È raro che un libro riesca a contenere la vertigine di un’esistenza senza ridurla, senza irrigidirla nei contorni di una narrazione chiusa, lineare, comoda. Ma Lou Salomé: Amare la vita di Susanna Mati non solo riesce in questo compito: lo supera, lo disarticola, lo trasfigura. Il testo non è semplicemente una biografia, né un saggio filosofico, né una ricognizione letteraria: è piuttosto un atto d’amore, un corpo vivo, una prosa che si fa respiro e nervatura del pensiero. È un’ode appassionata e lucida a una donna che fu troppo per il suo tempo, e continua a esserlo anche per il nostro: Lou Andreas-Salomé.
Susanna Mati non si limita a raccontare: evoca. La sua scrittura non descrive Lou, la convoca, la fa emergere dalle pagine come una presenza viva, pulsante, che inquieta e ispira. Il libro stesso sembra animato da quella stessa forza interiore che Lou cercò per tutta la vita: la forza di pensare in modo radicale, di vivere senza compromessi, di amare senza riserve. L’autrice riesce a entrare nella materia incandescente della vita di Lou senza raffreddarla, senza addomesticarla. Al contrario, le restituisce quel carattere incandescente, inquieto, spalancato sull’infinito. La sua è una scrittura di frontiera, che sa farsi confessione e teoria, sussurro e grido, corpo e visione.
La materia di cui è fatta questa donna – e che Susanna Mati con straordinaria sensibilità riconosce, attraversa, esplora – è ambigua, febbrile, inquieta. Lou è tensione, non risoluzione. È domanda, non risposta. È l’eccezione che infrange ogni regola ma che, proprio per questo, ne rivela la falsità. Susanna Mati non la osserva da lontano, non la studia con distacco accademico: la raggiunge, la interroga, la lascia parlare, e nel farlo sembra volerci dire che Lou non è solo un oggetto di indagine, ma un modo di stare al mondo, un invito radicale a vivere e pensare fuori dalle righe.
Questa tensione è anche il cuore del libro, il suo motore segreto. Non c’è mai una soluzione definitiva, una risposta che chiuda il cerchio. Ogni affermazione è una soglia, ogni intuizione un passaggio. Lou stessa si definiva un essere in divenire, una figura che sfuggiva a ogni definizione, che rifiutava le prigioni dell’identità stabile. La sua biografia non è dunque una sequenza di eventi, ma una costellazione di interrogativi. E il libro di Susanna Mati ha il coraggio di lasciare che questi interrogativi restino aperti, vibranti, irrisolti. È un’opera che chiede al lettore di mettersi in gioco, di dismettere l’abito rassicurante del voyeur per assumere quello, ben più esigente, del complice.
Il titolo, Amare la vita, non va preso alla leggera. Non è un’affermazione ingenua, né una trovata editoriale. È una sintesi filosofica dell’intero percorso di Lou: una donna che ha fatto dell’amore per la vita non un sentimentalismo, ma una scelta etica, una pratica filosofica, una rivolta. Una vita amata fino allo sfinimento, senza garanzie, senza protezioni, senza false promesse. Una vita abitata come luogo della possibilità, della contraddizione, dell’alterità radicale. È in questa chiave che Susanna Mati la racconta – e che noi, leggendo, impariamo a conoscerla come non l’avevamo mai vista. Non come personaggio da manuale, ma come compagna di cammino, come specchio inquieto.
Amare la vita, dunque, non come atto ingenuo, ma come atto sovversivo. Un gesto che richiede coraggio, lucidità, radicalità. Lou ha scelto di amare la vita senza condizioni, anche nei suoi aspetti più oscuri, più dolorosi, più paradossali. Ha amato la vita come si ama un enigma, con una fede che non è cieca ma ardente. E Susanna Mati riesce a restituire questa fedeltà incandescente con una scrittura che non si limita a raccontare, ma che partecipa, che si espone, che rischia. Il libro non è uno studio: è una compagnia. Una forma di presenza, un gesto di alleanza. Non rassicura, non consola: accompagna, provoca, apre varchi.
Troppo spesso Lou è stata ridotta al ruolo di “musa”. Un termine apparentemente nobile, che però sottintende passività, funzione, riflesso. Una musa serve a ispirare, non a creare. E invece Lou ha creato, eccome: pensiero, scrittura, legami, scuole di vita. Susanna Mati compie un gesto simbolico e necessario: restituisce a Lou il suo statuto di soggetto pieno, di protagonista del proprio destino. E lo fa con una scrittura che è essa stessa una forma di pensiero incarnato. Non c’è una riga che non sia abitata da un'urgenza, da una dedizione, da una chiarezza interiore che incanta. Ogni parola è meditata, necessaria, gravida di risonanze.
Lou fu psicoanalista, scrittrice, pensatrice, esploratrice dell’invisibile. Ma fu anche – e forse soprattutto – un laboratorio vivente di alternative. Alternativa ai ruoli sociali imposti. Alternativa alla dicotomia tra razionalità e sensualità. Alternativa alla visione binaria di maschile e femminile. Lou rifiutò il matrimonio, la maternità obbligata, la riduzione dell’amore a possesso. Eppure fu capace di amare profondamente, in modi che ancora oggi ci disorientano: l’amicizia assoluta con Nietzsche, l’amore carnale e spirituale con Rilke, il sodalizio psicoanalitico con Freud. Non sono episodi accessori della sua vita: sono nodi centrali di un pensiero che si faceva corpo, relazione, desiderio.
Lou fu una donna che non accettò mai di vivere nei margini che la società le riservava. Scelse la libertà a ogni costo. Una libertà faticosa, talvolta solitaria, sempre complessa. La sua vita fu una ricerca costante di verità, ma non di una verità assoluta: di una verità incarnata, vissuta, imperfetta. Susanna Mati coglie questa tensione e la trasmette con una scrittura che non ha paura dell’ambiguità, che non cerca rassicurazioni, che preferisce il dubbio all’ideologia. È un ritratto che ha il coraggio della contraddizione, il gusto dell’incompiutezza, la forza della fragilità.
Mati accompagna il lettore in questo labirinto senza perderlo mai. Ogni pagina è una scoperta, ogni capitolo un’apertura. La scrittura è precisa ma generosa, elegante ma sensuale, densa ma mai compiaciuta. Si sente che l’autrice non scrive su Lou, ma con Lou. È come se il libro fosse un dialogo serrato tra due voci femminili che si riconoscono nella complessità dell’essere, nel desiderio di libertà, nella capacità di abitare la contraddizione senza cercare soluzioni facili. Susanna Mati non impone interpretazioni, non confeziona giudizi: lascia che Lou emerga per quello che fu – e che è ancora.
C’è qualcosa di profondamente politico in tutto questo. In un’epoca che ci spinge a semplificare, a scegliere schieramenti, a definirci con etichette sempre più rigide, Lou ci mostra un’altra via: quella della fluidità, della molteplicità, della metamorfosi continua. E Susanna Mati riesce a raccontarla senza mai ingabbiarla, evitando il rischio – frequentissimo nelle biografie femminili – di trasformare la protagonista in una vittima o in un’eroina da santino. Lou non è né martire né santa. È, piuttosto, un essere umano che ha avuto il coraggio di esplorare i propri abissi senza chiudere gli occhi. Un essere umano che ha saputo far convivere dentro di sé la razionalità più limpida e l’emotività più bruciante.
Il libro è anche una riflessione, sottile ma potentissima, sul rapporto tra amore e pensiero. Lou non ha mai separato i due ambiti. Per lei, pensare era amare. E amare era pensare. Ogni legame affettivo diventava un’occasione di crescita intellettuale, e ogni riflessione si nutriva di un sentimento profondo. Questo incrocio, questa danza tra eros e logos, è forse la vera chiave del suo fascino. E Susanna Mati ne fa il filo rosso del suo racconto, con un’intelligenza emotiva che raramente si incontra nella saggistica contemporanea. Ciò che ne risulta è un’opera necessaria: non solo per capire Lou Salomé, ma per imparare ad amare – davvero – la vita.