L’edizione 2025, da questo punto di vista, si presenta come un’annata particolarmente densa di stimoli, promesse e possibili scarti radicali. Tra i titoli maggiormente attesi figura The History of Sound di Oliver Hermanus, regista sudafricano già noto per l’intenso Moffie e per il più recente Living, delicata trasposizione del Kurosawa di Ikiru. Qui, Hermanus torna a indagare l'intimità maschile, ma lo fa attraverso un impianto narrativo immerso in un tempo altro: la Prima guerra mondiale, epoca liminale in cui la soggettività moderna è in procinto di sgretolarsi. I protagonisti, interpretati da Paul Mescal e Josh O’Connor — due tra gli attori europei più acclamati della loro generazione — attraversano gli Stati Uniti per raccogliere le voci dei soldati in partenza per il fronte. La loro missione, tuttavia, si trasforma in un percorso di progressiva e reciproca rivelazione affettiva e carnale. Hermanus costruisce un'opera contemplativa e sensuale, dove il suono diventa non solo archivio della memoria collettiva, ma veicolo delle emozioni più indicibili: il desiderio, il lutto, l'amore inespresso.
Se The History of Sound affonda le radici nella classicità del mélo, Crossing di Babak Jalali, con Alexander Skarsgård nei panni di un motociclista ambiguo e silenzioso, si muove invece nei territori più ibridi del cinema queer contemporaneo. La pellicola, ambientata tra le coste del Mar Nero e l’entroterra balcanico, segue il viaggio di un giovane ragazzo trans alla ricerca della sorella scomparsa, accompagnato da una figura maschile che incarna insieme il ruolo di protettore, guida, e — forse — oggetto erotico. Jalali, con uno sguardo quasi antropologico, destruttura gli stereotipi del road movie e rilegge il corpo virile secondo una grammatica queer che problematizza la dicotomia tra dominazione e accoglienza. Skarsgård — noto al grande pubblico per ruoli virili e spesso ipersessualizzati — diventa qui una figura liminale, tanto potente quanto fragile, capace di generare attrazione e inquietudine in egual misura. Crossing si iscrive dunque in quella linea cinematografica che — da My Own Private Idaho a Beau Travail — elegge il corpo maschile come oggetto di sguardo e luogo di contraddizione.
Accanto a questi titoli, spiccano anche proposte più eccentriche e contaminate. È il caso di Gloria! di Margherita Vicario, un’opera che pur non concorrendo direttamente per la Queer Palm ha già generato entusiasmo nella comunità LGBTQIA+ internazionale. Il film, un’esplosione barocca di suoni, colori e corpi in movimento, narra la storia di un gruppo di giovani musiciste nella Venezia del XVIII secolo. Attraverso una regia musicalmente coreografata e un’estetica queer che richiama tanto Derek Jarman quanto il videoclip contemporaneo, Vicario propone un’allegoria della libertà espressiva che si sottrae alle gabbie del genere, del potere, della norma.
Ma la vera forza della Queer Palm 2025 potrebbe nascondersi nei margini, negli interstizi del programma. Secondo alcune indiscrezioni, un documentario non ancora ufficialmente annunciato, dedicato alla figura di un’artista trans del teatro performativo europeo, potrebbe entrare a sorpresa nella selezione. Si tratterebbe di un’opera che fonde archivio, performance e autobiografia, seguendo le orme di lavori come Portrait of Jason di Shirley Clarke o The Watermelon Woman di Cheryl Dunye: un cinema militante ma non dogmatico, in cui la riflessione politica si intreccia a un'estetica personale e irriverente.
La giuria di quest’anno, presieduta da Céline Sciamma, regista di Portrait de la jeune fille en feu, ha già esplicitato un orientamento preciso: privilegiare film “che non solo raccontino l’amore queer, ma che sappiano interrogare i dispositivi del potere, le genealogie affettive e le utopie del corpo”. Parole che confermano come la Queer Palm non sia un semplice “bollino arcobaleno”, ma uno spazio critico e poetico dove si ridefiniscono le categorie di identità, genere, desiderio.
In un panorama cinematografico sempre più globalizzato ma spesso ancora normativo, la Queer Palm rappresenta dunque un momento di resistenza e reinvenzione, dove l'immaginazione queer non è ridotta a tema, ma elevata a metodo. Chi trionferà nel 2025? Che sia l’elegia omosessuale di Hermanus, la tensione silenziosa del biker di Jalali, o un outsider inatteso, una cosa appare evidente: la rappresentazione LGBTQIA+ a Cannes non è più confinata a margine, ma si pone al centro del discorso estetico e politico. E questa centralità, oggi più che mai, è necessaria.