venerdì 8 agosto 2025

Haori. Gli abiti maschili del primo Novecento narrano il Giappone


La mostra “Haori. Gli abiti maschili del primo Novecento narrano il Giappone”, ospitata presso il prestigioso Museo d’Arte Orientale di Torino, si configura come un viaggio immersivo e stratificato nel cuore della cultura giapponese attraverso uno dei suoi simboli sartoriali più emblematici: haori. Questo capo d’abbigliamento tradizionale maschile, una giacca corta indossata sopra il kimono, diventa il filo rosso che consente di raccontare un’epoca e un Paese in profonda trasformazione, tra modernità e tradizione, isolamento e apertura, continuità e rottura.

Il primo Novecento in Giappone è un periodo cruciale, segnato da un fermento sociale, culturale e politico che produce una complessa stratificazione di significati simbolici e pratici. Dopo la Restaurazione Meiji del 1868, che pone fine a oltre due secoli di isolamento nazionale, il Giappone si apre al mondo occidentale con una rapidità e un’intensità senza precedenti. L’industrializzazione, la modernizzazione delle istituzioni, la riforma sociale e culturale investono anche l’abbigliamento: il passaggio dal kimono tradizionale ai vestiti in stile occidentale non è immediato né lineare, ma si caratterizza per una fase di convivenza e di ibridazione tra i due modelli. In questo scenario, haori rimane un elemento fondante della moda maschile giapponese, sia perché si radica nella tradizione samurai, sia perché si trasforma in un simbolo di identità culturale.

Haori nasce originariamente come capo d’abbigliamento indossato dai samurai come giacca da guerra, usata per proteggere il kimono sottostante e caratterizzata da tagli ampi e pratici. Nel periodo Edo (1603-1868), la sua funzione si sposta da pratico indumento militare a capo cerimoniale e simbolico, legato alle famiglie aristocratiche. Il tessuto, spesso ricco di motivi simbolici come il mon (stemma familiare), fiori, uccelli o animali mitici, racconta storie di lignaggi, potere e valori estetici profondamente radicati nella cultura giapponese. Nel primo Novecento, haori si diffonde anche tra le classi emergenti, mantenendo però un’aura di eleganza e distinzione che lo rende un indumento privilegiato per occasioni formali e cerimoniali.

La mostra al MAO Torino pone l’accento su questo doppio valore dell'haori: da una parte, la sua funzione materiale come capo d’abbigliamento maschile; dall’altra, il suo valore simbolico come veicolo di identità e narrazione culturale. Attraverso un’accurata selezione di pezzi d’epoca, provenienti da collezioni pubbliche e private sia giapponesi che occidentali, l’esposizione mette in scena un dialogo tra arte, costume e storia sociale. I visitatori sono invitati a comprendere come il tessuto stesso, le decorazioni, i colori e le tecniche di lavorazione diventino linguaggi visivi che raccontano storie di uomini, famiglie, e di una società in evoluzione.

Un aspetto centrale che la mostra esplora è il rapporto di haori con la trasformazione del ruolo maschile nella società giapponese. Durante la prima metà del Novecento, l’immagine dell’uomo giapponese muta profondamente: dalla figura del samurai, custode delle tradizioni e dei valori, si passa a quella dell’uomo moderno, professionista e cittadino di uno Stato-nazione in via di consolidamento. Haori, in questo contesto, rappresenta una sorta di ponte tra queste due identità. Indossare un haori significa allo stesso tempo onorare un passato glorioso e rivendicare una nuova posizione nel presente. La moda diventa dunque un gesto politico e culturale, un modo per dichiarare appartenenza, aspirazioni e valori.

Le tecniche tessili esposte sono un’altra chiave di lettura fondamentale per comprendere il valore del haori. I tessuti utilizzati sono quasi sempre sete pregiate, lavorate con tecniche artigianali sofisticate come lo shibori (una particolare tecnica di tintura a riserva), l’ikat, o l’applicazione di fili d’oro e d’argento. I motivi decorativi, ricchi di simbolismi, spaziano da rappresentazioni naturalistiche — come i fiori di ciliegio, simbolo di bellezza effimera e rinascita — a simboli mitologici come le gru, emblema di longevità, o i draghi, rappresentanti di potere e protezione. Ogni dettaglio ha un significato preciso e viene scelto in base al contesto sociale e personale del proprietario dell’abito. Per esempio, un imprenditore emergente potrebbe scegliere decorazioni che comunicano prosperità e stabilità, mentre un intellettuale potrebbe optare per motivi più sobri e meditativi.

La mostra approfondisce anche il ruolo del haori nella costruzione dell’immagine internazionale del Giappone. Nel corso del primo Novecento, infatti, la cultura giapponese vive una fase di grande fascinazione all’estero, grazie a fenomeni come la Japonisme che influenzano profondamente l’arte e il design occidentali. Haori diventa così anche un simbolo di “esotismo raffinato” che contribuisce a plasmare un’immagine del Giappone come terra di tradizioni antiche, bellezza estetica e mistero. Questo aspetto è particolarmente evidente nelle esposizioni internazionali, dove haori viene presentato come un emblema della cultura giapponese, capace di attrarre attenzione e ammirazione. La mostra del MAO evidenzia come questi scambi culturali abbiano avuto un impatto profondo anche sul modo in cui gli stessi giapponesi hanno percepito e reinterpretato il proprio patrimonio tradizionale.

Un altro elemento affascinante che la mostra mette in luce è la democratizzazione progressiva del haori. Mentre nei secoli passati esso era riservato quasi esclusivamente alle classi aristocratiche e ai samurai, nel primo Novecento sempre più uomini appartenenti alla nuova borghesia urbana e agli intellettuali adottano questo capo, arricchendolo di nuovi significati. In questo modo, haori diventa uno strumento di distinzione sociale ma anche un segno di appartenenza a una comunità culturale in via di ridefinizione. La mostra invita quindi a riflettere sulle dinamiche di potere, classe e identità che si riflettono anche nel modo di vestire, sottolineando come un abito possa raccontare non solo la storia di chi lo indossa, ma anche quella di un’intera società.

L’allestimento stesso della mostra è pensato per restituire un’esperienza immersiva e sensoriale: le luci soffuse mettono in risalto i dettagli dei tessuti, le didascalie forniscono informazioni contestuali approfondite, e installazioni multimediali arricchiscono la narrazione con immagini d’epoca, fotografie di uomini giapponesi dell’epoca e video che mostrano il processo di realizzazione dei tessuti e la manifattura dei capi. In questo modo, il visitatore non si limita a osservare ma entra in contatto con un mondo fatto di gesti, saperi e sensibilità antiche.

La mostra si apre a una riflessione più ampia sul significato del vestire e sull’abbigliamento come mezzo di comunicazione non verbale. L'haori, infatti, si inserisce in una tradizione culturale in cui ogni elemento – dalla scelta del tessuto al modo in cui il capo viene indossato – è carico di significati e codici sociali. Questa consapevolezza fa sì che l’abito non sia mai solo un oggetto funzionale, ma diventi una sorta di “testo” da leggere e interpretare. La mostra, quindi, non è solo una celebrazione della bellezza estetica, ma anche un invito a guardare con attenzione e curiosità ciò che ci circonda, scoprendo i messaggi nascosti nei dettagli più minuti.

Pone anche uno sguardo contemporaneo sul valore del haori, sottolineando come oggi questo capo continui a ispirare stilisti e artisti, sia in Giappone che nel mondo. La riscoperta delle tecniche tradizionali di tessitura e tintura, il recupero di motivi antichi e la reinterpretazione del haori in chiave moderna testimoniano una vitalità e una capacità di dialogo con il presente che mantiene viva una tradizione millenaria. Questo aspetto contemporaneo rende la mostra particolarmente rilevante, perché mette in evidenza come la cultura non sia qualcosa di statico, ma un organismo vivo che si evolve e si reinventa costantemente.

In conclusione, la mostra “Haori. Gli abiti maschili del primo Novecento narrano il Giappone” al MAO di Torino è molto più di una semplice esposizione di abiti antichi: è un racconto appassionato e multidimensionale di un’epoca, una società e una cultura attraverso il prisma di un capo di abbigliamento carico di storia e di significati. È un invito a guardare l’arte, la storia e la moda con occhi nuovi, e a comprendere come anche un semplice indumento possa diventare un potente strumento di narrazione e di identità.