giovedì 14 agosto 2025

a proposito di Pokémon

Nei contesti di forte marginalizzazione sociale, ogni scelta – che sia individuale, familiare o istituzionale – si muove entro vincoli strutturali che ne delimitano le possibilità. È fondamentale riconoscere che ogni decisione porta con sé un grado di responsabilità, pur considerando i limiti imposti dalla povertà, dalla discriminazione e dall’esclusione sociale. Perfino le comunità più emarginate, come quelle rom, operano all’interno di contesti rigidamente determinati: parlare di responsabilità non significa ignorare le condizioni che ne condizionano le opzioni, ma considerarle come cornice necessaria entro cui si esercita ogni azione.

Genitori, istituzioni e soggetti politici non possono sottrarsi ai loro obblighi verso bambini e bambine. La loro responsabilità va misurata tenendo conto delle risorse disponibili e dei vincoli che affrontano. La discriminazione etnica e sociale rende le difficoltà ancora più acute, ma non è l’unico fattore: la povertà infantile si manifesta in forme complesse e variabili, che richiedono di osservare attentamente le interazioni tra fattori economici, culturali e istituzionali.

Adottare una prospettiva multidimensionale sulla povertà e sulle disuguaglianze permette di distinguere ciò che deriva da condizioni strutturali da ciò che nasce da decisioni attive. In questo quadro, ogni attore sociale mantiene una responsabilità precisa: famiglie, comunità, istituzioni e politiche pubbliche contribuiscono insieme al benessere dei bambini, anche nei contesti più difficili.

La nostra sconfitta, come cittadini e custodi della cosa pubblica, consiste nel permettere che povertà educativa ed economica continuino a coincidere. Nel Novecento si sapeva quanto fosse fondamentale distinguere i due ambiti: non si trattava di vacanze o di vestiti, ma della possibilità di crescita e sviluppo. Nascere in condizioni di privazione è diventato un destino apparentemente senza appello, sostenuto da una cultura che legittima schemi di esclusione basati su etnia, vendetta, espulsione o segregazione, schemi che richiamano, in ultima analisi, la logica della guerra.

Oggi queste dinamiche si intrecciano con fragilità istituzionali, politiche educative precarie, disattenzione verso le disuguaglianze strutturali e crescente indifferenza della società. Ogni scelta – da chi governa le scuole a chi formula politiche sociali o decide nelle comunità locali – porta con sé un peso concreto di responsabilità. Non è questione di buone intenzioni: serve consapevolezza delle conseguenze, riconoscimento dei vincoli e coraggio nell’agire per superarli.

Allo stesso tempo, famiglie e comunità, anche nei contesti più marginali, esercitano forme di scelta e influenza sul destino dei bambini. Non si tratta di attribuire colpe in maniera semplicistica: le possibilità sono limitate dai vincoli strutturali, ma esistono sempre margini di azione, di protezione, di cura e di trasmissione di valori. Ignorare questo significa ridurre l’individuo a un oggetto passivo, negandone dignità e capacità di contribuire, seppur entro limiti imposti, alla propria storia.

Riconoscere questa complessità significa assumersi la responsabilità di agire in maniera consapevole e coordinata. Significa progettare interventi che affrontino insieme povertà economica e educativa, contrastare le discriminazioni e costruire percorsi che permettano a ogni bambino di crescere senza condanne implicite, senza sentenze già scritte dalla nascita. Significa sfidare la cultura diffusa che giustifica le disuguaglianze e creare spazi concreti di opportunità ed emancipazione.

Non possiamo più permetterci di accettare la ripetizione dei cicli di esclusione. Ogni giorno in cui le istituzioni rinunciano a intervenire, ogni volta che la società chiude gli occhi davanti a chi nasce e cresce in povertà, alimentiamo la continuità di un destino ingiusto. Agire significa rompere la corrispondenza tra nascita e condanna, restituendo ai bambini la possibilità di costruire il proprio futuro senza essere determinati unicamente dalla fortuna o dalla sfortuna della nascita.

La posta in gioco non è solo educativa o sociale: è civile, etica e profondamente politica. La vera sfida consiste nel trasformare la consapevolezza in azioni concrete, creando reti di sostegno che distribuiscano responsabilità in maniera equa e solidale lungo tutti i livelli della società. Solo così si potrà trasformare l’attuale sconfitta in una possibilità reale, duratura e giusta, restituendo dignità e speranza a chi finora ne è stato privato.