De Cordier lavora su grandi superfici, ma non fa nulla per ostentarle: non c’è virtuosismo, non c’è gesto, non c’è colore. C’è invece la massa compatta e rarefatta del non – il nulla evocato nel titolo – che si fa paesaggio, oceano, cielo, o forse soltanto pigmento che si aggrega in superfici cangianti, scure, immobili. Il tempo di questi dipinti si sottrae alla scansione lineare: sembrano appartenere a una tradizione arcaica e, allo stesso tempo, al futuro della pittura come forma di resistenza. NADA, in effetti, è una parola che porta con sé tutta la sua carica di negazione e di ossimoro: è una parola piena, traboccante, che urla la propria assenza.
La datazione dei dipinti, dal 1999 al 2025, suggerisce una gestazione lentissima, quasi geologica. In questo tempo dilatato, ogni tela si fa reliquia, non tanto per ciò che mostra, ma per ciò che trattiene. Non è la memoria di un’immagine, ma l’eco di una domanda. Che cos’è il sublime oggi? Come può sopravvivere la pittura nel tempo della riproducibilità algoritmica, della saturazione visiva, del rumore digitale? De Cordier non risponde, ma mostra una via: il ritiro. E in questo, si potrebbe quasi azzardare un confronto con Malevič, ma privato della fiducia avanguardistica nella forma assoluta. Il nero di De Cordier non è un’utopia, ma un naufragio.
Le superfici sono spesso monocrome, ma mai piatte. A uno sguardo distratto possono sembrare uniformi, ma avvicinandosi si scoprono increspature, stratificazioni, vibrazioni minime di materia. Il nero non è mai uno solo, ma una pluralità di neri che dialogano tra loro, si nascondono e si rincorrono. Come se ogni dipinto fosse il risultato di una lotta tra luce e buio in cui, alla fine, ha vinto il secondo, ma lasciando in superficie la traccia del combattimento.
Alcuni lavori sembrano evocare paesaggi marini, cieli tempestosi, o forse semplicemente orizzonti interiori. Ma non c’è nulla di descrittivo: l’immagine si dissolve sempre prima di consolidarsi. De Cordier è un pittore della soglia, e NADA è una soglia aperta sul vuoto, sull’indicibile, sull’impossibilità del linguaggio figurativo. La pittura, in queste opere, non è un mezzo per rappresentare, ma per resistere. Per affermare che qualcosa – forse proprio il nulla – può ancora essere sentito, visto, contemplato.
È interessante osservare come questa operazione venga presentata in un contesto come quello della Fondazione Prada, luogo dell’estetizzazione estrema, dell’iper-curatela, della comunicazione levigata. Eppure, NADA buca la superficie, come un vuoto che non può essere neutralizzato. I quadri non si lasciano fotografare: la loro forza è nel non-essere contenuti. Non si può portarli via, non si può condividerli. Si possono solo esperire. Il buio che emettono è una forma di luce interiore, di quella luce negativa che solo alcuni mistici sanno nominare.
Il riferimento al sublime è inevitabile, ma va inteso non nella sua accezione romantica o novecentesca, bensì in quella che si situa oltre il linguaggio, al limite della percezione. De Cordier, con la sua formazione filosofica e poetica (è anche scrittore), porta la pittura nel campo della meditazione, della preghiera laica. I suoi quadri non “parlano” allo spettatore: lo obbligano a tacere. Chi li guarda deve disarmarsi, farsi piccolo, accettare di non capire. In un’epoca di commenti continui, di spiegazioni, di tutorial, NADA è un inno alla resa.
C’è anche, in fondo, una dimensione etica in tutto questo. Thierry De Cordier si è sempre tenuto lontano dal sistema dell’arte, rifugiandosi in una solitudine quasi monastica. Ha rifiutato la logica del mercato, ha costruito un’estetica dell’indecidibile. Esporre NADA oggi è un gesto politico: significa affermare che non tutto può essere esposto, venduto, compreso. Che l’opera d’arte può ancora custodire un segreto. E che il nulla non è un’assenza, ma una presenza che brucia, come la brace sotto la cenere.
In conclusione, questa mostra è un’esperienza radicale, che obbliga chi guarda a mettersi in discussione. Non c’è nulla da capire, ma molto da sentire. Thierry De Cordier, con i suoi dieci dipinti che sembrano affacciarsi sull’abisso, ci offre la possibilità di un altro sguardo. NADA è un titolo che sembra chiudere tutto, e invece apre uno spazio inedito, vertiginoso, dove la pittura smette di essere immagine per tornare a essere enigma. Un viaggio che comincia proprio dove pensavamo che tutto finisse.