sabato 14 giugno 2025

L’eleganza dell’invisibile. Saul Leiter in mostra alla Villa Reale di Monza

Una retrospettiva che riscopre lo sguardo lirico e sperimentale di un outsider della fotografia americana

La fotografia di Saul Leiter (1923–2013) si sottrae sin dalle origini alla retorica del momento decisivo, all’enfasi dell’evento, alla retorica del documento sociale. Collocandosi ai margini sia del fotogiornalismo sia della street photography tradizionale, Leiter ha costruito un linguaggio visivo autonomo, lirico, fatto di attese, intermittenze, riflessi. La mostra attualmente ospitata nel Belvedere della Villa Reale di Monza — aperta al pubblico fino al 27 luglio 2025 — ne offre un’ampia e approfondita ricognizione.

Con 126 fotografie in bianco e nero, 40 a colori, 42 dipinti e una selezione di materiali d’archivio, l’esposizione restituisce la complessità di una figura rimasta a lungo ai margini della canonizzazione critica, ma ormai riconosciuta come una delle più originali voci del secondo Novecento visivo.

Leiter, formatosi inizialmente come pittore e influenzato dall’espressionismo astratto, ha trasposto nella fotografia un’attitudine marcatamente pittorica: la costruzione dell’immagine è sempre mediata da filtri — vetri appannati, ombre, vetrine, parabrezza bagnati — che ne dissolvono i contorni e la rendono più prossima all’esperienza percettiva che alla registrazione oggettiva. In tal senso, si potrebbe parlare di una fotografia fenomenologica, che privilegia la soglia, la trasparenza, la sfocatura, anziché la nitidezza e la centralità del soggetto.

Il colore, che Leiter adotta precocemente già negli anni Cinquanta — molto prima che venisse accettato nei contesti museali e critici — non ha in lui funzione decorativa né descrittiva. È un elemento atmosferico, affettivo, talvolta musicale. Ogni inquadratura diviene una micro-composizione tonale, in cui la figura si dissolve nel campo e la narrazione cede il passo alla sensazione. In ciò, Leiter si distanzia radicalmente tanto dai suoi contemporanei della scuola di New York (Weegee, Klein, Winogrand), quanto dai fotografi europei d’impronta umanista. Il suo sguardo è introverso, meditativo, refrattario alla teatralità.

La mostra di Monza non si limita a esporre opere, ma propone un percorso interpretativo, in cui lo spettatore è invitato a sostare, a interrogare le immagini, a percepire il tempo rallentato della visione. I materiali filmici e i documenti presenti in mostra contribuiscono a contestualizzare la ricerca di Leiter anche sotto il profilo biografico e teorico: emerge così la coerenza di un autore che ha rifiutato il clamore e ha trovato nell’ordinario la possibilità del sublime.

In un momento storico in cui l’atto del vedere è sovraesposto, accelerato, saturato di stimoli, l’opera di Saul Leiter acquista un valore non solo estetico ma etico: ci ricorda che il senso si annida spesso negli interstizi, e che osservare davvero richiede tempo, silenzio, attenzione.