Il processo di trasformazione dello Stato negli Stati Uniti non è avvenuto in una notte. È stato il risultato di decenni di politiche neoliberiste che hanno progressivamente smantellato le istituzioni pubbliche e privatizzato i servizi essenziali. L’idea di fondo non è mai stata quella di abolire lo Stato, ma di ridefinirlo affinché servisse esclusivamente gli interessi delle élite economiche, riducendo al minimo il suo ruolo di garante del benessere collettivo. Il neoliberismo ha presentato questa trasformazione come un necessario adattamento alla modernità, sostenendo che un mercato libero e competitivo avrebbe portato maggiore efficienza e prosperità. Ma questa retorica si è rivelata una menzogna: al posto di una società più equa e dinamica, abbiamo assistito a un aumento delle disuguaglianze, a una concentrazione del potere senza precedenti e a una progressiva erosione dei diritti sociali.
Lo svuotamento dello Stato: un processo lungo quarant’anni
Per comprendere come siamo arrivati a questo punto, bisogna guardare indietro, agli anni Ottanta, quando la dottrina neoliberista ha cominciato a dominare il dibattito politico ed economico. Con Reagan negli Stati Uniti e Thatcher nel Regno Unito, il modello keynesiano del dopoguerra, basato su un forte intervento pubblico nell’economia e su un ampio welfare state, è stato progressivamente abbandonato. Il nuovo paradigma sosteneva che il settore privato fosse più efficiente nel gestire le risorse e che il ruolo dello Stato dovesse essere ridotto al minimo. In nome della crescita economica, si sono deregolamentati i mercati finanziari, tagliate le tasse ai più ricchi e privatizzati servizi essenziali come sanità, istruzione e trasporti.
Negli anni Novanta, con l’affermazione della cosiddetta Terza Via, anche la sinistra ha finito per accettare questa impostazione. Partiti un tempo socialdemocratici hanno abbandonato la lotta di classe e adottato politiche pro-business, contribuendo a smantellare lo Stato sociale anziché rafforzarlo. Questo ha portato a un progressivo indebolimento della capacità delle istituzioni di proteggere i cittadini dagli effetti negativi del mercato. In nome dell’efficienza, si sono chiusi ospedali pubblici, esternalizzati servizi, precarizzati i lavoratori del settore pubblico. Il risultato è che oggi, negli Stati Uniti, milioni di persone non possono permettersi cure mediche, l’istruzione universitaria è diventata un privilegio per pochi e la sicurezza sociale è stata ridotta a un’ombra di ciò che era un tempo.
Ma il vero obiettivo del neoliberismo non è mai stato solo economico: è sempre stato anche politico. Riducendo il ruolo dello Stato nella vita quotidiana delle persone, si è creato un senso di impotenza e rassegnazione. Se lo Stato non è più in grado di garantire sanità, istruzione o assistenza, i cittadini smettono di aspettarsi qualcosa dalla politica e diventano più facilmente manipolabili. Questo ha portato a un progressivo distacco dalla democrazia, con una crescente sfiducia nelle istituzioni e una pericolosa deriva autoritaria.
Dal neoliberismo al tecnofeudalesimo: il nuovo volto del capitalismo
Oggi il sistema economico globale sta attraversando una nuova fase, che Yanis Varoufakis ha definito tecnofeudalesimo. Non siamo più di fronte a un capitalismo basato sulla libera concorrenza e sulla produzione di beni e servizi, ma a un sistema dominato da un ristretto numero di colossi tecnologici che controllano le infrastrutture digitali e le informazioni. Google, Amazon, Microsoft, Meta non sono più semplici aziende, ma vere e proprie potenze sovranazionali che determinano il modo in cui comunichiamo, lavoriamo e accediamo alla conoscenza.
Questi nuovi feudi digitali non generano ricchezza attraverso la produzione, ma attraverso la rendita. Controllano le piattaforme su cui si svolge gran parte della vita economica e sociale, guadagnando non dalla vendita di prodotti, ma dall’accesso alle reti e ai dati. Non vendono solo servizi, ma condizioni di esistenza. Se in passato la ricchezza si accumulava attraverso lo sfruttamento del lavoro, oggi si accumula attraverso il controllo delle infrastrutture digitali e delle informazioni.
In questo nuovo sistema, lo Stato non scompare, ma si trasforma in un semplice strumento di gestione della popolazione. Il suo ruolo principale non è più garantire diritti e servizi, ma proteggere gli interessi delle élite economiche. Un esempio chiaro di questa trasformazione è il Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE), creato dall’amministrazione Trump e ora guidato da Elon Musk. Formalmente, il DOGE è stato istituito per ridurre la burocrazia e migliorare l’efficienza del governo, ma nella pratica sta accelerando la distruzione dello Stato sociale.
Una delle sue prime mosse è stata la cancellazione di contratti per quasi un miliardo di dollari destinati al Dipartimento dell’Istruzione, eliminando un ufficio di ricerca che monitorava i progressi degli studenti americani. Questo non è solo un attacco all’istruzione pubblica: è un attacco alla possibilità stessa di raccogliere dati sulle disuguaglianze educative, impedendo di sviluppare politiche basate su evidenze scientifiche.
Il controllo della conoscenza: censura e riscrittura della realtà
Ma la trasformazione dello Stato non riguarda solo l’economia e l’amministrazione: riguarda anche il controllo della conoscenza. Chi controlla il linguaggio e l’informazione, controlla la società. Negli ultimi anni, l’amministrazione Trump ha avviato una sistematica riscrittura del linguaggio ufficiale, eliminando termini considerati scomodi per la destra reazionaria.
Il Center for Disease Control (CDC) ha ricevuto l’ordine di rimuovere dai propri documenti scientifici parole come transgender, genere, LGBT, non binario. La NASA ha eliminato dai suoi siti web ogni riferimento a donne nella leadership, diversità e inclusione. Questi non sono semplici dettagli burocratici: sono atti deliberati di cancellazione simbolica, che negano l’esistenza di intere comunità e preparano il terreno per la loro esclusione materiale.
Quando un governo decide di eliminare il riconoscimento legale di un gruppo sociale, sta già ponendo le basi per la sua discriminazione sistematica. Senza il riconoscimento nei documenti ufficiali, non esistono protezioni legali. La cancellazione del linguaggio è solo il primo passo: il passo successivo è la negazione dei diritti e, infine, la repressione vera e propria.
Conclusione: una sinistra senza strategia
Se oggi ci troviamo in questa situazione, una parte della responsabilità è della sinistra progressista, che per decenni ha accettato il paradigma neoliberista senza opporre resistenza. Quando la sinistra ha rinunciato alla lotta di classe, ha perso la sua capacità di combattere le disuguaglianze. Ha concentrato le sue battaglie su diritti civili e questioni identitarie – cause sacrosante, certo – ma senza mai mettere in discussione il sistema economico che genera esclusione e oppressione.
E così, oggi, la destra sta smantellando decenni di progressi sociali senza trovare una reale opposizione. Lo Stato sta diventando un’arma nelle mani delle élite economiche, utilizzata per reprimere il dissenso e proteggere gli interessi delle multinazionali. La domanda che dobbiamo porci ora è: come possiamo ribaltare questa tendenza? Se la sinistra non torna a lottare per un modello economico alternativo, la strada verso l’autoritarismo sarà inevitabile.