giovedì 12 giugno 2025

L'infanzia del desiderio: la poetica di Sandro Penna

Sandro Penna (Perugia, 12 giugno 1906 – Roma, 21 gennaio 1977) rappresenta una figura singolare e imprescindibile all'interno della poesia italiana del Novecento. Emarginato per scelta e per necessità, legato a una dimensione lirica tanto monocorde quanto radicale, Penna ha edificato una delle opere più coerenti e idiosincratiche del secolo, imperniata sulla costante evocazione di un mondo popolato da ragazzi, dalla luce, dal mare, da città marginali e da momenti di struggente, irriducibile bellezza.

La critica si è spesso interrogata sulla ristrettezza tematica della sua poesia, sull'apparente semplicità formale, sull'esplicito erotismo omosessuale che la percorre. Tuttavia, più che limitazione, la fedeltà a un universo lirico inalterato costituisce in Penna una scelta estetica radicale, quasi una forma di resistenza metafisica alla dissipazione del tempo e alla volgarità del reale. Questo saggio intende analizzare gli elementi fondamentali della poetica penniana, interrogandone le matrici culturali e stilistiche, e restituendone la collocazione storica e simbolica nel panorama letterario italiano.

Nel mondo poetico di Penna l'infanzia non è soltanto una fase della vita, ma una vera e propria categoria estetica e affettiva. I giovinetti che affollano le sue liriche non sono tanto individui concreti, quanto epifanie luminose, manifestazioni di un ideale di bellezza innocente e assoluta.

Lungi dall'essere solo oggetto di desiderio sessuale, il ragazzo in Penna è anche figura dell'altro, del diverso, dell'intatto. In questo senso, l'infanzia si sovrappone al desiderio: entrambi si configurano come zone utopiche, spazi sottratti al divenire, momenti puri di rivelazione.

Sebbene Penna sia nato a Perugia, la sua geografia poetica è profondamente romana. Ma si tratta di una Roma ben lontana da quella monumentale e borghese: è la Roma delle stazioni, dei quartieri periferici, dei muraglioni del Tevere.

Questi paesaggi urbani, spesso desolati e spogli, diventano per Penna scenari di visione e di incontro, veri e propri teatri del desiderio. La città è vista non come sfondo ma come complice, ambiente spirituale e sensuale al tempo stesso. Il paesaggio urbano è parte integrante della sua poetica, luogo dell'apparizione, ma anche della solitudine.

Una delle caratteristiche più evidenti della poesia di Penna è la brevitas: la maggior parte dei suoi testi si compone di pochi versi, spesso strutturati in distici o quartine. La scelta della forma breve non è dettata da pigrizia espressiva, ma da una precisa concezione lirica: il frammento come lampo, come scintilla di un'esperienza intensa e irripetibile.

Questa essenzialità formale si accompagna a una musicalità costante e suadente, fatta di rime leggere, di assonanze, di cadenze regolari. La lingua di Penna sembra voler sfiorare le cose senza mai afferrarle, come il desiderio stesso che canta: desiderio che non conosce sazietà, che si consuma nel suo stesso ardore.

Uno degli aspetti più discussi dell'opera penniana riguarda l'esplicita celebrazione del desiderio omosessuale, in particolare verso ragazzi giovani. In un'epoca in cui l'omosessualità era stigmatizzata o invisibile, Penna ne fa invece materia poetica dichiarata, con una naturalezza che scandalizza e incanta.

L'elemento erotico, tuttavia, è inscindibile da un senso di innocenza, di purezza. Nei suoi versi non vi è mai oscenità o volgarità: il corpo amato è sempre corpo-immagine, corpo-icona. Anche nelle poesie più esplicitamente sensuali, resta una vibrazione elegiaca, una nostalgia del corpo come soglia di verità.

La critica ha talvolta rimproverato a Penna una certa ripetitività, una mancanza di evoluzione, quasi una pigrizia intellettuale. Eppure proprio questa fissità rappresenta il cuore della sua estetica. Penna non cerca la varietà o la progressione, ma la fedeltà a un nucleo incandescente.

Ogni poesia è un ritorno, una variazione sullo stesso tema, un esercizio di attenzione e di ascolto. Come ha scritto Pasolini, Penna è "sempre uguale a se stesso, sempre al livello della sua più alta purezza". In questa monotonia si cela una forma di ascesi, una radicale coerenza.

Sebbene la poesia di Penna appaia slegata dalle grandi correnti del Novecento, essa si inscrive in una linea lirica che va da Leopardi a D'Annunzio, da Pascoli a Saba. La sua musicalità e il suo culto dell'immagine lo avvicinano ai simbolisti, mentre la sua scelta della marginalità e del corpo lo pongono accanto alle esperienze più radicali della modernità.

Il rapporto con Pier Paolo Pasolini, in particolare, è stato cruciale: Pasolini ne fu amico, sostenitore e, in parte, discepolo. Ma mentre Pasolini trasforma il desiderio in tragedia, in storia e in ideologia, Penna lo lascia nella sua forma pura, lirica, assoluta.

La poesia di Sandro Penna rappresenta un unicum nel panorama letterario italiano. La sua voce, apparentemente fragile e monotona, si rivela invece fortissima nella sua fedeltà a un nucleo emotivo ed estetico irriducibile: l'amore per il ragazzo, la luce dell'infanzia, la dolcezza del desiderio. In un secolo segnato dalle ideologie, dalle catastrofi storiche e dalle rivoluzioni formali, Penna resta fedele al frammento, alla bellezza fugace, alla verità dell'istante.

Per questo la sua opera continua a parlarci oggi con una intensità nuova, come una ferita che non si rimargina, come una carezza che brucia. In un mondo che ha fatto dell'identità una bandiera, Penna ci ricorda che la poesia è innanzitutto fedeltà al proprio desiderio, alla propria voce, alla propria verità più segreta e luminosa.