Mentre Gaza viene annientata, Israele tenta di trascinare l’Iran e l’intero Medio Oriente in un conflitto totale. Il calcolo è cinico: provocare l’Apocalisse per costringere l’Occidente a difendere l’indifendibile. L’ultima finestra per fermare questa spirale è ora. Poi resterà solo la cenere.
C’è una soglia invisibile che, una volta superata, trasforma la Storia in Destino. Un punto oltre il quale non si torna, perché ogni esitazione si fa collusione, e ogni neutralità diventa omertà. Siamo esattamente lì. Con la mente ancora annebbiata dalle certezze dell’ordine liberale postbellico, ci rifiutiamo di vedere che tutto sta cambiando sotto i nostri occhi. E al centro di questo sconvolgimento c’è un uomo, Benjamin Netanyahu, che ha smesso da tempo di cercare la pace, e ora gioca l’unica carta che gli resta: il disastro.
Netanyahu non è un leader in difficoltà. È un uomo al tramonto, circondato da processi per corruzione, in crisi di legittimità politica, e aggrappato a un’alleanza con l’estrema destra più messianica e militarista che Israele abbia mai conosciuto. Non è la sicurezza dello Stato ebraico che lo muove, ma la sopravvivenza del proprio potere personale, anche a costo di distruggere ogni equilibrio regionale. La guerra a Gaza, iniziata dopo gli orrendi attentati del 7 ottobre, non è più una risposta militare a un’aggressione: è diventata un’escalation cieca e sistematica, uno stillicidio quotidiano di civili, bambini, medici, profughi, giornalisti. E soprattutto, è diventata una trappola per l’intero Occidente.
Perché l’obiettivo, ormai evidente, è quello di allargare il conflitto: provocare Hezbollah, colpire profondamente il Sud del Libano, lanciare attacchi in Siria, fare pressione sugli Houthi in Yemen, e infine colpire l’Iran. Ogni azione, ogni raid, ogni dichiarazione, è un passo studiato verso una guerra totale. Il calcolo è perverso ma efficace: se il caos dilaga, se Teheran reagisce, se l’Asse sciita entra in campo, l’Occidente non potrà più permettersi ambiguità morali. Dovrà scegliere. E la scelta sarà tra Israele e l’ignoto.
È una scommessa sulla paura. Ma anche un ricatto.
Questa è la vera tragedia: Netanyahu sa perfettamente che l’Occidente, oggi, è debole non militarmente, ma moralmente. È paralizzato da un doppio standard che mina alla base la propria credibilità. Si parla ogni giorno, giustamente, del diritto degli ucraini a difendersi. Ma si tace quando milioni di palestinesi vengono privati di ogni diritto, sotto assedio, bombardati senza scampo, lasciati senza acqua né pane, usati come pedine in una partita geopolitica giocata sulla loro pelle da decenni. L’Europa e gli Stati Uniti sono prigionieri del mito dell’alleanza indissolubile con Israele. Ma non è più un’alleanza tra democrazie. È diventata una copertura complice per crimini documentati da tutte le principali ONG internazionali.
Human Rights Watch, Amnesty International, Médecins Sans Frontières, il Consiglio dei diritti umani dell’ONU: tutti hanno denunciato l’uso della fame come arma, i bombardamenti indiscriminati, l’ostruzione sistematica degli aiuti umanitari. Eppure, nessuna sanzione. Nessun embargo. Anzi, rifornimenti di armi, veto automatico al Consiglio di Sicurezza, e un’inerzia europea che sconfina nella viltà.
Solo pochi governi – Spagna, Irlanda, Norvegia – hanno osato chiamare le cose col loro nome. Il resto tace, si astiene, o peggio: accusa chi denuncia il massacro di essere “antisemita”. È un cortocircuito culturale, etico, che rischia di polverizzare la coerenza del pensiero democratico. Se si accetta che un Paese possa agire impunemente contro ogni norma del diritto internazionale solo perché si dichiara nostro alleato, allora si decreta la fine del diritto stesso.
C’è un punto che va messo nero su bianco: lo Stato di Israele, oggi, non risponde più a nessun principio condiviso della comunità internazionale. Il diritto alla sicurezza non può più essere invocato come scudo per l’annientamento di una popolazione sotto occupazione da 57 anni. Il diritto all’autodifesa non legittima la distruzione sistematica delle infrastrutture civili, dei centri sanitari, delle università. Non c’è più proporzione, non c’è più logica militare. C’è solo la volontà di cancellare un popolo. In altre parole: apartheid, pulizia etnica, e ora, de facto, genocidio.
E se non lo diciamo oggi, quando sarà troppo tardi?
Il peggio è che tutto questo viene fatto con la presunzione dell’impunità. Netanyahu e il suo governo – Smotrich, Ben-Gvir, Gallant – non temono il giudizio della Corte dell’Aia. Non temono l’ONU. Non temono l’opinione pubblica internazionale, che disprezzano. Temono solo una cosa: il disallineamento dell’Occidente. Per questo il loro gioco è diventato così pericoloso. Se riescono a provocare una guerra con l’Iran, ci costringeranno a combattere al loro fianco, anche contro i nostri stessi valori.
Ecco perché questa è l’ultima occasione. L’ultima finestra per fermare la spirale prima che si trasformi in una catastrofe planetaria. Fermare Netanyahu oggi – con pressioni diplomatiche reali, sanzioni, condizionamento degli aiuti militari, isolamento politico – è l’unico modo per evitare che la guerra a Gaza diventi la guerra di tutti. Per farlo, l’Occidente deve riconquistare il coraggio morale che ha smarrito. Deve smettere di avere paura delle proprie parole. Deve dire che ciò che accade è inaccettabile. E che non sarà più tollerato.
Questo non significa voltare le spalle a Israele. Significa impedirgli di autodistruggersi e di trascinarci con sé. Perché se Israele diventa davvero uno Stato canaglia, se la sua democrazia collassa, se il suprematismo religioso prende il sopravvento, sarà un buco nero nel cuore del Mediterraneo. E noi ne pagheremo il prezzo.
Non solo in termini geopolitici. Ma in termini di valori, identità, giustizia.
Non ci sarà pace se non si riparte dalla verità. E la verità è questa: nessuna causa, nessun trauma storico, nessuna ragione strategica può giustificare l’annientamento di un’intera popolazione. La sopravvivenza di Israele come Stato democratico passa non dal massacro dei palestinesi, ma dalla fine dell’occupazione. E l’Occidente deve scegliere: o resta ostaggio del ricatto di Netanyahu, oppure torna a difendere davvero i principi che dice di rappresentare.
Le porte dell’inferno sono aperte. Se non facciamo qualcosa ora, si richiuderanno solo quando ci avranno inghiottiti tutti.
Giornalista e osservatore indipendente dei conflitti e dei diritti umani