso una luce che non ci abbraccia.
Ogni parola è una promessa infranta,
ogni sguardo un inganno che ci sfiora.
Nel giardino dove tutto muore,
le ombre danzano in un balletto macabro.
Chi è il nostro dio, se non il silenzio?
Chi ci guiderà, se non la sofferenza?

Là, nel buio, il cuore si riempie di stelle,
ma quelle stelle sono false, bugie,
e la luce che vediamo è la fine
di un sogno che non è mai stato nostro.
Ogni notte è una tomba che ci accoglie,
ogni giorno è un’altra prigione stretta.
Eppure sotto terra tutto cresce,
in un ciclo che non ha fine, né scopo.
Il sangue è la linfa d’albero morto,
eppure cresce e cresce, inesorabile.

Così, nel profondo, la mente si spegne,
e l’anima vaga senza più direzione.
I ricordi sono frammenti di vetro,
e il dolore è una coperta che ci avvolge.
Ogni respiro è parola non detta,
ogni passo è un segno che non rimarrà.
Siamo schiavi di noi stessi, ma liberi
di perderci in un labirinto senza uscita.
Il nostro cammino è di chi sa che non c’è
ritorno, eppur continua a camminare.

Là, oltre l’orizzonte, il cielo è abisso,
un nero che inghiotte ogni speranza.
Le stelle che brillano sono bugie,
lampo di un inganno che ci strazia il cuore.
Siamo viandanti, spettatori della morte,
con il cuore che grida senza voce.
Il mondo gira, e la vita si frantuma,
mentre il vento ci porta via, lontano.

Oh, quanto è lunga la notte senza stelle!
Oh, quanto è pesante il silenzio di chi soffre!
Eppure, alla fine, il nostro cuore è grido
che attraversa l’infinito senza fine.
Ogni passo ci allontana da noi stessi,
ogni respiro ci fa più vicini alla fine.
Siamo prigionieri di un sogno che non esiste,
e il nostro corpo è solo gabbia che trattiene.

Eppure, in questa fine senza speranza,
c’è un’eco di bellezza che ci tradisce.
È la bellezza di un fiore che sfiorisce,
il riflesso di un volto che non ci guarda.
Ogni sguardo che perdiamo è una morte,
ogni bacio un addio che non pronunciamo.
Nonostante il buio che ci consuma,
continuiamo a cercar la luce che non c’è.

Così, la morte diventa carezza,
incontro con l’eternità che non vogliamo.
Ogni passo è addio che non sappiamo,
ogni respiro un ricordo che svanisce.
La vita è eterno gioco di luci,
un tormento che non si spegne mai,
e mentre l’ombra stende sulle mani,
noi viviamo come se nulla fosse.

Oh, quanto è vano tutto questo,
quanto inutile cercar un senso.
La bellezza è nell’inganno che ci guida,
come una fiamma che brucia senza scopo.
Eppure il nostro cuore non smette di battere,
vive di quella stessa illusione
che ci condanna e ci salva senza fine,
in eterno gioco di luce e ombra.



Postfazione

Quando mi fermo a riflettere su ciò che ho scritto, la sensazione che provo non è tanto quella di avere raggiunto una verità definitiva, quanto quella di essere ancora nel mezzo di un percorso che non sembra avere una fine chiara, né una direzione sicura. Ogni parola che ho scritto sembra spingere altre parole fuori dalla sua orbita, come se fossero vagabonde, alla ricerca di un posto dove stabilirsi, ma mai davvero in grado di trovarlo. Non sono certo che queste parole rappresentino un cammino concluso. Forse non hanno nemmeno la pretesa di esserlo. O forse, e questo è forse più probabile, cercano di affermare la propria inadeguatezza, il proprio limbo, più che una verità che si possa definire. È come se ogni verso che ho scritto mi stesse dicendo: «Cerca pure, ma non troverai mai davvero ciò che pensi di cercare». Eppure, non posso fare a meno di scrivere. Eppure, non posso fare a meno di provare a metterle in fila, una dopo l’altra, come se potessero, in qualche modo, dare forma a qualcosa di inafferrabile.

Il ritmo dell’endecasillabo mi ha sempre suggerito qualcosa di distante dalla fretta, un movimento che non porta necessariamente verso un obiettivo, ma che scandisce un passo lento, ripetitivo, come un cammino che si svolge senza una meta chiara, ma con una presenza quasi ipnotica. Il suono di questi versi, che si ripete, quasi come una preghiera, mi porta a credere che il vero movimento non sia verso un punto da raggiungere, ma verso un vuoto che si allarga sempre di più. Non sono sicuro che in questa ripetizione si nasconda un senso. Forse, si nasconde solo il tentativo di darne uno, ma il tentativo stesso sembra svanire non appena cerco di aggrapparmici. In fondo, ogni parola che pronunciamo è forse solo una continua illusione di controllo, un atto di fede in qualcosa che forse non esiste affatto. Ma, nonostante tutto, continuiamo a cercare. Perché, forse, solo nel tentativo di cercare si nasconde il nostro essere vivi.

Eppure, ciò che mi spinge a scrivere è il dubbio, il continuo interrogarsi sulla natura della nostra esistenza. Ho voluto che la morte, in queste righe, fosse qualcosa di sfuggente, quasi di amorfo, come una carezza che non possiamo davvero afferrare, ma che ci sfiora solo in momenti di estrema vulnerabilità. La morte che accoglie, che sembra essere quasi una madre, è un concetto che ho voluto esplorare senza risposte, con la consapevolezza che il nostro incontro con essa, forse, non è mai quello che immaginiamo. Potremmo, forse, chiedere se la morte non sia un altro volto della vita stessa, una presenza che ci osserva in ogni istante, ma che non possiamo vedere. E se, in fondo, fosse proprio la sua invisibilità, il suo non esserci, a conferire alla nostra esistenza quella forza segreta che ci spinge a cercare, a esistere nonostante tutto?

E poi c'è il tema della bellezza. Ma anche qui, mi trovo in difficoltà. La bellezza che cerco di descrivere nelle mie poesie non è quella che ci aspettiamo, ma piuttosto quella che sfugge ai nostri occhi. Non una bellezza che possiamo possedere, ma una bellezza che, come un sogno, ci sfiora appena e poi svanisce. È come se questa bellezza fosse un miraggio che ci viene mostrato per un istante, solo per farci capire che non lo possiamo afferrare. E forse è proprio in questa sua inafferrabilità che risiede il suo potere, il suo fascino. Ma anche questo, sono costretto a dirlo, è solo un’ipotesi, una riflessione che non è mai certa. Potrebbe darsi che la bellezza non esista affatto, o che esista solo nel nostro desiderio di trovarla, in una continua ricerca che non porta mai a un compimento. Potremmo non vedere nulla, in realtà, eppure continueremmo a guardare. È questo il nostro destino?

Nel momento in cui rifletto sul tempo, mi rendo conto che anche il tempo che scorre sembra essere solo una proiezione, una costruzione della nostra mente. Non sono sicuro che il tempo esista davvero. Forse è solo una misura che abbiamo inventato per cercare di ordinare il caos della nostra esistenza. Eppure, ci sembra di sentire la sua presenza in ogni passo, in ogni battito del cuore. Ma chi siamo noi per definire il tempo? E se fosse tutto relativo, come suggerisce la fisica, o se fosse un’illusione come il miraggio della bellezza, la sua apparizione fugace? Non lo so. Ma nonostante questo, continuo a scrivere, e mi sembra che il tempo sia proprio lì, nelle parole, che si susseguono una dopo l’altra, come se, in qualche modo, fossero legate a un filo invisibile che non riesco a vedere.

Questa tensione tra il cercare un senso e l’accettare che un senso non arrivi mai è ciò che mi ha spinto a scrivere. Non c’è certezza, non c’è una fine, e non sono nemmeno certo che ci sia una verità assoluta. Ma ciò che mi resta, e che mi spinge a continuare, è proprio questo spazio vuoto, questo punto interrogativo che permane. Forse non dovremmo cercare risposte, forse la domanda è tutto ciò che ci rimane. In fondo, siamo forse condannati a vivere in una costante ricerca senza meta, un cammino che si svolge nel buio, ma che, nonostante tutto, continuiamo a percorrere. Forse è proprio nel buio che si nasconde la nostra libertà: la libertà di non sapere, di non capire, di non afferrare mai il senso, ma di andare avanti comunque, verso l'ignoto.

Il cammino, in fondo, è l’unica cosa che conta. Non importa se non arriveremo mai a una risposta. Forse non siamo destinati a trovarla, o forse la risposta non esiste nemmeno. Ma camminiamo, sempre camminiamo. Ogni parola scritta è un passo nel buio, ma è anche un atto di speranza. Non so cosa troverò alla fine di questo cammino, ma so che continuare a camminare è l’unica cosa che posso fare. E forse, in questo, risiede l’unica verità che posso condividere: che non c’è una verità, ma solo il cammino, senza fine, senza meta, ma sempre, eppure, in qualche modo, nostro.