L’interesse di Picasso per la reinterpretazione della storia dell’arte ha radici profonde. Nel corso della sua carriera, ha ripreso innumerevoli volte opere di artisti come Velázquez, Delacroix, Ingres e Manet, trasformandole attraverso il suo linguaggio personale. Questo processo di appropriazione e reinvenzione gli permette di dialogare con il passato senza mai esserne vincolato, sovvertendo le regole della tradizione per creare qualcosa di completamente nuovo. Nel caso di Davide e Betsabea, l’elemento centrale del dipinto originale di Cranach – la seduzione discreta, giocata sugli sguardi e le posture – viene completamente stravolto e sostituito da una tensione visiva più diretta e primitiva.
Ma perché Picasso sceglie proprio questo soggetto? E in che modo la sua versione si distacca da quella di Cranach e da altre rappresentazioni della stessa scena nel corso della storia dell’arte? Per rispondere a queste domande, è necessario esaminare il mito di Davide e Betsabea, il contesto storico in cui Cranach lo dipinse e le motivazioni che spinsero Picasso a reinterpretarlo in chiave moderna.
Il mito biblico di Davide e Betsabea: potere, desiderio e colpa
La storia di Davide e Betsabea, narrata nel Secondo Libro di Samuele (capitoli 11-12), è uno degli episodi più carichi di passione e dramma dell’Antico Testamento. Il re Davide, mentre passeggia sulla terrazza del suo palazzo, scorge la bellissima Betsabea mentre fa il bagno. Il desiderio si accende immediatamente e il re, travolto dalla passione, la fa condurre a palazzo, senza curarsi del fatto che sia già sposata con Uria, un valoroso soldato del suo esercito.
La situazione si complica quando Betsabea rimane incinta. Per nascondere l’adulterio, Davide cerca inizialmente di far tornare Uria dal fronte, sperando che passi una notte con la moglie e creda che il bambino sia suo. Ma Uria, per lealtà ai suoi compagni d’armi, rifiuta di concedersi questo piacere mentre i suoi compagni combattono. A questo punto, Davide ricorre a un piano più spietato: ordina che Uria venga mandato in prima linea in una missione pericolosa, condannandolo di fatto a morte. Dopo la sua scomparsa, Davide prende Betsabea come sua sposa.
Tuttavia, il profeta Natan smaschera il peccato del re, raccontandogli una parabola sulla prepotenza di chi, avendo già tutto, ruba l’unico bene prezioso di un uomo povero. Davide comprende il proprio errore e si pente, ma le conseguenze del suo atto ricadranno su di lui e sulla sua dinastia. Il bambino nato dalla relazione con Betsabea morirà, e il regno di Davide sarà segnato da tragedie familiari e lotte intestine.
Il fascino di questo episodio biblico risiede nella sua ambiguità morale. Davide è un uomo potente che abusa della sua autorità per soddisfare i propri desideri, ma è anche una figura umana, capace di riconoscere il proprio errore e di soffrire per esso. Betsabea, invece, è spesso vista come vittima o complice: è stata sedotta o ha acconsentito all’incontro con il re? È una figura passiva o ha giocato un ruolo attivo nella vicenda? Gli artisti che hanno rappresentato questa storia nel corso dei secoli hanno dato risposte diverse a queste domande, a seconda della loro epoca e della sensibilità culturale del momento.
Davide e Betsabea nell’arte: da Rembrandt a Cranach
La scena di Betsabea al bagno è stata un tema ricorrente nella pittura europea. Già nel Rinascimento, artisti come Hans Memling e Tintoretto l’avevano raffigurata con un forte senso di teatralità, enfatizzando la bellezza della donna e il contrasto con la figura di Davide, spesso ritratto nell’ombra, mentre osserva segretamente la scena.
Rembrandt, nel 1654, offre un’interpretazione molto diversa: la sua Betsabea con la lettera di Davide mostra la donna in un momento di malinconia e riflessione, sottolineando il peso morale della situazione. Qui Betsabea non è più una semplice oggetto del desiderio, ma una figura tormentata, consapevole delle implicazioni della sua relazione con il re.
Lucas Cranach il Vecchio, invece, adotta un approccio più sensuale e decorativo. Nelle sue versioni della scena, Betsabea è spesso rappresentata con un corpo esile e raffinato, in linea con il suo stile elegante e manierato. La composizione è studiata per esaltare la bellezza femminile, con un’attenzione particolare ai dettagli dei tessuti e degli ornamenti. Il suo Davide, piccolo e distante, non è una presenza minacciosa, ma quasi un voyeur che osserva la scena con curiosità.
La rivoluzione di Picasso: deformazione e desiderio primordiale
Rispetto a Cranach, Picasso opera una vera e propria rivoluzione visiva. Se il pittore tedesco aveva trattato la scena con grazia e sensualità, il maestro spagnolo ne fa un’immagine brutale e primitiva. L’armonia del Rinascimento viene sostituita da un vortice di linee spezzate e corpi scomposti, in cui il desiderio si manifesta con un’intensità quasi animalesca.
Questa deformazione è tipica del linguaggio picassiano, in particolare nella sua produzione grafica degli anni Quaranta e Cinquanta. In quegli anni, Picasso si dedica sempre più alla litografia, una tecnica che gli permette di sperimentare con il segno e con la sintesi delle forme. La sua Davide e Betsabea non è una scena costruita con proporzioni armoniche, ma un’esplosione di energia, in cui i personaggi sembrano lottare con le loro stesse pulsioni.
Questo stile riflette anche il contesto storico in cui l’opera è realizzata. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, Picasso è sempre più coinvolto nella politica e nell’attivismo pacifista. Il 1949 è l’anno in cui crea la celebre Colomba della pace, simbolo del Congresso Mondiale della Pace. L’arte per lui non è solo un esercizio estetico, ma uno strumento per esplorare le contraddizioni della condizione umana.
Conclusione: un’opera senza tempo
Con Davide e Betsabea (da Lucas Cranach), Picasso dimostra ancora una volta la sua capacità di trasformare un tema classico in qualcosa di assolutamente contemporaneo. La sua opera non è solo una reinterpretazione, ma una riflessione sul desiderio, sul potere e sulla violenza delle passioni. In questa litografia, il passato e il presente si fondono, dimostrando che le grandi storie non smettono mai di parlare all’uomo moderno.