il 9 agosto 1926, Giuseppe Ungaretti, il poeta che con i suoi versi essenziali e vibranti aveva dato nuova voce alla letteratura italiana, si trovò in una circostanza che, per quanto insolita, rivelava molto dello spirito acceso e appassionato degli intellettuali del suo tempo. Tutto iniziò con una disputa sulle pagine de L’Italiano, rivista di prestigio ma anche arena di scontri ideologici e letterari. Massimo Bontempelli, scrittore di punta del realismo magico italiano, con il suo stile provocatorio e la sua spavalderia, non poteva che scontrarsi con Ungaretti, simbolo di una poesia che scavava nell’essenza dell’essere umano. Quella che era nata come una divergenza di vedute su temi artistici e poetici si trasformò presto in una schermaglia epistolare, una battaglia di idee che si fece sempre più aspra, tanto da trascinarsi anche sulle pagine de Il Tevere, un altro giornale di punta per i dibattiti culturali dell’epoca.
Non ci volle molto perché le parole, da strumento di dialogo e riflessione, si trasformassero in armi. Il punto di rottura avvenne in un pomeriggio infuocato presso il caffè Aragno, ritrovo prediletto della Roma intellettuale. Tra i tavolini di marmo e le tazzine di caffè lasciate a metà, i due scrittori si scambiarono accuse al vetriolo, al punto che l’alterco si trasformò in una vera e propria rissa, sedata solo dall’intervento di alcuni presenti. Ma l’incidente al caffè non poteva risolvere una questione che ormai si era caricata di orgoglio e di onore personale. Così, in un clima che mescolava ironia e tensione, fu deciso di portare lo scontro su un terreno più formale e regolamentato: un duello.
L’accordo venne preso quasi con leggerezza, ma la scelta del luogo conferì alla vicenda un’aura di solennità: la casa di Luigi Pirandello, autore già celebre e anfitrione perfetto, con il suo giardino ombreggiato e circondato da cipressi, divenne il teatro ideale per l’evento. Era agosto del 1926, e il caldo torrido dell’estate sembrava caricare l’atmosfera di un’ulteriore tensione. Ungaretti e Bontempelli si presentarono accompagnati da amici comuni e da un piccolo seguito di curiosi, che più che spettatori erano complici involontari di una scena che sembrava uscita da un romanzo di Dumas.
Le regole del duello furono fissate in modo chiaro: sarebbe stato uno scontro "al primo sangue", un compromesso tra la voglia di dimostrare il proprio valore e il desiderio di evitare conseguenze troppo gravi. I contendenti indossavano abiti semplici, che contrastavano con le spade lucenti che tenevano tra le mani. Pirandello, impassibile ma con un sorriso ironico appena accennato, osservava la scena, consapevole che si stava per scrivere una pagina di storia, seppur in modo paradossale.
Il duello iniziò in silenzio, rotto solo dal fruscio delle spade e dal respiro trattenuto degli astanti. Ungaretti, nonostante la sua passione, non aveva la destrezza di Bontempelli, che in pochi scambi riuscì a trovare un varco nella difesa dell’avversario. Con un colpo preciso e fulmineo, la lama di Bontempelli penetrò per tre centimetri nell’avambraccio destro del poeta. Ungaretti lasciò cadere la spada con un’espressione mista di sorpresa e dolore, mentre il sangue gli scorreva lungo il braccio. Ma il dramma fu subito mitigato dalla prontezza dei presenti, che si affrettarono a fasciarlo con garze e a offrirgli conforto.
Non appena il braccio di Ungaretti fu bendato, il clima mutò improvvisamente. Quella tensione che aveva accompagnato l’intera vicenda si dissolse in un lampo, sostituita da sorrisi e strette di mano. Ungaretti e Bontempelli, come due attori che avevano appena concluso una grande rappresentazione, si abbracciarono, riconoscendo l’assurdità e, in fondo, la bellezza del loro scontro. Il duello, che avrebbe potuto trasformarsi in tragedia, divenne invece un episodio aneddotico, un ricordo pittoresco che negli anni successivi sarebbe stato raccontato e rielaborato mille volte nei salotti letterari.
E così, quel giorno d’estate, sotto il sole cocente e tra le ombre gentili del giardino di Pirandello, non si consumò solo un duello fisico, ma un confronto tra due modi di vivere e interpretare l’arte, che finì per rinsaldare un’amicizia, o almeno una stima reciproca. Ungaretti tornò a scrivere i suoi versi, e Bontempelli continuò la sua battaglia surrealista, ma entrambi portarono con sé il ricordo di quell’insolito incontro, come un monito e un simbolo del fervore, dell’ironia e della passione che animavano le vite degli intellettuali italiani del Novecento.