"La sindrome di Ræbenson", opera prima di Giuseppe Quaranta, è un romanzo che sfugge alle definizioni canoniche e si colloca in un territorio di confine tra il thriller psicologico, la narrativa filosofica e la speculazione scientifica.
Finalista alla XXXVI Edizione del Premio Italo Calvino e pubblicato da Blu Atlantide nel novembre 2023, il romanzo ha subito attratto l’attenzione per il suo stile raffinato e la profondità delle sue tematiche, affrontando questioni esistenziali e scientifiche con un’inquietudine quasi palpabile.
Giuseppe Quaranta, psichiatra e scrittore, mette al servizio della narrazione la sua esperienza clinica e una sensibilità letteraria che richiama autori come Borges, Nabokov e Sebald. Il risultato è un’opera che interroga il lettore sui limiti della conoscenza, della memoria e della percezione, trasportandolo in un viaggio perturbante attraverso il labirinto della mente umana.
La vicenda ruota attorno a un concetto che oscilla tra la scienza e il mito: la sindrome di Ræbenson, una patologia oscura e mai riconosciuta ufficialmente, che porterebbe chi ne è affetto a una condizione di esistenza eterna. Non un’immortalità gloriosa, ma una maledizione: il progressivo dissolversi della coscienza, il corpo che continua a vivere mentre l’identità svanisce in un’ombra senza nome.
Attraverso una narrazione stratificata, fatta di documenti enigmatici, testimonianze ambigue e un protagonista sempre più instabile, Quaranta costruisce un’opera che interroga i confini tra follia e verità, tra percezione e realtà, tra vita e morte.
Antonio Deltito: la discesa nell’incubo di un uomo razionale
Antonio Deltito, psichiatra quarantenne, è un uomo di scienza, razionale e metodico. La sua vita si svolge in una routine ben definita tra il lavoro e la quotidianità, senza particolari scosse emotive o eventi traumatici che possano far presagire ciò che sta per accadergli.
Tutto cambia quando inizia a manifestare una serie di sintomi inspiegabili. Inizialmente si tratta di episodi sporadici e apparentemente innocui: piccoli vuoti di memoria, leggere distorsioni nella percezione dei colori, un senso di smarrimento che lo coglie nei momenti più impensati.
Ma con il passare del tempo, questi fenomeni si intensificano. Deltito si trova a vivere momenti di dissociazione in cui la sua coscienza sembra sdoppiarsi, osserva il proprio riflesso nello specchio senza riconoscersi, sperimenta improvvisi blackout mentali e percepisce l’inquietante sensazione di essere osservato da una presenza invisibile.
Le sue conoscenze in ambito psichiatrico lo portano a interrogarsi sulla propria condizione. Sta sviluppando una forma di schizofrenia? È vittima di una malattia neurodegenerativa? O forse la sua mente gli sta giocando un brutto scherzo?
La ricerca di una risposta lo porta a imbattersi in una teoria sconcertante: la sindrome di Ræbenson.
La sindrome di Ræbenson: malattia, mito o follia collettiva?
Scorrendo antichi articoli accademici e studi dimenticati, Deltito scopre che alcuni medici e studiosi hanno ipotizzato l’esistenza di una condizione patologica che sfida ogni comprensione scientifica.
Secondo i pochi testi disponibili, la sindrome di Ræbenson sarebbe una malattia che impedisce la morte per cause naturali. I soggetti affetti non invecchiano nel modo convenzionale e non muoiono come gli altri esseri umani: il loro corpo continua a esistere, mentre la loro cosmente si deteriora in un processo di disgregazione progressiva. Non si tratta di una comune degenerazione cognitiva, come avviene nelle malattie neurodegenerative conosciute, ma di una condizione unica e ancora più terrificante: il soggetto non perde semplicemente i ricordi, bensì si dissolve come individuo, frammentandosi in percezioni scollegate, incapace di riconoscere se stesso o il mondo intorno a lui.
Si racconta di persone scomparse nel nulla dopo aver mostrato i sintomi iniziali della sindrome, di individui che, secondo alcune testimonianze, avrebbero vagato per decenni senza identità, senza più memoria, incapaci di morire ma nemmeno pienamente vivi.
Le fonti, tuttavia, sono frammentarie e spesso contraddittorie. Alcuni testi parlano della sindrome di Ræbenson come di una condizione antica, un fenomeno noto fin dai tempi remoti, tramandato sotto forma di miti e leggende. Altri la trattano come una teoria pseudoscientifica, relegata ai margini del dibattito accademico.
Deltito, con il suo background scientifico, inizialmente rifiuta l’idea che una malattia simile possa esistere. Ma mentre approfondisce la questione, un’angoscia crescente lo pervade: e se fosse lui stesso a esserne affetto?
Le coincidenze si accumulano, le prove sembrano moltiplicarsi. Ogni sintomo che trova descritto nei testi si riflette nelle sue esperienze quotidiane. Il suo senso della realtà inizia a sgretolarsi.
E se la sindrome di Ræbenson non fosse solo una leggenda?
Il gioco di specchi della narrazione: chi è il vero paziente?
Ciò che rende La sindrome di Ræbenson un’opera così ipnotica è la costruzione della narrazione.
Deltito è un narratore inaffidabile: ciò che racconta è reale o è solo il delirio di un uomo che sta perdendo la ragione? I documenti che consulta esistono davvero, oppure sono il frutto della sua immaginazione?
Giuseppe Quaranta gioca con il lettore, creando una struttura narrativa che si avvicina al romanzo postmoderno. Il protagonista accumula prove, raccoglie testimonianze, cerca di mettere insieme il puzzle della sindrome, ma ogni pezzo che trova sembra non combaciare con gli altri.
Lettori più attenti potrebbero intravedere un’altra possibile interpretazione: e se tutto fosse una metafora della malattia mentale? Se la sindrome di Ræbenson fosse solo il riflesso della paranoia e della dissociazione che stanno divorando il protagonista?
Il libro non offre risposte definitive. È un labirinto di suggestioni e inquietudini, un’indagine senza soluzione.
La sensazione di vertigine cresce man mano che la storia procede, trascinando il lettore in una spirale di dubbi e ambiguità.
Uno stile raffinato e colto: tra Borges, Nabokov e Sebald
Uno degli aspetti più affascinanti del romanzo è lo stile di Quaranta. L’autore unisce una scrittura raffinata e precisa a un’atmosfera che richiama le opere di Jorge Luis Borges, con i suoi labirinti concettuali, e di Vladimir Nabokov, con la sua ossessione per la memoria e l’identità.
C’è anche un evidente richiamo a W. G. Sebald: come nei suoi romanzi, in La sindrome di Ræbenson il confine tra realtà e finzione è volutamente sfumato. Documenti, citazioni e testimonianze si mescolano alla narrazione principale, creando un effetto di straniamento e ambiguità.
La prosa di Quaranta è densa, evocativa, capace di trasmettere il senso di angoscia e di incertezza che avvolge il protagonista. Le descrizioni degli stati mentali alterati di Deltito sono rese con straordinaria precisione: il lettore vive il suo smarrimento, la sua lotta per mantenere un senso di realtà, il terrore crescente di dissolversi nel nulla.
Non è un libro che si legge distrattamente. Richiede attenzione, pazienza, e lascia il lettore con la sensazione di aver attraversato un’esperienza perturbante.
Una riflessione sulla morte, l’identità e il senso dell’esistenza
Oltre a essere un thriller psicologico avvincente, La sindrome di Ræbenson è anche una profonda meditazione sulla condizione umana.
Il tema centrale del romanzo è il rapporto tra identità e memoria. Se perdiamo i nostri ricordi, siamo ancora noi stessi? Se la nostra percezione della realtà si altera, possiamo ancora dire di essere vivi?
Il protagonista teme non tanto la morte, quanto la perdita della propria individualità. Non vuole semplicemente esistere: vuole essere consapevole di esistere.
La sindrome di Ræbenson, in questo senso, può essere letta come una metafora di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, o di condizioni psichiatriche come la sindrome di Cotard, in cui i pazienti credono di essere già morti.
Ma c’è anche un altro livello di lettura.
L’idea di un’esistenza eterna e senza scopo richiama il pensiero di filosofi come Nietzsche e Heidegger. Se la nostra vita non ha un limite naturale, come cambia il nostro rapporto con il tempo, con il desiderio, con il significato?
E se l’immortalità non fosse una benedizione, ma la più grande delle condanne?
Un debutto letterario sorprendente e inquietante
La sindrome di Ræbenson è un libro che rimane nella mente del lettore ben oltre l’ultima pagina.
È un’opera che sfida le aspettative, che mescola generi e suggestioni, che gioca con la percezione e la realtà.
Giuseppe Quaranta dimostra di essere un autore capace di affrontare temi complessi con profondità e intelligenza, costruendo un romanzo che è al tempo stesso un enigma narrativo e una riflessione filosofica.