lunedì 30 giugno 2025

Intelligens: alle soglie di un'architettura che pensa con il mondo, La Biennale Architettura 2025

Nel XXI secolo, mentre l’incertezza si fa paesaggio e la crisi diventa materiale di costruzione, l’architettura è chiamata a un compito nuovo: non più solo progettare spazi, ma immaginare coesistenze. La Biennale Architettura 2025 – curata da Carlo Ratti e intitolata "Intelligens. Natural. Artificial. Collective." – si presenta come un invito ad attraversare questa soglia. È il tentativo di ascoltare, e non solo rappresentare, ciò che muta: le forme del vivente, le intelligenze distribuite, gli errori delle macchine, la saggezza dei corpi. Non una mostra, ma un campo sperimentale dove si prova a costruire pensando con – non sopra – il mondo. Dove l’architettura smette di essere dominio e torna ad essere gesto, alleanza, ascolto.

Biennale Architettura 2025: "Intelligens" e la fine dell'architettura come monologo

"Quando i sistemi su cui abbiamo a lungo basato la nostra comprensione cominciano a fallire, sono necessarie nuove forme di pensiero."
– Carlo Ratti

Venezia, primavera 2025. Non una semplice esposizione, ma una metamorfosi diffusa. Non la celebrazione dei grandi nomi dell'architettura, ma una chiamata a raccolta di intelligenze diverse, a volte in conflitto, sempre in dialogo. La 19ª Mostra Internazionale di Architettura, curata da Carlo Ratti, si presenta come un organismo vivo, rizomatico, espanso: non soltanto un evento, ma una postura, un modo diverso di osservare il mondo, di abitarlo e di pensarlo insieme. "Intelligens. Natural. Artificial. Collective." non è un titolo, è una soglia.

Fino al 23 novembre, i luoghi-simbolo della Biennale – Giardini, Arsenale, Forte Marghera – si trasformano in porzioni sensibili di un territorio più ampio che include anche Mestre, il Lido, le isole minori. Venezia non è lo sfondo ma il corpo stesso della mostra: fragile, millenaria, alterata, essa diventa laboratorio e metafora. La città lagunare – da sempre sospesa tra acqua e pietra, tra memoria e futuro – si presta a essere abitata da una pluralità di esperimenti, visioni, dispositivi che ridefiniscono il confine stesso tra l'abitare e il pensare.

L'intelligenza come alleanza, non come dominio

Tre parole – naturale, artificiale, collettiva – delineano le forze in gioco. Ma non sono compartimenti stagni. Sono campi magnetici, sfere d'influenza che si sovrappongono, si attraggono, si respingono, a volte si dissolvono. La mostra non cerca di dare forma a una sintesi, ma propone una co-esistenza instabile e feconda.

Nella sezione dedicata all'intelligenza naturale, le architetture non sono più concepite come elementi che si impongono sul territorio, ma come presenze che si reintegrano nei cicli della materia vivente. Le alghe diventano mattoni, i funghi crescono in stampi biodegradabili, le pareti si muovono in risposta alla luce. In questa sezione, non c'è solo biomimesi: c'è ascolto, reciprocità, relazioni simbiotiche. Un padiglione è interamente costruito con salicornia, un altro respira come un polmone, si espande e si contrae.

Nella sezione artificiale, invece, domina la collaborazione fra macchine e umani. Robot baristi che servono spritz imparando a reagire agli sguardi, bracci meccanici che costruiscono strutture temporanee su input vocali, algoritmi che generano spazi in base alle emozioni. Non c'è nulla di distopico, e nemmeno nulla di glorificato: è un'osservazione critica, a tratti ironica, dell'ibridazione in atto. Si passeggia tra ambienti interattivi dove le intelligenze artificiali sembrano più empatiche degli architetti tradizionali, ma anche tra dispositivi che falliscono, che sbagliano, che si inceppano. L'errore, qui, è progetto.

La parte più radicale è forse quella dedicata all'intelligenza collettiva. Vi si trovano non edifici, ma gesti. Tracce di pratiche comunitarie, rituali, costellazioni di saperi non ufficiali. Le palafitte costruite da donne kalash, i villaggi Dogon, le baracche dell'America Latina, le torri di fango della valle del Loess in Cina. L'architettura qui è intesa come un atto condiviso, non firmato, spesso effimero, sempre indispensabile. L'opera scompare dietro il gesto che l'ha generata.

Infine, la sezione Out: un altrove, un fuori scala, un luogo di fantascienza e di arcaico insieme. Si parla di spazio extraterrestre, di geoingegneria, di habitat per mondi ancora inesistenti o già collassati. Padiglioni gonfiabili, stanze in assenza di gravità, modelli per una sopravvivenza poetica e tecnologica.

Una Biennale come sinfonia

Il ritmo della Biennale 2025 è musicale. Nessun percorso obbligato, nessuna narrazione univoca. Le installazioni sono come strumenti: alcune suonano da sole, altre cercano l'armonia con i suoni vicini. Si può cominciare dai Giardini e finire a Marghera, oppure perdersi fra calli secondarie, dove architetture invisibili si rivelano solo a chi ha tempo.

Carlo Ratti ha orchestrato una pluralità di voci senza cercare un tema totalizzante. Ha lasciato che il caos si esprimesse, ma non in modo sterile. Ha accettato la sfida della complessità, e ha trasformato la Biennale in un'opera aperta. Non è più un'esposizione da visitare: è un ecosistema in cui immergersi. Un invito a pensare con il corpo, a progettare con la memoria, a disegnare con la paura e con la speranza.

Tra le onde della crisi, un gesto poetico

La Biennale Architettura 2025 arriva in un momento storico in cui la parola "futuro" è diventata fragile, quasi impronunciabile. La guerra, la crisi climatica, la solitudine urbana, l'automazione, la polarizzazione. Tutti questi temi affiorano, ma non come denuncia: come domande. Come inviti a ripensare il modo in cui costruiamo non solo gli spazi, ma anche le relazioni, i tempi, i sogni.

Si esce dalla mostra con la sensazione di non aver visto tutto, e va bene così. Perché "Intelligens" non cerca completezza, cerca attenzione. È una Biennale che non vuole stupire, ma innescare. Non vuole convincere, ma contagiare. E, forse, restituire all'architettura la sua funzione più antica: essere un ponte tra l'invisibile e il quotidiano, tra l'utopia e l'imprevisto, tra il gesto e il tempo.

Epilogo: restare nella soglia

Quando si torna indietro, dopo la visita, qualcosa rimane. Non un’immagine, ma una sensazione. Non una forma, ma una domanda: come vivere insieme in un mondo alterato? La Biennale 2025 non offre risposte definitive, e proprio per questo lascia il segno. Perché pone lo spettatore – architetto, cittadino, viandante – dentro una soglia. Ed è da lì, da quel confine vivo tra ciò che sappiamo e ciò che dobbiamo ancora imparare, che si può ricominciare a costruire.