In un angolo silenzioso di Gorizia, tra le antiche mura e gli spazi raccolti del Museo di Santa Chiara, prende vita un racconto che va oltre la semplice contemplazione visiva. Non si tratta soltanto di fotografie: ogni immagine è una porta aperta su un mondo che per troppo tempo è rimasto chiuso, un mondo che parla di fragilità, di resistenza, di dignità umana e di possibilità di cambiamento. Dal 29 novembre 2025 al 3 maggio 2026, il museo ospita la mostra "Franco Basaglia. Dove gli occhi non arrivavano", un evento che non celebra soltanto la vita e le battaglie di Basaglia, ma invita lo spettatore a riscoprire la profondità del suo pensiero e la portata rivoluzionaria della sua azione. A rendere possibile questo dialogo visivo e concettuale sono tre dei più grandi fotografi del nostro tempo: Gianni Berengo Gardin, Raymond Depardon e Ferdinando Scianna.
Questa è la prima volta che gli sguardi di Berengo Gardin, Depardon e Scianna vengono messi insieme, componendo un mosaico di sensibilità e interpretazioni che raccontano, con linguaggi diversi ma convergenti, la visione di Basaglia e la trasformazione radicale che portò alla Legge 180 del 1978, la normativa che abolì i manicomi in Italia. Le fotografie non sono meri documenti: sono narrazioni profonde, strumenti di empatia, specchi dell’animo umano. Attraverso di esse emerge una città, Gorizia, intesa non solo come luogo geografico, ma come crocevia di idee, esperienza sociale e laboratorio di innovazioni civili, dove Basaglia pose le basi per una rivoluzione della mente e del cuore.
Le immagini di Berengo Gardin, con la loro immediata e severa precisione, ci portano nel cuore della vita quotidiana dei pazienti. Ci mostrano volti che parlano di sofferenza, di solitudine e insieme di resilienza, catturando piccoli gesti, sguardi, momenti apparentemente ordinari che rivelano l’umanità profonda delle persone relegate fino a quel momento al margine della società. Raymond Depardon, dal canto suo, utilizza la sua capacità unica di osservazione per restituire il contesto, le architetture dei manicomi, gli spazi e le atmosfere che rendono tangibile il peso della segregazione e l’intensità dei cambiamenti in atto. Ferdinando Scianna, con la sua poetica e la sua sensibilità cromatica, trasforma la luce in protagonista: illumina i dettagli invisibili, le pieghe delle emozioni, le sfumature di coraggio e di umanità che spesso sfuggono a un’occhiata superficiale.
Camminando tra le sale, lo spettatore non è un semplice osservatore passivo, ma viene coinvolto in un percorso emozionale e riflessivo che alterna intensità e delicatezza. Ogni immagine diventa occasione per interrogarsi sul concetto stesso di follia e normalità, sull’importanza del rispetto e della dignità, sulla possibilità di trasformare il dolore in consapevolezza e azione. È un invito a riconoscere il coraggio di chi, come Basaglia, non si limitò a denunciare le ingiustizie, ma le affrontò direttamente, proponendo un modello di cura che restituiva centralità e voce a chi ne era privato.
La mostra, con la sua cura narrativa e compositiva, permette anche di riflettere sul ruolo storico e culturale di Gorizia: città-laboratorio in cui le idee di Basaglia furono messe in pratica, diventando esempio per l’Italia intera e, in seguito, per il mondo. Le fotografie non solo raccontano la trasformazione dei luoghi e delle persone, ma suggeriscono anche una meditazione più ampia sulla società e sui suoi margini. Le immagini documentano l’umanità negata, ma allo stesso tempo testimoniano la capacità di resistenza, la scintilla di libertà che si accende anche nei contesti più oppressivi.
Attraverso il lavoro dei tre fotografi, la figura di Basaglia emerge in tutta la sua complessità: medico, intellettuale, innovatore sociale, uomo profondamente legato alla dignità dei singoli e convinto che la trasformazione della società passasse attraverso la trasformazione della coscienza collettiva. Le fotografie diventano quindi strumenti di memoria e di educazione civica, ma anche inviti a interrogarsi sul presente. Ci ricordano che il cambiamento non è un atto simbolico, ma un processo quotidiano, fatto di coraggio, ascolto e attenzione verso chi è più vulnerabile.
L’esperienza della mostra non si esaurisce nella contemplazione delle immagini: è un viaggio sensoriale e emotivo, che intreccia storia, arte e impegno civile. Camminando tra i corridoi del Museo di Santa Chiara, il visitatore si trova di fronte a testimonianze di vite invisibili e, al contempo, a una riflessione sulla capacità della fotografia di trasformarsi in azione sociale, in strumento di empatia, in mezzo per costruire una memoria collettiva che non dimentichi la dignità di nessuno. La rassegna ci insegna a guardare oltre le apparenze, a non accontentarci di ciò che si vede superficialmente, a comprendere che il cambiamento richiede uno sguardo profondo, sensibile e partecipe.
Infine, "Dove gli occhi non arrivavano" non è soltanto un omaggio a Franco Basaglia e al suo legame con Gorizia, ma una riflessione sulla natura stessa della fotografia e della memoria. È una celebrazione dell’arte che diventa voce di chi non ha voce, testimonianza storica, strumento educativo e strumento di coscienza sociale. È un invito a continuare a interrogarsi, a sentire, a guardare con attenzione, a comprendere che ogni sguardo può aprire nuove prospettive e contribuire a costruire un mondo più umano, più inclusivo e più attento a chi è ai margini. In questo senso, la mostra non ha fine: ogni visitatore porta con sé il ricordo di queste immagini, il loro messaggio e la lezione di Basaglia, continuando, nella vita quotidiana, a percorrere il cammino della comprensione e della cura reciproca.