sabato 22 febbraio 2025

Il Diavolo meccanico: storia e mistero dell'automa di Settala

Nel Castello Sforzesco di Milano, tra i corridoi che custodiscono secoli di storia, si trova una sala che affascina e incuriosisce chiunque vi metta piede: la Sala XVIII. Questo spazio, allestito con il gusto e la teatralità delle antiche Wunderkammern—le camere delle meraviglie tanto amate dai collezionisti rinascimentali e barocchi—ospita un oggetto straordinario, capace ancora oggi di suscitare stupore e inquietudine. Si tratta dell’Automa con testa di diavolo, un manufatto unico nel suo genere, che sembra appartenere a un mondo a metà tra la scienza e la magia, tra l’ingegneria e il soprannaturale.

Quest’opera, la cui creazione risale al Seicento, porta con sé il genio e la curiosità di Manfredo Settala, figura poliedrica e affascinante. Nato a Milano nel 1600, Settala fu un uomo del suo tempo e, al tempo stesso, un precursore della modernità. Canonico di professione, scienziato per passione, collezionista per vocazione, dedicò la sua vita all’accumulo di oggetti rari e straordinari, dando vita a una delle raccolte più celebri del periodo. Il suo museo privato, allestito nella sua abitazione, divenne meta di studiosi e curiosi, un luogo in cui il sapere si manifestava sotto forma di reperti naturalistici, strumenti scientifici, manufatti esotici e, soprattutto, congegni meccanici di incredibile ingegnosità.

Tra tutti gli oggetti della sua collezione, l’Automa con testa di diavolo spicca per la sua originalità e per il senso di meraviglia che riesce a evocare. A prima vista, il manufatto appare come una testa scolpita con tratti grotteschi, un volto dai lineamenti esagerati che sembra strizzare l’occhio alle caricature teatrali dell’epoca. Ma è solo azionando il suo meccanismo che l’oggetto rivela la sua vera natura. Una manovella, nascosta nella struttura, mette in moto un insieme di ingranaggi e leve che animano il volto in un modo tanto spettacolare quanto inquietante. Gli occhi iniziano a roteare freneticamente, la testa si muove con scatti improvvisi, la bocca si deforma in smorfie esagerate, e infine una lunga lingua si protende fuori in un gesto beffardo e irridente. Il tutto è accompagnato da un suono metallico e cavernoso, che amplifica la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di vivo, o perlomeno dotato di una propria volontà.

Ma perché Settala avrebbe dovuto creare un oggetto del genere? Per rispondere a questa domanda, è necessario immergersi nella mentalità del Seicento, un’epoca in cui il confine tra scienza e magia era ancora sfumato. Gli automi, in particolare, occupavano una posizione ambigua nella cultura dell’epoca: erano meraviglie dell’ingegneria, dimostrazioni dell’abilità umana nel riprodurre il movimento e l’illusione della vita, ma al tempo stesso potevano suscitare timori e diffidenze. Non era raro che congegni del genere venissero interpretati come frutto di un’arte oscura, di una conoscenza che sfidava i limiti imposti dalla natura.

La scelta di rappresentare un diavolo non è certo casuale. Nel Seicento, la figura del demonio era parte integrante dell’immaginario collettivo. Non si trattava soltanto di un simbolo religioso, ma di una presenza che permeava la cultura popolare, il teatro, la letteratura e persino la scienza. Il diavolo era spesso raffigurato come un essere beffardo, incline a prendere in giro i mortali con smorfie e gesti sfrontati. Settala, con il suo spirito ironico e il suo amore per il meraviglioso, potrebbe aver voluto creare un congegno che incarnasse proprio questa visione: un diavolo che, anziché spaventare con la sua presenza sovrannaturale, divertiva e stupiva con la sua teatralità meccanica.

Ma c’è di più. L’Automa con testa di diavolo si inserisce perfettamente nel contesto delle Wunderkammern, che nel Seicento erano il simbolo del sapere enciclopedico e della curiosità senza confini. Queste collezioni non erano semplici accumuli di oggetti, ma veri e propri tentativi di racchiudere il mondo intero in una stanza. I collezionisti dell’epoca, spesso uomini di cultura e scienziati, erano ossessionati dalla catalogazione e dalla scoperta di tutto ciò che poteva apparire raro, straordinario, inspiegabile. Gli automi erano tra i pezzi più ambiti, poiché rappresentavano la perfetta fusione tra arte, scienza e tecnologia. L’Automa con testa di diavolo, con la sua combinazione di ingegneria sofisticata e simbolismo inquietante, doveva essere uno dei pezzi più spettacolari della collezione di Settala.

Dal punto di vista tecnico, la realizzazione di un simile oggetto richiedeva una maestria artigianale non indifferente. La meccanica degli automi del Seicento si basava su ingranaggi e sistemi di leve estremamente precisi, spesso realizzati da orologiai o da artigiani specializzati in strumenti scientifici. Ogni movimento doveva essere calibrato con cura per garantire un effetto realistico, e il suono prodotto dal congegno doveva essere studiato per suscitare un preciso effetto emotivo. Il materiale scelto per la testa, probabilmente legno scolpito e dipinto con grande attenzione ai dettagli, contribuiva ulteriormente all’illusione di trovarsi di fronte a una creatura quasi viva.

Ma quale poteva essere la reazione dei contemporanei di Settala di fronte a un simile automa? Se oggi l’oggetto ci affascina per la sua ingegnosità e per il suo valore storico, nel Seicento un congegno di questo tipo poteva facilmente essere interpretato in modi diversi. Per alcuni, sarebbe stato una prova della straordinaria abilità dell’uomo nel creare macchine sempre più sofisticate, una dimostrazione della capacità umana di dominare la materia e di sfidare la natura. Per altri, avrebbe potuto suscitare timori e inquietudini, alimentando le superstizioni e le paure legate all’animazione artificiale. Non va dimenticato che, ancora nel Seicento, la distinzione tra scienza e stregoneria era spesso labile, e un oggetto che sembrava muoversi e produrre suoni in modo autonomo poteva facilmente essere associato a forze oscure.

Tuttavia, è probabile che Settala intendesse il suo automa come un oggetto di divertimento e meraviglia, piuttosto che come un esperimento esoterico. Nel corso dei secoli, molti automi simili sono stati creati per stupire e intrattenere, diventando attrazioni nelle corti reali e nei salotti degli aristocratici. Il suo diavolo meccanico, con la sua espressione grottesca e i suoi movimenti teatrali, doveva servire proprio a questo scopo: far sorridere, sorprendere, forse persino spaventare, ma sempre nel segno della curiosità e del piacere della scoperta.

Oggi, l’Automa con testa di diavolo continua a esercitare il suo fascino su chiunque si trovi davanti alla sua inquietante presenza nella Sala XVIII del Castello Sforzesco. Il suo volto grottesco, il suo meccanismo ingegnoso e il suo legame con una visione del mondo in cui scienza e magia si sovrapponevano lo rendono un testimone straordinario di un’epoca in cui la meraviglia e il terrore erano spesso due facce della stessa medaglia.