Non abbiate il tragico ardire di scegliere la vita, quella parola gonfia e fragile che non è altro che un’esca per sciocchi, un’ombra ingannevole che vi accarezza con la promessa di giorni dolci e sereni, quando in realtà vi trascina in una palude di mediocrità, fatta di affanni e giorni tutti uguali, sbiaditi come foglie d'autunno morente. Non agognate il lavoro, quella bestia ferina che vi incatena senza pietà, vi toglie il respiro e vi consuma poco a poco, come l'inesorabile erosione del tempo che non lascia nulla intatto; non cercate, dico, quella sudicia carriera, costruita su sassi aridi e polvere, che eleva solo per poi precipitare nell’abisso dell’amarezza, della stanchezza di un'anima venduta e tradita. E soprattutto, non abbracciate la famiglia, quella trappola dorata che vi lega mani e piedi in un vincolo soffocante, una prigione nascosta sotto i veli ingannevoli del "bene", del "sacrificio", mentre ogni sorriso, ogni abbraccio, altro non è che una finzione ben studiata.
Scordatevi di un maxitelevisore, monumento grottesco dell’alienazione, quella cornice luminosa che vi costringe a fissare l'abisso di esistenze finte, dipinte in colori violenti e vuoti, che vi riempie la testa di parole prive di sostanza, riducendovi a spettatori inebetiti e senza voce, schiavi di una proiezione della realtà che non esiste. Non cercate la lavatrice, non cercate la macchina, il lettore CD, l’apriscatole elettrico: aggeggi insulsi che vi ingannano facendovi credere di possedere il potere di trasformare la vita in un meccanismo oliato e scorrevole, come se l’esistenza potesse essere regolata e controllata come una macchina ben costruita. E la buona salute? Che misero inganno è mai questo, l’idea del colesterolo basso, della forma perfetta e della longevità come conquiste: come se il corpo, per quanto preservato, non fosse destinato a disgregarsi, a dissolversi nel grande nulla, a diventare polvere indistinta.
Non firmate un mutuo, quella promessa di sangue che vi lega al suolo, non lasciate che il vostro nome venga inciso su un debito che vi strangolerà ogni giorno, rendendovi schiavi di una casa che diventerà un mausoleo dei vostri sogni infranti. E scordatevi degli amici, presenze fugaci e inconsistenti che vi stanno accanto solo finché c’è luce, come fantasmi che svaniscono quando cala la notte, sempre pronti a voltare le spalle alla prima ombra di difficoltà. Non adornatevi di abiti casual, grigi e anonimi come i vostri pensieri incerti, come i vostri giorni sciupati in un eterno rimandare; lasciate perdere le valigie in tinta, i salotti in tre pezzi a rate, quella stoffa miserabile che copre solo la miseria dei desideri irrealizzati.
Non scegliete, dico, di passare le vostre giornate a chiedervi chi siete, mentre la domenica mattina scorre lenta e vuota, inghiottita dal vano tentativo di montare mobili che si spezzeranno, di costruire librerie che resteranno per sempre mezze vuote, come metafore della vostra anima mai veramente riempita. Non scegliete di sedervi, dunque, su quel divano, trono di re falliti, per lasciarvi spegnere davanti alla luce sinistra dello schermo, mentre i quiz si susseguono e le voci vi bombardano, facendovi sentire vuoti, mentre intanto le vostre mani meccanicamente afferrano cibo insipido e insignificante, come per soffocare quel grido che sale dal fondo della vostra coscienza.
E infine, non scegliete, per amor di Dio, di invecchiare in decoro e compostezza, non scegliete di scivolare in quel silenzio che porta con sé il peso della sconfitta; non lasciatevi rinchiudere in un ospizio, dove i giorni si susseguono lenti e gelidi, in attesa della morte che si avvicina piano, senza rumore, senza passione, mentre i vostri stessi figli vi disprezzano, creature egoiste e vuote che un tempo avete generato per dare un senso alla vostra misera esistenza.
Non scegliete un futuro, quella promessa velenosa e maledetta che si nasconde sotto la maschera del progresso, della modernità, del successo; non scegliete la vita, con le sue illusioni, i suoi teatrini patetici e le sue glorie destinate a perire come foglie secche. Io ho scelto di non scegliere niente di tutto questo, ho scelto di sprofondare nell’abisso, di abbandonare ogni illusione di ordine e armonia, ogni pietosa menzogna che l’esistenza possa offrire una risposta. Perché di cosa ho bisogno, davvero, in questo mare di nulla, se non del dolce veleno, la sostanza che dissolve ogni pensiero, ogni rimpianto, ogni sogno? Chi ha mai bisogno di ragioni, quando può perdersi in un oblio perfetto?