giovedì 20 febbraio 2025

Tra arte e amore: il legame indissolubile di Max Ernst e Peggy Guggenheim

New York, nell’anno 1940, si stava trasformando nel nuovo epicentro dell’arte moderna, Max Ernst posa per una fotografia che, a prima vista, potrebbe sembrare solo un’immagine d’epoca, un’istantanea di un artista nel suo ambiente. Ma in realtà, questa fotografia di Hermann Landshoff racchiude un’intera vicenda di fuga e sopravvivenza, di passioni turbolente e di mecenatismo, di incontri che avrebbero riscritto la storia dell’arte.

Max Ernst è ritratto nell’appartamento di Peggy Guggenheim, un luogo che, per molti artisti esuli dall’Europa, non era soltanto una residenza, ma un porto sicuro, un crocevia di destini. L’America, in quegli anni, era diventata il rifugio per un’intera generazione di artisti, scrittori e intellettuali in fuga dal nazismo e dall’imminente disastro della guerra. In questa fotografia, Ernst appare in un contesto intimo e sofisticato, quasi un’isola di cultura europea trapiantata nel Nuovo Mondo.

Lo sguardo dell’artista è enigmatico, perso in un pensiero che non si lascia decifrare facilmente. Non c’è l’aria del profugo disperato, ma neanche quella della completa serenità. È come se fosse sospeso in un momento di transizione, un uomo in bilico tra il passato che ha lasciato e il futuro che ancora non conosce. L’ambiente intorno a lui è una testimonianza visiva della passione di Peggy Guggenheim per l’arte moderna: dietro di lui, riconosciamo la silhouette della scultura Woman Walking di Alberto Giacometti, una figura allungata e fragile, che sembra avanzare con fatica, come chi ha dovuto lasciare la propria terra e non sa ancora se troverà una nuova casa.

Un incontro che cambiò tutto

Max Ernst e Peggy Guggenheim si erano conosciuti nel 1938, a Parigi, in un periodo in cui l’Europa era ancora percorsa da un fermento artistico irripetibile. Lei, figlia di una delle famiglie più ricche d’America, aveva da poco iniziato la sua carriera di collezionista con un entusiasmo e una determinazione fuori dal comune. Nel giro di pochi anni, Peggy avrebbe messo insieme una delle più grandi raccolte di arte moderna del secolo, diventando una figura di riferimento per il surrealismo e l’avanguardia.

Ernst, invece, era già un nome affermato. Nato in Germania nel 1891, aveva attraversato il dadaismo prima di diventare uno dei protagonisti assoluti del surrealismo. I suoi dipinti, con le loro visioni oniriche, le figure misteriose e i paesaggi inquietanti, avevano affascinato e sconvolto il pubblico. Ma con l’avvento del nazismo, la sua arte era stata bollata come “degenerata”, e la sua stessa esistenza in Francia era diventata sempre più precaria.

Peggy, affascinata dal suo lavoro e dal suo carisma, iniziò ad acquistare le sue opere con entusiasmo. Ma quello che iniziò come un rapporto tra mecenate e artista si trasformò rapidamente in qualcosa di più profondo. Nel caos della guerra imminente, tra i salotti parigini e gli atelier in fermento, nacque tra loro un legame che avrebbe attraversato gli anni più drammatici della loro vita.

Fuga dall’Europa e rinascita a New York

Quando la guerra scoppiò e la Francia cadde sotto l’occupazione nazista, per Ernst la situazione divenne disperata. Nel 1940 fu arrestato dalle autorità francesi come “straniero nemico”, nonostante fosse un artista di fama internazionale. Rilasciato grazie all’intervento di amici influenti, si trovò comunque in pericolo: i nazisti non solo perseguitavano gli artisti “degenerati”, ma avevano messo nel mirino proprio lui, sia per la sua arte, sia per le sue amicizie nell’ambiente antifascista.

Fu a questo punto che Peggy Guggenheim decise di intervenire. Con la determinazione e i mezzi economici di cui disponeva, riuscì a organizzare la fuga di Ernst dall’Europa, inserendolo tra gli artisti salvati da Varian Fry, l’americano che con la sua rete clandestina riuscì a mettere in salvo decine di intellettuali in pericolo.

Fu un viaggio drammatico, attraverso i Pirenei e la Spagna, con continui rischi e incertezze. Alla fine, nel 1941, Max Ernst riuscì ad arrivare a New York, dove ad attenderlo c’era Peggy, pronta a offrirgli non solo una nuova vita, ma anche un nuovo amore.

Una relazione tempestosa

Una volta negli Stati Uniti, Ernst si trovò immerso in un mondo completamente diverso. New York non era Parigi, e la scena artistica americana era ancora in una fase di sviluppo. Ma l’energia della città e l’ambiente cosmopolita offrirono nuove opportunità. Peggy, con la sua influenza, lo aiutò a inserirsi, e tra loro la relazione si intensificò.

Nel 1942, i due si sposarono, in quella che sembrava essere la consacrazione del loro legame. Ma la loro unione era tutt’altro che tranquilla. Peggy era una donna forte, indipendente, abituata a prendere decisioni senza dover rendere conto a nessuno. Ernst, d’altro canto, era un uomo abituato a seguire i propri impulsi, a vivere l’arte come una continua ricerca di libertà. Ben presto, le tensioni iniziarono ad accumularsi.

Peggy voleva un compagno che le fosse fedele, che condividesse la sua visione dell’arte e della vita. Ernst, invece, si sentiva soffocato dal ruolo di “artista protetto” da una donna così potente. Inoltre, il suo spirito inquieto lo portava a cercare sempre nuove ispirazioni, nuove sfide. Fu proprio durante il loro matrimonio che conobbe Dorothea Tanning, una giovane artista surrealista americana, con la quale iniziò una relazione appassionata.

Nel 1946, il matrimonio con Peggy finì. Max Ernst lasciò la collezionista per seguire Dorothea, con la quale avrebbe trascorso il resto della sua vita.

Un’eredità che va oltre l’amore

Nonostante la fine della loro storia personale, il legame tra Ernst e Peggy Guggenheim rimase incancellabile. Senza di lei, probabilmente non avrebbe mai lasciato l’Europa in tempo, né avrebbe avuto la possibilità di costruire una nuova carriera in America. Senza di lui, la collezione Guggenheim non avrebbe avuto uno dei suoi artisti più rappresentativi.

La fotografia di Hermann Landshoff, scattata nel momento in cui Ernst era ancora immerso in quella fase di transizione, cattura perfettamente questa ambivalenza. L’artista sembra a suo agio, ma non completamente. La scultura di Giacometti alle sue spalle e il palo Kwakiutl a cui si appoggia sono simboli di viaggio, di adattamento, di una ricerca che non è ancora finita.

Max Ernst, in quell’immagine, è il riflesso di un’epoca: un uomo che ha attraversato guerre, passioni e rivoluzioni artistiche, e che, nonostante tutto, continua a reinventarsi. La sua storia con Peggy Guggenheim non è solo una vicenda personale, ma un tassello fondamentale nella storia dell’arte del XX secolo. Un legame che, seppur spezzato, ha lasciato un segno indelebile.