venerdì 21 febbraio 2025

Un’esposizione negata: il caso Baj e la memoria tradita

Dopo oltre quarant'anni di attesa e una storia segnata da difficoltà e controversie, l'opera I funerali dell’anarchico Pinelli di Enrico Baj è finalmente stata trasferita al Museo del Novecento di Milano. Nonostante questo, la sua collocazione solleva numerosi interrogativi sulla sua adeguatezza e sul rispetto che le è stato tributato. La scelta di esporla in una sezione "dedicata" della collezione permanente, seppur dopo una lunga gestazione, solleva dubbi in merito non solo alla fruibilità dell'opera da parte del pubblico, ma anche alla sua lettura storica e politica.

L'installazione dell'opera, che originariamente aveva trovato collocazione nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, si trova ora in una saletta separata al quarto piano del Museo del Novecento, nella sezione "Gesti e processi". Questo spostamento non sembra valorizzare appieno il carattere monumentale e il significato profondo dell’opera. La posizione scelta risulta marginale rispetto al percorso museale, con un accesso non facilmente individuabile. L'opera, infatti, appare quasi nascosta, collocata in una zona periferica del museo senza adeguate indicazioni per guidare il visitatore, il che porta a una visione frammentaria e limitata di un'opera che richiederebbe invece un'attenzione maggiore.

Inoltre, la dimensione stessa della sala non è idonea a ospitare un’opera di tale rilevanza. Il soffitto troppo basso riduce notevolmente la percezione di una composizione che, nella sua progettazione, aveva un respiro ampio e monumentale. L'opera di Baj è concepita per interagire con lo spazio in modo completo, dove ogni elemento trova il suo posto in una visione d'insieme che permetta una fruizione totale. Tuttavia, la collocazione attuale, con una sala angusta e dal soffitto basso, impedisce di cogliere questa visione complessiva, riducendo la percezione dell’opera a frammenti disgiunti, in cui la potenza visiva e simbolica si perde.

Ancora più problematica è la decontestualizzazione di uno degli elementi centrali dell’opera: la finestra della Questura dalla quale Pinelli venne fatto precipitare. Nella sua collocazione originale, la finestra era posta in alto, come a simboleggiare il vuoto della caduta e la morte violenta dell’anarchico. In questa nuova sistemazione, invece, la finestra è stata spostata su una parete laterale, stravolgendo la composizione e il significato che Baj voleva esprimere. Questo cambiamento, seppur apparentemente marginale, incide profondamente sulla lettura dell'opera. La finestra, spostata dal suo contesto originario, non solo perde il suo potere simbolico, ma rende difficoltosa anche l'interpretazione delle mani sospese nel vuoto, che prima rappresentavano l’atto finale della morte di Pinelli. Il significato della scena, dunque, appare incompleto, privato di quella potenza espressiva che solo una corretta collocazione della finestra avrebbe potuto restituire.

Un ulteriore aspetto critico riguarda il pannello esplicativo che accompagna l’opera. Invece di contestualizzare correttamente l’opera all’interno della storia di Pino Pinelli e della sua tragica morte, il testo sembra adottare una posizione problematica, cercando in qualche modo di riabilitare la figura del commissario Calabresi. La campagna stampa che ha cercato di fare luce sulla responsabilità della polizia nella morte di Pinelli viene definita "diffamatoria", un'affermazione che risulta inaccettabile e che sminuisce la verità storica. Una lettura del genere, che tenta di mettere in discussione la versione ufficiale dei fatti, risulta in aperta contraddizione con il lavoro che Milano ha compiuto negli ultimi decenni per preservare la memoria di Pinelli, così come con l’atteggiamento mostrato dalla stessa amministrazione comunale, che ha riconosciuto pubblicamente il valore civile della sua figura. È, dunque, difficile comprendere la logica dietro questa scelta, che non solo non onora la memoria di Pinelli, ma rischia di offuscare il senso critico e politico che l’opera di Baj porta con sé.

Infine, la questione della "promessa di donazione" riportata sul cartellino che accompagna l’opera solleva ulteriori interrogativi. Questo dettaglio suggerisce che la donazione dell’opera non è ancora ufficialmente conclusa, lasciando aperta la possibilità che la collocazione proposta non rispetti le volontà degli eredi Marconi, che hanno fatto questa promessa. Questo punto solleva dubbi sulla legittimità della decisione di esporre l’opera in un determinato spazio, e sulla possibilità che l’opera venga trattata con il dovuto rispetto e dignità. La destinazione finale dell'opera, infatti, dovrebbe essere decisa con la massima attenzione e dovrebbe tenere conto non solo delle necessità logistiche del museo, ma anche delle intenzioni di chi ha donato l'opera e di chi la ha creata.

In definitiva, la collocazione de I funerali dell’anarchico Pinelli al Museo del Novecento sembra più un compromesso burocratico che una vera valorizzazione dell’opera. Non solo il museo sembra aver scelto una posizione che ne annulla la forza simbolica e politica, ma anche il modo in cui l’opera è presentata – con una composizione alterata e un pannello esplicativo che distorce il contesto storico – non rende giustizia al messaggio che Enrico Baj ha voluto trasmettere. Milano, che ha sempre avuto un ruolo cruciale nella lotta per la giustizia sociale e la memoria storica, meriterebbe un trattamento migliore per un'opera di tale valore. L’amministrazione comunale e il Museo del Novecento avrebbero l’opportunità di rivedere questa collocazione, restituendo a I funerali dell’anarchico Pinelli la centralità e il rispetto che un'opera di tale portata merita, affinché la memoria di Pino Pinelli e le sue implicazioni politiche possano continuare a parlare alle generazioni future in tutta la loro forza.