Il presente saggio propone un’indagine approfondita e articolata sulla metafisica, intesa non come un sistema chiuso o una dottrina definitiva, ma come un processo dinamico di riflessione filosofica che attraversa la storia del pensiero occidentale e si rinnova costantemente in relazione ai mutamenti culturali, scientifici e tecnologici. Il lavoro si sviluppa lungo un percorso cronologico e tematico che parte dalle radici antiche della metafisica, con particolare attenzione alle figure di Parmenide e Aristotele, e si estende fino alle sfide poste dalla filosofia contemporanea e dalle discipline interdisciplinari.
Nella prima parte, il saggio ricostruisce la genesi della metafisica antica, evidenziando come il problema dell’essere si configuri come domanda radicale che apre il pensiero alla possibilità di un fondamento e di una verità ultima. L’essere viene analizzato nella sua duplice dimensione ontologica e epistemologica, come ciò che è e come ciò che può essere conosciuto. La riflessione passa quindi attraverso il neoplatonismo e l’incorporazione cristiana, che introducono una verticalizzazione dell’essere, un modello gerarchico e trascendente che influenzerà per secoli la filosofia medievale e la teologia scolastica. Si approfondisce la sintesi tomista, nella quale metafisica e teologia si intrecciano, offrendo una visione razionale e sistematica del reale.
Il percorso prosegue con l’età moderna, segnando un cambiamento radicale nell’approccio alla metafisica: dalla fondazione cartesiana che pone il soggetto come punto di partenza, passando per il razionalismo e l’empirismo, fino alla svolta kantiana che problematizza la possibilità stessa della conoscenza metafisica. Il saggio esplora come la crisi del fondamento tragga origine dall’analisi critica della ragione e dalla distinzione tra fenomeno e noumeno.
La riflessione si concentra poi sulle filosofie idealiste e sulla svolta esistenziale che segna il passaggio dall’essere all’esistenza. Qui si approfondiscono le posizioni di Hegel, con il suo sistema dell’Assoluto come totalità dinamica, di Schelling, che introduce la libertà e il mistero nell’ontologia, e di Kierkegaard, che mette al centro la singolarità del soggetto e la dimensione del paradosso. Questi momenti segnano la crisi del sistema metafisico tradizionale e l’emergere di una filosofia dell’esistenza e della soggettività.
Nella seconda metà del saggio, viene analizzata la decostruzione del fondamento metafisico nella filosofia contemporanea, con un focus su Nietzsche, Heidegger e Derrida. Nietzsche smonta la metafisica dal punto di vista genealogico, mostrando la sua radice nella volontà di potenza e nella negazione della vita sensibile; Heidegger denuncia l’oblio dell’essere e propone un pensiero che ritorni all’evento originario dell’essere stesso, aprendo la strada a una nuova ontologia dell’essere come apertura e accadimento; Derrida, infine, pratica la decostruzione come metodo di lettura critica che rivela le contraddizioni e le gerarchie nascoste nei testi filosofici, mettendo in crisi l’idea di un fondamento stabile e unico.
Il saggio si conclude con un’esplorazione delle nuove frontiere della metafisica nella contemporaneità, segnate dall’incontro con le scienze cognitive, le ontologie sociali e l’intelligenza artificiale. Le neuroscienze e le scienze cognitive trasformano la nozione di soggetto, proponendo modelli di coscienza come processi dinamici e distribuiti, mentre le ontologie sociali mettono in discussione la natura oggettiva della realtà, enfatizzando la costruzione collettiva e performativa delle entità sociali. L’intelligenza artificiale, infine, introduce una nuova dimensione nella riflessione metafisica, traducendo l’essere in codice e algoritmi, e sollevando questioni politiche ed etiche cruciali sul controllo e la definizione del reale nel mondo digitale.
Attraverso questo ampio itinerario, il saggio sostiene che la metafisica non è un residuo del passato, ma una disciplina in trasformazione, capace di affrontare le sfide epistemologiche, ontologiche e politiche del nostro tempo. Essa si configura come una pratica critica e plurale, che rinuncia a certezze ultime e fondamenti assoluti, ma che resta essenziale per interrogare le condizioni di possibilità dell’essere, della conoscenza e della vita umana in un mondo complesso e in continuo divenire.
Destinato a studenti e lettori interessati alle questioni filosofiche fondamentali, questo lavoro intende offrire una visione aggiornata e multidimensionale della metafisica, ponendo le basi per ulteriori riflessioni e dibattiti nel panorama della filosofia contemporanea e delle discipline affini.
Indice Generale
Introduzione – Che cos’è la metafisica?
- Origini etimologiche e storiche
- La metafisica come domanda radicale
- Il problema del fondamento
Capitolo I. La nascita della metafisica: da Parmenide ad Aristotele
- L’essere come pensabilità e unità
- Platone e il mondo delle idee
- Aristotele: sostanza, causa e atto
Capitolo II. La verticalizzazione dell’essere: Neoplatonismo e cristianesimo
- Plotino e la gerarchia dell’essere
- L’essere come emanazione
- La teologia negativa e il Uno ineffabile
- L’incorporazione cristiana: Agostino, Boezio, Dionigi
Capitolo III. La scolastica e la sintesi tomista: metafisica come teologia razionale
- L’ordinamento medievale del reale
- L’essere come partecipazione e analogia
- Tommaso d’Aquino: tra ragione e rivelazione
- Le dispute sulla distinzione reale
Capitolo IV. L’età moderna – dalla fondazione cartesiana alla crisi kantiana
- Cartesio e il cogito come principio
- Razionalismo: Spinoza e Leibniz
- Empirismo e dissoluzione del fondamento: Locke e Hume
- Kant: critica della ragione e condizione trascendentale
Capitolo V. Dall’essere all’esistenza: Hegel, Schelling, Kierkegaard
- Hegel: la metafisica come sistema dell’Assoluto
- Schelling: libertà, abisso e inizio non fondato
- Kierkegaard: paradosso, singolarità e anti-sistema
Capitolo VI. La decostruzione del fondamento – Nietzsche, Heidegger, Derrida
- Nietzsche: genealogia della verità e volontà di potenza
- Heidegger: oblio dell’essere e pensiero dell’evento
- Derrida: différance, scrittura, disseminazione
Capitolo VII. Metafisica e contemporaneità: scienze cognitive, ontologia sociale, intelligenza artificiale
- Neuroscienze e dissoluzione del soggetto sostanziale
- Ontologie sociali: performatività e costruzione collettiva
- Intelligenza artificiale: l’essere computazionale e l’ontologia digitale
Conclusione – Dopo la metafisica: linee di fuga, ritorni, resistenze
- La metafisica come pensiero critico dell’inizio
- Verso una metafisica situata, plurale e vigile
Ecco un elenco strutturato delle opere primarie e delle opere secondarie che supportano e attraversano il saggio, suddivise per aree tematiche e autori. L’elenco privilegia edizioni critiche e fonti filosoficamente autorevoli, utili sia per la ricerca accademica sia per l’approfondimento individuale.
Opere primarie
Filosofia antica e medievale
- Parmenide, Sulla natura
- Platone, Repubblica, Fedro, Timeo, Parmenide
- Aristotele, Metafisica (ed. Ross, trad. Reale o Berti)
- Plotino, Enneadi (ed. Armstrong o trad. Vitiello)
- Agostino, Confessioni, La città di Dio
- Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, De ente et essentia
Età moderna e idealismo tedesco
- Cartesio, Meditazioni metafisiche
- Spinoza, Ethica ordine geometrico demonstrata
- Leibniz, Monadologia, Nouveaux essais sur l’entendement humain
- Locke, Essay Concerning Human Understanding
- Hume, A Treatise of Human Nature
- Kant, Critica della ragion pura
- Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Fenomenologia dello spirito
- Schelling, Filosofia della rivelazione, Lezioni di filosofia della mitologia
- Kierkegaard, Timore e tremore, Postilla conclusiva non scientifica
Pensiero contemporaneo
- Nietzsche, Genealogia della morale, Al di là del bene e del male, La gaia scienza
- Heidegger, Essere e tempo, Lettera sull’umanismo, Contributi alla filosofia (Dall’evento)
- Derrida, La scrittura e la differenza, Grammatologia, Margini della filosofia
Fonti contemporanee interdisciplinari
- Antonio Damasio, L’errore di Cartesio
- Thomas Metzinger, The Ego Tunnel
- John Searle, La costruzione della realtà sociale
- Judith Butler, Corpi che contano, Questione di genere
- Bruno Latour, Non siamo mai stati moderni
- Luciano Floridi, La quarta rivoluzione, The Philosophy of Information
- Yuk Hui, The Question Concerning Technology in China
- Benjamin Bratton, The Stack: On Software and Sovereignty
Opere secondarie e strumenti critici
Manuali e sintesi storiche
- Giovanni Reale, Storia della filosofia antica (voll. I–V)
- Étienne Gilson, L’essere e l’essenza
- Frederick Copleston, Storia della filosofia (voll. I–IX)
- Pierre Aubenque, La prudenza in Aristotele, Il problema dell’essere
- Enrico Berti, In principio era la meraviglia. Le grandi questioni della filosofia antica
- Charles Taylor, Le fonti del sé
- Alain de Libera, L’archeologia del soggetto
- Quentin Meillassoux, Après la finitude
- Graham Harman, Tool-Being, The Quadruple Object
Critica e interpretazione
- Giorgio Agamben, L’uso dei corpi, Il linguaggio e la morte
- Gianni Vattimo, Oltre l’interpretazione, Il soggetto e la maschera
- Jacques Bouveresse, Nietzsche contre Foucault
- Jean-Luc Marion, Dio senza l’essere, L’idolo e la distanza
- Donatella Di Cesare, Heidegger e gli ebrei, Sulla vocazione politica della filosofia
- Franco Volpi, Il nichilismo
Studi contemporanei e approcci interdisciplinari
- Katherine Hayles, How We Became Posthuman
- Rosi Braidotti, The Posthuman
- Maurizio Ferraris, Manifesto del nuovo realismo
- Markus Gabriel, Perché il mondo non esiste
- Roberto Esposito, Pensiero vivente, Termini della politica
Introduzione. La metafisica come sapere dell’eccedenza
Nell’orizzonte della filosofia occidentale, la metafisica rappresenta, sin dalle sue origini greche, un sapere eccedente, non riconducibile né al dato empirico né alle forme della dimostrazione tecnica. Essa si costituisce come interrogazione radicale sull’essere in quanto essere, su ciò che permane oltre il mutamento e che fonda la possibilità stessa del conoscere, del vivere e del pensare. Ma tale interrogazione non si dà mai in astratto: essa si inscrive in una storia del pensiero e si articola come risposta, sempre provvisoria, alla crisi del senso e alla contingenza del fenomenico.
Nel presente saggio, si intende ripercorrere le linee fondamentali della tradizione metafisica, da Platone fino alla riflessione contemporanea, evidenziando come la metafisica non sia una forma arcaica del sapere, bensì un gesto teorico imprescindibile che riemerge, con nomi diversi, ogniqualvolta il pensiero si confronti con l’abisso dell’origine, con il problema dell’ente, con la domanda sul fondamento.
Ciò che si propone non è dunque una semplice storia della metafisica, ma una fenomenologia del suo riemergere. Si tenterà di mostrare come la metafisica non sia un ambito definito, ma un atteggiamento del pensiero, una postura teoretica che attraversa epoche, scuole, crisi e riduzioni positivistiche. Una postura che, anche là dove viene negata, si ripresenta sotto nuove forme, spesso travestita da antropologia, da ontologia debole, da critica del linguaggio o da filosofia della mente.
Capitolo I. L’emergenza dell’ente e l’orizzonte dell’intelligibile: Platone e Aristotele
1.1 La scissione platonica e l’ontologia delle idee
La riflessione metafisica, nella sua forma classica, si costituisce nel pensiero platonico come rifiuto dell’instabilità del mondo sensibile e come tensione verso una realtà altra, distinta ma non separabile, che garantisce la verità del conoscere. L’iperuranio non rappresenta un altrove mitico, bensì il luogo teoretico in cui l’essere si presenta nella sua pienezza, come idea, cioè come struttura intelligibile in sé e per sé. Tale concezione impone un dualismo ontologico (tra mondo sensibile e mondo intellegibile), gnoseologico (tra doxa e episteme) e anche etico-politico (tra apparenza e verità del bene).
L’atto fondativo della metafisica platonica consiste nel subordinare la molteplicità del fenomeno alla stabilità dell’essenza: le cose sono vere nella misura in cui partecipano a un principio superiore che ne garantisce la forma. L’Essere, in questa visione, non coincide con il semplice esistere empirico, ma è ciò che dà luogo e fondamento all’apparire. Da qui la centralità del concetto di méthexis (partecipazione), che media tra i due piani, e del nous, l’intelletto che ha accesso diretto al mondo delle idee.
1.2 Aristotele e la formalizzazione del sapere dell’essere
Con Aristotele, il pensiero metafisico si emancipa dalla tensione verticale verso un aldilà dell’esperienza, per farsi scienza dell’ente in quanto tale (to on hêi on). La metafisica viene istituita come filosofia prima, distinta sia dalla fisica sia dalle matematiche, in quanto indaga ciò che non può non essere, ovvero i principi primi e le cause ultime di tutto ciò che è.
In Aristotele, l’essere si dice in molti modi: sostanza, accidente, atto, potenza, categoria, e ciascuna articolazione permette un accesso specifico all’ente. Al centro della sua ontologia sta la sostanza (ousia), intesa come ciò che sussiste autonomamente, principio di individuazione e di permanenza. L’essere non è perciò univoco, ma analogico: ogni ente è, ma è in modo differente, secondo la sua forma e secondo il suo divenire.
Con l’introduzione del concetto di atto e potenza, Aristotele stabilisce una dinamica interna all’essere, che consente di comprendere il movimento, la trasformazione, la teleologia del mondo naturale senza ricorrere a un’iperuranio statico. Tuttavia, al vertice della gerarchia ontologica si colloca il motore immobile, un essere che è puro atto, privo di potenza e dunque incapace di mutamento, che costituisce la causa finale e formale di ogni divenire. È qui che la metafisica torna a congiungersi con una teologia razionale.
Capitolo II. La verticalizzazione dell’essere: Neoplatonismo e cristianesimo
2.1 La struttura ascensionale del reale: l’Uno oltre l’essere
Con il Neoplatonismo, e in particolare con la figura centrale di Plotino, la metafisica platonica viene rielaborata in chiave mistica e gerarchica. L’essere non è più soltanto la forma intelligibile delle cose, ma si dispone in una scala di emanazioni che culmina in un principio assolutamente ineffabile: l’Uno. Questo principio, radicalmente oltre ogni determinazione, è anche al di là dell’essere, come Plotino afferma più volte nelle Enneadi. Si tratta di un’alterazione profonda del pensiero ontologico: l’ente, e persino l’essere, non sono più il fondamento, bensì ciò che deriva da un principio più alto, non pensabile attraverso categorie.
L’Uno è assoluta semplicità e perfezione: esso non pensa, non vuole, non agisce in senso comune. Ogni atto sarebbe già molteplicità. Eppure da esso procede tutto il resto della realtà, attraverso una serie di emanazioni necessarie e ininterrotte: prima l’Intelletto (Nous), poi l’Anima del Mondo, infine il mondo sensibile. Ciascun livello dell’essere è al tempo stesso decaduto rispetto a quello superiore e rivolto verso l’alto, secondo un movimento di ritorno che attraversa l’intera metafisica neoplatonica.
La conoscenza diviene così un’ascesi, un processo di interiorizzazione attraverso cui l’anima, purificandosi, risale verso l’Uno da cui proviene. Questo percorso, che ha tratti teoretici ma anche esistenziali e spirituali, farà da ponte verso le prime elaborazioni teologiche del cristianesimo. La conversio ad Deum di Agostino, ad esempio, eredita in modo strutturale tale movimento: dal molteplice al semplice, dall’esteriorità alla verità interiore, da ciò che passa a ciò che resta.
2.2 L’ontologia dell’incarnazione: Agostino e il logos cristiano
La ricezione cristiana della metafisica greca, che trova in Agostino uno dei suoi primi e più significativi interpreti, rappresenta un momento di ibridazione teorica di estrema importanza. L’Essere supremo, che in Plotino rimane oltre ogni concettualizzazione, diventa nel cristianesimo il Dio personale, creatore e salvatore, la cui essenza è l’Amore (Caritas) e il cui pensiero è logos. In questa sintesi, profondamente originale, si conserva la struttura verticale dell’essere, ma le categorie platonico-neoplatoniche vengono reinterpretate alla luce della Rivelazione.
Dio, per Agostino, è l’essere stesso, il principio di ogni intelligibilità. Il celebre passo delle Confessioni – “Tu eri più intimo a me di me stesso” – testimonia un rovesciamento decisivo: l’ascesa metafisica non ha come direzione un aldilà cosmico, ma una verticale interiore. Il fondamento dell’essere non è altrove, ma nel profondo del soggetto, nella sua memoria, nella sua intenzione, nella sua apertura alla grazia. L’“illuminazione” non è più solo intellectus intuitivo, ma anche esperienza della verità come dono.
Agostino integra anche la dimensione temporale nella riflessione metafisica. Il tempo, infatti, non è per lui una misura esterna delle cose, ma un’estensione dell’anima. Questo sposta l’asse dell’ontologia verso una metafisica dell’interiorità, che avrà profonde conseguenze nella successiva filosofia cristiana, fino a influenzare l’ontologia della soggettività moderna.
2.3 La mediazione teologica: Pseudo-Dionigi e la gerarchia del divino
Nel passaggio dalla tarda antichità al cristianesimo medievale, emerge la figura enigmatica e fondamentale dello Pseudo-Dionigi l’Areopagita, autore di una serie di scritti in cui la metafisica neoplatonica viene assorbita e trasformata all’interno di una prospettiva mistico-liturgica. L’Uno plotiniano viene identificato con Dio, ma ne viene accentuata l’assoluta trascendenza attraverso un uso estensivo della teologia apofatica. Dio, afferma Dionigi, è tutto e nulla: è oltre ogni affermazione, ma anche oltre ogni negazione.
Da tale principio supremo si dipana un ordine gerarchico che comprende non solo il cosmo ma anche la struttura ecclesiastica e angelica. Ogni ente esiste nella misura in cui partecipa al Bene, e ogni grado dell’essere ha come compito la restituzione dell’essere al suo principio, in un sistema simbolico che è insieme teoretico e rituale. In questa visione, il mondo diventa un segno, una teofania: tutto parla di Dio, ma lo fa nella misura in cui ne custodisce l’assenza.
Questa visione avrà enorme influenza sulla scolastica medievale e sulla mistica occidentale. In particolare, il pensiero di Tommaso d’Aquino e di Meister Eckhart ne erediteranno gli snodi centrali, pur declinandoli in direzioni opposte: razionalistico-deduttiva nel primo, estatico-figurale nel secondo.
Capitolo III. La scolastica e la sintesi tomista: metafisica come teologia razionale
3.1 La nascita dell’ordine: logica, ontologia, rivelazione
Con il consolidarsi delle scuole teologiche medievali e la fondazione delle università, la metafisica entra in un’epoca di sistematizzazione e confronto con la tradizione rivelata. La scolastica si configura come il tentativo di costruire un sapere razionale che sia coerente con i dogmi della fede, ma che non rinunci agli strumenti della filosofia greca, in particolare aristotelica. In questo contesto, la metafisica non è più soltanto speculazione sull’essere, ma si fa architettura del senso, cornice ontologica del discorso teologico.
L’opera di mediazione tra ragione e fede si dispiega attraverso la logica formale, l’analisi linguistica (influenzata dalla riscoperta di Boezio e delle Categorie aristoteliche), e l’elaborazione di una ontologia gerarchica in cui ogni ente trova posto secondo un grado di partecipazione all’essere divino. La distinzione tra essentia ed existentia inizia a emergere come cardine per pensare la contingenza del mondo e la necessità dell’essere assoluto.
In autori come Anselmo d’Aosta e Pietro Lombardo si pongono i primi tentativi di rendere il discorso su Dio razionalmente argomentabile. Il Proslogion anselmiano – con la celebre prova ontologica dell’esistenza di Dio – è un segno di questa tensione, che non mira a dimostrare Dio nel senso moderno, ma a mostrare come la sua idea sia intrinsecamente connessa al pensare stesso.
3.2 Tommaso d’Aquino: essere e partecipazione
La metafisica conosce uno dei suoi momenti più alti nell’opera di Tommaso d’Aquino (1225–1274), la cui Summa Theologiae e Summa contra Gentiles rappresentano il tentativo più compiuto di integrare l’ontologia aristotelica con la rivelazione cristiana. Il nucleo del pensiero tomista è la distinzione reale tra essenza ed esistenza: ogni ente creato possiede un’essenza (ciò che è) che non implica necessariamente l’esistenza (il fatto di essere). Solo in Dio l’essere coincide con l’essenza: esse ipsum subsistens.
Questa distinzione permette a Tommaso di elaborare una metafisica della partecipazione, dove ogni ente è in sé finito e contingente, ma per partecipazione partecipa all’atto puro dell’essere divino. L’essere, in quanto atto supremo, è dunque il principio di intelligibilità di ogni ente e il fine verso cui ogni ente tende.
La metafisica, per Tommaso, è la scienza che si occupa dell’ente in quanto ente (ens inquantum ens) e dunque dei principi primi dell’essere, tra cui spiccano: il principio di non contraddizione, il principio di causalità, e la nozione di analogia dell’essere (analogia entis). Quest’ultima permette di parlare di Dio senza cadere nell’equivocità (che renderebbe il discorso privo di senso) né nella univocità (che lo ridurrebbe a un ente tra gli altri).
3.3 La causalità come fondamento del ritorno a Dio
Le famose cinque vie tomiste, spesso mal comprese come "prove" dell’esistenza di Dio in senso empirico, sono in realtà articolazioni della contingenza del reale e della necessità di un fondamento non causato. Ogni movimento, ogni mutamento, ogni dipendenza ontologica rimanda a un principio primo che non dipende da altro, e che può essere pensato solo come atto puro: Dio.
La riflessione di Tommaso è fondata su una nozione di causalità ontologica, in cui Dio non è una causa prima nel senso temporale, ma fondamentale: il principio per cui ogni ente è ciò che è. Il ritorno a Dio non è solo un fatto teologico, ma una esigenza metafisica: l’essere creato, essendo composto di potenza e atto, richiede un fondamento che sia atto puro, privo di composizione e necessitato in sé.
In tal senso, la metafisica tomista non è un semplice preambolo alla teologia, ma il suo orizzonte ontologico necessario. Essa fonda la possibilità stessa di una teologia razionale, dove la rivelazione trova nella ragione non un antagonista, ma un interlocutore naturale.
3.4 I limiti e l’eredità della sintesi scolastica
La scolastica tomista non fu priva di critiche, sia da parte dei contemporanei (si pensi a Duns Scoto e alla sua concezione dell’esse come univoco), sia nei secoli successivi, specie in ambito moderno, dove il pensiero kantiano e post-hegeliano ne metteranno in discussione l’impianto ontologico. Tuttavia, la visione tomista della metafisica come sapere dell’ente in ordine all’essere resta un punto di riferimento essenziale.
La sua influenza attraversa tutta la seconda scolastica, il neotomismo ottocentesco, il pensiero cattolico novecentesco (Maritain, Gilson) e persino certa riflessione laica del Novecento, come in Etienne Gilson o in Jean-Luc Marion. La metafisica, in Tommaso, è ontologia, ma è anche apertura alla trascendenza, via pulchritudinis, e disciplina della mente.
Capitolo IV. L’età moderna – dalla fondazione cartesiana alla crisi kantiana
4.1 La frattura moderna: soggetto, metodo, certezza
Con l’avvento della modernità filosofica, la metafisica conosce una riconfigurazione radicale: l’essere non è più il dato primario da interrogare, ma ciò che deve essere giustificato a partire dal pensiero. Inaugurata da Cartesio, questa svolta segna il passaggio dall’ontologia all’epistemologia: non più “che cos’è l’essere?”, ma “come posso sapere con certezza che qualcosa è?”. La metafisica, da scienza del fondamento dell’ente, diventa allora ricerca del fondamento del conoscere.
Il cogito, inteso come atto pensante che non può essere negato senza essere riaffermato, rappresenta il nuovo punto archimedeo del pensiero. Ma si tratta di un fondamento formale, soggettivo, che rompe con la concezione classica di verità come conformità all’essere (adaequatio rei et intellectus), sostituendola con la trasparenza del pensiero a se stesso. Il mondo esterno, la realtà corporea, Dio stesso, devono essere ricostruiti a partire da questa certezza originaria, mediante deduzioni razionali garantite da un Dio non ingannatore.
La metafisica cartesiana, nel suo intento di ricostruzione razionale del mondo, si fonda su due assiomi: la chiarezza e la distinzione delle idee, e la necessità di un ente perfetto che assicuri la verità delle percezioni. Ma in questa costruzione il mondo perde la sua autonomia ontologica e viene ridotto a pura estensione (res extensa), mentre il soggetto diventa res cogitans, potenzialmente solipsistica. Da ciò deriveranno le principali tensioni che attraversano il pensiero moderno.
4.2 Razionalismo e ontologia dell’infinito: Spinoza e Leibniz
Se Cartesio fonda la metafisica sull’evidenza interiore del pensiero, Spinoza nega ogni primato soggettivo e riformula l’ontologia in chiave monistica e geometrica. La Ethica ordine geometrico demonstrata restituisce alla metafisica una forma severa e impersonale: esiste un’unica sostanza, Dio o Natura (Deus sive Natura), da cui tutto discende in modo necessario. In Spinoza, la metafisica si fa teologia razionale e filosofia della necessità: nulla è contingente, nulla è esterno alla sostanza, ogni ente è un modo determinato da una catena infinita di cause.
La libertà, in questo sistema, non è l’indipendenza della volontà, ma la comprensione della necessità: l’intelletto umano, elevandosi alla conoscenza adeguata, partecipa all’eternità del divino. La metafisica spinoziana è dunque una mistica razionale, dove l’essere si dispiega attraverso un ordine assoluto, e l’uomo è chiamato non a dominare la realtà, ma ad aderire ad essa secondo ragione.
Leibniz, pur condividendo con Spinoza l’ambizione sistematica, elabora una metafisica pluralista, fondata sulla molteplicità delle sostanze individuali (monadi), ciascuna dotata di percezione e appetizione. Il suo principio di ragion sufficiente (nulla è senza una ragione) diventa il fondamento della struttura razionale dell’essere, e la nozione di armonia prestabilita gli consente di salvare sia l’autonomia del soggetto che l’unità dell’universo.
In Leibniz, la metafisica è anche una teodicea: tutto ciò che esiste appartiene al “migliore dei mondi possibili”, scelto da Dio sulla base della sua perfetta razionalità. L’essere, qui, è logicamente organizzato, gerarchico, ottimale. Ma l’evidenza dell’ordine non è immediata: va pensata, articolata, spiegata. È questa fiducia nell’intelligibilità del tutto che verrà messa in crisi dall’empirismo.
4.3 L’empirismo e la dissoluzione dell’ontologia
Contro la pretesa di fondare la metafisica sulla ragione pura si leva, in Inghilterra, la tradizione empirista, da Locke a Hume. John Locke sostiene che tutte le idee derivino dall’esperienza: sensazione e riflessione sono le fonti uniche del nostro conoscere. L’idea di sostanza, per esempio, è per Locke una “supposizione oscura” che accompagna i fenomeni, ma che non possiamo mai cogliere direttamente. La metafisica si riduce allora a una linguistica confusa, a un parlare di ciò che non si conosce.
David Hume porterà a compimento questa crisi: nella sua Enquiry e nel Trattato sulla natura umana, egli mostra che i concetti centrali della metafisica (causa, sostanza, identità personale, Dio) non hanno alcun fondamento nell’esperienza sensibile. La causalità non è una necessità, ma una consuetudine; l’io non è una sostanza, ma un fascio di impressioni; la divinità è un’ipotesi senza verifica.
Con Hume, la metafisica appare come un’impresa votata all’insignificanza. Il filosofo non nega che tali idee siano utili, ma afferma che esse non sono giustificabili. Ne deriva un’esigenza critica: depurare il pensiero dai suoi eccessi metafisici e ricondurlo ai limiti dell’esperienza. È su questo sfondo che si comprenderà la reazione kantiana.
4.4 Kant e la critica della ragione pura
Immanuel Kant, nella sua opera maggiore (Critica della ragione pura, 1781), si pone l’obiettivo di salvare la metafisica da se stessa. Egli accetta la diagnosi humeana: la ragione pura, lasciata a sé stessa, genera illusioni e paralogismi. Ma invece di abbandonarla, Kant ne delimita le possibilità attraverso un’analisi trascendentale.
La domanda fondamentale della Critica è: come sono possibili i giudizi sintetici a priori? Ossia: in che modo possiamo avere conoscenze che non derivano dall’esperienza, ma che tuttavia si riferiscono ad essa? La risposta di Kant inaugura una nuova forma di metafisica: non più indagine sull’essere in sé, ma sulle condizioni del conoscere. Spazio e tempo non sono realtà esterne, ma forme a priori della sensibilità; le categorie dell’intelletto (quantità, qualità, relazione, modalità) sono condizioni trascendentali di ogni esperienza oggettiva.
La metafisica, per Kant, può essere scienza solo se si limita al fenomeno, cioè a ciò che appare sotto le forme della nostra conoscenza. L’ente in quanto tale, la cosa in sé (Ding an sich), resta fuori portata: pensabile, ma non conoscibile. Di conseguenza, la metafisica tradizionale (ontologia, psicologia razionale, cosmologia razionale, teologia razionale) viene declassata a “dialettica trascendentale”.
Eppure, Kant non abbandona la metafisica: la riformula come esigenza morale. Nella Critica della ragion pratica, il postulato di Dio, dell’immortalità dell’anima, e della libertà, trova una nuova legittimità: non come oggetto di conoscenza, ma come condizioni del dovere morale. La metafisica, quindi, sopravvive non come scienza, ma come fede razionale. In questo slittamento si annuncia già la filosofia dell’idealismo tedesco.
Capitolo V. Dall’essere all’esistenza: Hegel, Schelling, Kierkegaard
5.1 La metafisica come sistema dell’assoluto: Hegel
Con Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770–1831) la metafisica giunge al suo punto culminante e, per certi versi, terminale. Nella Scienza della logica, Hegel realizza l’ambizione antica di una filosofia che coincida con l’intero reale, ma riformula tale ambizione entro la logica dialettica: l’essere non è dato staticamente, ma si fa attraverso il movimento del concetto. La metafisica, in questo senso, diventa logica speculativa, ovvero esposizione del divenire dell’Assoluto a partire dalla sua autocoscienza.
L’essere iniziale (il puro essere) è, per Hegel, del tutto indeterminato, e coincide immediatamente con il nulla. Ma da questa contraddizione originaria sorge il divenire, prima figura dinamica del reale. La metafisica hegeliana non è fondata sull’identità, ma sulla contraddizione come motore interno della realtà. Ogni concetto è tale in quanto si nega e si conserva in un’unità superiore (Aufhebung, “superamento” e “conservazione”).
Nel suo sviluppo, l’Essere diviene Spirito, cioè soggetto che si riconosce nella storia, nel diritto, nell’arte, nella religione e infine nella filosofia. L’Assoluto, pertanto, non è un’ipostasi separata, ma l’intero processo mediante cui la realtà diventa cosciente di sé. Hegel chiude così il cerchio dell’ontologia occidentale: l’essere è, in definitiva, pensiero pensante, soggetto assoluto che si realizza storicamente. La metafisica si identifica con la filosofia dello spirito, e la verità è “il tutto”, la totalità che giustifica ogni sua parte.
Tuttavia, proprio questa totalizzazione sistematica aprirà lo spazio per una critica radicale della metafisica, che si svilupperà nei suoi contemporanei e, soprattutto, nei suoi discepoli eterodossi.
5.2 L’interruzione della necessità: Schelling e la libertà dell’essere
Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (1775–1854), coetaneo e amico-rivale di Hegel, rappresenta una figura liminale tra il razionalismo sistematico e una nuova filosofia dell’esistenza. Nelle sue prime opere (come il Sistema dell’idealismo trascendentale), Schelling condivide con Hegel l’idea di un’assoluto che si manifesta come totalità organica. Ma già nella Filosofia della natura e ancor più nelle lezioni berlinesi, egli rompe con la concezione logicistica dell’Assoluto, sottolineandone l’aspetto oscuro, pre-logico, irriducibile al concetto.
Per Schelling, l’essere non può essere derivato dal pensiero: esso è atto libero, irriducibile a una necessità deduttiva. L’assoluto è, nel suo fondo, libertà e abisso (Ungrund): da esso proviene tanto la luce quanto la tenebra, tanto la ragione quanto l’irrazionale. In tal modo, Schelling introduce nella metafisica moderna un elemento che la tradizione aveva costantemente rimosso: il tragico, l’inquietudine dell’origine, la possibilità del male come reale.
Questa visione inaugura una nuova metafisica, in cui l’essere non è più una struttura logica ma una realtà drammatica, carica di tensioni irriducibili. L’esistenza, in questa prospettiva, non è il risultato di un concetto, ma il precipitato di un conflitto originario. Ciò apre la strada a una metafisica negativa, non sistematica, che influenzerà la mistica laica di Rosenzweig, l’ontologia esistenziale di Heidegger, la teologia apofatica di Simone Weil.
5.3 L’anti-sistema e la singolarità dell’esistenza: Kierkegaard
Con Søren Kierkegaard (1813–1855) la metafisica subisce un vero e proprio capovolgimento: non è più la scienza del fondamento, ma l’esperienza della frattura. Kierkegaard rifiuta esplicitamente il sistema hegeliano, che a suo avviso “spiega tutto tranne l’esistenza”, ovvero la singolarità concreta, finita, angosciata del soggetto umano. La sua opera, disseminata di pseudonimi e scritta con toni ora teologici ora ironici, è una critica immanente alla metafisica come totalità.
Per Kierkegaard, l’essere non si coglie in una sintesi concettuale, ma si vive nell’esistenza – una categoria che diventerà centrale per la filosofia novecentesca. Esistere significa trovarsi gettati in una situazione irripetibile, in cui il soggetto deve scegliere senza garanzie, nella solitudine e nella possibilità del fallimento. In questa dimensione, la metafisica si traduce in paradosso, come testimonia la figura di Cristo, Dio fattosi uomo, scandalo per la ragione e salvezza per la fede.
Kierkegaard non nega la metafisica: ne denuncia la pretesa di oggettività. Il vero pensiero metafisico è, per lui, quello che attraversa l’angoscia, la disperazione, il salto. Il fondamento non è più un principio, ma un atto: l’atto della fede, che implica non la comprensione, ma l’abbandono. L’“io” è fondato non su una struttura logica, ma su una relazione con l’assoluto che può solo essere vissuta.
Con Kierkegaard, la metafisica diventa etica radicale, esistenzialismo ante litteram, critica del concetto in nome della vita. La sua influenza sarà decisiva su Heidegger, Jaspers, Sartre, Levinas e molti altri.
Capitolo VI. La decostruzione del fondamento – Nietzsche, Heidegger, Derrida
6.1 Nietzsche: genealogia, volontà e trasvalutazione
Con Friedrich Nietzsche (1844–1900), la metafisica viene attaccata alla radice non come errore teorico, ma come sintomo. L’intero edificio del pensiero occidentale viene smascherato nella sua pretesa di verità: “ogni filosofia è una confessione dell’autore”. L’essere, la verità, la ragione, l’Uno, Dio stesso – tutte queste entità che la metafisica ha venerato per secoli – non sono che finzioni, effetti di un linguaggio e di una psicologia, costruzioni funzionali alla soppressione della vita.
Nietzsche opera una genealogia della verità, mostrando come i valori metafisici derivino da un processo reattivo di negazione del mondo sensibile. Il platonismo, in particolare, viene visto come il peccato originale della filosofia: l’invenzione di un mondo “vero” ha condannato il mondo “apparente” a essere svalutato. Il cristianesimo – definito come “platonismo per il popolo” – radicalizza questa fuga dal reale.
In Nietzsche la metafisica viene decostruita come ascetismo del pensiero, come volontà di impotenza. Al suo posto egli propone la volontà di potenza come principio dinamico dell’essere, e il pensiero del ritorno dell’identico come estrema forma di fedeltà al reale. Ma Nietzsche non costruisce una nuova ontologia: egli abita il punto di rottura, rifiuta la fondazione, e chiama il filosofo a essere artista e psicologo. Con lui, la metafisica si dissolve nel dionisiaco.
6.2 Heidegger: l’oblio dell’essere e il pensiero del non-fondamento
Martin Heidegger (1889–1976), inizialmente formatosi nella tradizione fenomenologica e neokantiana, compie un gesto più profondo: non distrugge la metafisica, ma la interroga dalla sua origine. Il suo pensiero ruota attorno a una diagnosi: la metafisica occidentale ha dimenticato la domanda dell’essere. Da Platone in poi, essa ha parlato dell’ente – delle cose, delle sostanze, dei concetti – ma non dell’essere dell’ente. Questa rimozione, questo “oblio”, è ciò che costituisce la metafisica come ontoteologia: una ricerca del fondamento che identifica l’essere con un ente supremo, Dio, e così lo perde.
In Essere e tempo (1927), Heidegger riformula la questione dell’essere a partire dall’esistenza concreta, dal Dasein, l’ente che è in questione nel suo essere. L’essere non è una cosa né una proprietà, ma un orizzonte di senso: ciò che consente la manifestazione del mondo. La metafisica, nel suo dimenticare questa apertura originaria, ha ridotto l’essere a presenza, a oggetto disponibile.
Nei suoi scritti successivi (Lettera sull’umanismo, Identità e differenza, Beiträge zur Philosophie), Heidegger abbandona la forma della filosofia sistematica per pensare il non-fondamento: il pensiero dell’essere come evento (Ereignis), come accadere che non si lascia chiudere in alcuna categoria. In questo gesto, la metafisica viene lasciata alle spalle, ma anche attraversata: la “fine della metafisica” è anche l’apertura a un pensiero al di là dell’ontologia.
Heidegger non propone una nuova dottrina dell’essere, ma un altra modalità di pensare: un pensiero che ascolta, che tace, che attende l’avvento dell’essere come dono, come destino. La decostruzione, in lui, non è nichilismo ma inceptualità: ritorno a un inizio più originario, mai posseduto.
6.3 Derrida: différance, scrittura, disseminazione
Con Jacques Derrida (1930–2004) la decostruzione diventa metodo e gesto critico, un modo di leggere i testi filosofici smascherandone le gerarchie implicite e i presupposti logocentrici. La metafisica viene individuata, nel suo nucleo, come logocentrismo: credenza che il significato sia presente, stabile, garantito da un’origine (Dio, soggetto, essere). Ogni sistema filosofico cerca un transcendentale significante che dia senso a tutto il resto. La scrittura è stata storicamente subordinata al discorso, come traccia secondaria.
Derrida, invece, inverte questa gerarchia: la scrittura non è derivata, ma condizione di ogni significazione. Ogni significante rinvia a un altro, senza mai esaurirsi in una presenza. La différance – concetto-chiave del suo pensiero – è differenza e rinvio, deferenza e differimento: ogni senso è sempre spostato, mai presente in sé. Non vi è alcun fondamento ultimo, solo disseminazione, molteplicità di tracce.
In questa prospettiva, la metafisica non viene sostituita da una nuova verità, ma giocata, sabotata, deragliata dall’interno. Derrida legge Platone, Aristotele, Kant, Hegel, Heidegger come testi pieni di tensioni, slittamenti, errori significativi. Ogni sistema cerca un centro, ma il centro si rivela essere un effetto della struttura, non la sua causa.
La decostruzione, allora, non è distruttiva ma aperta: essa mostra come ogni concetto sia abitato dal suo contrario, ogni sistema dal proprio fuori. La metafisica non muore, ma si trasforma in archivio di possibilità, in gioco infinito di riscritture.
Capitolo VII. Metafisica e contemporaneità: scienze cognitive, ontologia sociale, intelligenza artificiale
7.1 Neuroscienze e scienze cognitive: il sé tra corpo e rappresentazione
La riflessione metafisica, a partire dall’età moderna, ha posto al centro la questione del soggetto. Oggi, le scienze cognitive e le neuroscienze rispondono a questa eredità con strumenti empirici e computazionali, ridefinendo profondamente le categorie tradizionali di coscienza, identità e volontà. Il sé non è più pensato come sostanza o fondamento, ma come costruzione dinamica emergente da reti neurali, circuiti corporei e ambienti simbolici.
Studi sulla coscienza, come quelli di Antonio Damasio, Gerald Edelman o Thomas Metzinger, mettono in discussione la nozione di un soggetto unitario: ciò che chiamiamo “io” è il prodotto di loop autopoietici, retroazioni, feedback continui tra rappresentazione e sensazione. La coscienza diventa “modello del mondo” costruito dal cervello per la sopravvivenza e l’azione, non verità ontologica ma funzione adattiva.
In questo quadro, la metafisica non scompare: si trasforma. Le antiche domande sull’identità, la libertà, l’essere diventano problemi di architettura del sistema cognitivo. L’ontologia si riconfigura come fenomenologia neurofisiologica: che cosa significa essere un organismo cosciente? Che cos’è la realtà per un cervello? In questa ibridazione, il pensiero metafisico torna non come sistema, ma come interrogazione liminare dell’esperienza.
7.2 Ontologia sociale: il reale come costruzione collettiva
Un secondo asse fondamentale è rappresentato dalle ontologie sociali: discipline che, sulla scorta di filosofi come John Searle, Judith Butler, Bruno Latour, si interrogano su come entità apparentemente solide – il denaro, lo Stato, la proprietà, il genere, le istituzioni – siano in realtà costruzioni collettive, fondate su atti di riconoscimento, performatività e sedimentazione simbolica.
La metafisica qui si interroga non sull’essere in sé, ma sull’essere intersoggettivo: ciò che esiste solo in quanto riconosciuto da una comunità. In questa prospettiva, le categorie di “realtà” e “finzione” diventano meno nette: molte entità fondamentali della nostra vita (le leggi, le nazioni, le religioni, i generi) non esistono come oggetti naturali, ma come effetti di dispositivi di credenza condivisa.
Judith Butler, ad esempio, mostra come il genere non sia una proprietà ontologica ma una pratica ripetuta, un atto performativo che produce retroattivamente l’illusione della sostanza. Latour, invece, dissolve la separazione tra natura e cultura, scienza e società, mostrando come ogni fatto “oggettivo” sia il risultato di una rete di attori umani e non-umani. In entrambi i casi, la metafisica diventa pragmatica dell’emergenza ontologica, non più fondazione, ma genealogia di effetti di realtà.
7.3 Intelligenza artificiale e ontologie computazionali: l’essere come codice
L’emergere delle intelligenze artificiali e dei sistemi computazionali pone una sfida inedita alla metafisica. Se il pensiero era il luogo privilegiato dell’essere – da Parmenide a Descartes – oggi si apre lo scenario di macchine che pensano, elaborano linguaggio, apprendono, decidono. Che cosa significa allora “essere” per un sistema che non ha coscienza, ma simula funzioni cognitive?
L’ontologia computazionale – campo teorico e pratico che struttura modelli del reale per l’elaborazione digitale – traduce l’essere in strutture di dati. Un’entità esiste se è mappabile, navigabile, calcolabile. Ma in questa riduzione algoritmica si ripropone la domanda: l’essere può essere modellizzato? O esiste un eccedenza, un residuo che sfugge alla formalizzazione?
Filosofi come Luciano Floridi, Katherine Hayles, Yuk Hui e Benjamin Bratton mostrano come la metafisica sia oggi incorporata nelle infrastrutture digitali. Il “mondo” è ormai interfaccia, e l’ontologia è architettura di protocolli, sistemi di interoperabilità, ontologie formali. Ma se tutto è codice, allora si ripresenta la domanda teologica: chi scrive il codice? Chi ne decide l’ontologia?
In questo senso, l’intelligenza artificiale non elimina la metafisica: la automatizza. La macchina produce decisioni ontologiche, seleziona ciò che esiste e ciò che è irrilevante. E la sfida diventa politica: chi controlla l’ontologia digitale? Chi decide cosa è “visibile”, “riconoscibile”, “operativo”? La metafisica, lungi dall’essere conclusa, è oggi al centro della geopolitica algoritmica.
Conclusione: il futuro della metafisica
La metafisica, lungi dall’essere un capitolo chiuso o un residuo arcaico del pensiero filosofico, si configura oggi come una dimensione essenziale e irrinunciabile del discorso critico contemporaneo. La storia che abbiamo attraversato mostra con chiarezza come essa non sia mai stata una dottrina univoca o un sistema monolitico, ma un insieme dinamico di problemi, strategie e interrogazioni che si ripresentano, in forme mutate, in ogni epoca. Questa continuità, tuttavia, non deve essere fraintesa come permanenza immutabile: la metafisica si trasforma continuamente, si ridefinisce nel rapporto con il contesto storico, le pratiche scientifiche e tecnologiche, le domande etiche e politiche.
Il superamento delle pretese fondazionali, operato in particolare da Nietzsche, Heidegger e Derrida, non equivale a un semplice abbandono della metafisica, bensì a una sua profonda crisi e a un ripensamento radicale. La metafisica tradizionale cercava certezze ultime, verità universali e atemporali, fondamenti indubitabili. La riflessione contemporanea ha invece messo in luce la precarietà e la storicità di tali pretese, aprendola a una nuova era di pensiero critico e situato.
Da Nietzsche apprendiamo che le grandi categorie metafisiche non sono entità neutre, ma manifestazioni di una volontà di potenza e di una genealogia dei valori. La decostruzione genealogica ci insegna a leggere la metafisica come fenomeno umano, costruzione culturale e psicologica, che produce effetti di senso ma anche di dominio. Non è dunque possibile pensare la metafisica come puro gioco intellettuale: essa investe la nostra comprensione del mondo e di noi stessi, incidendo profondamente sulle pratiche di potere e sulle forme di vita.
Heidegger, da parte sua, ci richiama all’“oblio dell’essere” come problema originario della metafisica occidentale. La sua diagnosi è amara ma stimolante: la metafisica ha ridotto l’essere a semplice ente, presenza o oggetto, smarrendo così il senso più profondo di quel “che cosa significa essere”. La sua proposta di un pensiero che si apre all’evento dell’essere (Ereignis), che si pone in ascolto e attesa, suggerisce una nuova modalità di filosofare che si sottrae alla presunzione di dominio e possesso conoscitivo. La metafisica si fa allora pensiero dell’inafferrabile, dell’aperto, del mistero.
Derrida, infine, con la sua decostruzione, mette a nudo le strutture logocentriche e ontoteologiche che sorreggono ogni sistema metafisico. La metafisica non è così un punto fermo, ma un gioco di differenze, scivolamenti, tensioni senza fine. Ogni concetto porta dentro di sé la sua alterità, ogni centro si rivela un effetto di struttura e non la sua origine. Da qui deriva una metafisica senza fondamento, che si autoesclude e si rilancia continuamente in nuove forme, in un movimento incessante di riscrittura e revisione.
In questa luce, la metafisica contemporanea si presenta come una disciplina mobile e pluralista. Essa non pretende di fornire risposte definitive o sistemi totali, ma si configura come un esercizio critico di problematizzazione, una pratica che mette in discussione le premesse stesse del sapere e dell’esperienza. In un mondo complesso e interconnesso, dove le categorie tradizionali di identità, verità, realtà vengono messe alla prova da trasformazioni sociali, culturali e tecnologiche, la metafisica si dimostra uno strumento indispensabile per orientarsi e per mettere a fuoco le condizioni di possibilità di ciò che esiste.
L’interazione con le scienze cognitive e le neuroscienze, ad esempio, non riduce la metafisica a un mero supporto empirico, ma la obbliga a ripensare i concetti di soggetto, coscienza e identità. La nozione di “sé” si sposta dal piano della sostanza a quello della rete dinamica di processi biologici e simbolici. La metafisica è chiamata a interrogare non solo il “che cosa” dell’essere, ma anche il “come” dell’esperienza e della conoscenza, esplorando nuove forme di realtà emergenti.
Analogamente, l’esplorazione delle ontologie sociali rivela che il reale non è semplicemente dato, ma costruito e mantenuto da pratiche intersoggettive e simboliche. Questo spostamento da una metafisica centrata sull’essere a una metafisica della relazione e della performatività apre prospettive etiche e politiche, richiedendo una riflessione critica sulle modalità con cui determinate forme di realtà sono istituzionalizzate e su chi detiene il potere di definirle.
Infine, la rivoluzione delle intelligenze artificiali e delle ontologie computazionali pone domande inedite circa la natura dell’essere e del conoscere. L’essere si traduce in codice, dati e algoritmi, e la questione metafisica si sposta sull’interrogazione delle modalità con cui queste rappresentazioni plasmano la nostra percezione del reale. La metafisica si intreccia così con la politica e l’etica del digitale, interrogandosi su chi controlla le infrastrutture simboliche e materiali che definiscono oggi il mondo.
Il futuro della metafisica appare quindi come un processo di apertura continua, un lavoro incessante di messa in crisi e ridefinizione che non prescinde dalla consapevolezza storica e politica. Essa non è più una ricerca di certezze ultime, ma un’esplorazione delle possibilità e delle condizioni di pensabilità e di esistenza. È una metafisica senza garanzie, che rifiuta il dogmatismo e l’autorità, ma si fa custode di un’attitudine dialettica e critica, capace di accompagnare il cambiamento senza esserne schiava.
In questo senso, la metafisica è una disciplina radicalmente plurale, che convoca voci e prospettive molteplici, dalla filosofia analitica a quella continentale, dalle scienze naturali alle scienze umane, dalle tradizioni spirituali alle pratiche culturali contemporanee. Essa è in grado di sostenere un dialogo fecondo tra saperi diversi, restando fedele al suo compito originario: indagare le condizioni di possibilità dell’essere e della verità, pur riconoscendo la loro instabilità e la loro storicità.
In conclusione, la metafisica contemporanea non è il residuo nostalgico di una filosofia superata, né il rifugio consolatorio di certezze infrante. È piuttosto un campo di tensione vitale, un laboratorio di pensiero in cui si sperimentano nuove forme di conoscenza, nuovi rapporti tra soggetto e mondo, nuove etiche del sapere. La sua sfida è quella di mantenere aperto il confronto tra le dimensioni ontologiche, epistemologiche, morali e politiche, riconoscendo la pluralità delle forme di esistenza e il carattere sempre provvisorio delle nostre interpretazioni.
In questo senso, la metafisica non è semplicemente “ancora da pensare”: è sempre in atto, un movimento incessante che ci invita a riflettere su chi siamo, su cosa esiste, e su come vogliamo vivere in un mondo complesso, instabile e profondamente incerto.